Archivi giornalieri: 8 marzo 2013

8martzu

S’ OTO DE MARTZU

TORRADE

A FAEDDARE

IN SARDU

di Francesco Casula

“Fèminas, s’oto de martzu torrade a faeddare in sardu. Unu pagu nessi. Liberade.bos dae s’òbligu de èssere semper “carine” e de non pòdere impreare sa limba de sos grezos. Iscapiade.bos. Torrare a faeddare in sardu est una liberatzione non petzi polìtica e sotziale, ma finas individuale e de gènere. Sas fèminas difatis ant patidu prus de is òmines s’impositzione linguìstica de s’italianu ca depiant èssere a mala bògia belligheddas, allichididas, ‘carine’, e non depiant faeddare su sardu, sa limba de is ‘grezos’ assugetados. In prus de sa prepotèntzia natzionalista, cussa de sos mascros.

Ite liberatzione e emantzipatzione mègius de torrare a faeddare sa limba proibida?”

Est custu su cumbidu chi faghet Pepe Corongiu, diretore de su Servitziu regionale limba e cultura sarda, a sas feminas sardas,  in ocasione de s’oto de martzu.

Deo, azungo, feminas sardas faeddade in sardu, ca, pro comintzare, no est beru chi sa limba sarda est  greza.

A s’imbesse: sa limba sarda est galantzina meda. Ca est mescamente limba de sentidu, de sonos, de musica. Limba de vocales. Duncas corporale e fisica e in su matessi tempus, aerea e  lebia, fini e impalpabili. E sas vocales sunt pro su poete s’anima de sa limba, sunt s’acapiu, su ligongiu intre sa limba e su cantu; intre sa poesia, sa musica, su ritmu e su ballu.

E difatis in s’istoria sas lacanas intre sa poesia e sa musica e su ballu, sunt istadas semper debiles e isfumadas a tale puntu chi sos poetes antigos – sos aedos grecos pro assempru – no iscriiant poesias  ma las cantaiant acumpagnendesi cun sa lira: no a casu naschit sa paraula “lirica” e aoidòs  in grecu cheret narrere “cantore”.

Ma cantant peri Dante e Petrarca, Ariosto, Tasso e Leopardi. E sos cantadores sardos, mescamente sos improvisadores.

Cun cussa limba, su Sardu, chi in manera cuada e subliminale tenet in suta sentimentu e sensu, musica, ritmu e ballu. Mesche su ballu tundu: mamentu fadadu cando sa comunidade intrea, tot’umpare si pesat a ballare moendesi in circulu. E cun custu movimentu esprimit unu muntone de sinnos e de significados, simbulos e ritos: s’armonia de s’Universu, su movimentu de s’abba, su Nuraghe. E cun issu totu sa tzivilidade nuragica cun sa democratzia federalista e comunitaria, su refudu de su capu, de su gerarca, de su soberanu: ca sa Sardigna est istada semper atzefala amparende semper sa difesa  de s’Autonomia e de s’Indipendentzia de cada bidda.

Pubblicato su Sardegna Quotidiano del 8-3-2013

inca

Inca: 8 marzo – La Costituzione al femminile

“Avremmo voluto parlare soltanto dei sinonimi di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, ma la realtà che stiamo vivendo ci impone di riflettere profondamente sul perchè i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale siano così profondamente disattesi”. Così Morena Piccinini, presidente dell’Inca, patronato della Cgil, spiega le motivazioni alla base del volume “Costituzione: sostantivo femminile – sinonimi e contrari dei principi fondamentali” con cui l’Inca celebra il “suo” 8 marzo.
 
Nel libro, che Inca distribuirà gratuitamente, i 12 principi fondanti della nostra Costituzione vengono tutti riletti da donne (ad eccezione dell’ultimo, quello che stabilisce il tricolore come bandiera italiana che viene “commentato” dalle frasi di una canzone di Francesco De Gregori, ‘Viva l’Italia’). E si tratta di donne di varie estrazioni che rappresentano davvero il variegato universo femminile.

La più piccola delle scrittrici ha solo 13 anni, si chiama Giulia e frequenta una scuola media di Torvaianica.
 
Giulia ha scritto una “lettera alla Costituzione” sull’art.1: “Ti vorrei fare una domanda: per Te -chiede Giulia alla nostra Carta- l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro? A me sembra di no perchè il lavoro non c’è. Bisognerebbe creare tanti nuovi posti di lavoro investendo sui servizi che lo Stato offre ai cittadini. In questo modo crescerebbe anche l’economia e il benessere di tutti. Come Tu dici il lavoro è un diritto che va rispettato. Per questo cara Costituzione -conclude Giulia- Ti vorrei consigliare di farti rispettare di piu'”.

“Sono passati 65 anni dalla promulgazione della Costituzione italiana -aggiunge Piccinini- ma mai 
come in questo momento quei valori, in essa espressi, ci sembrano tanto lontani dalla realtà. La grave crisi attuale, economica e occupazionale sta facendo crescere la sfiducia verso le nostre 
istituzioni democratiche, alimentando, soprattutto in alcuni ambienti politici, la tentazione di allontanarsi da esse”.
 
“Le testimonianze raccolte in questa pubblicazione -spiega ancora la presidente dell’Inca- sono il nostro contributo, in occasione dell’8 marzo, per dare un volto reale alle aspettative di ognuno e per ricostruire la fiducia verso le istituzioni democratiche, duramente compromessa. E’ il nostro modo per aiutare il rinnovamento della società in cui viviamo rispettando ciascuno dei 12 articoli che compongono i principi fondamentali della Costituzione italiana, dai quali non si può e non si deve prescindere”.
 
Ciascuna delle donne che ha contribuito a questa “rilettura” della Costituzione ha portato il valore di esperienze di vita intense e a volte drammatiche, come nel caso di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldovrandi, il ragazzo di 18 anni ucciso il 25 settembre 2005 da 4 poliziotti mentre tornava a casa a piedi dopo la serata con gli amici. Moretti parla dell’art. 2, quello sui diritti inviolabili dell’uomo.  “Il diritto alla vita di Federico -scrive- è stato barbaramente violato da 4 individui. Lo Stato che 
vorrei, in cui diritti e doveri sono reciproci, non lascerebbe ancora le armi a chi ha ucciso mio figlio”.
 
Così come è  amaro il commento all’art.10 (sui diritti degli stranieri) di Isabella Smahane, 42 anni, marocchina. “Vivo in questo paese da 19 anni -scrive- e ancora non ho la cittadinanza italiana perchè mi chiedono tanti documenti che io non sono in grado di avere.
 
I miei 2 figli di 15 e 11 anni sono nati in Italia e si sentono italiani, ma sono classificati come marocchini. Lo scoglio più alto che devo superare per poter ottenere la cittadinanza italiana è dimostrare di avere un lavoro regolare almeno da 10 anni, con tutti i versamenti previdenziali obbligatori, che però non ho. Ho lavorato come badante, come giardiniera, come addetta alle pulizie presso tante famiglie, ma quasi sempre in nero. Qualcuno neppure mi ha pagato per quello che facevo”.
 
Tra le altre autrici, si trovano anche Simona Torretta, Martina Pignatti Morano di “Un ponte per…”, e la storica Gloria Chianese. 
Insieme a loro anche le voci di studentesse, impiegate, giornaliste, precarie, mamme, insegnanti, sindacaliste. Un coro di voci, ma che parla una lingua sola: quella delle donne.
 
AdnKronos

Ollolai

Ollolai. Un sabato pomeriggio emozionante, rivivendo il passato.

Tutto il paese alla presentazione della raccolta fotografica.

Immagine dal libro.
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Ollolai. C’era molta attesa per il libro “In Ollolai”. L’iniziativa della Biblioteca di Sardegna che ha conquistato anche la capitale della Barbagia. Lo dimostra la sala piena dell’orto Botanico di sabato pomeriggio teatro della presentazione del volume e della mostra fotografica che hanno visto la luce grazie a Deborah Ladu e Carla Medde. Un lavoro lungo mesi. Molto intenso, faticoso, ma allo stesso tempo coinvolgente e generoso in emozioni e conoscenza. Un lavoro, raccontano le autrici, “che abbiamo cominciato in punta di piedi. Pensavamo di mirare il nostro lavoro solo su pochi nuclei familiari. Vinta l’ordinaria diffidenza delle famiglie e nostra siamo entrate in tutte le case. Abbiamo scoperto insieme a loro un patrimonio storico e culturale quasi sconosciuto”. Alla fine, in 8 mesi, le foto raccolte erano più di 700, 134 le famiglie coinvolte. “Il risultato è un libro molto più ricco e completo di quanto pensavamo all’inizio – spiegano Deborah e Carla – per questo ringraziamo tutta la popolazione perchè ci hanno accolto e incoraggiato nel progetto”. Il testo è composto da 280 scatti realizzati tra il 1900 e il 1959 corredate delle didascalie. “Abbiamo dovuto fare delle scelte tra le tante foto in nostro possesso – dicono – in base a dei criteri che ci hanno consentito di presentare uno spaccato degli anni presi in esame. Speriamo di riuscire a pubblicare anche le altre e magari poter ripetere questa coinvolgente esperienza per il decennio successivo”.

La presentazione del libro “In Ollolai”.

Ollolai. Sessant’anni di storia raccontata attraverso un libro fotografico: “In Ollolai”. E’ il frutto del lavoro di Deborah Ladu di Ollolai e Carla Medde di Norbello che sarà presentato oggi nella sala conferenza dell’orto botanico insieme alla mostra fotografica. L’appuntamento è alle 17,30. Le giovani donne hanno aderito all’iniziativa della biblioteca di Sardegna con sede a Cargeghe, e il loro lavoro sarà inserito nella collana “Atlante sardo”: volumi che raccontano un “pezzo” di storia dei nostri paesi attraverso le foto. Il progetto è patrocinato delle provincie di Sassari e Oristano e dei Comuni interessati. “E’ un progetto regionale tutto al femminile  – ci racconta Deborah Ladu –. Che ha già creato un  archivio di oltre 40 mila foto storiche. L’obiettivo della biblioteca è quello di coprire tutto il territorio regionale con volumi di fotografie storiche”. Molti Comuni sardi hanno già il loro volume grazie alle donne che hanno curato e ricercato le foto. “La collaborazione dei curatori e ricercatori è libera e gratuita – prosegue l’autrice -, senz’altro, ripagata dalla soddisfazione nel vedere l’opera pubblicata”. Per quanto riguarda “In Ollolai” si tratta di “una raccolta di fotografie storiche e didascalie descrittive, che vanno a coprire un arco temporale tra il 1900 e il 1959 – ci spiega ancora Deborah Ladu -.  Immagini di famiglie, si alternano a scorci e paesaggi, a volti e scene di quotidianità, per un totale di 280 fotografie scattate sia ad Ollolai che fuori, a dimostrare quanto l’emigrazione fosse un fenomeno presente nella vita della nostra comunità”. Un lavoro impegnativo che ha coinvolto tutto il paese nella ricerca di foto storiche. “Ringrazio le tante famiglie che ci hanno dato le foto e aiutato e incoraggiato nella realizzazione del libro. Per noi – dice Deborah – è stata un’esperienza preziosa che ci ha  fatto capire quanto la storia dei nostri padri e nonni, vista in questo caso  attraverso le immagini, sia un patrimonio culturale inestimabile da dover tramandare alle nuove generazioni”.

 
Michele Arbau

Esodati

Esodati Poste. 15mila senza protezione

21mila persone nel “limbo”, 15mila a forte rischio di non essere salvaguardati, questa la situazione dei lavoratori delle Poste. L’Ipost, il loro ente previdenziale, soppresso per decreto dal 31 maggio 2010 e incorporato dall’Inps, è diventato un fantasma. Come i lavoratori che da tre anni a questa parte non sanno cosa devono aspettarsi…

“Ho fatto interrogazioni su questo tema anche prima della riforma pensioni e dello scandalo esodati – spiega Lucia Codurelli, parlamentare Pd – c’erano già lavoratori che non riuscivano ad avere dall’Inps il via libera alla contribuzione volontaria, il meccanismo che, prima della riforma Fornero, permetteva a coloro che accettavano la buonuscita dal’azienda, a pochi anni dalla pensione, di pagarsi gli ultimi contributi. In questi tre anni – prosegue Codurelli – è tutto peggiorato perchè queste persone sono diventate esodate”.

La battaglia del Pd contro la riforma Fornero ha portato ai decreti di salvaguardia. Il primo, salvaguardava 65mila esodati riservando 6.890 posti proprio ai lavoratori delle Poste e contribuenti Ipost. Peccato che le domande fatte alle direzioni territoriali del lavoro, sinora già arrivate ammontano a circa 21mila. I conti sono presto fatti: quasi 15mila lavoratori sono fuori …

L’Inps, nel frattempo,  ha creato una task force nella filiale dell’Istituto a viale Beethoven a Roma, ma è l’unica in Italia a dare informazioni alle migliaia di lavoratori ed esodati delle Poste sparsi in tutto il Paese …

E, intanto il limbo dei 21mila sarà proluntato. Una comunicazione interna dell’Inps ai suoi uffici certifica che il sistema di inserimento dei dati per gli esodati delle Poste è stato appena predisposto e il personale deve ancora essere formato per utilizzarlo …Nella nota si specifica, inoltre,  che “il titolo prioritario per essere salvaguardati è la data di cessazione dal lavoro e non la decorrenza della pensione ribadendo comunque che anche i possibili beneficiari non sono per niente certi essendo il parametro discriminante, la copertura finanziaria …”.

da l’Unità

Aggiornati i coefficienti per il calcolo delle pensioni


Lo stipendio di 40mila euro del 2011 in pensione vale 41.200 euro. E quando viene utilizzato per il calcolo della seconda quota, riferita all’anzianità maturata dopo il 31 dicembre 1992, sale fino a 41.650 euro.

Ora è dunque possibile calcolare con esattezza una pensione con decorrenza 2013, grazie ai coefficienti indicati dall’Istat che consentono di rivalutare le retribuzioni (i redditi nel caso dei lavoratori autonomi) da considerare per la determinazione della base annua pensionabile. Occorre ricordare, inoltre, che come stabilito dalla recente riforma (art. 24, legge n. 214/2011), per il calcolo della pensione, oltre alla quota retributiva, occorre aggiungere una ulteriore quota, determinata con il criterio contributivo riferita all’anzianità maturata dopo il 31 dicembre 2011.

da Italia oggi

Le sedi dell’Inca dislocate su tutto il territorio nazionale sono a disposizione per fornire ulteriori e più approfondite informazioni.

8 marzo

8 marzo – Donne in tempo di crisi

L’economia italiana continua a rallentare e peggiorano le condizioni di vita delle famiglie. In questo scenario, l’Eurispes ha scelto il punto di vista delle donne per raccontare la società italiana proprio per il ruolo che rivestono nel contesto familiare e per la loro capacità di affrontare il cambiamento.

Quattro step dedicati alle donne italiane immortalano l’universo femminile che ancora una volta si mette in gioco per affrontare le difficoltà economiche, sociali, personali e familiari di questi anni.

Le donne e la crisi. Le donne sono le più preoccupate per la difficile condizione di crisi del Paese: il 66,4% denuncia una situazione economica nettamente peggiorata rispetto agli anni passati. D’altronde, come già sottolineato dall’Eurispes, ci troviamo di fronte alla “tempesta perfetta”. Per la prima volta, infatti, si stanno avvitando su se stesse tre crisi: oltre a quella economica e a quella sociale, si aggiunge una degenerazione preoccupante del quadro politico-istituzionale.

Il carico fiscale. In un’Italia in piena recessione la spesa che i contribuenti hanno dovuto sostenere nei confronti dello Stato è diventata insostenibile. Il 40,5% delle donne indica un netto aumento del carico fiscale sostenuto nell’ultimo anno dalla propria famiglia mentre il 27,6% segnala un aumento anche se lieve. Per la maggior parte delle intervistate, il 50,3%, diminuire il carico fiscale equivarrebbe ad aumentare le possibilità economiche dei cittadini e riattivare i consumi. Allo stesso tempo, per il 31% delle intervistate tasse più basse rappresenterebbero un fattore per il rilancio dell’economia e delle imprese.

Le donne e il lavoro: una sfida continua. La retribuzione è spesso causa di frustrazione tra le donne: secondo la rilevazione dell’Eurispes a non essere soddisfatte di questo aspetto del lavoro sono il 50,9% delle donne (32,2% poco e 18,7% per niente) a fronte del 49,1% di quante si dichiarano abbastanza (44,2%) e molto soddisfatte (solo il 4,9%). Inoltre, altra causa di preoccupazione tra le donne italiane è la mancanza di opportunità per valorizzare le competenze acquisite nel percorso formativo. Ben il 63,2% delle donne non è soddisfatta delle possibilità di carriera; di queste il 26,5% non lo è per niente e, di contro, solo nell’8,5% dei casi le lavoratrici dichiarano di essere molto soddisfatte di poter crescere professionalmente.

Quasi il 40% delle lavoratrici non si sente valorizzato per le proprie capacità (26,5% poco e ben il 13,1% per niente) e difficilmente si riscontra una convergenza tra i propri interessi o aspirazioni personali e la professione lavorativa (è così per il 43,1% delle intervistate: 15,5% per niente e 27,6% poco), oppure affinità con il percorso formativo (50,2%).

Il lavoro garantisce un futuro? Il 65,7% delle lavoratrici dichiara di non essere in grado di fare progetti per il futuro (41,3% poco e 24,4% per niente). Nella situazione attuale, il 63,2% non è poi nelle condizioni economiche/finanziarie per sostenere spese importanti. Di conseguenza, per far fronte alle spese il 38,2% delle lavoratrici afferma di essere costretta a dover cercare un’altra occupazione (abbastanza 28,3% e molto 9,9%). Se il 42,4% può ancora rinunciare a chiedere un aiuto alla famiglia, il 29% dichiara di rivolgersi in parte a parenti e genitori per affrontare le difficoltà quotidiane, mentre è un comportamento che perseguono abbastanza il 19,1% delle intervistate e molto il 9,5%. Le difficoltà nel sostenere spese di rilievo sono particolarmente evidenti per coloro che abitano nelle regioni del Nord-Est e del Sud (che dichiarano di non poter affrontare tali spese rispettivamente nel 32,4% e nel 23,9% casi), seguite da quelle che vivono al Centro e nelle Isole (poco: 48,2% e 47,6%). Sembrano vivere una situazione migliore le donne di 35-40 anni (35,9%) che risiedono nelle regioni del Nord-Ovest e nel Sud (abbastanza rispettivamente nel 33,7% e nel 30,4%).

8 marzo

8 marzo: Cia, sempre meno lavoro per donne, ma agricoltura eccezione “rosa”

Il mondo del lavoro lascia fuori le donne. Se trovare un impiego in tempo di crisi è sempre più difficile, lo è ancora di più per la componente femminile, soprattutto se si parla di giovani e Mezzogiorno. Solo a gennaio il tasso medio di disoccupazione è salito dell’11,7%, il livello più alto da 21 anni, ma quello femminile è cresciuto fino al 12,8%, con un picco negativo del 49,9% per le ragazze del Sud nella fascia d’età 15-24 anni. Eppure, c’è un settore produttivo, l’agricoltura, in cui invece la presenza femminile si è imposta e continua a crescere. 
Senza bisogno di “quote rosa”.

Oggi infatti le aziende agricole con a capo una donna sono 497.847, cioè il 30,7% del totale, mentre le lavoratrici rappresentano quasi il 40% della forza lavoro complessiva del comparto. Con un processo graduale di “femminilizzazione” che parte proprio dalle regioni meridionali. E’ quanto emerge dal convegno “Donne e agricoltura: da Argentina Altobelli alle imprenditrici agricole”, organizzato da Donne in Campo-Cia oggi a Venezia nell’ambito delle iniziative dell’associazione per l’8 marzo.

Mentre si allentano le possibilità di fare impresa in Italia, il settore primario diventa foriero di nuove occasioni, in particolare per le donne, dove un’azienda su tre è “rosa”. Ma c’è di più: valori superiori alla media si registrano proprio nel Sud, dove il numero di donne a capo di un’impresa agricola arriva al 34,7% del totale. Ma in tutte le aree geografiche la presenza delle “imprenditrici della terra” è molto alta, passando dal 31,8% del Centro Italia al 29% delle Isole, scendendo lievemente solo nel Nord-Ovest (26,3%) e nel Nord-Est (23%). 

8 marzo: piena parità non ancora raggiunta

 

”Essere madri, mogli e lavoratrici realizzate oggi è possibile, ma la piena parità di genere è un obiettivo che ancora non è stato pienamente centrato”. Lo ha detto Rosa Zelger Thaler, che ha presieduto lo scorso anno il Gruppo di lavoro sulla parità di genere in seno alla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative europee.  

”Nonostante gli innegabili progressi fatti nel corso degli anni – ha aggiunto – i dati emersi dalla ricerca portata avanti lo scorso anno nell’ambito della CALRE, evidenziano che in Europa le discriminazioni legate al genere ancora oggi, ora in maniera più vistosa ed evidente, ora in maniera piu’ silenziosa
e sottile, continuano a condizionare l’affermazione delle donne in campo politico, economico, culturale e sociale. Per questo occorre ancora lavorare insieme, al fine di elaborare strategie comuni, che coinvolgano l’intera popolazione, per poter giungere alla piena parita”.

”L’8 marzo è dunque l’occasione per riflettere e sensibilizzare l’opinione pubblica su una problematica che viene troppo spesso sottovalutata e che invece ancora oggi anche nella nostra terra comporta delle problematiche legate all’occupazione femminile ed all’accesso alle cariche pubbliche, oltre che alla piena realizzazione della donna come individuo”.

ansa

Pensione in ritardo …… perchè morto per l’Inps

 

Per l’Inps era morto il 31 dicembre 2012, ”come risulta dai dati pubblicati nel suo “cassetto previdenziale” sul sito dell’ente previdenziale, e per ottenere la pensione ha dovuto dimostrare di essere vivo e vegeto”. E’ successo ad un dirigente dello Spi-Cgil della Campania, che racconta in prima persona la vicenda di cui è stato, suo malgrado, protagonista.

”Per controllare lo stato della mia pensione che tardava ad arrivare – racconta – giorni fa sono andato con il mio Pin nel sito dell’Inps e ho scoperto la data del mio decesso. Ho ricontrollato incredulo più di una volta ma dopo l’esame dei dati anagrafici, di residenza e fiscali non ho avuto più dubbi. Per l’efficientissima Inps ero proprio morto”.

Quindi, come riferisce ancora il sindacalista attraverso lo Spi, ”mi sono recato allo sportello dell’Inps di Salerno per chiedere chiarimenti e ho dovuto fare domanda di ripristino della pensione. Gli ho detto che ero vivo e che se volevano controllare mi potevano anche dare dei pizzicotti. Mi hanno consegnato una lettera che definiva l’importo dell’assegno ma,
ahimè, è stata indirizzata ai miei eredi”.

8 marzo

8 marzo – Cgil, Cisl, Uil Marche: disoccupazione donne all’11,9% – 5.000 licenziate ….

Il prezzo che anche le donne delle Marche hanno pagato alla crisi “è drammaticamente alto: oltre 5.000 lavoratrici licenziate e iscritte nelle liste di mobilità nel 2012, un dato che porta a quota 37.000 il numero delle donne marchigiane inutilmente in cerca di lavoro con un tasso di disoccupazione che raggiunge il record dell’11,9%, mai toccato finora”. Lo affermano in una nota Cgil, Cisl e Uil regionali,
nella ricorrenza dell’8 marzo. 

Si tratta di ”donne alle prese con un lavoro che non c’è o, se c’è, è un cattivo lavoro, precario, discontinuo, instabile, incerto e sottopagato, cui a volte, purtroppo, con una rassegnazione e uno scoraggiamento ancora più preoccupanti dell’indignazione, è preferibile rinunciare in partenza, depotenziando se stesse e la comunita”.

”I dati sono preoccupanti e obbligano tutti, anche nella nostra regione, a mettere il tema del lavoro al centro dell’attenzione. Proprio per questo, occorre dare presto un nuovo Governo al Paese con senso di responsabilità e interpretando la voglia di cambiamento espressa dal voto”.

ansa

Eurostat

Eurostat: Il lavoro delle donne e degli uomini

In occasione della giornata internazionale della donna, l’Ufficio statistico dell’Unione europea, Eurostat, ha pubblicato una breve raccolta di dati sulla dimensione di genere in materia di occupazione e di conciliazione tra lavoro e vita familiare. 

I dati si riferiscono all’anno 2011 e riguardano principalmente la presenza delle donne nelle posizioni professionali apicali e la ripartizione del tempo di lavoro in funzione della presenza o meno di figli nel nucleo familiare.

Il primo elemento che viene messo in risalto da Eurostat è la persistente scarsa presenza delle donne tra i quadri e dirigenti d’impresa: 33%. Le più alte percentuali di donne nelle funzioni dirigenziali si registrano in Lettonia (45%), Ungheria (41%) e in Francia 40%). Le più basse a Cipro (15%), in Grecia (23%), a Malta (24%) e in Italia (25%).

Il mondo dell’insegnamento è invece dominato dalla presenza femminile. O quasi. Nelle scuole elementari l’85% degli insegnanti sono donne, con punte superiori al 95% in repubblica Ceca, Slovenia, Italia, Lituania e Ungheria. Ma la presenza femminile regredisce man mano che cresce il livello dell’insegnamento, e quindi il prestigio sociale associato alla professione d’insegnante. 

Già nella scuola secondaria lo scarto tra uomini e donne diminuisce: quest’ultime rappresentano infatti il 59% del corpo insegnante (63% in Italia). Trend che si rafforza nel mondo accademico: nelle università e nelle altre istituzioni d’insegnamento superiore le donne rappresentano, infatti, solo il 40% dei docenti. Le percentuali più basse si registrano in Repubblica Ceca, Francia e Italia (36%).

Il lavoro a tempo parziale a volte può essere visto sia come uno svantaggio e una forma di discriminazione sul lavoro, sia in alcuni casi come un modo per conciliare meglio lavoro e vita familiare. In un modo o nell’altro, si tratta di un fenomeno tipicamente orientato dalla condizione di genere. 

Il lavoro a tempo parziale riguarda infatti il 32% delle donne con un figlio di età inferiore a 6 anni (quindi una donna su tre), ma soltanto il 4,5% degli uomini nella stessa condizione familiare. E mentre la percentuale di donne occupate a tempo parziale aumenta in funzione del numero di figli, quella degli uomini resta costante. 

Per fare un esempio, quasi il 50% delle donne occupate e con più di 2 figli hanno un impiego a tempo parziale, mentre tra gli uomini questo succede soltanto nel 7% dei casi.

Sulla base dei dati pubblicati da Eurostat, ci sembra che sia piuttosto il fattore “discriminazione” a prevalere, e non quello della conciliazione volontaria tra lavoro e famiglia. Un altro modo infatti per favorire la conciliazione è il ricorso ad orari flessibili, fermo restando il tempo pieno e quindi la piena retribuzione.

In questo caso i dati Eurostat non mostrano differenze di comportamento tra uomini e donne. I primi, in media, hanno un tasso di occupazione ad orario flessibile de 29%, le seconde del 26%. Le percentuali variano da paese a paese, in funzione anche delle diverse legislazioni nazionali, ma le differenze tra uomini e donne sono in generale minime vanno in entrambe le direzioni. 

(da Osservatorio Inca per le politiche sociali in Europa)