Archivio mensile:giugno 2022

Santi Primi martiri della santa Chiesa di Roma

 
 

Santi Primi martiri della santa Chiesa di Roma


Santi Primi martiri della santa Chiesa di Roma

 

nome

Santi Primi martiri della santa Chiesa di Roma

titolo

Martiri

ricorrenza

30 giugno

martirologio

edizione 2004

«intorno a questi uomini vissuti santamente [Pietro e Paolo; si è raccolta una grande moltitudine di eletti che, per aver patito a causa della gelosia molti oltraggi e tormenti, sono stati uno splendido esempio fra di noi» (Lettera di Clemente ai Corinzi).

Questa festa commemora tutti i protomartiri della Chiesa di Roma che subirono il martirio nella stessa persecuzione nella quale furono messi a morte Pietro e Paolo; dal 1969 è stata opportunamente fissata il giorno seguente a quella dei due apostoli.

 

Nerone fu il primo imperatore romano a scatenare una persecuzione contro i cristiani, di cui lo storico Tacito ci racconta dettagliatamente i fatti: il 19 luglio dell’anno 64, il decimo del regno di Nerone, un terribile incendio divampò a Roma, partendo dal Circo Massimo, quartiere di negozi e bancarelle stipati di merce infiammabile; favorito dal clima (si era in piena calura estiva) il fuoco si propagò in tutte le direzioni.

Per sette giorni e sette notti imperversò distruggendo templi, palazzi c monumenti pubblici; rase al suolo, con tutto ciò che conteneva, un agglomerato di caseggiati e tuguri occupati da poveri. Le fiamme raggiunsero anche i giardini dell’abitazione di Caio Tigellino, prefetto del pretorio, divampando per altri tre giorni. Quando finalmente l’incendio fu estinto, due terzi di Roma erano ridotti a un ammasso di mura fumanti.

Per tre giorni Nerone rimase ad Anzio, senza rispondere ai messaggi accorati che gli pervenivano dalla città; finalmente raggiunse la Città Eterna per contemplare l’accaduto: si racconta che, indossato il suo costume teatrale, salisse sulla torre di Mecenate e accompagnandosi con la lira abbia intonato il lamento di Priamo sulle rovine fumanti di Troia. Questo suo deliziarsi nel contemplare le fiamme diede forza alle voci che lo sospettavano di aver ordinato lui stesso di appiccare l’incendio o almeno dall’aver ostacolato il suo spegnimento. Per stornare da sé questi sospetti accusò i cristiani e ordinò che fossero arrestati e messi a morte.

 

Clemente Romano racconta che coloro che erano noti per essere fedeli di Cristo furono arrestati, derisi pubblicamente, torturati perché denunciassero i loro compagni di fede, messi a morte con le forme più crudeli: alcuni furono crocifissi, altri spalmati di cera e usati come torce umane, altri coperti con pelli d’animale e dati in pasto alle belve. Tutte queste barbarie si svolgevano durante le pubbliche feste date, ogni notte, da Nerone nei giardini del suo palazzo; erano attrazioni di contorno mentre l’imperatore offriva lo spettacolo delle corse dei carri, guidando lui stesso un carro o confuso tra la folla. Benché il popolo di Roma fosse assuefatto a questi spettacoli dalle lotte tra gladiatori, la crudeltà delle torture a cui erano sottoposti i cristiani atterrirono la maggior parte degli spettatori; questi eventi fecero esplodere un’ondata di sollevazioni e Nerone si suicidò quattro anni dopo.

Tacito, lo storico romano nato attorno all’anno 56, scrive che Nerone «era corrotto da ogni lussuria, naturale e contro natura», e lascia aperta qualsiasi ipotesi per le cause dell’incendio: «Accadde un disastro, non si sa con certezza se per caso o per dolo dell’imperatore (l’una e l’altra versione han tramandato gli scrittori)». È in questo contesto che fornisce, egli storico classico, i più antichi riferimenti alla comunità cristiana di Roma, descrivendo come Nerone «condannò alle pene più raffinate quelli che, aborriti per le loro infamie, il volgo chiama cristiani. L’autore di questo nome, Cristo, regnando Tiberio, era stato suppliziato a opera del procuratore Ponzio Pilato».

É evidente che Tacito presta fede a tutte le calunnie popolari divulgate contro i cristiani, descrivendoli come appartenenti a una «superstizione funesta» c commentando «a Roma da ogni parte confluiscono c si diffondono tutti i misfatti e le vergogne», aggiungendo però: «Benché si punivano rei meritevoli di estremi castighi, nasceva un senso di pietà, giacché essi venivano uccisi non per il bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di uno solo». Questa antica testimonianza scritta degli eventi storici della passione di Gesù e della solidità della comunità cristiana a Roma a partire dal 65 è d’importanza rilevante perché Tacito è uno storico scrupoloso e non ha chiaramente nessun motivo per essere benevolo verso i cristiani; non mostra alcun sentimento favorevole nei loro confronti anzi li considera nemici pubblici, ma allo stesso tempo è lucido nel vederli come i capri espiatori dell’incendio, la cui responsabilità era attribuita da molti a Nerone stesso.

 

MARTIROLOGIO ROMANO. Santi protomartiri della Santa Chiesa di Roma, che accusati dell’incendio della Città furono per ordine dell’imperatore Nerone crudelmente uccisi con supplizi diversi: alcuni, infatti, furono esposti ai cani coperti da pelli di animali e ne vennero dilaniati; altri furono crocifissi e altri ancora dati al rogo, perché, venuta meno la luce del giorno, servissero da lampade notturne. Tutti questi erano discepoli degli Apostoli e primizie dei martiri che la Chiesa di Roma presentò al Signore.

 

Inca

Lavoro e Previdenza – “Triballadores” – a cura di Vittorio Casula –

Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti. — Antonio Gramsci

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Archivio mensile:novembre 2008

Inca nel mondo

29 novembre 2008Senza categoriafonti inca Modifica

L’evoluzione dei modelli previdenziali in America Latina

A Montevideo prosegue il seminario annuale su: Diritti e tutela: le nuove sfide

A Montevideo, dove è in corso il seminario annuale promosso dall’Inca Cgil, prosegue lo scambio di esperienze tra i paesi dell’America Latina per confrontare i diversi sistemi previdenziali e per migliorare la qualità dell’azione di tutela, rivolta sia ai nostri connazionali all’estero sia ai lavoratori immigrati in Italia, rafforzando la collaborazione tra i patronati e i sindacati. Nell’incontro del 27 novembre, presieduto da Claudio Sorrentino, responsabile delle attività internazionali Inca, si è discusso su “L’evoluzione dei sistemi previdenziali in tema di convenzioni internazionali”.

Nella relazione introduttiva di Rossella Misci, responsabile per le convenzioni internazionali, sono stati ripercorsi gli iter dei Regolamenti europei, nati per favorire la libera circolazione degli oltre 480 milioni lavoratori  nei 27 paesi membri dell’Unione Europea. I Regolamenti sono stati costruiti sul principio del reciproco riconoscimento e sulla collaborazione tra i sistemi previdenziali, al fine di favorire la “totalizzazione” dei contributi versati nel corso delle carriere lavorative. Nella relazione sono state affrontate le questioni riguardanti l’integrazione al trattamento minimo nel Regolamento europeo e nelle convenzioni internazionali. “La perdita dell’integrazione – ha avvertito Misci -, in caso di trasferimento da un paese in convenzione bilaterale ad un paese europeo, richiede un approfondimento e non esclude una contestazione di tipo legale”. Il nuovo Regolamento, che  estende le tutele e migliora la cooperazione tra i Paesi membri, entrerà in vigore il prossimo anno.

L’avvocato Guarnaschelli, rappresentante del BPS, (l’Inps dell’Uruguay) ha analizzato le caratteristiche dell’Accordo di Montevideo,  del 14 dicembre 1997, recepito per via legislativa, che definisce le regole dei rapporti di collaborazione tra i quattro paesi del Mercosur e che opera alla stregua del Regolamento europeo, applicando il principio della totalizzazione dei contributi versati nei Paesi membri. L’Accordo si è raggiunto grazie ad un Regolamento attuativo e ad una Commissione amministrativa che ha il compito di facilitare le opportune modifiche, ma anche di  evitare il complesso iter delle ratifiche degli accordi internazionali. L’intesa ha dato risultati positivi anche grazie all’applicazione di  un solo sistema operativo, di un’unica banca-dati e dell’utilizzo privilegiato della comunicazione telematica.

Il Presidente della Federazione dei pensionati della CUT Brasile e  Consigliere effettivo  dell’Istituto di previdenza brasiliana, Luisao, intervenendo al dibattito, ha illustrato le principali caratteristiche del sistema pensionistico brasiliano e le recenti modifiche riguardanti la gestione delle pensioni, nonché gli aumenti riconosciuti ai pensionati. Grazie ad un impegno convinto da parte del governo, il tempo di liquidazione delle pensioni si è ridotto notevolmente passando da una media di 245 a 54 giorni.
In Brasile, la pensione minima è pari all’80% del salario minimo, mentre l’età di pensione è di 60 anni per le donne e 65 per gli uomini. Per i lavoratori agricoli, la cui attività è considerata più usurante, l’età legale per acquisire il diritto alla pensione scende a 55 anni per le donne e a 60 per gli uomini. Tuttavia, anche in questa nazione non mancano proposte di modifica per innalzare l’età pensionabile a 67 per gli uomini e a 65 anni per le donne. Si tratta di una legge di riforma che però si scontra con una forte opposizione del fronte sociale. Luisao ha concluso il suo intervento ricordando che in Brasile l’Istituto di previdenza rappresenta il più importante distributore di risorse del paese ed è impegnato i questo momento per difendere il sistema pensionistico pubblico a ripartizione.

Per spiegare il sistema pensionistico venezuelano è intervenuto il coordinatore INCA del Venezuela, Di Vaira. “Si tratta di un modello – ha spiegato – che consente semplicità di accesso alla pensione, con una conseguente forte riduzione delle pratiche burocratiche. L’Istituto di previdenza venezuelano, assicura infatti il pagamento della pensione a tre mesi dalla presentazione della domanda e periodicamente pubblica sui giornali la lista dei nuovi pensionati che, grazie a questa comunicazione, possono recarsi in banca ed aprire un conto per l’accredito della prestazione previdenziale”.
In Venezuela è riconosciuta la pensione di vecchiaia, di inabilità, ai superstiti e in questo caso è prevista la tutela  anche alla convivente non coniugata. E’ previsto altresì l’assegno sociale, in mancanza di altri redditi, e coloro i quali non abbiano raggiunto i requisiti richiesti per andare in pensione, una volta raggiunta l’età prevista possono “riscattare” gli anni non coperti da contribuzione versando i contributi (un importo modesto) ed acquisendo così il diritto alla pensione.

Tuttavia, ha precisato Di Vaira, nel sistema previdenziale venezuelano non mancano nodi da sciogliere.  Infatti, non prevedendo una correlazione tra l’importo di pensione e i contributi versati, quando un lavoratore si trasferisce in un altro paese la prestazione viene interrotta. E’ una scelta – ha precisato Di Vaira – che comporta seri problemi soprattutto ai pensionati italiani che rientrano in patria. L’Inca ha già chiesto l’intervento dell’Ambasciata italiana a Caracas, così come ha fatto l’Ambasciata spagnola per i suoi connazionali che si sono trovati nella stessa condizione.  Grazie a questo intervento sull’Istituto previdenziale e sul governo venezuelano il problema dei lavoratori spagnoli è stato risolto. “Si spera – ha  concluso Di Vaira – che anche il governo italiano voglia fare altrettanto con l’Ambasciata italiana in Venezuela. In caso contrario l’Inca sarà costretta a sostenere le ragioni degli italiani per vie legali”.
Per l’Argentina è intervenuta l’avvocatessa Pautasio, collaboratrice dell’INCA, che ha ripercorso la vicenda della pubblicizzazione dei fondi pensione argentini, dovuta alla precarietà finanziaria di questi fondi e al fatto che l’attuale Presidente non vuole perseguire la strada intrapresa nel 1994, con la legge che favoriva la fuoriuscita dal sistema pensionistico pubblico e la costituzione di una posizione pensionistica privata.

Concludendo il dibattito sui diversi sistemi previdenziali in America Latina, Luigina De Santis, del collegio di presidenza Inca Cgil,  ha sottolineato le forti analogie esistenti tra Regolamenti europei e l’Accordo di Montevideo, prospettando l’utilità di intese intraregionali, in favore dei diritti dei lavoratori e per lo sviluppo di politiche sociali comuni. “La difesa del sistema pensionistico pubblico a ripartizione, il rifiuto della capitalizzazione “alla cilena”, la valorizzazione della solidarietà tra le generazioni, la copertura previdenziale di tutte le tipologie di lavoro, il controllo sociale sulle Casse pensioni, la possibilità di totalizzare i contributi versati nei diversi paesi – ha osservato De Santis – devono essere i cardini per una previdenza in grado di dare risposte ai bisogni di oggi e per sviluppare le convenzioni internazionali”.

L’Italia ne ha sottoscritte 19, altre sono predisposte e, in qualche caso, sono state già recepite dal paese interessato. “Non è un grande risultato – ha concluso De Santis – per un paese  che ha esportato manodopera e che oggi ne importa in quantità considerevole.  Per ciò che gli compete, l’Inps deve prestare maggiore attenzione a queste problematiche (anche se va sottolineata la disponibilità di alcuni dirigenti e funzionari nelle sedi dei Poli) per un impegno nell’interesse dei connazionali all’estero”. Infine, richiamando la questione delle pensioni venezuelane non corrisposte agli italiani che tornano in patria, ha precisato che occorre coinvolgere direttamente il Ministero degli esteri e l’Inps.

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Sicurezza sul lavoro

28 novembre 2008Sicurezza sul lavoro e ambiente Modifica

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Legislazione  Giurisprudenza

 

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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006

Decreto Legislativo n. 626 del 19 settembre 1994

Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE,  99/38/CE, 99/92/CE, 2001/45/CE, 2003/10/CE, 2003/18/CE e 2004/40/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro.  (Testo coordinato ed aggiornato al D.M. 26 febbraio 2004, recante: “Definizione di una prima lista di valori limite indicativi di esposizione professionale agli agenti chimici.”, pubblicato su GU n. 58 del 10-3-2004; al d. lgs. 23 giugno 2003, n. 195: “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, per l’individuazione delle capacita’ e dei requisiti professionali richiesti agli addetti ed ai responsabili dei servizi di prevenzione e protezione dei lavoratori, a norma dell’articolo 21 della legge 1° marzo 2002, n. 39.”, pubblicato su G.U. n. 174 del 27-7- 2003; al D. L.vo 12 giugno 2003, n.233, recante: “Attuazione della direttiva 1999/92/CE relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori esposti al rischio di atmosfere esplosive.”, pubblicato su GU n. 197 del 26-8-2003; al D. Lgs. 8 luglio 2003, n.235, recante: “Attuazione della direttiva 2001/45/CE relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori.” pubblicato su GU n. 198 del 27-8-2003; alla L. 18 aprile 2005, n. 62, recante: “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunita’ europee. Legge comunitaria 2004.” pubblicata su GU n. 96 del 27-4-2005 – S.O. n.76; al decreto legislativo 10 aprile 2006, n. 195, recante: “Attuazione della direttiva 2003/10/CE relativa all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (rumore)”, pubblicato nella G.U. n. 124 del 30-5-2006; al decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 257, recante: “Attuazione della direttiva 2003/18/CE relativa alla protezione dei lavoratori dai rischi derivanti dall’esposizione all’amianto durante il lavoro”, pubblicato nella G.U. n. 211 dell’11-9-2006; alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, recante ” Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”, pubblicata nella G.U. n. 299 del 27-12-2006- S.O. n.244); alla Legge 3 agosto 2007, n. 123, recante “Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia”, pubblicata nella G.U. n. 185 del 10-8-2007; al Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n.257, recante “Attuazione della direttiva 2004/40/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici)”, pubblicata nella GU n. 9 del 11-1-2008.)

(Il titolo è stato così modificato dai D. Lgs. 233/2003, 235/2003, 195/2006,  257/2006 e 257/2007 – le modifiche sono riportate in corsivo)

(G.U. S.O. n° 265 del 12/11/1994)

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PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA  

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Vista la legge 19 febbraio 1992, n. 142, ed in particolare l’articolo 43, recante delega al Governo per l’attuazione delle direttive del Consiglio 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE in materia di sicurezza e salute dei lavoratori durante il lavoro;

Vista la legge 22 febbraio 1994, n. 146, recante proroga del termine della delega legislativa contemplata dall’art. 43 della citata legge n. 142 del 1992, nonché delega al Governo per l’attuazione delle direttive particolari già adottate, ai sensi dell’art. 16 paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE, successivamente alla medesima legge 19 febbraio 1992, n. 142;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 7 luglio 1994;

Acquisiti i pareri delle competenti commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 16 settembre 1994;

Sulla proposta del Ministro per il coordinamento delle politiche dell’Unione europea, di concerto con i Ministri degli affari esteri, di grazia e giustizia, del tesoro, del lavoro e della previdenza sociale, della sanità, dell’industria, del commercio e dell’artigianato, dell’interno e per la funzione pubblica e gli affari regionali;

E M A N A

il seguente decreto legislativo:

    TITOLO I

Capo I – DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1.- Campo di applicazione.

  1. Il presente decreto legislativo prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività privati o pubblici.
  2. Nei riguardi delle Forze armate e di Polizia e dei servizi di protezione civile, nonchè nell’ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle università, degli istituti di istruzione universitaria, degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, degli archivi, delle biblioteche, dei musei e delle areee archeologiche dello Stato, delle rappresentanze diplomatiche e consolari e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le norme del presente decreto sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato[….]individuate con decreto del Ministro competente di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità e della funzione pubblica.
  3. Nei riguardi dei lavoratori di cui alla legge 18 dicembre 1973, n. 877, nonché dei lavoratori con rapporto contrattuale privato di portierato, le norme del presente decreto si applicano nei casi espressamente previsti.
  4. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e relative norme di attuazione.

4 bis. Il datore di lavoro il quale esercita le attività di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti i quali dirigono o sovraintendono le stesse attività, sono tenuti all’osservanza delle disposizioni del presente decreto.

4 ter. Nell’ambito degli adempimenti previsti dal presente decreto, il datore di lavoro non può delegare quelli previsti dall’art. 4, commi 1, 2, 4 lettera a), e 11, primo periodo.

Art. 2. – Definizioni. 

  1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto si intendono per:
  2. a) lavoratore: persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari, con rapporto di lavoro subordinato anche speciale. Sono equiparati i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società e degli enti stessi, e gli utenti dei servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale avviati presso datori di lavoro per agevolare o per perfezionare le loro scelte professionali. Sono altresì equiparati gli allievi degli istituti di istruzione ed universitari e i partecipanti a corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, macchine, apparecchi ed attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici. I soggetti di cui al precedente periodo non vengono computati ai fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale il presente decreto fa discendere particolari obblighi;
  3. b) datore di lavoro: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’ impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, quale definita ai sensi della lettera i), in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale;
  4. c) servizio di prevenzione e protezione dai rischi: insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali nell’azienda, ovvero unità produttiva;
  5. d) medico competente: medico in possesso di uno dei titoli seguenti:

1) specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed igiene del lavoro o in clinica del lavoro o in igiene e medicina preventiva o in medicina legale e delle assicurazioni (1) ed altre specializzazioni individuate, ove necessario, con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica;

2) docenza o libera docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed igiene del lavoro;

3) autorizzazione di cui all’art. 55 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277;

  1. e) responsabile del servizio di prevenzione e protezione: persona designata dal datore di lavoro in possessodelle capacita’ e dei requisiti professionali di cui all’articolo 8-bis;(Comma così modificato dal d. lgs. 23 giugno 2003, n. 195: le modifiche sono riportate in carattere corsivo)
  2. f) rappresentante dei lavoratori per la sicurezza: persona, ovvero persone, eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro, di seguito denominato rappresentante per la sicurezza;
  3. g) prevenzione: il complesso delle disposizioni o misure adottate o previste in tutte le fasi dell’attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno;
  4. h) agente: l’agente chimico, fisico o biologico, presente durante il lavoro e potenzialmente dannoso per la salute;
  5. i) unità produttiva: stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni o servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnico-funzionale.

(1) Così modificato con Legge n. 1 del 08/01/2002.

Art. 3. – Misure generali di tutela.

  1. Le misure generali per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori sono:
  2. a) valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;
  3. b) eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non è possibile, loro riduzione al minimo;
  4. c) riduzione dei rischi alla fonte;
  5. d) programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integra in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente di lavoro;
  6. e) sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
  7. f) rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo;
  8. g) priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
  9. h) limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;
  10. i) utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici, sui luoghi di lavoro;
  11. l) controllo sanitario dei lavoratori in funzione dei rischi specifici;
  12. m) allontanamento del lavoratore dall’esposizione a rischio, per motivi sanitari inerenti la sua persona;
  13. n) misure igieniche;
  14. o) misure di protezione collettiva ed individuale;
  15. p) misure di emergenza da attuare in caso di prono soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave ed immediato;
  16. q) uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;
  17. r) regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine ed impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti;
  18. s) informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro;
  19. t) istruzioni adeguate ai lavoratori.
  20. Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori.

 

 

Art. 4. – Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto.

  1. Il datore di lavoro, in relazione alla natura dell’attivita’ dell’azienda ovvero dell’unita’ produttiva, valuta tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonche’ nella sistemazione dei luoghi di lavoro.
  2. All’esito della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro elabora un documento contenente:
  3. a) una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa;
  4. b) l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale, conseguente alla valutazione di cui alla lettera a);
  5. c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza.
  6. Il documento è custodito presso l’azienda ovvero unità produttiva.
  7. Il datore di lavoro:
  8. a) designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all’azienda secondo le regole di cui all’art. 8;
  9. b) designa gli addetti al servizio di prevenzione e protezione interno o esterno all’azienda secondo le regole di cui all’art. 8;
  10. c) nomina, nei casi previsti dall’articolo 16, il medico competente.
  11. Il datore di lavoro[….]adotta le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ed in particolare:
  12. a) designa preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio di pronto soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;
  13. b) aggiorna le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza del lavoro, ovvero in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e della protezione;
  14. c) nell’affidare i compiti ai lavoratori tiene conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;
  15. d) fornisce ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ;
  16. e) prende le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;
  17. f) richiede l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonchè delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione;
  18. g) richiede l’osservanza da parte del medico competente degli obblighi previsti dal presente decreto, informandolo sui processi e sui rischi connessi all’attività produttiva;
  19. h) adotta le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dà istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
  20. i) informa il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave ed immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
  21. l) si astiene, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;
  22. m) permette ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante per la sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute e consente al rappresentante per la sicurezza di accedere alle informazioni ed alla documentazione aziendale di cui all’art. 19 comma 1 lettera e);
  23. n) prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno;
  24. o) tiene un registro nel quale sono annotati cronologicamente gli infortuni sul lavoro che comportano un’assenza dal lavoro di almeno un giorno. Nel registro sono annotati il nome, il cognome, la qualifica professionale dell’infortunato, le cause e le circostanze dell’infortunio, nonché la data di abbandono e di ripresa del lavoro. Il registro è redatto conformemente al modello approvato con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione consultiva permanente, di cui all’art. 394 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, e successive modifiche ed è conservato sul luogo di lavoro a disposizione dell’organo di vigilanza. Fino all’emanazione di tale decreto il registro è redatto in conformità ai modelli già disciplinati dalle leggi vigenti;
  25. p) consulta il rappresentante per la sicurezza nei casi previsti dall’art. 19, comma 1, lettere b), c) e d) ;
  26. q) adotta le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei lavoratori, nonché per il caso di pericolo grave ed immediato. Tali misure devono essere adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, e al numero delle persone presenti.
  27. Il datore di lavoro effettua la valutazione di cui al comma 1 ed elabora il documento di cui al comma 2 in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente, nei casi in cui sia obbligatoria la sorveglianza sanitaria, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza.
  28. La valutazione di cui al comma 1 ed il documento di cui al comma 2 sono rielaborati in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori.
  29. Il datore di lavoro custodisce, presso l’azienda ovvero l’unità produttiva, la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria, con salvaguardia del segreto professionale, e ne consegna copia al lavoratore stesso al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, ovvero quando lo stesso ne faccia richiesta.
  30. Per le piccole e medie aziende, con uno o più decreti da emanarsi entro il 31 marzo 1996 da parte dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale, dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità, sentita la Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l’igiene del lavoro, in relazione alla natura dei rischi e alle dimensioni dell’azienda, sono definite procedure standardizzate per gli adempimenti documentali di cui al presente articolo. Tali disposizioni non si applicano alle attività industriali di cui all’art.1 del decreto del Presidente della Repubblica del 17 maggio 1988, n. 175, e successive modifiche, soggette all’obbligo di dichiarazione o notifica ai sensi degli articoli 4 e 6 del decreto stesso, alle centrali termoelettriche, agli impianti e laboratori nucleari, alle aziende estrattive ed altre attività minerarie, alle aziende per la fabbricazione e il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni, e alle strutture di ricovero e cura sia pubbliche sia private.
  31. Per le medesime aziende di cui al comma 9, primo periodo, con uno o più decreti dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale, dell’industria del commercio e dell’artigianato e della sanità, sentita la Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l’igiene del lavoro, possono essere altresì definiti:
  32. a) i casi relativi a ipotesi di scarsa pericolosità, nei quali è possibile lo svolgimento diretto dei compiti di prevenzione e protezione in aziende ovvero unità produttive che impiegano un numero di addetti superiore a quello indicato nell’Allegato I;
  33. b) i casi in cui è possibile la riduzione a una sola volta all’anno della visita di cui all’art.17, lettera h), degli ambienti di lavoro da parte del medico competente, ferma restando l’obbligatorietà di visite ulteriori, allorchè si modificano le situazioni di rischio.
  34. Fatta eccezione per le aziende indicate nella nota (1) dell’Allegato I, il datore di lavoro delle aziende familiari nonchè delle aziende che occupano fino a dieci addetti non è soggetto agli obblighi di cui ai commi 2 e 3, ma è tenuto comunque ad autocertificare per iscritto l’avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi e l’adempimento degli obblighi ad essa collegati. L’autocertificazione deve essere inviata al rappresentante per la sicurezza. Sono in ogni caso soggette agli obblighi di cui ai commi 2 e 3 le aziende familiari nonchè le aziende che occupano fino a dieci addetti, soggette a particolari fattori di rischio, individuate nell’ambito di specifici settori produttivi con uno o più decreti del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità, dell’industria del commercio e dell’artigianato, delle risorse agricole alimentari e forestali e dell’interno, per quanto di rispettiva competenza.
  35. Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tal caso gli obblighi previsti dal presente decreto, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico.

 

 

Art. 5. – Obblighi dei lavoratori.

  1. Ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
  2. In particolare i lavoratori:
  3. a) osservano le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
  4. b) utilizzano correttamente i macchinari, le apparecchiature, gli utensili, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e le altre attrezzature di lavoro, nonché i dispositivi di sicurezza;
  5. c) utilizzano in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
  6. d) segnalano immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dispositivi di cui alle lettereb) ec), nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui vengono a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle loro competenze e possibilità, per eliminare o ridurre tali deficienze o pericoli, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
  7. e) non rimuovono o modificano senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;
  8. f) non compiono di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
  9. g) si sottopongono ai controlli sanitari previsti nei loro confronti;
  10. h) contribuiscono, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento di tutti gli obblighi imposti dall’autorità competente o comunque necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro.

 

 

Art. 6. – Obblighi dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori.

  1. I progettisti dei luoghi o posti di lavoro e degli impianti rispettano i principi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute al momento delle scelte progettuali e tecniche e scelgono macchine nonché dispositivi di protezione rispondenti ai requisiti essenziali di sicurezza previsti nelle disposizioni legislative e regolamentari vigenti;.
  2. Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di macchine, di attrezzature di lavoro e di impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza. Chiunque concede in locazione finanziaria beni assoggettati a forme di certificazione o di omologazione obbligatoria è tenuto a che gli stessi siano accompagnati dalle previste certificazioni o dagli altri documenti previsti dalla legge.
  3. Gli installatori e montatori di impianti, macchine o altri mezzi tecnici devono attenersi alle norme di sicurezza e di igiene del lavoro, nonché alle istruzioni fornite dai rispettivi fabbricanti dei macchinari e degli altri mezzi tecnici per la parte di loro competenza.

 

 

Art. 7. – Contratto di appalto o contratto d’opera.

 

  1. Il datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unita’ produttiva della stessa, nonche’ nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima:(*)
  2. a) verifica, anche attraverso l’iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d’opera;
  3. b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività.
  4. Nell’ipotesi di cui al comma 1 i datori di lavoro:
  5. a) cooperano all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto;
  6. b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
  7. Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze. Tale documento è allegato al contratto di appalto o d’opera. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi.(**)

3-bis. L’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore, nonche’ con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.(***)

3-ter. Ferme restando le disposizioni in materia di sicurezza e salute del lavoro previste dalla discipline vigente degli appalti pubblici, nei contratti di somministrazione, di appalto e di subappalto, di cui agli articoli 1559, 1655 e 1656 del codice civile, devono essere specificamente indicati i costi relativi alla sicurezza del lavoro. A tali dati possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori di cui all’articolo 18 e le organizzazioni sindacali dei lavoratori.(****)

(*) Nota: Comma così modificato dall’art. 1, c. 910 della L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007)

(**) Nota: Comma così sostituito dall’art. 3 della L. n. 123/2007, pubblicata nella G.U. n. 185 del 10-8-2007

(***) Nota: Comma aggiunto dall’art. 1, c. 910 della L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007)

(****) Nota: Comma aggiunto dall’art. 3 della L. n. 123/2007, pubblicata nella G.U. n. 185 del 10-8-2007

 

 

Capo II – SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE.

 

Art. 8. – Servizio di prevenzione e protezione.

  1. Salvo quanto previsto dall’art. 10, il datore di lavoro organizza all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, il servizio di prevenzione e protezione, o incarica persone o servizi esterni all’azienda, secondo le regole di cui al presente articolo.
  2. Il datore di lavoro designa all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, una o più persone da lui dipendenti per l’espletamento dei compiti di cui all’articolo 9, tra cui il responsabile del servizio in possessodelle capacita’ e dei requisiti professionali di cui all’articolo 8-bis, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza.(Comma così modificato dal d. lgs. 23 giugno 2003, n. 195: le modifiche sono riportate in carattere corsivo)
  3. I dipendenti di cui al comma 2 devono essere in numero sufficiente, possedere le capacità necessarie e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio a causa dell’attività svolta nell’espletamento del proprio incarico.
  4. Salvo quanto previsto dal comma 2, il datore di lavoro può avvalersi di persone esterne all’azienda in possesso delle conoscenze professionali necessarie per integrare l’azione di prevenzione e protezione.
  5. L’organizzazione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei casi seguenti:
  6. a) nelle aziende industriali di cui all’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175 e successive modifiche, soggette all’obbligo di dichiarazione o notifica, ai sensi degli articoli 4 e 6 del decreto stesso;
  7. b) nelle centrali termoelettriche;
  8. c) negli impianti e laboratori nucleari;
  9. d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;
  10. e) nelle aziende industriali con oltre duecento lavoratori dipendenti;
  11. f) nelle industrie estrattive con oltre cinquanta lavoratori dipendenti;
  12. g) nelle strutture di ricovero e cura sia pubbliche sia private.
  13. Salvo quanto previsto dal comma 5, se la capacità dei dipendenti all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, sono insufficienti, il datore di lavoro deve far ricorso a persone o servizi esterni all’azienda, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza.
  14. Il servizio esterno deve essere adeguato alle caratteristiche dell’azienda, ovvero unità produttiva, a favore della quale è chiamato a prestare la propria opera, anche con riferimento al numero degli operatori.
  15. Il responsabile del servizio esterno deve possederele capacita’ e i requisiti professionali di cui all’articolo 8-bis.(Comma così modificato dal d. lgs. 23 giugno 2003, n. 195: le modifiche sono riportate in carattere corsivo)
  16. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con decreto di concerto con i Ministri della sanità e dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sentita la commissione consultiva permanente, può individuare specifici requisiti, modalità e procedure, per la certificazione dei servizi, nonché il numero minimo degli operatori di cui ai commi 3 e 7.
  17. Qualora il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni egli non è per questo liberato dalla propria responsabilità in materia.
  18. Il datore di lavoro comunica all’ispettorato del lavoro e alle unità sanitarie locali territorialmente competenti il nominativo della persona designata come responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno ovvero esterno all’azienda. Tale comunicazione è corredata da una dichiarazione nella quale si attesti con riferimento alle persone designate:
  19. a) i compiti svolti in materia di prevenzione e protezione;
  20. b) il periodo nel quale tali compiti sono stati svolti;
  21. c) il curriculum professionale.

Art. 8-bis – Capacita’ e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni o esterni.

(articolo aggiunto dal d. lgs. 23 giugno 2003, n. 195)

 

  1. Le capacita’ ed i requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione interni o esterni devono essere adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attivita’ lavorative. 
  2. Per lo svolgimento delle funzioni da parte dei soggetti di cui al comma 1, e’ necessario essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore ed essere inoltre in possesso di un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attivita’ lavorative. In sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono individuati gli indirizzi ed i requisiti minimi dei corsi. 
  3. I corsi di formazione di cui al comma 2 sono organizzati dalle regioni e province autonome, dalle universita’, dall’ISPESL, dall’INAIL, dall’Istituto italiano di medicina sociale, dal Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dall’amministrazione della Difesa, dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori o dagli organismi paritetici. Altri soggetti formatori possono essere individuati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. 
  4. Per lo svolgimento della funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione, oltre ai requisiti di cui al comma 2, e’ necessario possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e psico-sociale, di organizzazione e gestione delle attivita’ tecnico amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali. 
  5. I responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione sono tenuti a frequentare corsi di aggiornamento secondo indirizzi definiti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con cadenza almeno quinquennale. 
  6. Coloro che sono in possesso di laurea triennale di “Ingegneria della sicurezza e protezione” o di “Scienze della sicurezza e protezione” o di “Tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro” sono esonerati dalla frequenza ai corsi di formazione di cui al comma 2. 
  7. E’ fatto salvo l’articolo 10. 
  8. Gli organismi statali di formazione pubblici, previsti al comma 3, organizzano i corsi di formazione secondo tariffe, determinate sulla base del costo effettivo del servizio, da stabilire, con le relative modalita’ di versamento, con decreto del Ministro competente per materia, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 
  9. Le amministrazioni pubbliche di cui al presente decreto, organizzano i corsi di formazione nei limiti delle risorse finanziarie proprie o con le maggiori entrate derivanti dall’espletamento di dette attivita’ a carico dei partecipanti. 
  10. La partecipazione del personale delle pubbliche amministrazioni ai corsi di formazione di cui al presente articolo e’ disposta nei limiti delle risorse destinate dalla legislazione vigente alla formazione del personale medesimo.

 

 

Art. 9. – Compiti del servizio di prevenzione e protezione.

  1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede:
  2. a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;
  3. b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive e i sistemi di cui all’art. 4, comma 2, lettera b) e i sistemi di controllo di tali misure;
  4. c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
  5. d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
  6. e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e di sicurezza di cui all’art. 11;
  7. f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’art. 21.
  8. Il datore di lavoro fornisce ai servizi di prevenzione e protezione informazioni in merito a:
  9. a) la natura dei rischi;
  10. b) l’organizzazione del lavoro, la programmazione e l’attuazione delle misure preventive e protettive;
  11. c) la descrizione degli impianti e dei processi produttivi;
  12. d) i dati del registro degli infortuni e delle malattie professionali;
  13. e) le prescrizioni degli organi di vigilanza.
  14. I componenti del servizio di prevenzione e protezione e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle funzioni di cui al presente decreto.
  15. Il servizio di prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro.

Art. 10. – Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi.

  1. Il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, nei casi previsti nell’allegato I, dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed alle condizioni di cui ai commi successivi. Esso può avvalersi della facoltà di cui all’art. 8, comma 4.
  2. Il datore di lavoro il quale intende svolgere i compiti di cui al comma 1, deve frequentare apposito corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, promosso anche dalle associazioni dei datori di lavoro e trasmettere all’organo di vigilanza competente per territorio:
  3. a) una dichiarazione attestante la capacità di svolgimento dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi;
  4. b) una dichiarazione attestante gli adempimenti di cui all’art. 4 commi 1, 2, 3 e 11;
  5. c) una relazione sull’andamento degli infortuni e delle malattie professionali della propria azienda elaborata in base ai dati degli ultimi tre anni del registro infortuni o, in mancanza dello stesso, di analoga documentazione prevista dalla legislazione vigente;
  6. d) l’attestazione di frequenza del corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro.

Art. 11. – Riunione periodica di prevenzione e protezione di rischi.

  1. Nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupano più di 15 dipendenti, il datore di lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, indice almeno una volta all’anno una riunione cui partecipano:
  2. a) il datore di lavoro o un suo rappresentante;
  3. b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi;
  4. c) il medico competente ove previsto;
  5. d) il rappresentante per la sicurezza.
  6. Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all’esame dei partecipanti:
  7. a) il documento, di cui all’art. 4, commi 2 e 3;

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Sede sociale a Malta è obbligatoria sai perchè?

Sede sociale a Malta è obbligatoria sai perchè?

Sede sociale a Malta è obbligatoria sai perché? Oggi ti voglio spiegare l’importanza di Malta a livello di business, il perché è obbligatorio  avere una sede sociale a Malta.

Malta sede sociale

Malta sede sociale a Malta

Molti vedendo che  opero oltre che su Malta anche su Dubai, mi chiedono, ma è cambiato qualche cosa nella tu vision sul paese?

Assolutamente no è la mia risposta, infatti Malta e Dubai sono sinergici, complementari non si deve pensare che uno escluda l’altro. Oggi ti racconto un dettaglio che nessuno, o per non conoscenza o per  astuzia non ti racconta.

Se tu hai un azienda che si trova in una pese blacklist questa non può fare business diretto con una nazione Europea agevolmente, quindi per esempio con l’Italia, pena la presentazione di una miriade di documenti.Mi spiego meglio, se tu nella massima legalità hai una società in un paese blacklist quando fai una fattura verso un paese europeo questa non viene vista come una normale fatture infatti, il ricevente non la può scaricare, se non dietro una presentazione molto lunga di documenti attestanti la veridicità e altri aspetti noiosi. Per questa ragione per chi vuole fare business con con l’Europa avere una sede sociale a Malta è praticamente obbligatorio.

Altro piccolo problema, secondo te è facile aprire un conto corrente di una società in un paese blacklist al di fuori del paese stesso? Vieni additato come un criminale con un soggetto non amabile per una banca europea, però tu dal punto di vista pratico ne hai la massima necessità,ecco qui ancora una volta che  Malta risulta essere sinergica

Vi metto a conoscenza di un altro aspetto che testimonia l’importanza di Malta a livello di business.Tu sai chi è l’Admor?

Usando una grande semplificazione, che mi permette di rendere a tutti semplice la comprensione, il Papa degli ebrei, be lui hai una delle sue case e sedi la possiede a  Malta dove ha creato un importante associazione, sarà un caso?

 

Il sistema fiscale Maltese

Il sistema fiscale Maltese

Se ti dicessi che oltre ad avere un mare meraviglioso, un clima fantastico e un’economia florida e in forte crescita, Malta è di fatto uno dei paesi Europei più vantaggiosi dal punto di vista fiscale?

E la buona notizia è che nonostante il suo sistema fiscale sia tra i più vantaggiosi, Malta è entrata dal 2010 nella “white list” dei paesi mondiali che assicurano totale trasparenza e collaborazione con gli altri paesi dell’Unione Europea per contrastare la piaga dell’evasione fiscale, e questa è una garanzia di sicurezza e tutela per tutti coloro che sceglieranno questo paese per iniziare o trasferire le proprie attività imprenditoriali.

Informazioni generali sul sistema fiscale Maltese

Il sistema fiscale a Malta è stato concepito in maniera tale da favorire gli investimenti provenienti da paesi stranieri grazie anche ad una vasta rete locale di servizi finanziari, concepiti allo scopo di garantire un consistente sviluppo economico, la sua efficienza e la sua semplicità sono il punto di forza che ogni anno attrae tantissimi nuovi investitori ed imprenditori da ogni parte d’Europa.

I punti di forza del sistema fiscale Maltese

  • Aliquota d’imposta progressiva per le persone fisiche
    (fino a un massimo del 35%)
  • Aliquota d’imposta per le società del 35%
  • Procedure amministrative semplici e pratiche
  • Nessuna trattenuta fiscale
  • Nessuna tassa patrimoniale
  • Nessuna imposta di proprietà
  • Imposta sul valore aggiunto (VAT, corrispondente alla nostra IVA) pari al 18%
  • Un sistema previdenziale equo

Tassazione delle persone fisiche

Nel sistema fiscale Maltese, le persone fisiche si dividono fiscalmente in due tipologie: lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi (di cui fanno parte anche i liberi professionisti). Entrambe le categorie sono soggette al pagamento della rispettiva aliquota di imposta e sono tenute a versare la Social Security Contribution, ovvero la Previdenza Sociale.

Lavoratore dipendente

Se sei un lavoratore dipendente, la Social Security verrà pagata regolarmente dal tuo datore di lavoro che verserà i tuoi contributi (10% del salario), più un ulteriore 10% che dovrai versare tu stesso.

Lavoratore autonomo

Se sei un lavoratore autonomo verserai provvisoriamente le tue tasse (secondo l’aliquota corrispondente al tuo reddito) durante il corso dell’anno, e il totale sarà suddiviso in 3 rate (una ad aprile, una ad agosto e l’ultima parte a dicembre) e dovrai effettuare il saldo finale entro il 30 giugno dell’anno successivo, e inoltre dovrai versare il 15% per la Social Security.

Qual’è l’aliquota per le persone fisiche?

L’ammontare delle tasse dipende dalla fascia di aliquota associata al reddito totale maturato, e dipende anche dalla residenza del soggetto tassabile.

Secondo i principi della “World-wide income taxation” a tutti coloro che sono residenti e hanno domicilio a Malta verranno tassati tutti i redditi, a prescindere dalla provenienza.

Ai soggetti non residenti invece saranno tassati solo i redditi maturati sul territorio Maltese, oppure quelli maturati all’estero ma regolamentati dalla giurisdizione Maltese, mentre il reddito prodotto da partecipazioni e royalties non è soggetto a imposizioni.

Tutti coloro che risiedono temporaneamente a Malta saranno tassati esclusivamente per il reddito maturato sul territorio Maltese durante il periodo di soggiorno.

Aliquote persone “single”
Da A Aliquota Detrazione
0 9.100 0% 0
9.101 14.500 15% 1.365
14.501 19.500 25% 2.815
19.501 60.000 25% 2.725
60.001 in su 35% 8.725
Aliquote persone “sposate”
Da A Aliquota Detrazione
0 12.700 0% 0
12.701 21.200 15% 1.905
21.201 28.700 25% 4.025
28.701 60.000 25% 3.905
60.001 in su 35% 9.905
Aliquote persone “con figli”
Da A Aliquota Detrazione
0 10.500 0% 0
10.501 15.800 15% 1.575
15.801 21.200 25% 3.155
21.201 60.000 25% 3.050
60.001 in su 35% 9.050

Potrai verificare le aliquote direttamente dal sito dell’Inland Revenue di Malta.

E come funziona per i dipendenti di una azienda?

Per i dipendenti le aliquote indicate vengono applicate direttamente come detrazioni sullo stipendio mensile attraverso un sistema chiamato Final Settlement System (FSS) che in sostanza è un sistema di ritenuta alla fonte sugli stipendi dei propri dipendenti (concettualmente simile al “pay as you earn” britannico, o PAYE). Tutti gli importi trattenuti che verrano versati dai datori di lavoro sono trattati come acconti di imposta sul reddito dovuto.

Per ulteriori dettagli sul Final Settlement System potete consultare il sito dell’Inland Revenue

Tassazione delle società a Malta

Una società costituita a Malta è considerata residente e domiciliata a Malta ai fini fiscali ed è quindi soggetta alla tassazione Maltese sul reddito proveniente da qualsiasi paese del mondo con un’aliquota standard del 35%.

sistema della “Full Imputation”

 

Il Permette ai soci di un’impresa di accorpare i dividendi provenienti dalla propria quota societaria con la propria base fiscale, ricevendo un credito d’imposta totale o parziale per la parte dell’imposta pagata dalla società sui dividendi distribuiti dalla società stessa. Dato che l’aliquota più alta per le persone fisiche è pari all’aliquota dell’imposta sulle società (ovvero 35%), il sistema della “full imputation” assicura che il socio non sia soggetto ad alcuna ulteriore imposta.

Rimborsi Fiscali

Il Sistema dei Rimborsi Fiscali è stato ufficialmente approvato dalla Commissione Europea verso la fine del 2006. I soci di un’impresa registrata a Malta hanno il diritto di richiedere alcune tipologie di rimborsi fiscali per le tasse pagate su tutti gli utili imponibili che provengono al di fuori di Malta e su tutti gli utili imponibili provenienti dal territorio Maltese a condizione che non derivino da beni immobiliari o che non siano soggetti ad imposta finale. Tali rimborsi possono essere richiesti sia dai soci residenti che dai soci non residenti.

Quali sono le tipologie societarie i cui soci possono chiedere questi rimborsi?

  • Le società costituite a Malta secondo le leggi Maltesi
  • Le imprese non costituite a Malta, ma che sono gestite e controllate a Malta
  • Le aziende che non operano a Malta e che non sono gestite a Malta, ma che operano attraverso una filiale Maltese

A quanto ammontano i rimborsi fiscali?

  • Rimborso dei 6/7 delle tasse – questo tipo di rimborso viene generalmente applicato al reddito prodotto da attività commerciali
  • Rimborso dei 5/7 delle tasse – questa tipologia di rimborso è riservata invece al reddito non commerciale prodotto quindi da interessi passivi o da diritti d’autore
  • Rimborso dei 2/3 delle tasse – applicabile solo su ricavi esteri se la società ha già richiesto l’esenzione dalla doppia imposizione fiscale su quel profitto

Il Sistema dei Rimborsi Fiscali è una materia molto complessa e delicata che va approfondita con un consulente esperto. Questo sito non si occupa di consulenza fiscale.

Che tipologie societarie esistono a Malta?

Quale tipologia societaria è più adatta alla tua impresa? Questa è una delle decisioni più importanti che dovrai prendere nella fase iniziale della tua attività, in quanto determinerà il modo in cui verrà gestito il tuo business e ti permetterà di rapportare meglio il sistema fiscale Maltese con le tue esigenze professionali.

La tipologia societaria dipende soprattutto da quale tipo di impresa vorrai avviare, dal settore in cui la tua impresa è coinvolta e anche dal numero di persone che investiranno denaro nella società.

Tra le possibili opzioni di registrazione alcune tra le più gettonate sono:

Limited Liability Company

Se è di tipo “Public” si chiama PLC, ma se è di tipo “Private” si definisce LTD ed è la forma giuridica più diffusa.
Il capitale sociale minimo di una LTD a Malta deve essere di almeno € 1.165 e deve essere sottoscritta da almeno due persone.

Self-employed

È il corrispettivo del nostro “libero professionista”. Per avviare questo tipo di attività bisogna iscriversi all’Employment and Training Corporation (ETC) ed è necessario presentare il proprio Social Security Number e il proprio documento di identità (o passaporto).

Sole proprietorship

Questo tipo di entità aziendale è la meno regolamentata ed è soggetta minori formalità. L’unico requisito per iniziare l’attività è quello di ottenere una licenza commerciale e di registrarsi presso il Register of Traders. Il proprietario dell’attività agisce in prima persona e non beneficia di una personalità giuridica distinta. Anche dal punto di vista fiscale saranno considerate le aliquote individuali del titolare. I principali vantaggi di questa entità di business includono la flessibilità di funzionamento, nessuna restrizione sul processo decisionale e quasi senza obblighi di segnalazione.

Partnership (General o Limited)

Società in nome collettivo e società in accomandita.

Doppia imposizione, Residenza Fiscale e AIRE

L’Italia ha stipulato una serie di convenzioni con alcuni paesi che fanno parte dell’Unione Europea, in modo tale da evitare ai propri contribuenti che risiedono all’estero la “doppia imposizione fiscale” sia sul reddito che sul patrimonio. Nello specifico tra Italia e Malta dal 1985 esiste un accordo bilaterale per prevenire la doppia imposizione.

Determinare la propria residenza fiscale

Quando si espatria però è molto importante tenere ben presente un fattore rilevante che riguarda le nostre tasse: la residenza fisica coinvolge direttamente la residenza fiscale, e per evitare complicazioni future è necessario che questo punto sia molto chiaro per il fisco italiano. Onde evitare fraintendimenti nel momento in cui si decide di stabilire la residenza in un determinato paese estero è sempre opportuno effettuare l’iscrizione all’AIRE in modo da ufficializzare il trasferimento (oltre ad essere di fatto un diritto, ma soprattutto un dovere di ogni cittadino Italiano).

Iscrizione all’AIRE

Per iscriversi all’AIRE (è una procedura gratuita) è necessario compilare un modulo, fornito dall’ufficio consolare competente, e a tale modulo bisognerà allegare, oltre al passaporto o alla carta di identità valida per l’espatrio, anche uno o più documenti utili a comprovare l’effettivo trasferimento, come il certificato di residenza o un’eventuale copia del contratto di lavoro.

L’iscrizione all’AIRE non è sufficiente

Secondo l’articolo 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, “la sola iscrizione all’AIRE non è sufficiente per escludere la residenza fiscale in Patria”. Questo significa che un altro fattore determinante è la presenza fisica nel territorio in cui si stabilisce la propria residenza fiscale, e tale permanenza è dimostrabile dalla concreta presenza sul territorio per più di 183 giorni l’anno anche non continuativi (184 per gli anni bisestili).

E se si soggiorna in più luoghi?

Il 13 Luglio del 2012, la sentenza n. 87/1/12 della Ctr Liguria ha determinato inoltre, in via ufficiale, che nel caso in cui una persona sia costretta per motivi professionali a soggiornare in uno o più luoghi differenti dalla propria residenza fiscale, verrà considerata come residenza ufficiale quella del luogo in cui esistono i propri “legami personali” a patto che vi ritorni con regolarità.

Fonte: FiscoOggi

VAT: Imposta sul valore aggiunto

Il corrispettivo Maltese della nostra IVA è la VAT, acronimo di “Value Added Tax”, e viene applicata sulla vendita di beni e servizi ed è pari al 18%, tranne che per alcune eccezioni specifiche, ad esempio:

  • 0% per prodotti alimentari e farmaceutici
  • 0% per il trasporto nazionale ed internazionale di persone, per scambi intracomunitari
  • 5% per servizi destinati ad attività turistiche, attrezzatura sanitaria, oggetti d’arte, fornitura elettrica

Social Security e Sistema Pensionistico Maltese

Se vuoi trasferirti a Malta, sia che tu decida di lavorare come dipendente, che come libero professionista oppure intendi avviare una tua attività sul territorio, dovrai avviare la tua Previdenza Sociale Nazionale (National Insurance) e ottenere il tuo Social Security Number con una procedura rapida e gratuita.

Ottenere il Social Security Number

Ottenere un numero di Previdenza Sociale è molto semplice. È sufficiente che tu abbia a disposizione il tuo documento di identità, può essere utilizzata sia la carta di identità (valida per l’espatrio) oppure il passaporto italiano. Se hai già ottenuto la residenza Maltese puoi presentare direttamente il tuo certificato di residenza (E-Residence).

Gli uffici della Previdenza Sociale

Gli uffici della Previdenza Sociale sono dislocati in molte città maltesi, per praticità ti consiglio di recarti nell’ufficio del tuo distretto. Anche se su alcuni siti informativi scrivono che il Social Security Number si ottiene con un massimo di 3 giorni lavorativi ti posso dire che mediamente servono pochi minuti per ottenerlo.

In questo link troverai una lista di tutti gli uffici della Social Security Maltese.

Come ottenerlo online

In alternativa si può richiedere il Social Security Number direttamente online (procedura consigliata) attraverso il modulo presente in questa pagina del sito governativo della Social Security.

Vantaggi della Social Security Maltese

Tutti coloro che sono coperti dalla Social Security a Malta possono ricevere trattamenti presso le strutture ambulatoriali e ospedaliere senza ulteriori costi. Per eventuali cure prescritte da proseguire dopo la dimissione da eventuali ricoveri le spese degli eventuali medicinali saranno coperte dalla Social Security solo per i primi tre giorni, il periodo successivo sarà a carico del paziente (in casi particolari la copertura assicurativa garantirà anche i giorni successivi). Per le cure odontoiatriche solo quelle d’urgenza saranno coperte dalla Social Security. Tutte le vaccinazioni verranno effettuate gratuitamente nelle strutture sanitarie pubbliche.

In caso di malattia i lavoratori dipendenti o autonomi riceveranno un’indennità economica giornaliera, a condizione che l’assicurato abbia versato almeno 50 settimane di contributi di cui almeno 20 nel corso dei due anni precedenti alla richiesta dell’indennità.

La Social Security garantisce una copertura adeguata anche per la maternità e la paternità.

Maturare la pensione a Malta

La previdenza sociale a Malta prevede pensioni di anzianità, di reversibilità e di invalidità, finanziate con una base “pay as you go” (a ripartizione). Il regime principale prende il nome di “Two Third Pension” dato che il piano pensionistico è mirato a fornire al pensionato una rendita mensile pari ai “due terzi” di quello che guadagnava con il suo lavoro. L’attuale età pensionabile è 60 anni per le donne e 61 anni per gli uomini, sebbene dopo la riforma delle pensioni la età minima sia salita a 65 anni per le persone nate dopo il 1961.

Al fine di qualificarsi per il regime Two Third Pension una persona deve:

  • Lavorare almeno 10 anni prima del proprio pensionamento
  • Totalizzare almeno 156 settimane di contributi assicurativi versati, con una media di 50 settimane l’anno

Questo sito non si occupa di consulenza fiscale, le informazioni contenute nella presente guida sono indicative e non impegnano in alcun modo questo sito. In nessun modo le informazioni presenti in questa pagina e nel resto del sito costituiscono nessun genere di consulenza fiscale o legale, e nessuna decisione dovrebbe mai essere presa sulla base di tali informazioni. Raccomandiamo pertanto di affidarsi esclusivamente alla consulenza professionale e specialistica degli organi competenti.
Solo le competenti Autorità Maltesi possono fornire informazioni ufficiali sui temi sopra esposti

 

Condizioni di lavoro

Condizioni di lavoro

Salario medio, previdenza sociale, vacanze

Condizioni di lavoro

Le condizioni lavorative a Malta potrebbero essere diverse da quelle del tuo paese. A seguito, troverai un breve riassunto su cosa aspettarsi a Malta.

Salario medio, ore di lavoro e vacanze

Il salario medio a Malta è un pò più basso rispetto agli standard europei. I salari sono spesso regolati da contratti collettivi a livello aziendale e deve essere almeno equivalente al salario minimo legale. Tutti i salari vengono aumentati annualmente obbligatorio in base al tasso di inflazione.

La settimana lavorativa media è di 40 ore ma può arrivare a 48 ore di cui 8 sono considerate come ore extra. Una tipica giornata di lavoro inizia alle 8:30 e si conclude alle 17:30 e include una lunga pausa pranzo. Si ha diritto fino a 25 giorni di ferie pagate oltre ai 14 giorni di vacanze maltesi.

Previdenza sociale per la disoccupazione, malattia, maternità, invalidità

Assicurazioni nazionali e benefici sono la spina dorsale del sistema di sicurezza sociale.
Si ha diritto alle prestazioni in caso di disoccupazione, malattia, anzianità, invalidità, infortuni e maternità. Per ulteriori informazioni consultare la voce “tasse, imposte sul reddito”.
La sede della direzione della sicurezza sociale si trova nella Valletta:

Social Security Department

 

38 Ordinance Street

Valletta – CMR 02

Telefono: 25903000

Fax: 25903001

 

San Vigilio

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San Vigilio


San Vigilio

autore: Giuseppe Alberti anno: 1673 titolo: San Vigilio in estasi luogo: Museo Diocesano Tridentino, Trento
Nome: San Vigilio
Titolo: Vescovo e martire
Nascita: IV secolo, Trento
Morte: IV secolo, Trento
Ricorrenza: 26 giugno
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Patrono del Trentino e dell’Alto Adige, Vigilio fu colui che maggiormente operò, con successo, per la conversione al cristianesimo di quelle popolazioni.

Nato a Trento da una famiglia romana, vissuta nell’Urbe a sufficienza per acquistare i diritti della cittadinanza, fu mandato a studiare ad Atene; ritornato a Trento fu consacrato vescovo in età così precoce da risultare inusuale anche per quei tempi. Costruì una chiesa che dedicò ai SS. Gervasio e Protasio (19 giu.), ricevendo da S. Ambrogio le reliquie.

È tuttora conservata una lettera di Ambrogio, metropolita della regione, a Vigilia, dove il vescovo di Milano invita quello di Trento a opporsi all’usura, a scoraggiare i matrimoni tra cristiani e pagani, a dare ospitalità agli stranieri, specialmente ai pellegrini. Nelle vallate trentine e dell’Alto Adige c’erano ancora molti pagani cui Vigilie predicava di persona; Ambrogio gli mandò in aiuto tre missionari — Sisinnio, Martirio e Alessandro (29 mag.) — che subirono il martirio nel 395. Dopo questo fatto Vigilie inviò una breve lettera a S. Simpliciano (16 ago.), vescovo di Milano succeduto ad Ambrogio, e una più dettagliata a S. Giovanni Crisostomo (13 set.), che forse aveva conosciuto ad Atene, in cui descriveva l’accaduto. In queste lettere diceva quanto egli invidiasse questi martiri e lamentava che la sua indegnità gli precludesse la condivisione di una simile sorte. Subì il martirio dieci anni più tardi: nel 405 stava predicando nella remota Val Rendena, quando abbatté una statua di Saturno, il dio dell’agricoltura; i contadini infuriati, timorosi di perdere il raccolto, lo lapidarono. Trento rivendica il possesso delle sue reliquie insieme a quelle di sua madre e dei suoi fratelli, ma è probabile che siano state traslate a Milano nel xv secolo.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Trento, san Vigilio, vescovo, che, ricevute da sant’Ambrogio di Milano le insegne del suo mandato e una istruzione pastorale, si adoperò per consolidare nel suo territorio l’opera di evangelizzazione ed estirpare a fondo i residui di idolatria; si tramanda poi che abbia subito il martirio per la fede in Cristo, colpito a morte da rozzi pagani.

I ministri della Lega non indirizzano abbastanza risorse del Pnrr al sud Mappe del potere

I ministri della Lega non indirizzano abbastanza risorse del Pnrr al sud Mappe del potere

La normativa prevede che il 40% delle risorse del Pnrr con destinazione territoriale sia diretto alle regioni del mezzogiorno. Un obiettivo che deve essere rispettato da tutte le organizzazioni titolari ma che i ministeri guidati da esponenti della Lega sono molto distanti da raggiungere.

 

Come abbiamo raccontato più nel dettaglio in un recente articolo, uno degli obiettivi del Pnrr è ridurre i divari territoriali. Proprio per questo il decreto legge 77/2021 ha previsto che  il 40% delle risorse, allocabili territorialmente, del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e del fondo complementare (Pnc) , sia destinato alle regioni del mezzogiorno, ma non solo.

L’obbligo infatti vale per tutte le organizzazioni titolari e non basta che complessivamente il governo raggiunga questo obiettivoOgni ministro ha quindi la responsabilità di destinare al sud almeno il 40% degli investimenti di cui è titolare. Leggendo la prima relazione istruttoria sul rispetto del vincolo di destinazione alle regioni del mezzogiorno redatta dal dipartimento per la coesione territoriale emerge che varie delle organizzazioni titolari di risorse del Pnrr raggiungono questa quota (13 su 22), o vi si avvicinano molto (7 su 22).

Questo però non vale per i ministeri guidati dai leghisti Giorgetti e Garavaglia, che in assoluto rappresentano le organizzazioni che arrivano più distanti dall’obiettivo.

Trasparenza, informazione, monitoraggio e
valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato
al Piano nazionale di ripresa e resilienza

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I partiti, la Lega e la quota del 40% delle risorse per il sud

Come abbiamo avuto modo di raccontare in diverse occasioni, ogni misura del Pnrr è attribuita alla responsabilità di un ente titolare, di solito un ministero o un dipartimento della presidenza del consiglio. Alla guida di queste organizzazioni dunque si trova sempre un responsabile politico, ovvero un ministro o in alcuni casi un sottosegretario alla presidenza del consiglio.

Analizzando come le varie organizzazioni stanno distribuendo, o si stima che distribuiranno, le risorse del Pnrr a livello territoriale, e in particolare verso il mezzogiorno, è dunque possibile aggregarle considerando il partito di appartenenza del ministro responsabile della misura.

Da un’analisi di questo tipo emerge come siano i ministri di Forza Italia quelli alla guida di organizzazioni che stanno destinando più risorse al sud (66%). Al secondo posto i ministri tecnici, o indipendenti, (43%) e poi Movimento 5 stelle e Liberi e uguali che raggiungono esattamente la soglia del 40%.

Sotto il 40% invece i ministri del Partito democratico, che tuttavia vi si avvicinano abbastanza (37,6%). All’ultimo posto infine la Lega molto distante dall’obiettivo che si è posto il governo.

25,1% le risorse del Pnrr e del Pnc con destinazione territoriale indirizzate dai ministri della Lega al mezzogiorno.

I due ministri in questione sono Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia. Rispettivamente al vertice del ministero dello sviluppo economico e del ministero del turismo. Due settori assolutamente cruciali per la crescita economica delle regioni meridionali.

Giancarlo Giorgetti e il ministero dello sviluppo economico

L’obiettivo di destinare il 40% delle risorse del Pnrr al mezzogiorno è ovviamente importante di per sé. Tuttavia assume ancora più rilevanza per quelle organizzazioni che gestiscono una parte considerevole delle risorse complessive. E in effetti è proprio il caso del ministero dello sviluppo economico che con oltre 25miliardi di euro tra Pnrr e Pnc (11,3% delle risorse complessive) è la terza organizzazione a gestire più fondi.

Circa il 97% di queste risorse è considerato avere destinazione territoriale (24,2 miliardi), e dunque è su questa cifra che deve esse calcolata la quota destinata al mezzogiorno.

24,8% le risorse del Pnrr e del Pnc con destinazione territoriale destinate dal Mise al mezzogiorno.

Da questo punto di vista dunque il ministero guidato da Giancarlo Giorgetti è molto distante dall’obiettivo del 40%.

Le risorse del Mise

Analizzando nel dettaglio le risorse assegnate al Mise emerge però che la maggior parte hanno un vincolo di destinazione al mezzogiorno e che solo una misura non ha questa caratteristica, quella intitolata Transizione 4.0.

Tale misura (a sua volta distinta in 5 sotto misure) tuttavia raccoglie quasi i 3/4 delle risorse del Pnrr attribuite al ministero dello sviluppo economico.

74% la quota di risorse del Pnrr e del Pnc che il Mise ha destinato alla misura Transizione 4.0.

Si tratta in sostanza di vari tipi di crediti d’imposta che, al 31 gennaio 2022, risultavano già attivi e per i quali non è stata fissata alcuna riserva in favore del mezzogiorno. Basandosi sui primi 14 mesi di operatività dell’incentivo il dipartimento della coesione territoriale ha escluso che possa essere raggiunto l’obiettivo, stimando che appena il 20% di queste risorse potrebbe andare al mezzogiorno.

La situazione delineata è già sufficiente a considerare che il Mise non raggiungerà l’obiettivo, ma purtroppo le criticità non finiscono qui. Delle rimanenti misure infatti 2 sono state già attivate e prevedono il vincolo del 40%, ma non specificano come intendono applicarlo.

Per quelle ancora da attivare invece il ministero si è impegnato a rispettare l’obiettivo. Tuttavia si tratta anche in questo caso di procedure a bando su base nazionale, ed è quindi fondamentale che venga previsto un meccanismo per garantire la quota mezzogiorno nel caso in cui, in prima battuta, non venga raggiunta.

L’amministrazione pare più interessata a tutelare il completo utilizzo delle risorse che la loro destinazione geografica.

L’amministrazione tuttavia sembra aver adottato un approccio diverso. Almeno rispetto a una misura (Partenariati Horizon Europe) infatti il dicastero ha comunicato l’intenzione di prevedere una clausola di salvaguardia per tutelare l’assegnazione totale delle risorse messe a bando. Anche se non dovessero arrivare sufficienti domande dal mezzogiorno.

Massimo Garavaglia e il ministero del turismo

Presso il ministero del turismo quasi tutte le risorse (95%) hanno una destinazione territoriale. A esclusione di quelle per la misura Hub del Turismo Digitale. Su queste dunque è possibile calcolare la quota di risorse che il ministero indirizzerà al mezzogiorno.

28,6% le risorse del Pnrr e del Pnc con destinazione territoriale indirizzate dal ministero del turismo al mezzogiorno.

Si tratta in questo caso di un dato un po’ più alto rispetto a quello del Mise, ma comunque molto al di sotto dell’obiettivo, e relativo a una quota di risorse molto più modesta. Il ministero del turismo infatti ha in gestione nell’ambito del Pnrr appena 2,4 miliardi di euro (di cui 2,3 con destinazione territoriale), che rappresentano solo l’1% dei fondi complessivi.

Ciononostante si tratta di risorse importanti per un settore assolutamente strategico per il mezzogiorno.

Le risorse del ministero del turismo

Una delle ragioni per cui il ministero ha riservato una quota così bassa al mezzogiorno è legata alla misura Caput Mundi, già interamente territorializzata nell’area di Roma capitale, a cui sono destinati 500 milioni di euro.

21,9% delle risorse del Pnrr attribuite al ministero del turismo sono già territorializzate su Roma e non andranno dunque al mezzogiorno.

Inoltre per un’ulteriore misura, da 150 milioni di euro, non è prevista alcuna clausola relativa alla destinazione territoriale. Si tratta della partecipazione del ministero al Fondo nazionale turismo di Cassa depositi e prestiti. Rispetto a queste risorse tuttavia la situazione effettiva potrebbe risultare migliore rispetto a quanto sia possibile stabilire fin da oggi.

Dal dicastero del turismo infatti hanno giustificato l’assenza di una clausola di salvaguardia sostenendo che non fosse possibile inserirla per alcune ragioni tecniche, tra cui il fatto che il ministero non è l’unico partecipante al fondo.

Tuttavia, sempre secondo il ministero, la politica di investimento del Fondo assegna priorità alle aree con alto potenziale turistico ma ancora poco sviluppate, come varie zone del mezzogiorno.

Si può dunque sperare che una quota considerevole di questi 150 milioni andrà al sud, tuttavia si tratta di un dato tutto da verificare. Inoltre 150 milioni su un totale di 2,3 miliardi non sono molti.

Da un lato dunque è vero che le risorse rimanenti (1,6 miliardi di euro escludendo anche quelle destinate a Caput Mundi) prevedono il vincolo del 40% al mezzogiornoMa dall’altro, anche in questo caso, affinché la distribuzione territoriale avvenga come previsto è necessario che il ministero sviluppi specifici meccanismi. Altrimenti il rischio è che il vincolo rimanga solo sulla carta.

Non risulta che il ministero abbia operato un riequilibrio per raggiungere quota 40% al mezzogiorno.

Per rispettare l’obiettivo in termini complessivi quindi sarebbe stato opportuno che il ministero aumentasse la quota di risorse da destinare al sud attraverso questi investimenti. In questo modo si sarebbe potuta bilanciare quella parte di risorse già territorializzate nell’area di Roma.

 

Foto: ministero dello sviluppo economico – Twitter