Archivio mensile:dicembre 2023

MATTARELLA E MELONI: due volti diversi dello stesso Stato (coloniale)

 
MATTARELLA E MELONI: due volti diversi dello stesso Stato (coloniale)
 
di Francesco Casula
 
Mattarella e Meloni sono due volti diversi, (il primo più accattivante, il secondo più respingente, perché più classista nordista e antisardo) ma rappresentano lo stesso Stato italico coloniale. Che da sempre ha mostrato nei confronti della Sardegna il suo volto feroce e brutale di dominio economico e di repressione culturale e linguistica. Fin dalle sue origini e dalla sua funesta unità: con un fiscalismo esoso e insopportabile, con una Sardegna che paga tasse superiori alla media delle tasse che pagano le altre regioni italiane, talvolta persino superiori a quelle delle regioni più ricche. Scrive Giuseppe Dessì nel romanzo Paese d’ombre: “La legge del 14 luglio 1864 aveva aumentato le imposte di cinque milioni per tutta la penisola, e di questi oltre la metà furono caricati sulla sola Sardegna, per cui l’isola si vide triplicare di colpo le tasse. In molti paesi del Centro, quando gli esattori apparivano all’orizzonte, venivano presi a fucilate e se ne tornavano, a mani vuote, ma più spesso l’esattore, spalleggiato dai Carabinieri, metteva all’asta casette e campicelli e tutto questo senza che nessuno tentasse di difendere gli isolani. I politici legati agli interessi del governo, predicavano la rassegnazione. I sardi si convincevano di essere sudditi e non concittadini degli italiani…”1. Per non parlare dell’imposta sul macinato l’imposta più odiosa di tutte, “perché gravava sulle classi più povere, consumatrici di pane e di pasta e particolarmente dura in Sardegna, dove il grano veniva di solito macinato nelle macine casalinghe fatte girare dall’asinello” 2. E per non parlare ancora dell’aggio esattoriale che “Nelle altre province del regno ha una media che non supera il 3%, in Sardegna non è minore del 7% e in alcuni comuni arriva persino a 14%”3 . A dimostrazione che la pressione fiscale in Sardegna era fortissima e comunque più forte che nelle altre regioni ne è una riprova – come documenta Francesco Saverio Nitti, già Presidente del Consiglio dal 1919 al 1920 – il fatto che dal 1 gennaio 1885 al 30 giugno del 1897 si ebbero in Sardegna “52.060 devoluzioni allo stato di immobili il cui proprietario non era riuscito a pagare le imposte, contro le 52.867 delle altre regioni messe insieme” 4. A dire che quando non si pagano le tasse lo Stato ti sequestra piccoli beni (appezzamenti di terreno, casette) e ai contadini, lo ricorda Giuseppe Dessì nel suo romanzo “Paese d’ombre”, persino i carri a buoi! Ed ancora nel 1913 – al trono Vittorio Emanuele III, la media delle devoluzioni ogni 1000.000 abitanti era 110,8 in Sardegna e di 7,3 nel regno, è sempre Nitti a scriverlo. E dopo lo sgoverno dei tiranni sabaudi e il Fascismo? Cambia la “forma” coloniale non la “sostanza”. L’Isola continua ad essere considerata semplice appendice dello Stato italiano. Colonia d’oltre mare da utilizzare come base di servizio di industrie nere e inquinanti, fabbriche di armi, basi militari, stazione di servizio per speculazione energetica. Con le Pale eoliche infatti, come con le industrie petrolchimiche, alla Sardegna rimane sa palla (e l’inquinamento) e issos si pigant su ranu. Calchi sisinu, pocos soddos alle popolazioni che ospitano i mostri di ferro e profitti milionari agli speculatori. Alla Sardegna fra 20/30 anni tonnellate di ferro arrugginito da smaltire e al Nord energia bella, pronta e pulita. Perché occorre ribadirlo l’energia prodotta dal vento (e dal sole) sardo non è per noi ma per loro. Come i semilavorati della chimica. Per creare, ancora una volta, la loro ricchezza. Alle nostre spalle. A fronte di tutto ciò, che senso può avere per i sardi, la retorica patriottarda del discorso di Mattarella, questa sera? O, peggio ancora, le balle ciclopiche che ci racconterà il 4 gennaio prossimo Meloni? Meglio la lettura di un bel libro sardo che perdere tempo con le chiacchiere (e le frottole) italiche. Note Bibliografiche 1. Giuseppe Dessì, prefazione di Sandro Maxia, Ed. Ilisso, Nuoro 1998, pagina 292. 2 Natalino Sanna, Il cammino dei sardi, vol.III, Editrice Sardegna, pagina 440. 3. F. Pais Serra, Antologia storica della Questione sarda a cura di L. Del Piano, Cedam, Padova, 1959, pagina 245. 4. F. Nitti, Scritti nella Questione meridionale, Laterza, Bari, 1958, pagina 162

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i Rappresentanti delle Istituzioni, delle Forze Politiche e della Società Civile

 

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i Rappresentanti delle Istituzioni, delle Forze Politiche e della Società Civile

 Palazzo del Quirinale, 20/12/2023 (II mandato)

Ringrazio molto il Presidente del Senato per le considerazioni che ha svolto e per gli auguri che mi ha rivolto in maniera così cortese.

Rivolgo un saluto al Presidente della Corte Costituzionale, al vice Presidente della Camera, ai Ministri presenti.

Esprimo gli auguri di tutti noi al Presidente del Consiglio, al Presidente della Camera, augurando loro un pronto ristabilimento.

Un saluto cordiale a tutti i presenti.

Alla vigilia di giorni di festa – che confidiamo portino a tutti un po’ di serenità – e incontrando qui oggi le espressioni più rappresentative di tanti ambiti istituzionali e sociali, mi sembra utile proporre qualche spunto di riflessione affinché l’augurio per le imminenti festività e per il nostro futuro non si esaurisca in mera ritualità.

Come di consueto, gli ultimi giorni dell’anno inducono a soffermarsi su una domanda: su quali basi costruire la nostra speranza per i giorni che verranno?

Nei giorni scorsi ho avuto modo di affrontare alcune questioni di politica internazionale ed europea, incontrando prima il corpo diplomatico accreditato a Roma e poi i nostri ambasciatori nel mondo. Oggi vorrei svolgere qualche ulteriore riflessione che mi appare cruciale.

Quello che stiamo vivendo è un tempo, per un verso, affascinante, di grande cambiamento ma anche difficile, travagliato, per più aspetti drammatico.

Il post pandemia, con gli effetti prodotti a tutti i livelli nelle nostre comunità, da quelli umani a quelli economici, sociali e psicologici, soprattutto per i più giovani.

Le guerre. Quella che da due anni coinvolge l’Europa e che, con la inammissibile aggressione dell’Ucraina da parte della Russia – con un immenso numero di vite umane perdute e immani distruzioni inferte al territorio – ha improvvisamente sgretolato la certezza che la pace nel nostro continente, dopo la tragedia dei due conflitti mondiali, fosse acquisita una volta per tutte.

La guerra che, da settimane, infiamma il Medio Oriente, con la sanguinosa e brutale aggressione terroristica di Hamas a Israele e con le azioni militari a Gaza, che stanno costando un numero inaccettabile di vittime civili, in uno scenario che rende sempre più grave la condizione umanitaria in quei territori.

Gli effetti dirompenti del cambiamento climatico, che, nel corso di quest’anno, abbiamo purtroppo toccato con mano, ancora una volta, vivendo la devastazione prodotta da alluvioni e inondazioni, come è accaduto in ampie zone di Emilia Romagna e Toscana.

Si allargano intanto i divari sociali: alle vecchie diseguaglianze se ne aggiungono di nuove, nei campi del digitale e della conoscenza. E stridono le gigantesche ricchezze appannaggio di pochi a fronte del disagio di tanti, con una distanza mai prima registrata né in Italia né altrove.

Si tratta di fenomeni globali che entrano prepotentemente nella vita delle nostre comunità e in quella quotidiana di ciascuno

Se questo è lo scenario in cui siamo immersi, su quali presupposti possiamo guardare insieme al domani senza cedere all’angoscia ma anzi recuperando un sentimento di fiducia nel futuro?

Penso che sia utile riflettere sul filo che lega eventi diversi. Sarebbe un errore tenerli del tutto distinti o considerarli soltanto come la coincidenza di sfortunate contingenze: vanno invece, valutati nel loro insieme ed esaminati con altri fattori, a partire dal prepotente avvento delle nuove tecnologie, tra cui spicca l’enorme potenziale dell’intelligenza artificiale. Tutto questo ci pone di fronte a ciò che appare come un tornante della storia.

Un cambiamento che mette in discussione gli equilibri precedenti, i modelli di sviluppo: quelli sociali, quelli culturali e persino quelli antropologici.

La crisi geopolitica rischia di travolgere il precedente equilibrio mondiale, l’ordine mondiale disegnato decenni addietro senza che se ne veda all’orizzonte uno nuovo. E questa condizione di fragilità si registra in un’epoca in cui irrompono fenomeni che imprimono al cambiamento una velocità inedita, che rappresenta essa stessa un fattore con il quale misurarsi.

Il combinato di tecno-scienze e dei mutamenti nella architettura economico-finanziaria può produrre disorientamenti e sconvolgimenti ben superiori a quelli che si manifestarono all’inizio dell’Ottocento con la prima rivoluzione industriale. Questa rivoluzione – di questi nostri tempi – è enormemente più profonda, più veloce, globale.

Il cambiamento in atto presenta potenzialità e rischi. Ha effetti concreti sulla vita delle persone. Tocca diversi ambiti e pone interrogativi nuovi che hanno profili giuridici, economici, sociali: rappresentano la sfida più alta sulla quale la politica è chiamata a esercitare la sua responsabilità.

Qualche esempio.

Le grandi opportunità che il progresso scientifico ci pone a disposizione, con sempre nuovi positivi strumenti, come – appunto – l’intelligenza artificiale e, prima di questa, le piattaforme informatiche che utilizziamo ogni giorno.

Pensiamo alle importanti applicazioni della stessa intelligenza artificiale e delle nuove preziose capacità di calcolo in campo sanitario, nella diagnostica, nella cura di malattie che sembravano incurabili. O alle grandi potenzialità delle nuove tecnologie nel campo energetico, in agricoltura, nella transizione verso modelli di sviluppo ecosostenibili, nella lotta alla fame. 

Dell’intelligenza artificiale bisogna, peraltro, anche valutare con attenzione gli effetti sul mercato del lavoro. Recenti studi prevedono che la diffusione dei sistemi di intelligenza artificiale generativa possa determinare l’automazione, almeno parziale, di ampia parte degli attuali posti di lavoro. L’automazione comporterà sicuramente anche la creazione di nuovi posti di lavoro ma in quale numero e di quale livello è assolutamente imprevedibile.

Questo non può indurre a rifiutare di accogliere le nuove condizioni tecnologiche e le opportunità che esse offrono ma porrà, con sempre maggior forza, l’esigenza di riqualificare e ricollocare i lavoratori dei settori in contrazione.

Sotto altro profilo va considerato che la gestione delle tecnologie più avanzate è, nei fatti, patrimonio esclusivo di poche grandi multinazionali che, oltre a detenere una quantità imponente di dati personali – talvolta artatamente carpiti – possono condizionare i mercati, incluso quello che, abitualmente, loro stesse definiscono il mercato della politica.

È inevitabile, verosimilmente, che gli operatori dominanti in questo settore abbiano grandi dimensioni perché quelle attività richiedono capacità, dati, infrastrutture tecniche e risorse economiche che soltanto un numero estremamente ristretto di soggetti può assicurare ma vi è l’esigenza di regole – non ostacoli ma regole a garanzia dei cittadini – per evitare che pochi gruppi possano condizionare la vita di ciascuno di noi e la democrazia.

Attraverso un uso distorto della tecnologia, si riesce, già oggi, ad alterare, in maniera difficilmente avvertibile, dichiarazioni, video, filmati, isolando frasi, rimontando abusivamente. Con l’intelligenza artificiale è possibile produrre scenari virtuali apparentemente credibili ma totalmente ingannevoli.

 È concreto il rischio di trovarsi in futuro a vivere in dimensioni parallele, in cui realtà e verità non siano distinguibili dalla falsità e dalla manipolazione: ne risulterebbe travolto lo spirito critico. E, con esso, la libertà che si trova alla base dei diritti di ciascuno.

Il fenomeno deve essere, pertanto, regolato, necessariamente e urgentemente, nell’interesse – ripeto – delle persone, dei cittadini, ma sappiamo che questa esigenza fondamentale incontra difficoltà a causa delle dimensioni e del potere di condizionamento degli operatori del settore.

La cui presunzione di divenire protagonisti che dettano le regole, anziché essere destinatari di regolamentazione, si è già manifestata in più occasioni.

La recente iniziativa sulla Intelligenza Artificiale avviata dalle istituzioni europee va nella giusta direzione, ponendosi il decisivo problema della tutela della privacy e della libertà dei cittadini.

Immaginiamo solo per un momento, applicando lo scenario descritto nel libro “1984” di George Orwell, cosa avrebbe potuto significare una distorsione nell’uso di queste tecnologie al servizio di una dittatura del novecento.

Sono in gioco i presupposti della sovranità dei cittadini.

Altro tema, di grande rilievo per la portata dei mutamenti in atto, è quello della tassazione. Un recente rapporto dell’Osservatorio fiscale dell’Unione europea fornisce in proposito alcuni dati allarmanti. Nel 2022 più della metà delle entrate delle imprese statunitensi risultavano contabilizzate nei paradisi fiscali: cinquanta anni fa, nel 1970, questa percentuale era prossima a zero.

Nel 2021, 140 Stati hanno convenuto di istituire una global minum tax sulle imprese multinazionali, ma gli Stati Uniti e numerose altre nazioni tra le più ricche non hanno dato adeguata attuazione a quella misura.

Molti tra i detentori di grandi capitali del pianeta, persone e aziende, riescono a eludere quasi integralmente gli obblighi fiscali, soprattutto nei servizi all’informazione, oggi settori di punta e in continua crescita.                                          

Si tratta di un’altra questione che riguarda direttamente l’espressione della sovranità dei cittadini, ai quali viene chiesto di concorrere al finanziamento delle attività statuali in quanto titolari di diritti; mentre, contemporaneamente, vi è chi ritiene di potersi sottrarre a quel dovere, disconoscendo ruolo e natura dello Stato, talvolta avvalendosi di legislazioni compiacenti di alcuni Paesi.

Assistiamo a vari fenomeni di concentrazione di potere che si articolano in circuiti diversi da quelli tradizionali, spesso alternativi a quelli tipici delle prerogative statuali.

Tra questi, la privatizzazione della forza: molte guerre vengono combattute da milizie private che si affiancano agli eserciti o li sostituiscono.

Dimensioni come lo spazio o l’ambito sottomarino sono, sempre più spesso, terreni dove si combattono conflitti fra interessi privati, fuori dal controllo degli stati.

Oligarchi di diversa estrazione si sfidano nell’esplorazione sottomarina, in nuove missioni spaziali, nella messa a punto di costosissimi sistemi satellitari (con implicazioni militari) e nel controllo di piattaforme di comunicazione social, agendo, sempre più spesso, come veri e propri contropoteri.

Il fenomeno non è nuovo nella storia. Già in passato, anche lontano, grandi corporazioni si sono trovate a condizionare l’azione di governi, se non degli Stati. Con l’avvento della democrazia gli Stati non dipendono più da singoli interessi. E non deve accadere.

È alla politica, alle democratiche istituzioni rappresentative che vanno affidate le scelte e le decisioni che incidono sulla vita sociale e sulla libertà dei cittadini non alle strategie di grandi gruppi finanziari in base ai loro interessi, che vanno rispettati ma nell’ambito delle regole che devono osservare per tutelare i valori fondamentali della convivenza civile.

Insomma, mai come in questo tornante della storia dell’umanità, il confine tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia, tra vero e falso, dipende dalle nostre scelte. Dalla nostra capacità di leggere il cambiamento in atto per orientarlo. E farlo con la guida dei principi irrinunciabili della nostra civiltà.

Nulla può essere dato per scontato.

La pace innanzitutto. Ma anche la democrazia, i valori su cui si fonda. A cominciare dall’idea di libertà.

Libertà di essere.

Libertà di pensare e parlare.

Libertà di accedere a fonti di informazione indipendenti, non manipolate. Il pluralismo non è confronto tra propagande.

Libertà di concorrere alle decisioni.

Libertà di agire.

Libertà di muoversi.

Libertà di dire no a ogni sopraffazione. Occorre contrastare con forza, e insieme, i fenomeni di violenza che si manifestano in vari ambiti della società, in particolare scuote le nostre coscienze – ed è intollerabile – la violenza degli uomini sulle donne.

Senza dimenticare che forte, efficace, contrasto viene fornito dalle tante, diffuse e preziose forme e iniziative di solidarietà, il cui messaggio importante, di esempio, nella narrazione dei media e dei social, finisce sovente per essere oscurato.

Il modello culturale occidentale, particolarmente quello europeo, che è stato costruito a presidio di questi valori appare, quindi, sfidato.

Pertanto contrastare quel che può insidiare le nostre libertà è, oggi, l’impegno prioritario che si pone davanti a noi.

Nel nostro vocabolario comune è entrata da qualche tempo la parola transizione. Racconta il nostro viaggio collettivo verso il futuro. E come sempre accade questo cammino può comportare dubbi, incertezze, resistenze, paure.

Ma nel patrimonio comune del nostro popolo, nelle coscienze degli italiani, sono radicati i principi e i valori che danno senso all’idea di libertà come ce la presenta la nostra Costituzione, di cui abbiamo celebrato i 75 anni.

La libertà come premessa di pace, giustizia, eguaglianza, democrazia, coesione sociale, dialogo, tolleranza, solidarietà.

Dal rispetto della libertà di ciascuno discendono le democratiche istituzioni, l’equilibrio fra i poteri, il ruolo fondamentale del Parlamento, l’imparzialità, principio guida della pubblica amministrazione, unitamente al suo dovere di efficienza e di competenza.

Su queste qualità, su questi doveri della funzione pubblica, si fonda la garanzia di libertà dei cittadini e dunque la loro fiducia nelle istituzioni.

I presupposti etici e civili della democrazia vivono nei sentimenti della comunità. Le paure possono attenuare il senso di solidarietà e quindi il desiderio di partecipazione, possono affievolire la fiducia necessaria per farsi artefici del futuro.

Non possiamo trascurare l’attuale preoccupante flessione della partecipazione al voto, essenziale per la legittimazione delle istituzioni.

Fiducia – partecipazione – democrazia sono anelli inseparabili di un’unica catena.

Sottolineano il valore dell’attivo coinvolgimento nella vita della Repubblica in tutti i suoi aspetti. Da qui l’appello alla responsabilità di tutti: ciascuno è chiamato a fare la sua parte.

E dunque è questa la base della nostra comune speranza.

Abbiamo saputo affrontare momenti difficili, anche in tempi recenti della nostra storia repubblicana. Li abbiamo superati grazie anzitutto al senso di unità e alle qualità presenti nel nostro popolo.

Ho fiducia nell’Italia. Che ha le risorse per affrontare il tempo nuovo.

Nell’anno che sta per iniziare, il nostro Paese assumerà la presidenza del G7. Sarà una grande opportunità per favorire soluzioni più avanzate su cruciali questioni globali, quali il governo delle migrazioni, la sicurezza alimentare e, appunto, la regolamentazione dell’intelligenza artificiale. 

A tutti voi, che rappresentate tante persone che, quotidianamente, lavorano con dedizione per far funzionare al meglio le nostre istituzioni; alle donne e agli uomini che indossano la divisa e, in patria e all’estero, con il loro servizio rendono più forte la reputazione dell’Italia; a tutti i nostri concittadini di ogni età che compiono, ogni giorno, il loro dovere, fornendo, con senso di responsabilità, un contributo silenzioso  ma essenziale alla nostra convivenza, a tutti, assieme al ringraziamento della Repubblica, rivolgo l’augurio di continuare a credere in ciò che ci rende donne e uomini liberi. 

Auguri per il Natale e il nuovo anno!

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

 

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe


Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

autore: Bartolomé Esteban Murillo anno: 1675-1682 titolo: Due Trinità luogo: National Gallery, Londra
Nome: Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Titolo: Esempio santissimo
Ricorrenza: 31 dicembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Patrono di:
Balestrate
La festa della Sacra Famiglia fu introdotta nella liturgia cattolica solo localmente nel XVII secolo. Nel 1895 la data fissata per tale festa fu la terza domenica dopo l’Epifania, fu soltanto nel 1921 che grazie a papa Benedetto XV la celebrazione fu estesa a tutta la Chiesa. Giovanni XXIII modificò ulteriormente la data spostandola alla prima domenica dopo l’epifania. La riforma liturgica del Concilio Vaticano II infine la festa la Sacra Famiglia la prima domenica dopo Natale e quando il Natale cade di domenica, viene spostata al 30 dicembre.

Il suo significato è molto importante in quanto dopo aver visto la Sacra Famiglia dare alla luce e accudire il neonato Gesù a Nazareth, in questa festività la si può ammirare e ricordare nella vita di tutti i giorni, mentre vede crescere il Cristo. L’eccezionalità di tale famiglia risiede soprattutto nel fatto che i gesti quotidiani che in qualsiasi focolare domestico erano e sono ancora oggi svolti, coincidono allo stesso tempo con il pregare, amare, adorare il proprio Dio, comunicando con suo figlio incarnato in terra. Accudendo Gesù, lavandolo e giocando insieme a lui la Madonna e San Giuseppe mettevano in pratica i dovuti atti di culto, rappresentando il punto d’inizio per ogni famiglia cristiana, del tempo e odierna, che viveva ogni istante della giornata come un sacramento.

Santa Famiglia

autore Juan Simón Gutiérrez anno 1680 titolo Santa Famiglia

La festa ha come obiettivo quello di conferire un esempio a tutte le famiglie cristiane, che avrebbero potuto guardare con orgoglio al nucleo familiare che fu di Cristo il quale, nonostante le particolari condizioni note, era caratterizzato da tutte le normali problematiche che chiunque si trova ad affrontare. Maria seguì lo sposalizio con Giuseppe, seguendo la legge ebraica, ma soprattutto il grande piano del suo Dio, conservando però la propria verginità. In seguito alla Visitazione a Sant’Elisabetta iniziò a sentire i chiari segni di una gravidanza, giungendo infine a dare alla luce il Figlio del Signore. Prima dell’età adulta raggiunta da Gesù, la Madonna viene citata in alcuni Vangeli per un episodio accaduto durante l’adolescenza di Cristo (al tempo dodicenne), che si intrattenne al tempio con i dottori, mentre i suoi genitori penavano ormai da tre giorni nel cercarlo senza sosta.

MARTIROLOGIO ROMANO. Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, esempio santissimo per le famiglie cristiane che ne invocano il necessario aiuto.