Archivi giornalieri: 30 ottobre 2013

Aspi

Lavoro: Inps, più semplice chiedere indennità Aspi

 

Chi chiederà la nuova indennità di disoccupazione (l’Aspi e la mini-Aspi) dovrà presentare all’Inps anche la dichiarazione dello stato di disoccupato, ovvero della immediata disponibilità allo svolgimento ed alla ricerca di un’attività lavorativa da definire con il Centro per l’Impiego competente. Lo precisa l’Inps in una nota che spiega la circolare n. 154 appena pubblicata dall’istituto.

”A breve – si legge nella nota – sarà disponibile la procedura con la quale il cittadino, attraverso i canali previsti per la presentazione della domanda di prestazione (sportello on line, Patronati e Contact center integrato) potrà dare la dichiarazione di disponibilità all’Istituto – qualora non si fosse già recato al Centro per l’Impiego – e avere l’indicazione del servizio competente” per le politiche attive del lavoro.

Le dichiarazioni presentate all’Inps verranno messe a disposizione dei Centri per l’impiego attraverso la Banca dati nel Sistema informativo dei percettori. Al fine di garantire il pieno utilizzo ed efficacia delle nuove funzionalità introdotte, le domande per le prestazioni di Aspi e MiniAspi, in scadenza questi giorni, conclude l’Inps, potranno essere utilmente inviate entro il 30 novembre.

Inail

Inail – Infortuni avvenuti in missione e in trasferta

 

Devono essere tutelati tutti gli infortuni che accadono ad un lavoratore dal momento dell’inizio della  missione e/o trasferta fino al rientro nella propria abitazione o albergo. E’ quanto ha stabilito l’Inail con una recente circolare.

L’Istituto assicuratore arriva a tale conclusione partendo da una ricognizione dell’evoluzione giurisprudenziale in materia di occasione di lavoro.E’ noto infatti che, secondo l’orientamento ormai prevalente della Cassazione, meritevole di tutela  è qualsiasi situazione di rischio di infortunio nel quale il lavoratore si trovi in esecuzione di obblighi nascenti dai rapporti di lavoro. Sono esclusi dalla tutela gli infortuni conseguenti ad un comportamento estraneo al lavoro (rischio elettivo), quelli simulati dal lavoratore o le cui conseguenze siano dolosamente aggravate dal lavoratore stesso.

Nelle ipotesi in cui il lavoratore si trovi in trasferta e/o missione, poiché si tratta di situazioni imposte dal datore di lavoro, “tutto quel che accade nel corso della stessa deve essere considerato verificatosi in attualità di lavoro in quanto accessorio all’attività lavorativa e alla stessa funzionalmente connesso”.

Ovviamente l’evento non può ritenersi indennizzabile qualora avvenga con modalità e in circostanze per le quali non si possa ravvisare alcun collegamento con l’attività svolta in missione o trasferta.

Altrettanto dicasi dell’infortunio che può accadere durante gli spostamenti per recarsi dall’albergo al luogo in cui deve essere svolta la prestazione lavorativa e viceversa; per le stesse considerazioni l’Inail  conferma che questi casi debbano essere trattati come infortuni “in attualità di lavoro”, ravvisandosi  l’occasione di lavoro nella sua accezione più ampia.

Un altro aspetto interessante trattato nella circolare è relativo all’infortunio occorso in albergo; anche in questa ipotesi si conferma la tutela poiché “il soggiorno in albergo è evidentemente necessitato dalla missione e/o trasferta e perciò necessariamente connesso all’attività lavorativa”.

L’Istituto, fino ad oggi, adeguandosi all’orientamento giurisprudenziale ha sempre negato il riconoscimento di tutti quegli infortuni che avvengono all’interno della propria abitazione e/o nel luoghi condominiali.Ma, come si evince dalla circolare, gli eventi che accadono in una stanza d’albergo non sono parificabili a quelli avvenuti nella privata abitazione, in primo luogo perché condizionato dalla particolare situazione determinata dalla missione e/o trasferta, in secondo luogo perché il lavoratore non ha quello stesso controllo delle condizioni di rischio, che ha nella propria abitazione.

L’Inail, quindi, affermando una interpretazione estensiva della nozione di occasione di lavoro, ammette ad indennizzo tutto ciò che accade dall’inizio della missione/trasferta fino alla sua conclusione, compreso il tragitto dall’albergo al luogo di lavoro e l’eventuale infortunio che accade all’interno della stanza dell’albergo.

No alla riduzione della pensione per assenze donazione sangue e congedi parentali

No alla riduzione della pensione per assenze donazione sangue e congedi parentali

 

I contributi figurativi relativi ad assenze per donazioni di sangue e per congedo parentale non determineranno più una riduzione dell’assegno di pensione anticipata.

Con il Dl 101/2013 convertito in legge, si sono risolti infatti definitivamente i dubbi riguardanti l’applicazione del taglio del trattamento pensionistico qualora si scelga il trattamento anticipato indipendentemente dall’età anagrafica.

In base alla riforma previdenziale, tale riduzione non si applica a chi matura il requisito di anzianità contributiva (attualmente 41 anni e 5 mesi perle donne e 42 anni e 5 mesi per gli uomini) entro il 2017 se la stessa è determinata da prestazione effettiva di lavoro, astensione obbligatoria per maternità, per obblighi di leva, per infortunio, malattia e Cig ordinaria. Con il Dl in questione ora anche i contributi figurativi per donazioni di sangue e congedo parentale vengono conteggiati per determinare l’anzianità contributiva.

da Sole24ore

Ricongiunzioni

On line i ricorsi contro ricongiunzioni e riscatti contributivi

 

La circolare Inps n. 151/2013 comunica che dal 1° gennaio 2014 l’unica via utilizzabile per presentare i ricorsi contro le ricongiunzioni e i riscatti contributivi, da parte dei dipendenti pubblici (gestione Inpdap) sarà quella telematica.

L’Inps stabilisce infatti, che nel processo di telematizzazione dell’Istituto avviato già dal 2010, le istanze relative ai ricorsi in materia previdenziale ai comitati di vigilanza della gestione dipendenti pubblici dovrà avvenire attraverso una delle seguenti modalità con accesso telematico: in via diretta dai cittadini, dotati di pin; tramite gli avvocati, gli enti di patronato abilitati all’intermediazione con l’Inps

Stranieri

Stranieri esclusi dal servizio civile, pronto il ricorso di Asgi e Avvocati per niente

 

L’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) e Apn (Avvocati per Niente Onlus) hanno comunicato di avere depositato ieri 28 ottobre, un ricorso antidiscriminazione avanti il Tribunale di Milano contro la mancata ammissione dei cittadini stranieri al Bando per il servizio civile 2013, che scade il prossimo 4 novembre.

L’iniziativa arriva, come dichiarano le due associazioni, “a sostegno della richiesta di 4 ragazzi di origine straniera (cingalese, marocchina, ucraina) che, pur essendo residenti in Italia da oltre 10 anni, non possono svolgere il servizio civile volontario essendo privi della cittadinanza italiana”. Il 22 ottobre una loro rappresentanza era stata anche audita dalla Consulta nazionale del servizio civile, in un incontro che era stato definito “molto utile per avviare un confronto e chiarire alcuni aspetti, anche se una soluzione ancora non è stata trovata”.

“Con questa nuova azione giudiziaria le associazioni ASGI e APN – si specifica ora nel comunicato – vogliono ribadire che l’esclusione dei giovani stranieri da questa importante esperienza di solidarietà non solo è illogica dal punto di vista delle politiche di integrazione, ma è incompatibile con il nostro ordinamento che va evolvendo verso una sempre maggiore uguaglianza tra italiani e stranieri stabilmente residenti”.

Le due associazioni, che già ad inizio dello scorso anno avevano vinto un ricorso presso il Tribunale del Lavoro di Milano contro l’esclusione di un giovane pakistano in occasione del bando di servizio civile 2011, ricordano in merito che “la prossima scadenza del termine per recepire la direttiva UE 2011/98 (il 25 dicembre 2013) obbligherà gli Stati membri ad applicare ancora più rigorosamente il principio di parità di trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti”.

“In tale contesto normativo anche ‘il diritto di adempiere un dovere’ (di contribuire in forme solidaristiche alla ‘difesa’ della collettività) non può più essere riservato ai soli cittadini in senso formale, ma deve essere esteso – ai sensi dell’art. 2 Cost. – a tutti coloro che partecipano attivamente della vita della collettività per esservi stabilmente residenti”, argomentano ancora.

Le due associazioni ricorrenti, con questa nuova azione giudiziaria, “chiedono quindi che il Giudice riconosca già esistente nel nostro ordinamento questo principio – come già accaduto con le sentenze dello scorso anno – o in subordine rinvii gli atti alla Corte Costituzionale perché decida sulla compatibilità di tale esclusione con i principi di uguaglianza e solidarietà sanciti dagli artt. 2 e 3 della Costituzione”.

Intanto sullo stesso tema l’on. Guerini (PD) ha presentato mercoledì scorso un’interrogazione a risposta in commissione (5/01274), definendo l’esclusione degli stranieri dal Bando di servizio civile in corso “chiaramente discriminatoria nei confronti dei cittadini comunitari e non comunitari regolarmente residenti in Italia, precludendo loro qualsiasi possibilità di accedere alle selezioni”. Per questo l’on. Guerini, insieme ad alcuni suoi colleghi di partito, chiedono al Governo “quali iniziative intenda assumere per garantire la parità di accesso alle selezioni dei volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all’estero anche ai cittadini comunitari ed extracomunitari regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale”.

da Redattore sociale

Legge di stabilità

Legge di stabilità: critiche da Corte dei Conti, Istat e Bankitalia

 

La nuova legge di stabilità pone problemi di equità per quanto riguarda in particolare la riduzione del cuneo fiscale perché sono escluse dal beneficio fasce importanti della popolazione. Ad affermarlo, parlando di “evidenti problemi distributivi e di equità” è il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri in audizione in Senato sulla Legge di stabilità.

“Secondo l’Ocse – spiega Squitieri – nel 2012 il cuneo fiscale del lavoratore medio dell’industria italiana si commisurava al 47,6% del costo del lavoro: il 23,3% riconducibile al prelievo a carico del lavoratore ed il 24,3% a fronte dei contributi per il datore di lavoro. I risultati sarebbero diversi nel 2014, alla luce delle novità” introdotta con il ddl.

“Si può stimare – prosegue il presidente della Corte dei Conti – che l’incidenza della nuova misura per il lavoratore si ridurrebbe di quasi tre decimi di punto per effetto delle maggiori detrazioni Irpef, mentre per il datore di lavoro diminuirebbe in modo maggiore”, rileva Squitieri. “Un risultato significativo, ma che lascia sostanzialmente inalterata la posizione dell’Italia nella graduatoria europea sul peso del cuneo fiscale, maggiore solo in Belgio Francia e Germania”.

C’è poi il problema dell’esclusione di diverse fasce di popolazione. Oltre ai lavoratori autonomi, sono esclusi dal beneficio “gli incapienti e i pensionati, ossia circa 25 mln di soggetti che sono anche le categorie in maggiore difficoltà. Ciò comporta evidenti problemi distributivi e di equità”.

Altro rischio, segnalato dalla Corte dei Conti, è quello di “ulteriori aumenti impositivi”, previsti dal ddl, in particolare, “inasprimenti che potrebbero catalizzarsi sul versante del patrimonio immobiliare e in particolare sulla Tasi”.

Per quel che attiene all’economia nazionale, la Corte ritiene che sia “ancora alta la probabilità che si realizzi un quadro meno favorevole di quello prospettato dal Governo e con scostamenti crescenti nel tempo”. “Contrastare il declino del sistema produttivo – ha quindi affermato Squitieri – rappresenta oggi l’emergenza nazionale sulla quale va concentrata e misurata la capacità di intervento”. 

Per l’operazione “cuneo fiscale”, dunque, sembra che Palazzo Chigi stia pensando a dei provvedimenti d’urgenza prevedendo di concentrare le detrazioni sui redditi più bassi, mentre sulla Tasi torneranno a mitigarne l’impatto, con detrazioni dai 50 ai 100 euro….

Maternità

Nelle aziende italiane la maternità è un limite alla carriera

 

Nelle aziende italiane, si continua a ritenere che la maternità rappresenti un limite alle opportunità di carriera di una donna e che non sia conciliabile con il lavoro quando il contesto è altamente competitivo. E’ uno dei risultati preliminari di un’indagine della Sapienza Università di Roma, presentati ieri a Roma al Cnr, in occasione dell’evento ”Donna, salute e lavoro”, promosso dai docenti dei dipartimenti di diritto ed economia delle attività produttive, di ginecologia e ostetricia e di management della Sapienza Università di Roma.

L’indagine, che prosegue su un campione totale di quasi 4.000 persone (dipendenti di grandi aziende private), è realizzata allo scopo di comprendere le attitudini personali verso la gravidanza e la maternità in ambito lavorativo, per valutarne empiricamente l’impatto sulle donne lavoratrici dipendenti, sui colleghi di lavoro e sulle organizzazioni di appartenenza.

Il 90% degli intervistati della ricerca ritiene che la produttività della donna al lavoro non sia messa in alcun pericolo a causa della gravidanza e solo un 16% degli intervistati concorda invece con l’affermazione che la gravidanza renda la donna fisicamente limitata al lavoro, lasciando spazio a un altro confortante 87% di intervistati che ha confermato di non aver percepito alcun tipo di diminuita efficienza e capacità sul lavoro da parte della propria collega in stato di gravidanza.

Se da un lato più squisitamente personale l’evento gravidanza in azienda sembra venir accolto e vissuto con una certa serenità (l’87,5% delle donne ha dichiarato di aver comunicato quasi subito la notizia a colleghi e superiori, che nel 55% dei casi hanno reagito positivamente), dall’altro, il 78% degli intervistati continua a ritenere che la maternità rappresenti un limite alle opportunità di carriera di una donna e il 49% pensa che non sia conciliabile con il lavoro quando il contesto è altamente competitivo.

immigrati

Immigrati: Cgil, subito piano nazionale accoglienza e integrazione

 

“Un piano nazionale d’accoglienza e di integrazione”. E’ questa la richiesta avanzata dalla Cgil nel corso del convegno ”Dall’emergenza a un sistema d’accoglienza in Italia ed Europa. Dalla guerra civile siriana alla tragedia di Lampedusa”, promosso dalla Cgil e dal Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), che si è svolto ieri a Roma. Un’iniziativa, indetta a pochi giorni dalla tragedia di Lampedusa, per avviare una riflessione approfondita, con interlocutori autorevoli e competenti, per individuare proposte e percorsi concreti per uscire dalla tragedia e dall’emergenza.

 “Dopo l”ennesima tragedia nel mare di Lampedusa, la più grave per dimensioni accaduta finora, non si può più tollerare -ha affermato la Cgil- che tutto rimanga immutato, nè ci si può fermare al cordoglio e all’esortazione che non ”accada mai più”. Per non farlo accadere mai più bisogna fare delle scelte, degli atti politici concreti, bisogna cambiare norme e comportamenti”.

 “La posizione geografica dell’Italia -sottolinea ancora il sindacato- la porta inevitabilmente a dover assolvere un compito di accoglienza degli stranieri che intendono arrivare in Europa, innanzitutto di coloro che chiedono protezione. Questo compito stando alla situazione geopolitica dell’area del Mediterraneo è diventato sempre più impegnativo. Ed è facile prevedere che nel futuro prossimo lo diventerà ancora di più. Ciò impone di superare l’approccio emergenziale e costruire una risposta adeguata, organica e strutturale. Questa risposta non può essere altro che ”un piano nazionale d’accoglienza e di integrazione”.

Un piano che, è stato detto nel convegno concluso dal segretario nazionale della Cgil, Vera Lamonica, deve affrontare almeno i seguenti punti: “Il quadro normativo europeo e italiano in materia di accoglienza, procedure di asilo e integrazione di rifugiati e migranti; la normativa sull’accoglienza utilizzata in passato a seguito di ”eventi specifici” a partire dalla ex Jugoslavia fino all”’emergenza nord Africa”; l’esperienza nell’applicazione di queste normative da quelle più negative (emergenza Nord Africa) alle buone pratiche di comuni come, ad esempio, Badolato (ripopolazione di zone abbandonate); l’immagine dell’Italia in Europa per mancanza di accoglienza secondo gli standard stabiliti, per l’assenza di misure di integrazione, e per i frequenti episodi di abbandono sociale di richiedenti asilo e rifugiati, come evidenziato da centinaia di decisioni di tribunali in altri Stati dell’Unione europea”.

“In assenza di ”un piano nazionale d’accoglienza e di integrazione” -ha sostenuto la Cgil- l’Italia non potrà mai giocare un ruolo convincente nè nei tavoli europei in termini politici, nè nei piani di finanziamento europeo destinati ai Paesi membri per accoglienza di stranieri e richiedenti protezione internazionale”.