Archivi giornalieri: 7 dicembre 2023

“Marcia dei quarantamila”: l’inizio di una nuova stagione

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“Marcia dei quarantamila”: l’inizio di una nuova stagione

 

Foto ©Wikipedia

A Torino, il 14 ottobre del 1980, alcune migliaia di quadri, impiegati della FIAT, ma anche artigiani, commercianti e piccoli industriali, dopo un’assemblea al teatro Nuovo, sfilano per le vie della città, con slogan e cartelli di forte polemica contro gli operai in sciopero alla FIAT da 35 giorni e i sindacati che avevano organizzato, per impedire sul nascere tentativi di crumiraggio, il blocco dei cancelli di Mirafiori e rigidi picchetti a tutti gli ingressi. Al vertice della FIAT, nel mese di luglio di quell’anno, Umberto Agnelli si era dimesso e Cesare Romiti era divenuto l’amministratore delegato unico della grande azienda torinese, teorizzando e praticando una linea dura nelle relazioni industriali: nell’ottobre del 1979 ben 61 operai sono licenziati, sulla base di accuse rivelatisi senza fondamento, per delle violenze commesse in fabbrica e per connivenze con il terrorismo. In questo clima di forte tensione la direzione Fiat preannuncia, all’inizio di settembre, la cassa integrazione per 24 mila dipendenti e, dopo una inutile trattativa, l’11 settembre, comunica il licenziamento di ben 14.469 operai. Immediata è la proclamazione dello sciopero che ha una risonanza nazionale. Persino il sempre misurato segretario del Partico comunista, Enrico Berlinguer, in un comizio volante davanti ai cancelli, promette il sostegno pieno anche nel caso il Consiglio di fabbrica decida l’occupazione della fabbrica.

A seguito anche dell’intervento dei sindacati confederali, i licenziamenti sono sospesi ma si attuano massicci provvedimenti di messa in cassa integrazione a zero ore in tutti gli stabilimenti Fiat: oltre 20 mila, più numerosi prepensionamenti. A farne le spese sono in forma selettiva i delegati e i militanti sindacali.

Questa è la premessa della “marcia dei quarantamila” del 14 ottobre. Per il vero i partecipanti furono ben lontani da questa cifra: solo 12 mila secondo i dati forniti dalla Questura di Torino, ma il numero fu enfatizzato, paradossalmente, sia da cesare Romiti che dal segretario della CGIL, Luciano Lama e così la cifra dei 40 mila è passata alla cronaca e alla storia.

Nella lunga vertenza i sindacati sembravano avere ancora la forza contrattuale acquisita nella stagione dell’autunno caldo ma la marcia dei quarantamila, quale che sia stato il numero vero dei partecipanti, fu interpretata e sfruttata immediatamente dalla direzione FIAT, di certo non estranea alla sua ideazione, per imporre ai sindacati un accordo che prevedeva la messa in cassa integrazione a zero ore per 23 mila dipendenti, che, di fatto, fu il preludio dei futuri licenziamenti. I 35 giorni della lunga vertenza finiscono con la netta sconfitta del sindacato. Gran parte dei cassaintegrati finirono per essere espulsi dal ciclo produttivo e si ebbero persino, nei quattro anni successivi, ben 149 suicidi tra di essi.

La marcia dei quarantamila chiuse un periodo di fuoco seguito alla crisi congiunturale del settore auto e quella di Fiat in particolare, derivanti in parte dalle crisi energetiche del decennio precedente e dal cambio degli scenari produttivi. Dopo mesi segnati da forti scontri tra azienda e sindacati, il corteo di capi e impiegati invertì gli equilibri e condusse alla firma di un accordo la notte immediatamente successiva, che si risolse in una sorta di resa incondizionata all’azienda. Sono messi in cassa integrazione a zero ore, preludio del licenziamento, 23 mila persone. A Torino, solo due anni dopo, chiude per assumere in futuro nuove funzioni, persino lo stabilimento simbolo della FIAT, il Lingotto.

Paul Ginsborg nella sua nota “Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi” (Einaudi 1989) ha scritto che la marcia dei quarantamila rappresentò “la fine di un’epoca”. Fu un evento periodizzante: nel breve periodo pose fine alla dura vertenza sindacale iniziata 35 giorni prima, facendo trionfare la strategia FIAT di contenere i costi con una drastica riduzione della manodopera; In effetti essa, nel medio periodo costituì la fine della lunga stagione dell’autunno caldo, iniziata con i grandi movimenti sociali del 1968-1969, nella quale si ebbero grandi conquiste salariali e normative del mondo del lavoro. Nel lungo periodo può essere interpretata come un segnale e un simbolo della crisi dell’età del Fordismo: grandi fabbriche, grandi concentrazioni di operai-massa, diffusa sindacalizzazione e forte potere contrattuale e anche, a beneficio della collettività nel suo insieme, affermazione del Welfare State e dei diritti sociali.

Lo storico torinese, Giovanni De Luna, ha dedicato all’evento una stimolante monografia; “La marcia dei quarantamila: come finisce il Novecento” (Feltrinelli 2020).  Ragionando sul valore simbolico di quella vicenda, a suo pare, dalla fine degli anni Settanta, con il tramonto della fabbrica e l’esaurirsi del conflitto sociale, la società italiana, come si arguisce dal titolo del suo libro, ne esca trasformata – e non in meglio – e fuoriesce dal Novecento.

Si chiude un ciclo politico e sociale durato oltre un trentennio e s’inaugura una stagione segnata da una nuova antropologia degli italiani, da una nuova realtà produttiva, da una nuova configurazione culturale: l’operaio-massa, il protagonista indiscusso delle lotte e delle conquiste degli anni Settanta, esce di scena; al suo posto si affermano nuove appartenenze sociali basate sulla corsa al benessere individuale o di casta, coagulate attorno alle categorie del mercato, con un indubbio affievolirsi dei valori della partecipazione e della solidarietà.

In forma letteraria è la conclusione del romanzo di Cristiano Ferrarese, “Quarantamila” (Scrittura Pura, 2022), che ripercorre quelle vicende, avendo come protagonisti il giovane operaio Josif, il padre in sciopero, la fidanzata commessa ma anche, per avere più punti di vista, il signor Luigi, che è poi Luigi Arisio, il caporeparto che organizzo la marcia.

Scrive Ferrarese: “La classe operaia ha perso, la Fiat ha vinto con il supporto della classe media e della maggioranza silenziosa. Non credo potesse andare diversamente – conclude – forse la sconfitta avrebbe potuto esser meno dolorosa, ma alla fine a pagarla non sono stati solo gli operai, ma anche molti di quelli che parteciparono alla Marcia del Quarantamila”.

Casula: “John F. Kennedy, figura di novità e speranza

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Casula: “John F. Kennedy, figura di novità e speranza

A sessant’anni dall’assassinio del presidente degli Stati Uniti, l’intervista di Interris.it allo storico Carlo Felice Casula

 

A destra nell’immagine: Foto di History in HD su Unsplash. A sinistra: professor Carlo Felice Casula (per gentile concessione)

L’Occidente, dopo l’abisso di due guerre mondiali e due totalitarismi nel suo “campo” – nell’altro c’era l’Unione sovietica – viveva un periodo di libertà e democraziasviluppo e prosperità, ed era fiducioso sulla rampa di lancio del futuro. Nel 1963 questo clima ottimista venne offuscato dall’assassinio dell’allora presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy.

I discorsi

JFK, una sigla con cui era conosciuto, ha personificato la stagione del cambiamento. Kennedy è passato alla cronaca, alla storia e al mito anche grazie ai suoi discorsi, alla sua retorica, al suo messaggio. Negli anni seguenti ha continuato a essere fonte d’ispirazione di leader politici sparsi in tutto il mondo. Alcune sue espressioni sono molto citate, o parafrasate, ancora oggi, quali “Ich bin ein Berliner” e “non chiederti cosa può fare per te il tuo Paese, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese”.

22 novembre 1963

La vita di colui che nella sua concisa presidenza ha indicato non solo agli statunitensi ma a tutti i cittadini di questa parte del mondo la nuova frontiera, le sfide e le speranze, è stata spezzata a Dallas, nel Texas, il 22 novembre di sessant’anni fa. Lo stesso anno in cui moriva papa Giovanni XXIII e veniva pubblicata l’enciclica “Pacem in Terris”.

L’intervista

Nel sessantesimo anniversario dell’assassinio del presidente degli Stati Uniti, l’intervista di Interris.it a Carlo Felice Casula, professore emerito di Storia contemporanea all’Università degli Studi Roma Tre.

Cos’ha rappresentato JFK per il mondo?

“Kennedy appariva alla pubblica opinione come un fatto nuovo, un elemento di speranza, anche se più sul piano internazionale che ‘domestico’ – lo scarto con il concorrente repubblicano alla Casa bianca Richard Nixon è stato molto stretto. Oltretutto è sempre stato in grado di non apparire come un ‘uomo di palazzo’, anche in virtù del fatto che la sua elezione infranse un tabù: ruppe la lunga tradizione di presidenti Usa bianchi, anglosassoni e protestanti, poiché era irlandese e cattolico. La sua è stata una personalità emblematica e rappresentativa del secondo dopoguerra in cui comparivano categorie come l’ottimismo e il progresso”.

Ci può fare qualche esempio dell’ottimismo e del progresso “kennedyani”?

“I circa mille giorni della sua presidenza ebbero luogo in un periodo in cui l’idea di un nuovo conflitto mondiale sembrava superata e il rischio di escalation tra Usa e Urss, si veda la crisi dei missili di Cuba del 1962, venne risolta guardando al futuro, e non al passato, agli anni Cinquanta che erano stati quelli più difficili della Guerra fredda. L’ottimismo ritorna, unendosi all’altra categoria citata, quella del progresso, nella proposta dell’Alleanza per il progresso con l’America latina. La cosa ebbe in realtà rilievo soprattutto a livello propagandistico, ma comunque gli Usa fecero il passo avanti di non considerare più il Sud America come il ‘cortile’ di casa loro bensì un continente da coinvolgere in una prospettiva. La categoria del progresso era presente nel clima degli anni Sessanta, come si evince sia dalla presidenza Kennedy che per esempio dall’enciclica sociale ‘Populorum Progressio’ di Paolo VI. La sua idea di progresso consisteva nell’immaginare che lo sviluppo economico avrebbe coinvolto l’intero continente europeo”.

Quali risultati ha raggiunto e quali no nel corso della sua amministrazione?

“A livello interno puntò sul sostegno alle fasce più povere sia agendo sul welfare che sulla retribuzione, per ampliare i diritti sociali e ridurre la disoccupazione. Propose l’aumento dei sussidi ai pensionati e introdusse il salario minimo. Si dimostrò meno coraggioso sui diritti civili e l’emancipazione della popolazione afroamericana, che lo appoggiava, timoroso delle dinamiche interne al suo partito dove le componenti democratiche negli Stati del Sud erano ancora connotate da forme di discriminazione e da una scarsa disponibilità al concedere il pieno ottenimento dei diritti agli afroamericani. Ottenne risultati positivi per la ripresa economica statunitense – un settore trainante fu l’industria bellica -, che comportava e implicava un aumento dei consumi interni a cui affiancò la riduzione dei dazi doganali per l’importazione di prodotti dall’estero, convinto che crescita e sviluppo fossero fattori di stabilità globale.  A livello internazionale scelse la strada del confronto e del disgelo con l’Urss, basti pensare all’importante incontro con il leader sovietico Nikita Krusciov al summit di Vienna nel 1961, e investì 20 miliardi di dollari nelle relazioni con i Paesi sudamericani. Sulla guerra in Vietnam, inviò uomini per addestrare l’esercito del Sud ma secondo diverse fonti cominciò a provare forti dubbi in merito a quel conflitto”.

È stato un presidente famoso per i suoi discorsi. Qual era il “segreto” della sua retorica?

“Kennedy aveva molti elementi di modernità. Innanzitutto si attorniò di una squadra di straordinari collaboratori, tra cui il comunicatore Arthur Schlesinger. Sapeva poi parlare con il corpo, andando anche oltre la gestualità, in modo da apparire un uomo giovane e nel pieno delle forze – nonostante soffrisse di vari problemi di salute. Inoltre, ha saputo utilizzare i mass media tradizionali, come la carta stampata e la radio, sia quello più nuovo per l’epoca, la televisione. Il suo uso del mezzo televisivo ha rilanciato in una nuova chiave i discorsi radiofonici che portarono tanto consenso a uno dei suoi predecessori, Franklin Delano Roosevelt”.

Professore, lei prima ha citato la Guerra fredda. Come si evitò lo scoppio di un terzo conflitto mondiale, oltretutto nell’era atomica?

“Infatti il rischio di uno scontro tra le due grandi potenze, Usa e Urss, era proprio quello che deflagrasse una guerra atomica. L’approccio di Kennedy era quello di andare incontro al suo avversario e di provare a raggiungere con lui un’intesa e proprio sotto la sua amministrazione ci fu un primo – timido – passo in avanti sul divieto di esperimenti nucleari in superficie e in aria”.

Un momento critico è stata la crisi di Cuba del 1962. Ci si fermò prima del punto di non ritorno anche grazie all’opera di mediazione della Santa Sede – giusto l’anno dopo, nel 1963, venne pubblicata l’enciclica “Pacem in Terris”? 

“I documenti del pontificato di papa Giovanni XXIII non sono ancora a disposizione degli studiosi, ma è ormai acclarato che ci furono un lavorio della Santa Sede e un intervento del Papa. La soluzione di una crisi di quella gravità fu la dimostrazione che era possibile raggiungere un’intesa tra le due forze in campo senza che l’una covasse dei sospetti nei confronti dell’altra”,

Quale effetto ebbe la sua morte?

“Fece impressione perché mostrò che anche il presidente più forte e protetto del mondo veniva ucciso senza che poi si chiarissero né il ‘perché’ né il ‘per conto di chi’. Una sensazione accresciuta dal fatto che pochi anni dopo, nel 1968, venne ucciso il fratello Robert, che era stato centrale nella sua amministrazione. La vicenda tragica, rilanciata da libri e film come ‘JFK’ di Oliver Stone del 1991 (in Italia ‘JFK – Un caso ancora aperto’, ndr), ha via via oscurato la sua breve presidenza”.

Morta Marisa Rodano, il cordoglio di Mattarella

Morta Marisa Rodano, il cordoglio di Mattarella

E’ morta a 102 anni Marisa Rodano, ultima parlamentare vivente della prima legislatura. Il cordoglio del presidente Mattarella

Il presidente Sergio Mattarella. Immagine di repertorio. Foto: ©Quirinale

E’ morta a Roma Marisa Rodano, ultima parlamentare vivente della prima legislatura. Lo ha riferito all’ANSA il genero ed ex parlamentare Antonello Falomi. Partigiana cattolica, Maria Lisa Cinciari sposò Franco Rodano. Fu eletta in Parlamento con il Pci nella prima legislatura. Il presidente Mattarella ha scritto un messaggio di cordoglio: “La sua figura costituisce un esempio per tutte le italiane e gli italiani che si dedicano all’impegno civile per il bene comune”.

Addio Marisa Rodano, ultima deputata della I legislatura

Partigiana, femminista, parlamentare, prima donna a divenire vicepresidente della Camera, Marisa Rodano, deceduta a 102 anni, viene definita “fra le personalità più illustri della storia della Repubblica italiana” dall’enciclopedia delle donne e a lei si deve la scelta della mimosa come simbolo della giornata internazionale delle donne, l’8 marzo. Fino ad oggi è stata l’ultima parlamentare ancora in vita delle prima legislatura, a testimonianza di un percorso lungo e carico di impegno a 360 gradi, in favore dell’emancipazione sociale e femminile in particolare, come hanno sottolineato i numerosissimi messaggi di cordoglio giunti dal mondo progressista. Maria Luisa Cinciari, a tutti nota come Marisa Rodano dopo le nozze nel 1944 con Franco Rodano, nasce a Roma il giorno della fondazione del Pci, il 21 gennaio 1921, un segno del destino per lei, cattolica.

L’impegno politico

Già al liceo e poi all’università si impegna con i gruppi antifascisti tanto da venire arrestata nel maggio 1944 e rinchiusa in carcere: la polizia le sequestrò tutti gli appunti della tesi in lettere. Durante l’occupazione nazista, insieme al Movimento dei Cattolici comunisti partecipa all’attività dei partigiani, pur non avendo mai voluto usare un arma, come ha raccontato nelle sue “Memorie di una persona che c’era”. Già in questa fase si impegna per l’emancipazione della donna, perché capisce che è attraverso di loro che la società farà o meno passi avanti.

Il suo racconto del voto per il referendum del 2 giugno 1946 sembra lo script del film di Cortellesi. Entrata nel 1945 con il Movimento dei Cattolici Comunisti nel Pci, in questo partito ha vissuto tutto il suo impegno politico, sin dall’elezione nel 1948 alla Camera, dove rimase sino al 1968: nella sua quarta legislatura venne eletta vicepresidente della Camera, a testimonianza del prestigio di cui godeva. Nel 1972 passò in Senato, per poi trascorrere due legislature nel Parlamento europeo, anche in quella sede impegnata sui temi dell’emancipazione femminile, come le battaglie sulla parità previdenziale o sulla parità nell’acquisizione della cittadinanza. A questi impegni si è associato quello nella politica locale (fu consigliere comunale a Roma dal 1946 al 1956) e nell’associazionismo, in particolare con Unione donne italiane (Udi), di cui fu tra le fondatrici nel 1945. Nel 2015 fu nominata cavaliere di Gran Croce dal presidente Mattarella su proposta del premier Renzi. Intensissimo il sodalizio con il marito Franco, anch’egli cattolico e ascoltato consigliere di Enrico Berlinguer, e tra i pensatori che ispirarono 50 anni fa la proposta del “compromesso storico”, un rapporto interrotto dalla morte prematura di Franco nel 1983.

Il cordoglio di Mattarella

“Marisa Cinciari Rodano, partigiana, parlamentare, deputata europea, prima donna a assumere l’incarico di vicepresidente della Camera, ha dedicato la sua esistenza all’attività politica, battendosi per la libertà e, successivamente, per la parità di genere e per i diritti e la giustizia sociale. La sua figura, lucida e appassionata, costituisce un esempio e un riferimento per tutte le italiane e gli italiani che si dedicano all’impegno civile per il bene comune. Alla sua famiglia invio i miei più sentiti sentimenti di cordoglio”. Lo afferma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il 25 aprile: la data fondante della nuova Italia democratica

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Il 25 aprile: la data fondante della nuova Italia democratica

 

Il 22 aprile del 1946 a un anno quasi esatto dall’entrata vittoriosa e festante delle brigate partigiane a Milano, il governo presieduto da Alcide De Gasperi, con un decreto firmato dal Luogotenente del Regno, Umberto di Savoia, stabilisce che “a celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile è dichiarato festa nazionale”. A distanza di tre anni, con la legge 260 del 27 maggio 1949 (Disposizioni in materia di ricorrenze festive) – presidente del Consiglio sempre Alcide De Gasperi, ma una maggioranza di governo dalla quale, nel maggio del 1947, sono stati estromessi il Partito comunista e il Partito socialista – la ricorrenza del 25 aprile è confermata solennemente come festa nazionale assieme al 2 giugno del 1946, giorno memorabile della vittoria della Repubblica nel referendum istituzionale.

Il 25 aprile è divenuto, dunque nel tempo, giorno di vacanza a scuola, di astensione dal lavoro, di cerimonie celebrative ufficiali e anche d’incontri e manifestazioni popolari, esaltate dalla prossimità temporale e tematica con le ricorrenze del Primo Maggio e della festa della Repubblica. Si ricorda e si riflette in primo luogo sulla fine in Italia di una guerra lunga e sanguinosa, per la prima volta nella storia, totale, mondiale, che provoca ben 50 milioni di vittime, delle quali oltre la metà civili, oltre che immani distruzioni d’infrastrutture e abitazioni civili.

Una guerra che si configura come scontro politico militare e ideale, con un nuovo ricorso massiccio alla propaganda che sfrutta anche le straordinarie capacità suggestive del cinema, che vede contrapposti l’universo degli Stati democratici parlamentari assieme all’Unione Sovietica contro la Germani nazista, l’Italia fascista e il Giappone, compartecipi del terrificante progetto di un “ordine nuovo”, europeo e mondiale, fondato sull’asservimento di popoli ritenuti inferiori, come gli Slavi in Europa e i Cinesi in Asia, sullo sterminio di minoranze come egli Ebrei e dei Rom e Sinti e, in generale su modelli di Stati ostili e sprezzanti nei confronti delle istituzioni parlamentari e dei diritti delle persone e delle comunità.

La festa del 25 aprile ricorda in Italia, quindi, la finale liberazione dagli occupanti tedeschi e dai loro subalterni collaboratori della mussoliniana Repubblica sociale, dispregiativamente denominati “repubblichini”, che nel rigidissimo inverno del 1944-45 avevano inasprito la repressione della Resistenza armata e della società civile nelle regioni del Centro nord. In questo senso il 25 aprile è da considerarsi, ancor più del 2 giugno, come la data fondante della nuova Italia democratica.

Eppure il 25 aprile non è mai pienamente divenuto festa civile nazionalpopolare sul modello, per fare degli esempi comparativi, del 14 luglio in Francia, per ricordare la presa della Bastiglia, del Giorno del ringraziamento negli Stati Uniti, il quarto giovedì di novembre, per ricordare lo sbarco dei Padri pellegrini o, anche, del Giorno della vittoria della Grande guerra patriottica, il 9 maggio 1945, nell’Unione Sovietica fino al 1991 e della Federazione Russa successivamente.

Per il vero nella storia d’Italia unita diverse altre ricorrenze, in momenti diversi istituite come feste nazionali, non sono riuscite ad assurgere a questo ruolo: non il giorno della proclamazione del Regno d’Italia, 5 maggio 1861, non la presa di Porta Pia, 20 settembre 1870, non la vittoria della Prima guerra mondiale, 4 novembre 1918, né tantomeno la Marcia su Roma, 28 ottobre1922 o la firma dei Patti Lateranensi, 11 febbraio 1929.

Un dato di fondo della storia del nostro paese è stato sempre, infatti, la limitata maturazione di una identità nazionale diffusa e interiorizzata: il “paese reale”, per usare un’espressione pregnante del cattolicesimo intransigente ottocentesco, coniata da padre Carlo Maria Curci della Civiltà Cattolica, rimane separato e diffidente, talvolta addirittura ostile nei confronti del “paese reale”.  In decenni a noi più vicini, Pier Paolo Pasolini, del quale quest’anno celebriamo il centenario della nascita, ha inventato la fortunata metafora del “palazzo”, lontano dagli interessi e dai bisogni della gente per constatare il perdurare del fenomeno.

Eppure la Resistenza, la cui moralità è non compromessa ma esaltata, qualora la si rivisiti non retoricamente come “Secondo Risorgimento”,  bensì, partendo dal vissuto degli Italiani, come un complesso precipitato di guerra nazionale di liberazione, lotta di classe e anche penosa guerra civile, è la stagione storica nella quale forte e sentita è stata la partecipazione alla vita politica del nostro paese e anche la convinzione di poter contare e decidere.

La Resistenza, secondo i più documentati e maturi studi – primo fra tutti la magistrale volume, del 2006, di Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, non si esaurisce nella lotta armata, nella quale, in ogni caso si sempre rigorosamente attenti a evitare il coinvolgimento della popolazione civile in feroci rappresaglie; riguarda anche la “resilienza” popolare – le donne in primo luogo – che accompagna e sostiene i partigiani combattenti: Arrigo Boldrini, il geniale inventore della lotta partigiana in pianura, ha calcolato che ogni partigiano in armi necessitava del sostegno attivo e non privo di rischi, di almeno cinque civili. Ancor più, nelle campagne come nelle città, di fronte alle devastazioni, alle rappresaglie, alle ripetute stragi e, soprattutto, alle penose, perduranti condizioni di scarsi approvvigionamenti alimentari e di interruzione dei servizi essenziali, la resilienza popolare permette di conservare e anche estendere creative forme diffuse di solidarietà, evitando la caduta in spirali di cannibalismo sociale.

Il modo più corretto e proficuo di ricordare e dare valore attuale al 25 aprile, che comportò la liberazione per tutti compresi i fascisti, è quello di riviverlo come fondamento di una storia comune che non annulla i contrasti ma neppure interpella continuamente una storia giustiziera, che possa insomma servire a costruire un nuovo più maturo e moderno lessico civile.

Nel tempo presente, infine, di una nuova tragica e sanguinosa guerra nel cuore dell’Europa, nella martoriata Ucraina, di fronte alla martellante campagna dei media che solleticano pericolose pulsioni belliciste, occorre ricordare che, in Italia, in Europa e in Asia, nella Resistenza contro il Nazifascismo e il feroce militarismo giapponese, milioni di civili furono costretti a impugnare le armi per porre fine a regimi oppressivi e inumani e, sulle loro rovine, costruire un mondo di giustizia e di pace per “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” come recita la Carta delle nazioni Unite. Nel nostro paese, in particolare, la riflessione comune sulla tragica esperienza vissuta spinse i padri e le madri costituenti a sancire solennemente nell’articolo 11 della Costituzione che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Intervento Valutazioni e critiche che accompagnarono la firma dei Patti Lateranensi

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Valutazioni e critiche che accompagnarono la firma dei Patti Lateranensi

 

L’11 febbraio del 1929, il cardinale Pietro Gasparri, segretario di Stato e l’On. Benito Mussolini, capo del governo solidamente al potere, dopo la Marcia su Roma, da sette anni – nel 1922 era iniziato anche il pontificato di Pio XI  –  firmano le Inter Sanctam Sedem e Italiae Regnum Conventiones, note come Patti del Laterano, dal nome del palazzo in cui furono sottoscritti, per essere, successivamente, il 7 giugno, ratificati dal pontefice e dal re Vittorio Emanuele III. Sono composti di tre distinti ma interconnessi documenti: Trattato (con annessi tre allegati riguardanti il Territorio dello Stato della Città del Vaticano, gli Immobili con privilegio di extraterritorialità e con esenzione da espropriazione e da tributi, gli Immobili esenti da espropriazioni e da tributi), Concordato e Convenzione finanziaria. 

Le ragioni e finalità del Trattato e del Concordato sono riassunte nelle premesse dei due documenti. “Premesso che la Santa Sede e l’Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente con l’addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti, che sia conforme a giustizia ed alla dignità delle due Alte Parti e che, assicurando alla Santa Sede in modo stabile una condizione di fatto e di diritto la quale Le garantisca l’assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo, consenta alla Santa Sede stessa di riconoscere composta in modo definitivo ed irrevocabile la «questione romana», sorta nel 1870 con l’annessione di Roma al Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia; che dovendosi, per assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza, garantirle una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale, si è ravvisata la necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano, riconoscendo sulla medesima alla Santa Sede la piena proprietà e l’esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana”.

“Premesso che fin dall’inizio delle trattative tra la Santa Sede e l’Italia per risolvere la «questione romana» la Santa Sede stessa ha proposto che il Trattato relativo a detta questione fosse accompagnato, per necessario complemento, da un Concordato, inteso a regolare le condizioni della Religione e della Chiesa in Italia”.

Con la Convenzione Finanziaria lo Stato Italiano rifonde alla Santa Sede con una somma complessiva di un miliardo e 750.000 lire “i danni ingenti subiti dalla Sede Apostolica per la perdita del patrimonio di San Pietro degli antichi Stati pontifici e dei beni degli enti ecclesiastici”.

Quali furono le valutazioni e le critiche al momento della loro firma? Sono noti i timori espressi sia da don Luigi Sturzo dal suo esilio londinese, sia di Alcide De Gasperi, sull’uso strumentale che il Regime ne avrebbe fatto al fine di consolidare la sua presa totalitaria sulla società italiana oltre che sulle istituzioni. Di grande intelligenza e preveggenza sono, in ambito ecclesiastico, le riflessioni di monsignor Domenico Tardini, futuro segretario di Stato di Giovanni XXIII, contenute in un suo diario personale, da me pubblicato nel 1988 per i tipi della Studium, nel volume Domenico Tardini 1888-1961. L’azione della Santa Sede nella crisi fra le due guerre:

Liquidare la questione romana fu senza dubbio un gran bene per l’Italia che si tolse di colpo di fronte ai cattolici dell’estero la dolorosa nomea di spogliatrice e carnefice del Papa e per la Santa Sede, che, con l’andare degli anni, sarebbe stata ridotta a protestare senza che nessuno la prendesse sul serio, perdendo, così, oltre il regno, il prestigio. (…) Ma fu davvero vantaggioso il Concordato, cioè un vero e proprio patto bilaterale, con circa 40 articoli, con disposizioni così varie, così complesse, così molteplici da dare ad ogni piè sospinto la possibilità di dissidi e di lotte. Tutti i concordati sono destinati ad essere trasgrediti ed infine a cadere…”.

Gli sviluppi dei Patti del Laterano nel tempo solo in parte hanno confermato le pessimistiche previsioni tardiniane. Una prima fondamentale loro conferma è costituita, infatti, dopo la Liberazione e l’elezione dell’Assemblea Costituente, dall’approvazione, nel 1947, con il voto favorevole della Dc  e anche del PCI, dell’articolo 7 della Costituzione che recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”.

Era garantita con questa, non scontata, intesa non solo la pace religiosa in Italia ma anche la piena accettazione da parte della Chiesa cattolica del nuovo assetto democratico e repubblicano del Paese.

Una seconda verifica si ha con la Revisione del Concordato, firmata, il 18 febbraio del 1984, dal presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal segretario di Stato, cardinale Agostino Casaroli, dopo una lunga e laboriosa trattativa, protrattasi per quasi un decennio, nella quale, nella fase finale, svolsero un ruolo importante monsignor Achille Silvestrini per la Santa Sede e Gennaro Acquaviva per il governo italiano. Le innovazioni importanti contenute sono il risultato congiunto, come recita il preambolo del testo della Revisione, “del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II

PNRR: tutti i podcast dell’INPS

 
 

PNRR: tutti i podcast dell’INPS

Il calendario dei primi podcast INPS, nell’ambito del progetto “Servizio di comunicazione in streaming e podcast”

Pubblicazione: 6 dicembre 2023

L’Istituto, nell’ambito del progetto PNRR, sta realizzando diversi prodotti informativi e divulgativi, di cui si può usufruire in modalità streaming e podcast, pubblicati su piattaforme già disponibili sul mercato, come Spreaker, YouTube e Instagram.

Il messaggio 5 dicembre 2023, n. 4353, comunica le date di pubblicazione dei primi due podcast prodotti e disponibili sul canale “INPS on air” della piattaforma Spreaker:

  • Te li spiega INPS – Il riscatto degli anni di laurea, disponibile dal 5 dicembre 2023;
  • INPS: 125 anni di modernità – L’anno zero della previdenza sociale, disponibile dal 19 dicembre 2023.

Il messaggio illustra anche il calendario di pubblicazione dei podcast successivi, che saranno disponibili anche sull’app “INPS Mobile”.

INPS: Lavoro sportivo – proroga adempimenti

INPS: Lavoro sportivo – proroga adempimenti

L’INPS, con il messaggio n. 4268 del 29 novembre 2023, comunica, con riferimento alla trasmissione dei flussi Uniemens di competenza di “ottobre 2023”, la proroga al 7 dicembre 2023 del termine entro cui è previsto l’obbligo di versamento presso la Gestione separata, per i compensi effettivamente erogati nel periodo di competenza di “ottobre 2023”, riguardanti i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, per i lavoratori con attività di carattere amministrativo-gestionale e per i lavoratori dipendenti delle Amministrazioni pubbliche autorizzati a svolgere attività retribuita.

Si ricorda che l’esposizione dell’aliquota 2,03% deve essere indicata con il valore 0203 (4 cifre).

Vedasi anche

Fonte: INPS

Parlamento: convertito in Legge il decreto in materia di immigrazione

Parlamento: convertito in Legge il decreto in materia di immigrazione

È stata pubblicata, sulla Gazzetta Ufficiale n. 283 del 4 dicembre 2023, la Legge 1° dicembre 2023, n. 176, di conversione con modificazioni, del Decreto Legge 5 ottobre 2023, n. 133, con disposizioni urgenti in materia di immigrazione e protezione internazionale, nonché per il supporto alle politiche di sicurezza e la funzionalità del Ministero dell’interno.

 

il Testo coordinato

INPS: comunicazione del reddito 2024 per l’erogazione della NASpI

INPS: comunicazione del reddito 2024 per l’erogazione della NASpI

L’INPS, con il messaggio n. 4361 del 5 dicembre 2023, ricorda che per le prestazioni di disoccupazione NASpI in corso di fruizione, in riferimento alle quali durante l’anno 2023 è stata effettuata la dichiarazione relativa al reddito annuo presunto, con indicazione di reddito diverso da “zero”, è necessario comunicare entro il 31 gennaio 2024 anche il reddito presunto riferito all’anno 2024.

Tale adempimento è indispensabile anche se il reddito annuo presunto per l’anno 2024 è pari a “zero”.

In assenza della predetta comunicazione l’erogazione della prestazione NASpI verrà sospesa al 31 dicembre 2023.

Ai soggetti che abbiano invece comunicato per il 2023 un reddito presunto pari a “zero” l’erogazione della prestazione non verrà sospesa, fermo restando l’obbligo di comunicazione entro il 31 gennaio 2024 nel caso in cui prevedano di produrre per l’anno 2024 un reddito diverso da “zero”.

Vedasi anche la circolare n. 94 del 12 maggio 2015 (paragrafo 2.10), in merito alla disciplina dell’attività lavorativa in corso di prestazione NASpI.

Fonte: INPS

INAIL: gestione eventi lesivi e servizi dispositivi – nuovi servizi per datori di lavoro e delegati

INAIL: gestione eventi lesivi e servizi dispositivi – nuovi servizi per datori di lavoro e delegati

L’Inail informa che a partire dal 7 dicembre sono disponibili i nuovi servizi online, dedicati ai datori di lavoro, e ai loro delegati, riguardanti gli eventi lesivi e i servizi dispositivi.

Gestione eventi lesivi
Il nuovo servizio online per il datore di lavoro affinché possa avere informazioni, aggiornamenti e funzionalità di interesse in relazione all’area prestazioni e prevenzione in modo da verificare in maniera complessiva:

  • gli adempimenti normativi a su carico con il relativo stato di lavorazione, ovvero le comunicazioni di infortunio, le denunce di infortunio, di malattia professionale e di silicosi/asbestosi in stato di bozza, da inviare, inviate e protocollate;
  • il cambio di stato in “Pratica” quando la sede Inail competente prende in carico l’istruttoria lavorandola fino alla chiusura del caso;
  • le notifiche di atti istruttori, inoltrate dalle sedi Inail competenti, a seguito delle quali l’utente può accedere agli appositi servizi dispositivi che consentono di compilare e inviare online alcuni dei questionari, finora inviati per posta ordinaria/Pec, ad integrazione della denuncia di infortunio o di malattia professionale precedentemente trasmessa.

Inoltre, dal menu principale di gestione eventi lesivi è possibile accedere ai servizi online dell’area prestazioni e prevenzione:

  • Denuncia/Comunicazione di infortunio
  • Denuncia di malattia professionale
  • Denuncia di silicosi/asbestosi
  • Comunicazione di infortunio
  • Cruscotto infortuni
  • Ricerca certificati medici

Servizi dispositivi

La compilazione dei servizi dispositivi è richiesta dall’Istituto tramite un atto istruttorio inviato al datore di lavoro ad integrazione delle informazioni mancanti nelle denuncia, utili alla sede Inail per l’istruttoria della pratica.

In particolare, riguardano i dati retributivi mancanti nella Denuncia/Comunicazione di infortunio o nella Denuncia di malattia professionale inviata dai datori di lavoro della gestione Iaspa (“Dati retributivi per il calcolo dell’indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta (lavoratore a tempo pieno)” e “Dati retributivi per il calcolo dell’indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta (lavoratore a tempo parziale)”) oppure, per la sola Denuncia/Comunicazione di infortunio delle gestioni Iaspa e per conto dello Stato, in caso infortunio in itinere (“Informazioni del datore di lavoro per infortunio occorso durante lo spostamento in attualità di lavoro o in itinere”).

I servizi dispositivi possono essere compilati e inviati direttamente dal datore di lavoro oppure su specifica richiesta da parte della sede Inail competente tramite atto istruttorio.

Per i dettagli sull’utilizzo del servizio online “Gestione eventi lesivi” e sulla compilazione dei tre servizi dispositivi, si rinvia ai relativi manuali utente disponibili sul portale istituzionale nelle pagine dedicate alla comunicazione di infortunio e alle denunce di infortunio e di malattia professionale.

INAIL: retribuzione convenzionale dei medici per le malattie e causate dai raggi X

INAIL: retribuzione convenzionale dei medici per le malattie e causate dai raggi X

L’Inail ha pubblicato la circolare n. 54 del 6 dicembre 2023, con la quale fornisce determinazione della retribuzione convenzionale e rivalutazione delle prestazioni economiche dei medici per le malattie e le lesioni causate dall’azione dei raggi X e sostanze radioattive con decorrenza 1° luglio 2023.