Archivio mensile:febbraio 2013

Infortuni

Fillea Cgil: Dati Inail virtuali, dal 2008 gli infortuni sono cresciuti del 28 per cento

“Senza un nuovo sistema statistico l’Inail continuerà a fornire dati virtuali e non reali”. L’accusa è della Fillea Cgil che incrocia i dati Inail e quelli delle Casse Edili stimando un aumento degli infortuni del 6% e di quelli mortali del 28% tra 2008 e 2011. Una cifra che sfiora il 47% se rapportato al numero degli addetti, calato in due anni del 40%.

A confutare i dati 2012 anticipati oggi dal direttore generale dell’Inail, è Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil che parla, per il settore edile, di “dati che raccontano una storia completamente diversa”. 

Nel mirino del sindacato il fatto che l’Inail non abbia “registrato’ il contemporaneo calo della forza lavoro imposto dalla crisi e non abbia tarato il dato degli infortuni rispetto alla nuova platea.

Per l’Inail in questi anni – spiega ancora Schiavella – si sarebbe verificata nell’edilizia una positiva flessione infortunistica: nel 2009 – 16,2% gli infortuni e – 1,4% i morti, nel 2010 – 12,4% e – 6,1%, nel 2011 -14,17% e – 10.8%; percentuali che corrisponderebbero alla realtà solo se avessimo ogni anno la medesima platea di addetti e di ore lavorate. In presenza di una platea ridotta, una reale riduzione degli infortuni c’è solo se la percentuale di questi ultimi fosse inferiore alla percentuale della riduzione degli addetti e delle ore lavorate. Ma così non è stato e non è”, prosegue il sindacato”.

Infatti, l’incrocio dei dati Inail e Casse Edili 2011 su 2008 porta la Fillea a conclusioni “drammatiche”: gli infortuni non si sono ridotti, ma sono cresciuti di quasi il 6%, e i morti non sono diminuiti, ma aumentati di quasi il 28%”. 

Schiavella sottolinea come l’aumento degli infortuni risulti comunque contenuto “solo perchè i lavoratori sono spinti a non denunciare gli infortuni meno gravi e se ne restano a casa in cambio di un risarcimento in nero da parte del datore di lavoro”.

Esodati

Pensioni: il Ministero fornisce le prime indicazioni operative sui 55 mila esodati

Mentre l’Inps procede all’invio delle lettere che riconoscono la qualifica di “salvaguardato” al primo blocco di 65.000 lavoratori, che potranno andare in pensione con i requisiti pensionistici esistenti prima dell’entrata in vigore della legge pensionistica Monti-Fornero, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali fornisce le prime indicazioni operative sul secondo contingente di 55.000 lavoratori “salvaguardati”, in attuazione del decreto dell’8 ottobre 2012 pubblicato, finalmente, il 21 gennaio 2013 sulla Gazzetta Ufficiale  n.17.

Con il decreto il legislatore stabilisce che i requisiti di accesso alla pensione e il regime delle decorrenze (finestre) vigenti prima della legge Monti-Fornero continuano ad applicarsi ad altri 55.000 lavoratori, anche se maturano i requisiti pensionistici successivamente al 31 dicembre 2011

La nuova platea di lavoratori interessati costituisce un “blocco” a sé stante; infatti, pur presentando alcune analogie con quanto stabilito per i primi 65 mila salvaguardati, il decreto riduce le tipologie di lavoratori ammessi alla deroga e, per alcune di esse, modifica presupposti e condizioni  di accesso alla salvaguardia.  

Il decreto dell’8 ottobre 2012 suddivide il contingente numerico di 55.000 lavoratori in quattro categorie: 40 mila collocati in mobilità sulla base di accordi stipulati in sede governativa entro il 31 dicembre 2011; 1.600 posti a carico dei fondi di solidarietà; 7.400  autorizzati ai versamenti volontari; 6.000  lavoratori e  lavoratrici licenziati sulla base di accordi individuali e collettivi all’esodo.
 
Per poter usufruire della deroga,

 i lavoratori in mobilità ordinaria e lunga devono:

–  essere destinatari di programmi di gestione della manodopera eccedente previsti da accordi governativi stipulati  entro il 31 dicembre 2011; 

– aver cessato l’attività lavorativa prima o dopo il 4.12.2011;

– i lavoratori in mobilità ordinaria devono perfezionare i requisiti ante Monti-Fornero durante il periodo di fruizione dell’indennità.

 i lavoratori e le lavoratrici  posti a carico dei fondi di solidarietà devono:

– essere destinatari di accordi stipulati entro e non oltre il 4 dicembre 2011,

– essere titolari dell’assegno straordinario in data successiva al 4 dicembre 2011 purché l’accesso alla prestazione sia stata autorizzato dall’Inps,

– restare comunque a carico dei fondi di sostegno al reddito fino al compimento di 62 anni di età.

I lavoratori e le lavoratrici autorizzati ai versamenti volontari devono:

– aver avuto l’autorizzazione al versamento prima del 4 dicembre 2011,

– perfezionare i requisiti anagrafici e contributivi in modo da poter avere la decorrenza del trattamento pensionistico entro il 6.12.2014. Ciò significa che i dipendenti dovranno essere in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di vecchiaia o di anzianità con la “quota” entro novembre 2013, mentre i lavoratori autonomi, o i lavoratori dipendenti che accedono al pensionamento con contribuzione mista, dovranno perfezionarli entro maggio 2013; 

– avere almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile al 6 dicembre 2011;

– non aver ripreso l’attività lavorativa successivamente all’autorizzazione alla prosecuzione volontaria.

I lavoratori e le lavoratrici che hanno risolto il rapporto di lavoro in ragione di accordi individuali  o collettivi devono:

– aver lasciato l’attività entro il 31.12.2011;

– aver diritto alla decorrenza della pensione entro il 6.12.2014;

– non essersi successivamente rioccupati in qualsiasi altra attività lavorativa.

Per quanto attiene i lavoratori autorizzati ai versamenti volontari e i cessati con accordi individuali o collettivi, l’anzianità contributiva di 40 anni dovrà essere raggiunta entro settembre 2013, se si è lavoratore dipendente (con un differimento della decorrenza della pensione di 14 mesi), entro marzo 2013, se lavoratori autonomi (con un’attesa di 20 mesi).

Una importante novità del decreto riguarda l’obbligo, per le imprese che hanno stipulato accordi di mobilità ordinaria o lunga in sede governativa, di comunicare alla Direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali i nominativi dei lavoratori licenziati e messi in mobilità ordinaria.

Detta comunicazione doveva avvenire entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto (20 febbraio 2013) per i lavoratori licenziati entro il 31 dicembre 2012, quindi, anche prima del 4 dicembre 2011. 

Per quelli licenziati dopo tale data, la comunicazione dovrà pervenire al Ministero entro il 31 marzo di ogni anno a partire dal 2012. In entrambi i casi, l’azienda compilerà un elenco nominativo indicando per ciascun lavoratore la data di cessazione dall’attività.

Per quanto riguarda le modalità di riconoscimento della salvaguardia per i lavoratori titolari di prestazione straordinaria e autorizzati alla prosecuzione, il Ministero e gli Enti previdenziali non si sono ancora pronunciati. Tuttavia, secondo l’Inca, anche per queste tipologie di lavoratori verrà effettuato il monitoraggio da parte degli Istituti previdenziali, così come è avvenuto e  sta avvenendo per i primi 65.000 salvaguardati. 

Nella circolare n. 6/2013 del Ministero del lavoro  si precisa che i 6.000 lavoratori licenziati in base ad accordi individuali e collettivi di incentivo all’esodo dovranno presentare  domanda alle Direzioni Territoriali del Lavoro competenti per ottenere il riconoscimento della categoria di “salvaguardato”. 

L’istanza va ripresentata anche  nel caso in cui il lavoratore  avesse già presentato domanda per il primo blocco dei 65.000, ricevendo esito positivo dalla Direzione territoriale del lavoro, in quanto si agisce sulla base di norme diverse. Si tratta di lavoratrici e lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 31.12.2011 e che maturino la decorrenza della pensione entro il 6.12.2014.

Per individuare la sede della Direzione territoriale del lavoro competente alla quale indirizzare la richiesta si fa riferimento alla residenza del lavoratore. Tuttavia, per coloro che sono stati licenziati in ragione di  accordi individuali, la Direzione competente è quella della sede in cui sono stati sottoscritti tali accordi. 

La domanda alla Direzione territoriale del lavoro va presentata entro 120 giorni dalla pubblicazione del decreto e, quindi, entro il 21 maggio 2013; potrà essere inoltrata dal lavoratore  interessato  personalmente o tramite un ente di patronato quale l’Inca. 

Per quanto riguarda la gestione delle domande di pensione dei primi 65 mila potenziali beneficiari della salvaguardia, l’Inps, anche su sollecitazione dell’Inca, ha invitato le proprie sedi a non adottare provvedimenti di reiezione delle richieste di pensione dei lavoratori che potrebbero, comunque, rientrare nella salvaguardia. 

L’Istituto informa che la domanda di pensione verrà esaminata subito dopo la chiusura della fase di invio delle lettere ai 65.000 salvaguardati. Le richieste che fossero state respinte in queste ultime settimane verranno, dunque, riesaminate. 

L’Inps precisa, inoltre, che gli autorizzati alla contribuzione volontaria e i lavoratori cessati sulla base di accordi all’esodo, per poter accedere alla salvaguardia dei primi 65.000 devono risultare senza lavoro. 

Per l’Istituto, comunque, resta inteso che i lavori socialmente utili non sono considerati “rioccupazione”, mentre l’attività svolta in collaborazione occasionale o con l’utilizzo dei voucher, indipendentemente dal diritto all’accredito della relativa contribuzione, viene considerata dall’Inps preclusiva del diritto alla deroga. 

Gli iscritti alle casse professionali, tenuti al versamento obbligatorio di una contribuzione minima anche in assenza dell’effettivo svolgimento dell’attività professionale, possono rientrare tra i lavoratori salvaguardati, ma devono rilasciare un’apposita dichiarazione di responsabilità attestante di non aver svolto alcuna attività e che l’obbligo del versamento della contribuzione minima non è legato ad attività lavorativa.

A cura dell’area previdenza Inca

Lo sfruttamento dei lavoratori stranieri

Bruxelles. Manifestazione contro lo sfruttamento dei lavoratori stranieri

In una manifestazione che si è tenuta a Bruxelles questo 23 gennaio, i lavoratori dell’edilizia, dei trasporti e dell’agricoltura hanno espresso tutta la loro rabbia per lo sfruttamento e il dumping sociale subito da molti lavoratori stranieri nei luoghi di lavoro. Ogni giorno migliaia di lavoratori sono sfruttati e messi gli uni contro gli altri da imprenditori e intermediari disonesti che, individuate le lacune sul piano legislativo e sul piano operativo, se ne avvalgono per sfruttare i lavoratori come se fossero merce.

Il sindacato europeo denuncia così un sistema in cui “si attirano i lavoratori stranieri con promesse allettanti, si costituiscono società di comodo, si redigono contratti di lavoro e documenti falsi, senza fornire ai lavoratori alcuna tutela sociale e senza pagare gli straordinari e concedere i giorni di ferie spettanti, applicando sui salari trattenute elevate per spese di trasporto, alloggio, vitto”.

“In ultima analisi le vittime sono i lavoratori stranieri – continua il sindacato – che per il proprio lavoro percepiscono una minima parte di quanto, di norma, spetterebbe loro. Le forme di abuso in essere sono ben note da molti anni, tuttavia i politici europei (e in particolare la Commissione) non hanno alcuna volontà di affrontare efficacemente questi problemi. La Commissione europea continua a proclamare il dogma del mercato interno (costituito da imprenditorialità, riduzione degli oneri amministrativi, libera concorrenza) come strumento miracoloso per rendere l’Europa più competitiva e risolvere il problema della disoccupazione. Allo stato attuale, in Europa, la politica ortodossa in materia di lavoro – contesta ancora il sindacato – rimette in discussione e mina alla base la credibilità del progetto europeo. Invece della cittadinanza europea, sono discriminazione e razzismo a crescere”.

“Affinché sia esercitato un controllo migliore sul mercato europeo del lavoro – spiega ancora il sindacato – le federazioni sindacali chiedono l’istituzione di un Europol sociale e di una carta d’identità sociale valida sul territorio europeo, il riconoscimento a livello europeo della responsabilità sociale in capo ai committenti e agli appaltatori principali, la formulazione di definizioni più chiare, tali da operare una netta distinzione fra lavoratori autonomi effettivi e lavoratori dipendenti, nonché controlli severi a livello nazionale svolti in base a obiettivi ben definiti. Per adottare le misure sopra descritte – conclude la nota – occorrono, da parte dei nostri politici europei, coraggio e risolutezza.

Ocse

Ocse. Mancanza di sostegno alla maternità danneggia le donne

In tutto il mondo le donne pagano ancora un prezzo troppo alto per la maternità: gli uomini partecipano poco al carico di lavoro domestico, i servizi di assistenza all’infanzia hanno spesso costi troppo alti o semplicemente non sono disponibili, e tutto questo impedisce a molte donne di lavorare di più, o di accedere ad un lavoro giustamente retribuito. Questo, in sintesi, secondo un nuovo Rapporto Closing the Gender Gap: Act Now sulla condizione di genere pubblicato dall’Ocse.

Secondo l’Ocse, l’accesso all’istruzione ha contribuito ad un aumento in tutto il mondo della partecipazione delle donne alla forza lavoro, ma restano notevoli differenze per quanto riguarda l’orario di lavoro e le condizioni di lavoro e di guadagno. Nei paesi Ocse gli uomini guadagnano in media il 16% in più rispetto alle donne a parità di lavori a tempo pieno. Il divario è ancora più alto nella parte superiore della scala salariale, dove la differenza di retribuzione tra uomini e donne raggiunge il 21%, confermando la persistenza del “tetto di vetro” che impedisce alle donne di progredire giustamente nella loro carriera.

Il divario di retribuzione media tra uomini e donne cambia in funzione del numero di figli. Nelle famiglie con uno o più figli il divario è del 22%, mentre scende al 7% per le coppie senza figli. Nel complesso la perdita salariale collegata alla maternità è del 14%. Ai due estremi la Corea, con un gap salariale del 47% in presenza di almeno un figlio, e l’Italia con un gap del 3%.

Migliorare il sistema fiscale e previdenziale per i genitori che lavorano aiuterebbe ad affrontare meglio il divario. In presenza di figli, il fisco preleva infatti, in media, più della metà (52%) del secondo salario della famiglia. Questa percentuale supera il 65% in Australia, Germania, Irlanda, Svizzera, Stati Uniti e nel Regno Unito.

Non è soltanto il fisco che “mangia uno stipendio”. In presenza di figli è spesso impossibile che entrambi i genitori lavorino, o che la donna lavori a tempo pieno. Il lavoro part-time tra le donne è più comune in Austria, Germania, Irlanda, Paesi Bassi e Regno Unito. Tenendo conto del lavoro a tempo parziale, il divario salariale tra uomini e donne raddoppia in molti paesi europei, e tripla in Irlanda e nei Paesi Bassi.

La crisi ha inoltre comportato tagli drastici dell’occupazione nel settore pubblico, dove le donne rappresentano quasi il 60% della forza lavoro. Secondo l’Ocse, occorre aumentare il diritto individuale dei padri al congedo parentale su base del criterio “use it or lose it” (prendere o lasciare). Gli uomini sono insomma essenziali per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro: i paesi con il più piccolo divario di genere nella distribuzione del lavoro (paesi scandinavi in testa) non retribuito sono anche quelli con i più alti tassi di occupazione femminile.

Avendo lavorato meno in occupazioni formalmente retribuite, e avendo svolto più lavoro non retribuito, molte donne hanno pensioni più basse e rischiano di finire i loro ultimi anni in povertà. Vivendo in media quasi 6 anni in più rispetto agli uomini, le donne sopra i 65 anni hanno più di una volta e mezzo più probabilità di vivere in povertà rispetto agli uomini della stessa fascia di età.

Il rapporto Ocse presenta anche nuove prove del divario di genere in ambito imprenditoriale. La percentuale di imprese femminili è di circa il 30% nei paesi Ocse. Anche nel lavoro autonomo le donne guadagnano 30-40% in meno rispetto ai colleghi maschi. Migliorare l’accesso delle donne al finanziamento delle imprese è fondamentale, dice l’Ocse.

In materia di istruzione, le donne hanno fatto grandi passi in avanti in tutto il mondo nel corso degli ultimi due decenni, anche se soffrono ancora di disparità di accesso in alcuni paesi in via di sviluppo. Nei paesi dell’Ocse, le ragazze hanno spesso risultati scolastici migliori dei maschi e hanno maggiori probabilità di rimanere a scuola fino a 18 anni e oltre. Ma le ragazze hanno meno probabilità di scegliere corsi di studio più utili ai fini del lavoro e della retribuzione. L’Ocse raccomanda pertanto di aumentare la consapevolezza delle conseguenze delle scelte educative sulla carriera e le prospettive di guadagno. Ma il cambiamento delle percezioni e delle norme sociali richiede tempo e deve avvenire sia a scuola che a casa. Le società – conclude il Rapporto Ocse – devono anche fare del loro meglio per approfittare di questi maggiori investimenti in capitale umano da parte delle donne, poiché all’aumento del livello di istruzione scolastica femminile non corrisponde ancora pienamente una loro giusta partecipazione alla vita professionale.

 

Italia penalizzata dalla scarsa partecipazione femminile al lavoro

Come nella maggior parte dei paesi Ocse, in Italia nelle ultime generazioni le donne hanno risultati migliori degli uomini negli studi. Nel 2010, il 59% dei laureati italiani erano donne, ma la presenza femminile cala tra le specializzazioni che offrono migliori opportunità nel mondo del lavoro: 15% tra i laureati in scienze informatiche e 33% tra i laureati in ingegneria. All’età di 15 anni, queste professioni attirano più del 20% dei ragazzi italiani ma meno del 5% delle ragazze.

L’Italia è il terz’ultimo paese Ocse per livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro: 51% contro una media Ocse del 65%, peggio di noi soltanto India e Turchia. Meno del 30% dei bambini italiani al di sotto dei tre anni usufruisce dei servizi all’infanzia e il 33% circa delle donne Italiane lavora part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari (la media Ocse è 24%). Il tempo dedicato dalle donne italiane al lavoro domestico e di cura – in media 3,6 ore al giorno in più rispetto agli uomini – limita la loro partecipazione al lavoro retribuito.

Una maggiore partecipazione femminile al lavoro non solo aiuta a sostenere il reddito familiare, ma contribuisce anche a mitigare la pressione che deriva dall’invecchiamento della popolazione. Le proiezioni Ocse mostrano che – a parità di altre condizioni – se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i livelli maschili, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il PIL pro-capite crescerebbe di 1 punto percentuale l’anno.

Le differenze di genere nei salari, nel settore di occupazione e nella progressione professionale sono meno pronunciate in Italia che in altri paesi Ocse poiché, più che altrove, le donne con salari più bassi hanno maggiore probabilità di lasciare il mercato del lavoro. Nel 2010 le donne erano un terzo dei manager e, nel 2009, il 7% dei membri dei consigli di amministrazione delle aziende quotate (media Ocse 10%). Le donne italiane continuano inoltre ad essere una minoranza tra gli imprenditori e si concentrano in imprese di piccole e medie dimensioni: nel 2010 il 22% degli imprenditori con lavoratori dipendenti erano donne, ma il loro reddito era solo la metà di quello degli uomini nella stessa categoria.

Le recenti riforme varate in Italia sulla composizione dei consigli di amministrazione promuovono una maggiore uguaglianza di genere, alla quale dovrebbe contribuire – secondo l’Ocse – anche l’introduzione del congedo di paternità retribuito e obbligatorio. L’introduzione dei voucher attribuiti alle madri lavoratrici che riprendono l’attività lavorativa, in alternativa al congedo parentale, oltre ad offrire ai genitori lavoratori più scelta per la cura dei figli, potrebbe portare ad una più equa distribuzione del lavoro retribuito e non retribuito tra uomini e donne. Tuttavia l’effetto complessivo della riforma deve essere valutato anche sulla base dei tagli ai fondi pubblici allocati per i servizi all’infanzia, che si aggiungono ad una probabile riduzione nella cura informale fornita dai nonni legata all’innalzamento dell’età di pensionamento. Il contributo che le donne italiane potranno dare al mondo del lavoro, alla sicurezza economica delle famiglie e alla crescita dell’economia – conclude l’Ocse – dipenderà anche dalla misura in cui gli uomini italiani saranno pronti a contribuire al lavoro domestico e alla cura della famiglia.

L’Europa chiede all’Italia il rispetto delle norme UE

Lavoro a tempo determinato. L’Europa chiede all’Italia il rispetto delle norme UE

La Commissione europea ha chiesto all’Italia di applicare appieno la direttiva sul lavoro a tempo determinato (1999/70/CE) che obbliga tutti gli Stati membri a porre in atto l’accordo quadro sottoscritto dalle organizzazioni europee che rappresentano sindacati e datori di lavoro, in cui si delineano i principi generali e i requisiti minimi applicabili ai lavoratori con contratto a tempo determinato.

In particolare, la direttiva contiene una disposizione assoluta che impone di prendere in considerazione i lavoratori con contratto a tempo determinato in sede di calcolo della soglia a partire dalla quale, ai sensi delle disposizioni nazionali, devono costituirsi gli organi di rappresentanza dei lavoratori. Le pertinenti norme italiane violano i requisiti della direttiva poiché tengono conto solo dei contratti a tempo determinato superiori a nove mesi ai fini di tale calcolo. Ciò significa che i lavoratori con contratto di durata inferiore a nove mesi non vengono conteggiati all’atto di valutare se un’impresa sia sufficientemente grande per essere tenuta a istituire organi di rappresentanza dei lavoratori.

La richiesta della Commissione si configura quale parere motivato a norma delle procedure d’infrazione dell’UE. L’Italia dispone ora di due mesi per notificare alla Commissione le misure adottate per dare piena attuazione alla direttiva. In caso contrario la Commissione può decidere di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia europea.

Rischio di povertà

Europa, più di 1 minore su 4 è a rischio di povertà

Nell’Unione europea, il 27% dei bambini sotto i 18 anni sono a rischio di povertà o di esclusione sociale. Il rischio di povertà è superiore tra i bambini che nel resto della popolazione, aumenta quando il livello di istruzione dei genitori è basso e quando almeno uno dei genitori è immigrato.

Questi, in sintesi, i risultati dell’inchiesta europea sulle condizioni di reddito e di vita nei 27 paesi Ue resi noti ieri da Eurostat, l’Istituto di statistiche della Commissione europea. 

I dati, relativi all’anno 2011, prendono in conto diversi fattori che influenzano la povertà infantile, come la composizione del nucleo familiare in cui vivono e la situazione dei loro genitori sul mercato del lavoro. 

Più concretamente, questo significa che più di un minore su quattro è esposto ad almeno uno dei seguenti fattori: rischio di povertà, grave deprivazione materiale, famiglia a bassissima intensità di lavoro. Nella maggior parte degli Stati membri, i bambini sono i più colpiti da almeno una di queste tre forme di povertà rispetto agli adulti e agli anziani. 

Il rischio di povertà e di esclusione sociale è del 24% tra gli adulti (18-64 anni) e del 21% degli anziani (65 e oltre). Le più alte percentuali di minori a rischio di povertà o di esclusione sociale sono state registrate in Bulgaria (52%), Romania (49%), Lettonia (44%), Ungheria (40%), Irlanda (38%), Lituania (33%) e Italia (32%). Le più basse in Svezia, Danimarca e Finlandia (16%), Slovenia (17%), Paesi Bassi (18%) e Austria (19%).

Nelle famiglie in cui i genitori hanno un basso livello di istruzione (cioè, entro il primo ciclo di istruzione secondaria), quasi un minore su due (49%) è a rischio di povertà. Nelle famiglie i cui genitori hanno un livello di istruzione medio (secondo ciclo di istruzione secondaria) il rischio di povertà dei minori è del 22% ed è appena del 7% per i figli di genitori con più elevati livelli d’istruzione (laureati e simili).

In tutti gli Stati membri, il rischio di povertà per i bambini diminuisce all’aumentare del livello d’istruzione dei genitori. Le maggiori differenze in termini di rischio di povertà, in funzione del livello d’istruzione dei genitori, sono state trovate in Romania (78% dei bambini a rischio di povertà nelle famiglie con bassi livelli di istruzione, 2% in famiglie con alti livelli d’istruzione), Repubblica Ceca (76% e 5%), Slovacchia (77% e 7%), Bulgaria (71% e 2%) e Ungheria (68% e 3%). Le differenze minori in Danimarca 17% e 5%) e Finlandia (24% e 6%).

Anche in Italia le differenze sono alte: è a rischio povertà, infatti, il 44% dei minori nelle famiglie con bassi livelli d’istruzione, contro il 7% nelle famiglie con livelli d’istruzione elevati.

Altro fattore di discriminazione importante registrato da Eurostat, il luogo di nascita dei genitori. I figli d’immigrati, vale a dire quelli con almeno un genitore nato in un paese diverso da quello di residenza attuale, hanno infatti un rischio di povertà maggiore rispetto al resto della popolazione. Più precisamente, è a rischio di povertà il 32% dei minori con almeno un genitore nato all’estero, contro il 18% dei minori di cui entrambi i genitori sono nati nell’attuale paese di residenza. 

Le percentuali più alte di rischio di povertà tra i figli d’immigrati sono state registrate in Spagna 46%, Grecia 43% e Francia (39%). Le più basse nella Repubblica Ceca (15%), in Estonia (17%) e Malta (18% ).

In Italia, il rischio di povertà è del 33,5% per i figli d’immigrati e del 24,4% per i figli di genitori nati nell’attuale paese di residenza.

(Carlo Caldarini, Bruxelles, febbraio 2013)

INAIL

Inail: nel 2012 diminuiscono incidenti mortali e infortuni a causa della crisi

Con 654mila denunce all’Inail, nel 2012 il numero degli infortuni sul lavoro risulta in calo di circa il 9% rispetto all’anno prima. Mentre l’Istituto stima ”di non superare in ogni caso 870 incidenti mortali, con una flessione di almeno il 3% rispetto agli 893 del 2012”. 

Lo ha anticipato, in attesa dei dati ufficiali, il direttore generale dell’Inail, Giuseppe Lucibello, ospite di “L’Economia Prima di Tutto” su RadioUno.

La crisi, ammette l’Inail, pesa molto su questa riduzione: “la diminuzione dell’attività produttiva ha pesato nel 2012 su questo calo più di quanto sia avvenuto nel 2011: si può quantificare in una quota pari a circa il 50% di questa riduzione degli infortuni”, spiega Lucibello, che individua nell’agricoltura e in alcuni settori dell’industria gli ambiti dove è necessario fare più sforzi per controlli e prevenzione.

“Al prossimo governo, qualunque esso sia – avverte Lucibello -, nonostante l’incertezza politica e l’emergenza economica, l’Inail chiede di mantenere la massima attenzione sul tema della sicurezza sul lavoro. Le priorità del welfare nell’ultimo periodo sono state probabilmente altre, ma il prossimo governo deve rimettere al centro l’idea che investire in sicurezza conviene. Per farlo però non bastano le risorse che abbiamo nel sistema.

      (Ansa e Adnkronos)

Sanità

Sanità: UE, più protezione per lavoratori esposti ad agenti chimici dannosi

Proteggere meglio i lavoratori esposti ad agenti chimici dannosi sul luogo di lavoro. E’ l’obiettivo della Commissione europea che ha presentato una proposta per la modifica di cinque direttive Ue su sanità, sicurezza nell’uso di prodotti chimici pericolosi, per rialineare le disposizioni alle nuove regole sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio. 

La proposta della Commissione verrà trasmessa al Parlamento e al Consiglio dei ministri dell’Unione per l’approvazione. Il provvedimento – che riguarda milioni di operatori europei dell’industria manifatturiera, servizi, agricoltura, sanità – obbliga i produttori e i fornitori di sostanze e miscele chimiche ad indicare in etichetta: le informazioni riadeguate alla classificazione dei danni, avvisi e informazioni agli utilizzatori sulla presenza di agenti dannosi, sulla necessità di evitare un’esposizione ai prodotti e i rischi legati all’uso.

Si potranno usare le informazioni nella valutazione del rischio e per mettere in campo misure adeguate di gestione del pericolo (ventilazione, equipaggiamento di protezione individuale, procedure speciali). 

La proposta della Commissione è stata al centro di due cicli di consultazione, su scala europea, con i rappresentati dei produttori e dei sindacati ed è stata dibattuta dal comitato consultivo per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro.

      (Adnkronos)

Malattie professionali in agricoltura

Malattie professionali in agricoltura

Nella newsletter medico legale dell’Inca, n. 4 del 2013, il patronato della cgil analizza i rischi professionali che emergono tra i lavoratori e le lavoratrici addetti all’attività di potatura, piantumazione e raccolta.

Si prosegue, quindi, l’analisi del recente lavoro INAIL CONTARP dal titolo “Schede di rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nei comparti della piccola industria, dell’artigianato e dell’agricoltura” affrontando la parte della pubblicazione che concerne i  rischi in diverse attività agricole  di potatura e piantumazione di alberi da frutto o di raccolta dei frutti.

Si tratta di situazioni lavorative oggetto di costante attenzione in ambito sia di  medicina del lavoro  che di prevenzione  e per le quali come Patronato, da anni, avviamo alla tutela i casi di patologie muscoloscheletriche dell’arto superiore.

Nel valutare le diverse schede occorre ribadire come i lavoratori del settore agricolo passino, nell’arco dell’anno, da una all’altra attività spesso senza soluzione di continuità e questo dato deve essere ben presente all’atto della valutazione del rischio lavorativo concreto.

I viticoltori, infatti, appaiono essere far le figure professionali maggiormente interessate a patologie del polso (TC), del gomito (epicondiliti) delle spalle (tendiniti e tendinosi) e della colonna vertebrale sia cervicale che lombare. 

Fra le cause di dette patologie registriamo:

• gesti ripetuti e di forza della mano e dell’arto superiore;

• movimentazione manuale di carichi;

• vibrazioni alla guida dei mezzi su terreni scoscesi e sconnessi

Tali rischi vengono, poi, ampliati nel momento in cui il lavoro viene svolto in condizioni climatiche sfavorevoli (freddo, umidità), con ritmi sostenuti dettati dalle particolari condizioni contrattuali ecc.
Un recente studio pubblicato su “Travail et Securitè”  che  ha  indagato i diversi compiti degli addetti ai vigneti  calcola in 12.000 i gesti di chiusura delle cesoie che questi lavoratori sono chiamati a compiere.

Sul tema si segnala, poi, anche uno studio di caso pubblicato nel 2010 dall’OSHA  e condotto fra i viticoltori della regione del porto.

Scheda 1: Potatura invernale vite con forbici manuali. 
In questa attività l’operatore procede alla “potatura delle viti disposte in filari, tramite l’utilizzo di forbici manuali con presenza di molla di ritorno”.

Generalmente la potatura invernale in vigneto viene portata a termine nel mese di marzo, “sfruttando le giornate meteorologicamente favorevoli, in numero direttamente correlabile all’estensione del vigneto ed anche al numero di operatori presenti. Ne consegue di norma, la necessità di dedicare a tale compito l’intera giornata lavorativa”.

L’operatore è costretto (per tempistiche diverse) ad operare con le mani poste al di sopra delle spalle o addirittura del capo. Sempre per quanto concerne le posture il polso destro assume posture incongrue con la mano in grip non ottimale per il mantenimento delle forbici per  tutto il tempo di lavoro.
Dopo aver descritto nel dettaglio i fattori di rischio e indicato un rischio,  per attività di 8 ore, di tipo medio.
 
Scheda 2: Potatura invernale albicocco con forbici elettroniche. 

In questo caso l’operatore procede alla potatura delle piante di albicocco tramite l’utilizzo di forbici elettroniche “corredate di bretella porta batteria a spalla”.

Particolare attenzione viene posta al tema delle posture in quanto sia la mano destra che quella sinistra sono mantenute al di sopra del capo, rispettivamente per più della metà e per circa 1/3 del tempo di ciclo. Polsi e gomiti di entrambi gli arti sono in postura incongrua per circa 1/3 del ciclo. La mano sinistra è in presa pinch per circa la metà del ciclo, per la rimozione dei rami potati mentre la mano destra è in grip.

In questo caso in relazione al “mantenimento (azione tecnica statica prevalente) delle forbici con l’arto dx per tutto il ciclo, alla “presenza di stereotipia elevata a carico di entrambi gli arti”, alla necessaria applicazione di forza di grado lieve, alle particolari posture necessarie è indicato un rischio elevato per adibizioni, per attività uguali o superiori a 4h.

Scheda 3: Raccolta mele 

Anche per la raccolta mele ci può essere un rischio elevato per gli operatori. Durante tale tipologia di raccolta l’operatore provvede a: 
-“raccogliere manualmente le mele al fine di deporle in una cesta appoggiata sul terreno, operando al contempo la selezione fra quelle commerciabili e le mele non commerciabili; 
-trasportare la cesta sul pianale del mezzo di trasporto in uso; 
-trasferire le mele dalle ceste in apposite cassette”.

L’arto destro nella raccolta delle mele è chiamato ad effettuare movimenti molto rapidi e costanti, inoltre le braccia sono mantenute senza appoggio quasi ad altezza di spalle rispettivamente per 1/3 del tempo di ciclo per il braccio destro e per il 10% del tempo di ciclo nel caso dell’arto di sinistra. Il polso destro assume posture incongrue per circa 1/3 del ciclo. Entrambe le mani sono in presa pinch/semipalmare per tutto il ciclo.
 
I realizzatori dello studio  nel formulare proposte preventive “ed è bene non dimenticare che “con un’adibizione giornaliera alla suddetta attività inferiore a 4 ore, i rischi a carico dell’arto dx potrebbero anche essere di lieve entità e quelli all’arto sx di entità molto lieve/accettabile”, ci consegnano un elemento importante per la tutela assicurativa.

Scheda 4: Piantumazione fragole. 

Per la piantumazione l’operatore “procede alla zappatura del terreno con una paletta, poi riduce, con le forbici, le radichette di ciascuna piantina ed infine inserisce nel terreno queste ultime singolarmente, con l’ausilio di un’apposita forchetta”. Piantumazione che viene “portata a termine in estate, generalmente a fine luglio, sfruttando le giornate meteorologicamente favorevoli in numero direttamente correlabile all’estensione del fondo ed anche al numero di operatori presenti”. 
In particolare in questa attività spesso gli operatori, “nel portare a termine il compito in esame, mantengono la postura inginocchiata/accovacciata, alzandosi in piedi solamente per spostarsi lungo il filare e per prelevare le cassette ricolme di piantine da piantumare”.
 
Come per la raccolta delle mele se il lavoratore è adibito giornalmente alla piantumazione delle fragole per un tempo inferiore a 4 ore, “i rischi a carico dell’arto dx potrebbero essere di entità lieve/molto lieve e quelli all’arto sx di entità molto lieve/accettabile” (dalle 6 ore in su il rischio è elevato).

Scheda 5: Raccolta fragole. 

In questo caso l’operatore “procede manualmente alla raccolta delle fragole, operando la selezione fra quelle commerciabili e le fragole non commerciabili. Le fragole raccolte vengono poste in appositi contenitori di plastica (600 -800 g di peso ciascuno, a pieno carico), a loro volta posizionati in cassette (n. 10 contenitori a cassetta)”. Anche in questo caso gli operatori, nel portare a termine la raccolta, “mantengono la postura inginocchiata/accovacciata, alzandosi in piedi solamente per spostarsi lungo il filare e per posizionare i contenitori in plastica. Nel ciclo lavorativo analizzato non è stata considerata la movimentazione delle cassette dal mezzo in uso al fondo e viceversa”.
 
Valgono gli stessi interventi di prevenzione visti per la fase di piantumazione. In questo caso si arriva ad un rischio elevato se l’operatore è adibito alla raccolta per almeno otto ore (rischio medio, per l’arto dx da 4h in su).

Scheda 6: Raccolta olive con abbacchiatore elettromeccanico.

Nella raccolta delle olive l’operatore “con apposito abbacchiatore (agevolatore) elettromeccanico, procede alla raccolta delle olive”. Nella scheda si fa riferimento a un abbacchiatore elettromeccanico “corredato di asta telescopica di lunghezza regolata a 2.5 m e batteria collocata in apposito zainetto a spalla”.

La scheda sottolinea inoltre che l’operatore, contestualmente alla raccolta delle olive, può portare a termine “anche fasi lavorative non ripetitive, quali la stesura dei teli, l’incassettamento delle olive e la movimentazione delle cassette di olive”.

Aziende confiscate

Lavoro: Delrio aderisce a proposta Cgil su aziende confiscate

Il sindaco di Reggio Emilia e presidente Anci, Graziano Delrio, ha firmato la proposta di legge di iniziativa popolare per l’emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata “Io riattivo il lavoro”. La proposta di legge è stata avanzata dalla Cgil nazionale e vi hanno aderito Libera, Arci, Acli, Sos Impresa, Avviso Pubblico, Legacoop, Pio La Torre Onlus.

“E’ una battaglia importante per un’economia sana e per le coscienze – ha detto Delrio -. La legge intende fare davvero delle aziende sequestrate dei presidi democratici e combattere anche sul piano economico e degli strumenti legali la Mafia Spa. 

“Ho toccato con mano – ha precisato Delrio -, attraverso l’esperienza delle sindache della Locride, la difficoltà nel contrastare i meccanismi di infiltrazione e nel sostenere la diffusione di un’economia sana. Appoggiare questa proposta di legge è importante per dare appoggio ai lavoratori e alle lavoratrici delle imprese confiscate, per dare un futuro ad una economia sana. Nello stesso tempo è una battaglia che è giusto sia abbracciata da tutte le città italiane e dalle coscienze di tutti i cittadini, perché la criminalità organizzata ha preso piede in tutto il territorio nazionale”. 

(ANSA).

INPS

Inps: disavanzo 2013 sale a 10,7 miliardi, pesa rosso Ipdap

Sale ancora il disavanzo finanziario di competenza dell’Inps, per il 2013 atteso a 10.721 milioni di euro, 2.762 milioni in più rispetto ai 7.959 milioni previsti per il 2012. A pesare è sempre l’incorporazione dell’ex Inpdap (insieme all’ex Enpals, con cui nel 2012 è nato il cosiddetto super-Inps), che ha portato in dote conti tutti negativi. Il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps ha approvato il bilancio di previsione dell’Istituto per il 2013, con due voti contrari della delegazione Uil.

Nella sua relazione, il Civ torna a ribadire la necessità di sottoporre ad ”un attento monitoraggio” tutti i Fondi o Gestioni amministrati dall’Inps che “presentano consistenti disavanzi economici con effetti negativi sul saldo generale del bilancio dell’Istituto. E quindi a valutarne “la futura evoluzione” aggiornando ”al più presto i bilanci tecnici”, nonchè “la sostenibilità dell’intero sistema”. E di portare, quindi, i risultati di tali valutazioni all’attenzione dei ministeri vigilanti, quello del Lavoro, delle Politiche sociali e dell’Economia, “per gli eventuali e opportuni interventi correttivi”. 

A chiedere un intervento legislativo in tempi stretti per “ripianare il debito e trovare adeguate soluzioni”, senza “confondere” i patrimoni di Inps e Inpdap, è la Uil, che motivando il no al bilancio di previsione 2013 evidenzia come in due anni con l’incorporazione dell’ex Istituto di previdenza dei dipendenti pubblici “si sono persi 26 miliardi di euro”. 

Un disavanzo, aggiunge la Uil, che “necessariamente sarà sempre più in crescita per il blocco del turn over e per l’incremento dei pensionati che determinano un preoccupante rapporto iscritti/pensionati”.

Tornando ai risultati principali indicati nel bilancio di previsione per quest’anno, si segnala un aumento anche del disavanzo economico e un calo del patrimonio netto dell’Istituto, mentre aumentano le entrate contributive (+0,9%), ma non quanto la spesa per pensioni (+1,7%).

Nello specifico, il disavanzo economico di esercizio è indicato in 9.714 milioni di euro, con un incremento di 739 milioni rispetto al disavanzo economico previsto per il 2012 (8.975 milioni). 

Per effetto di questo, il patrimonio netto dell’Inps al 31 dicembre 2013 scenderà a 15.416 milioni di euro. Si prevedono 303.077 milioni di euro di prestazioni istituzionali, con un incremento di 6.672 milioni (+2,3%) rispetto ai 296.405 milioni previsti per il 2012. 

In particolare, la spesa per prestazioni pensionistiche risulta pari a 265.877 milioni di euro (261.333 milioni nel 2012), con un incremento di 4.544 milioni di euro (+1,7%).

(ANSA).

IN EVIDENZA

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18 FEBBRAIO 2013 – “REGIONI A STATUTO SPECIALE”

 

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dai seguenti provvedimenti:
Legge Costituzionale 7 febbraio 2013, n. 1
Legge Costituzionale 7 febbraio 2013, n. 2

 

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31 GENNAIO 2013 – “QUALITA’ DELL’ARIA”

 

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto Legislativo 24 dicembre 2012, n. 250 .

 

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31 GENNAIO 2013 – “ORDINAMENTO MILITARE”

 

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 248.

 

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25 GENNAIO 2013 – “PATENTE EUROPEA”

 

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto Legislativo 16 gennaio 2013, n. 2.

 

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21 GENNAIO 2013 – “PROFESSIONE FORENSE”

 

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dalla Legge 31 dicembre 2012, n. 247.

 

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16 GENNAIO 2013 – “PAREGGIO DI BILANCIO”

 

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 243.