Archivi giornalieri: 11 marzo 2013

Sicurezza sul lavoro

Anche la sicurezza è una questione di genere

Meno infortuni, più denunce per malattie professionali. E soprattutto più incidenti in itinere, dovuti alla difficoltà di conciliare il lavoro con le incombenze familiari. E’ questo il lavoro al femminile in Italia, letto attraverso la cartina di tornasole dei dati sugli infortuni sul lavoro.

I dati Inail dedicati alle donne e raccolti in dossier, infatti, raccontano che negli ultimi cinque anni gli infortuni sul lavoro delle donne sono diminuiti del 7,6%, una flessione più contenuta rispetto a quella registrata a livello complessivo (-20,5%). In aumento, però, ci sono le denunce delle malattie professionali. Un trend che sembra irreversibile: nell’ultimo quinquennio sono raddoppiate, passando dai 7mila casi denunciati nel 2007 ai 14 mila del 2011. 

La lettura del 2011, comparata a quella sui trend occupazionali dell’Istat, restituisce però tutta la complessità della partecipazione femminile al mondo del lavoro. Le donne si infortunano, in generale, di meno rispetto agli uomini ma molto di più in itinere a causa della fatica di conciliare ogni giorno lavoro e famiglia.

In particolare nel 2011 sono 231.870 gli infortuni sul lavoro che coinvolgono donne. Rappresentano poco meno di un terzo (29,6%) di quelli avvenuti in occasione di lavoro (725.339), e poco più della metà (50,3%) di quelli avvenuti in itinere. Sono 89, invece, gli infortuni mortali, pari al 10% del totale. Rispetto all’anno precedente, nel 2011 gli infortuni sul lavoro delle donne hanno fatto registrare un calo del 5,6%, più contenuto rispetto a quello degli uomini (-6,9%).

Le differenze sono ancor più marcate per gli infortuni mortali: se a livello complessivo le morti sul lavoro diminuiscono dell’8,9%, ciò è dovuto esclusivamente ai lavoratori uomini (-10,9% rispetto al 2010). Le lavoratrici, viceversa, hanno conosciuto un sensibile aumento dei decessi (+14,1%, passando dai 78 casi del 2010 agli 89 del 2011), avvenuti quasi esclusivamente durante il percorso casa-lavoro-casa (da 40 casi del 2010 a 50 del 2011).

Per quanto riguarda le denunce di malattia professionale, nel 2011 sono state 14mila da parte di lavoratrici  donne. La quota femminile sul totale delle denunce è stata nel 2011 pari al 30,2%, un valore che non si discosta significativamente dall’incidenza femminile sul fenomeno infortunistico (32,0%) e che, come per gli infortuni, è risultato costantemente in crescita nell’ultimo  quinquennio (nel 2007 erano il 25% le denunce femminili di tecnopatia). Ma a differenza  degli infortuni che sono numericamente diminuiti, confermando il trend decrescente degli ultimi anni, le malattie professionali continuano a crescere anche nel 2011. Il boom di  denunce rilevato nel 009, in tutte le gestioni e per entrambi i sessi, ha solo rallentato la sua corsa nel 2011 che ha rappresentato per le donne l’anno del raddoppio delle denunce rispetto al 2007, quando erano poco più di 7mila.

Una questione anche di genere, dunque? Sì, secondo i dati, che sono influenzati dalla diversa esposizione lavorativa di uomini e donne. Le cifre confermano l’esistenza di un forte divario tra i tassi di occupazione maschili e femminili, oltre alla persistenza di una forte segregazione orizzontale per le donne. Per cogliere tali aspetti è sufficiente osservare che i due terzi delle 725mila denunce di infortunio sul lavoro del 2011 vedono coinvolti gli uomini (493.469 denunce contro 231.870) e che la gestione dell’Industria e Servizi, maggiormente interessata dal fenomeno tanto per  le donne (86%) quanto per gli uomini (91%), mostra però una sostanziale differenza dei sessi in termini di distribuzione per settori di attività economica, denotando una maggiore  concentrazione delle donne nelle attività meno rischiose dei Servizi (70% contro 40%).

Donne e straniere

Lavoro: donne e straniere, due volte penalizzate

Le donne italiane guadagnano, come è noto, meno degli uomini italiani. Ma le donne straniere, nel nostro Paese, sono messe ancora peggio, dato che prendono circa 300 euro in meno rispetto ai loro connazionali maschi e il 31% in meno delle donne italiane. Se infatti lo stipendio medio di un uomo straniero in Italia (dati 2011) è pari a 1122 euro, le donne percepiscono invece una media di 790 euro. Al contempo, mentre il differenziale retributivo tra stranieri e italiani si aggira intorno al -21% (- 289 euro) per gli uomini, per le donne sale al -31%. I dati, emergono da uno studio sulla condizione occupazionale, retributiva e contributiva delle donne straniere, condotto dai ricercatori della Fondazione Leone Moressa, istituto nato per volontà della Cgia di Mestre.

Studio che evidenzia appunto una vulnerabilità di questa popolazione e la presenza di disuguaglianze, sia rispetto ai propri connazionali uomini sia rispetto alla popolazione femminile autoctona. Eppure, il lavoro straniero femminile è in aumento (+5,2% tra il 2009 e il 2010, mentre gli uomini sono cresciuti del 3%), e rappresenta ormai il 42,2% del lavoro straniero complessivo in Italia. Mediamente una donna straniera dichiara annualmente 10.247 euro, a fronte dei 14.100 dichiarati dagli uomini stranieri.

Le nazionalità per cui si registra il più alto numero di contribuenti donne sono l’Ucraina (71,2%), la Polonia (61,8%) e il Brasile (60,3%). Escluse Svizzera, Germania e Francia, i redditi medi annui più alti tra le donne straniere vengono percepiti dalle egiziane (15mila), dalle argentine (12.600), dalle donne provenienti dai paesi dell’ex-Jugoslavia (11.750) e dalle tunisine (11.590).

Tra il 2009 e il 2010 l’incremento maggiore di contribuenti donne ha interessato le moldave (+21,4%) e a seguire le ucraine (+14,6%), le rumene (+12,9%) e le cinesi (+12,7%). Una tendenza negativa in questo senso è invece sperimentata dalle donne provenienti dall’ex Jugoslavia.

“La condizione delle donne straniere – osservano i ricercatori della Fondazione Moressa – riflette da una parte le criticità della società di arrivo rispetto alle problematiche di genere e dall’altra le difficoltà tipiche del percorso migratorio. D’altra parte, è opportuno notare – affermano ancora i ricercatori – come l’inserimento forzato in alcune nicchie professionali delle donne straniere, quali i lavori di assistenza e di cura, sebbene portino queste lavoratrici a recepire compensi inferiori rispetto ai loro connazionali, dovuti in primis a monte ore ridotti e alle peculiarità di questo tipo di attività, tuttavia le ha preservate dalla contrazione che la crisi economica e finanziaria in corso ha invece causato in altri settori tipicamente più attrattivi per la popolazione maschile, come il comparto delle costruzioni”.

Legge 104

Legge 104: dai dati dell’Archivio dell’handicap della Provincia di Trento indicazioni per la tutela

Nell’affrontare il tema della tutela dell’handicap uno dei punti a cui come Patronato attribuiamo particolare valenza è quello della conoscenza della platea degli aventi diritto.

In assenza di dati che fotografino la situazione nazionale è possibile far riferimento ad indagini mirate ed in particolare all’anagrafe territoriale curata dalla Provincia di Trento e di cui sono stati pubblicati, a cura del professor Cembrani, i dati aggiornati al 31 dicembre 2011 .

Fra il 1992 e il 2011, sono 14.102 le  persone disabili che hanno presentato 17.498 domande finalizzate ad ottenere i benefici e le agevolazioni previste dalla leggequadro in materia di handicap (legge n. 104/92): dunque, 1.778 in più rispetto al Report del 2010 e 3.850 in più rispetto a quelle dell’anno precedente.

Per quanto concerne le malattie all’origine dell’handicap i dati della Provincia di Trento dimostrano come il settore nosologico prevalentemente rappresentato continua ad essere quello delle malattie del sistema nervoso centrale e delle malattie del sistema nervoso periferico.

Seguono, in ordine decrescente, le malattie psichiche che risultano in leggerissimo calo rispetto a quelle registrate negli anni precedenti , quelle neoplastiche che risultano, invece, in leggero aumento, quelle dell’apparato cardio-circolatorio, quelle dell’apparato uditivo, quelle visive, quelle dell’apparato locomotore ad interessamento degli arti inferiori, quelle  congenite e malformative.

n 6° 2013 numero newsletter.doc

Rapporto Bes

Rapporto Bes – L’Italia? Un Paese pieno di risorse dimenticate…

Dal primo Rapporto Bes, benessere equo e sostenibile, che è stato presentato oggi alla Camera, emerge un Paese ”con poca fiducia nel prossimo, piu’ povero, inquinato, sfilacciato. Ma pieno di risorse dimenticate, di ricchezze straordinarie, di un paesaggio storico naturale e un patrimonio culturale unici al mondo da tutelare e sfruttare, di una forte rete di solidarietà. Conscio della crisi, ma forse non delle opportunità per uscirne”. Lo ha affermato il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, in un’intervista a Repubblica. 

Il Bes messo a punto da Istat e Cnel è uno strumento importante, perchè ”il Pil misura la crescita, ma non il benessere da garantire anche alle generazioni future”, spiega Giovannini. ”Non tutto ha un prezzo: il sorriso di chi ci circonda, la solitudine, l’ansia di non avere un lavoro, l’aria che respiriamo, la biodiversita’. A livello globale gli economisti e gli statistici lo hanno capito da tempo”. 

Il Bes ”puo’ cambiare il dibattito pubblico e orientare meglio le scelte della politica, promuovere un modello di sviluppo diverso con al centro la persona e non i prodotti, veicolare il messaggio che avere carceri umane, sconfiggere il femminicidio, valorizzare il patrimonio culturale, preservare l’ambiente, leggere libri, sostenere la ricerca, restituire credibilità alla politica punti in cui dobbiamo progredire – migliora la vita di tutti. E poi – sottolinea Giovannini – fa crescere pure Pil e occupazione”.

Per il presidente dell’Istat ”se governo e Parlamento usassero il Bes, oltre al Pil, per valutare l’effetto dei
provvedimenti, sarebbe una rivoluzione. La pubblica opinione ormai sa che questo tema non e’ un lusso. Crescita verde, occupazione, coesione sociale: l’agenda dell’Europa e dell’Italia non puo essere fatta di solo Pil”.

contrattazione atipici e professionisti

Cgil: martedì presentazione “In-Flessibili”, guida per contrattazione atipici e professionisti

“IN-FLESSIBILI. Guida pratica della Cgil per la contrattazione collettiva inclusiva e per la tutela individuale delle figure presenti nel lavoro professionale”. E’ il titolo del libro, edito Ediesse, che verrà presentato martedì 12 marzo a Roma alle ore 18 presso la Sala Biblioteca della Fondazione Giacomo Brodolini in via Barberini 50. Un testo frutto del lavoro di Davide Imola, Cristian Perniciano, Rosangela Lapadula, Marilisa Monaco, con la prefazione dei segretari confederali della Cgil, Elena Lattuada e Fabrizio Solari.

La guida chiarisce i motivi per cui la Cgil intende svolgere una forte azione contrattuale inclusiva per tutti i lavoratori, a prescindere dalle modalità di lavoro utilizzate. Si mettono infatti in luce le varie fasi della contrattazione, i possibili abusi, i punti di forza su cui innestare la contrattazione per professionisti ed atipici, ma anche i punti critici ai quali fare attenzione. In-flessibili fornisce anche un’ampia informazione sulle forme contrattuali atipiche e sui cambiamenti intervenuti con la recente riforma del mercato del lavoro, come anche sugli aspetti previdenziali e fiscali utili da conoscere. Nel volume infine si trovano modelli e suggerimenti su come gestire la contrattazione collettiva inclusiva sul lavoro atipico e professionale, ed esempi su come redigere gli accordi collettivi e individuali che riguardano lavoratori con partita IVA o con contratto a progetto.

Il testo verrà quindi presentato martedì 12 marzo nel corso di un appuntamento, moderato dal giornalista de ‘L’Unità’, Massimo Franchi, dove interverranno: Aldo Bonomi, sociologo e direttore Aaster; Franco Martini, segretario generale Filcams Cgil; Elena Lattuada, segretaria confederale Cgil; Franco Liso, prof. Di Diritto del Lavoro alla Sapienza Università di Roma; Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni.

ILVA

Ilva – Protocollo operativo per sicurezza sul lavoro

L’Ilva, su indicazione della prefettura di Taranto, ha adottato un protocollo operativo da seguire per aumentare i livelli di sicurezza negli ambienti di lavoro. Nuove indicazioni sono state date nel corso della riunione del gruppo valutazione e intervento composto da rappresentanti di enti locali, uffici di vigilanza, Ilva e Eni, la cui raffineria dovrà dotarsi di un protocollo analogo.

Il protocollo intende anche prevenire situazioni di criticità derivanti da rischi di interferenza nei cantieri e individuare modalità e strumenti per definire e verificare la qualificazione dei lavoratori sui temi della sicurezza.

”Il documento che verrà predisposto quanto prima – è detto in una nota della prefettura – consentira’ di effettuare alle stesse aziende, con l’ausilio degli enti di vigilanza che potranno offrire il loro contributo di esperienza, una autoanalisi permanente e un monitoraggio costante delle procedure attuate con verifiche operative sul “campo” e con un’analisi dei dati effettuata in modo rigoroso e oggettivo”.

Esodati

Esodati: nuovo decreto, altri 10mila salvaguardati

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali ha definito, d’intesa con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il terzo decreto in favore dei lavoratori salvaguardati, ai quali verrà applicata la precedente normativa in materia di requisiti e decorrenze del trattamento pensionistico. Ne dà notizia il ministero in un comunicato. “Il decreto – si legge -, come peraltro previsto dalla norma della Legge di stabilità, è stato inviato alla Camera dei Deputati e al Senato per l’esame da parte delle competenti commissioni parlamentari. Il decreto prevede la salvaguardia per un numero complessivo di 10.130 lavoratori, che si aggiungono alle platee di lavoratori già individuati dai precedenti due decreti”.

Con questo ultimo provvedimento, sono complessivamente oltre 130mila i lavoratori salvaguardati dal governo Monti che potranno, in deroga alla riforma Fornero, andare in pensione con le vecchie regole. Il problema era scoppiato all’indomani dell’approvazione delle nuove norme che avevano spostato in alto l’età di pensionamento lasciando senza stipendio né pensione tutti quei lavoratori che per crisi aziendali e con età vicina alla pensione avevano interrotto volontariamente, attraverso accordi aziendali, il proprio rapporto di lavoro contando sulla possibilità di ‘agganciare’ il pensionamento entro poco tempo. Il decreto Salva Italia, nel dicembre 2011, ne salvaguardò quindi una prima tranche di 65 mila.

Ma la polemica, sopratutto con Cgil, Cisl e Uil non si arrestò; l’intervento venne considerato insufficiente a ‘sanare’ l’intera platea di lavoratori danneggiati che secondo i sindacati è vicina a quota 300mila. Altri 55mila lavoratori furono dunque salvaguardati anche con la legge sulla spending review del luglio 2012 e altri 10.130 mila furono ‘contabilizzati’ nella legge di stabilità approvata nel dicembre scorso per i quali oggi è stato emanato il decreto attuativo.

 A rivendicare il risultato dei 130mila salvaguardati complessivi è Cesare Damiano, capogruppo del Pd nella commissione Lavoro della Camera. “Il terzo decreto relativo agli ultimi 10mila salvaguardati completa il risultato di correzione della riforma delle pensioni di Monti e Fornero. E’ stata una lunga battaglia, durata per più di un anno, condotta strenuamente dal Pd, è una buona notizia, ma il problema non è risolto”, afferma Damiano.

“Per questo – aggiunge Damiano – tra gli otto punti indicati da Bersani c’è anche quello di una soluzione definitiva del problema di chi è rimasto senza reddito a causa di una cattiva riforma previdenziale. La battaglia va ora continuata ed è urgente perché si inserisce in una situazione di recessione dell’economia e di aumento della disoccupazione. Le previsioni dell’agenzia Fitch per il 2013, che indicano un calo del Pil italiano dell’1,8%, sono la scoperta dell’acqua calda: si tratta di dati risaputi che richiedono un impegno straordinario sul terreno degli ammortizzatori sociali, che debbono essere universali, e su quello degli incentivi allo sviluppo dell’impresa e dell’occupazione. Chi ha a cuore il destino del paese deve assumersi la responsabilità, come ha fatto il Pd, di avanzare le sue proposte e di trovare le giuste soluzioni”.

Non più invisibili: la Cgil fra le detenute


La detenzione non può e non deve privare la donna della sua dignità. Nessuna donna deve mai smettere di essere donna se finisce dietro le sbarre. È il messaggio che la Cgil di Bari affida alle donne detenute della casa circondariale del capoluogo pugliese, protagoniste di una mattinata insolita, speciale.

La Camera del lavoro metropolitana e provinciale ha celebrato l’8marzo insieme alle 26 detenute della casa circondariale di Bari con l’iniziativa “Donne e arte in carcere”, che è anche titolo del progetto di scrittura creativa che inizierà il primo aprile e terminerà il 15 dicembre 2013. Le partecipanti al corso impareranno a interpretare e trasmettere emozioni e sentimenti, acquisiranno consapevolezza delle proprie capacità e fiducia nelle proprie possibilità all’interno di una dimensione relazionale connotata dal gruppo di scrittura e dalle sue regole di funzionamento e di rispetto reciproco.

Dedicato alle “invisibili dietro le sbarre”, il progetto è stato ideato dalla Cgil di Bari, insieme al Coordinamento delle donne della Cgil di Bari e all’Università popolare della Terza età, con la convinzione che la scrittura sia un mezzo efficace per le donne detenute per riappropriarsi del proprio ruolo di figlie, madri, lavoratrici, raccontando i propri vissuti, rievocando ricordi ed esperienze, con la libertà di narrare in modo creativo, senza vincoli né schemi, per ri-velare esperienze di vita reale, dentro e fuori le sbarre, per ri-mettersi in gioco dando spazio a riflessioni da dove ri-partire.

Dopo la lettura scenica dello spettacolo è iniziato il dibattito sulla condizione carceraria delle donne. Ad aprire i lavori Pietro Rossi, garante dei detenuti di Puglia, secondo cui il progetto della Cgil di Bari ben si colloca nell’ambito della vigilanza dinamica, una svolta per la concezione della sicurezza in carcere che impone di ripensare spazi, organizzazione, iniziative, valorizzando quanto di meglio ciascun istituto può dare collaborando con sindacato, imprese e istituzioni culturali all’esterno.

Maria Giuseppina D’Addetta, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bari, ha esaminato la situazione delle detenute all’interno delle carceri. Donne che subiscono una doppia penalizzazione quando per esempio, e questo accade nell’80 per cento dei casi, non possono occuparsi dei figli, svilendo così il loro ruolo di madri. Donne che hanno bisogno di fare prevenzione femminile in tema di salute.  un continuo scambio di contatti ed esperienze.

Uno spaccato della realtà detentiva pugliese è stato tracciato da Giuseppe Martone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria. In Puglia ci sono 4200 detenuti; 1800 sono fuori dalle carceri. Non esiste un sovraffollamento femminile, calcolando che le donne detenute in Italia si aggirano intorno al 5 per cento. Il vero disagio deriva dal fatto che le strutture detentive sono vecchie.

Fa da contraltare il capitale umano altamente specializzato degli operatori, che sono un vero e proprio punto di riferimento per le detenute a cui la Cgil di Bari, ha detto Pino Gesmundo, segretario generale della Camera del lavoro, continuerà ogni giorno dell’anno, non solo l’8 marzo, a esprimere solidarietà, vicinanza e conforto affettivo.

Per questo è importante, ha sottolineato il segretario nazionale Cgil Vera Lamonica, che alle detenute sia data la possibilità di esprimere il loro mondo interiore con tutti i mezzi e gli strumenti, quindi anche attraverso l’arte, obiettivo del progetto di scrittura creativa ideato dal Coordinamento donne.

L’instabilità occupazionale, accompagnata alla precarietà affettiva e domestica, quando non trova supporto nella rete di sostegno sociale si trasforma in quella forma di disadattamento la cui peggiore conseguenza è lo stereotipo di una donna considerata dalla società soggetto fragile e pertanto esente dal riconoscimento dei suoi diritti al pari di quelli maschili. Questo scenario acquista tinte ancora più scure quando impatta l’ambito penale. Per questo il sindacato è impegnato, oltre che nell’offrire il suo contributo costante, anche in una vigilanza continua affinché il carcere possa svolgere il suo ruolo non esclusivo di detenzione ma anche e soprattutto di riabilitazione insieme alle istituzioni il cui compito dovrà essere quello dell’inserimento sociale dei detenuti dopo aver scontato la pena.

Emergenza lavoro

Ccgil, Camusso – Un esecutivo per l’emergenza lavoro

”Il lavoro è la vera emergenza, che implica interventi immediati. Il quadro diventa ogni giorno più drammatico con moltissimi posti di lavoro in pericolo, un tasso di disoccupazione allarmante e gli ammortizzatori sociali a rischio. Occorre un governo che faccia delle scelte, non si può lasciare il Paese nel nulla”. Così il segretario della Cgil, Susanna Camusso, che in un’intervista all’Unità sottolinea l’urgenza di azioni concrete per il lavoro e l’equità sociale.

Come primo passo, occorre ”sbloccare i pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni alle imprese, per non mandare a gambe all’aria tutti coloro che stanno ancora resistendo e dando la possibilità ai cantieri di iniziare i lavori”, spiega Camusso. ”Poi bisogna delineare due o tre grandi indirizzi di politica industriale che ricomincino ad attrarre investimenti
utilizzando esplicitamente anche le grandi imprese pubbliche, come Eni, che ha alti ricavi, e Finmeccanica”.

Sul fronte della giustizia sociale, prosegue la leader
sindacale, ”non possiamo continuare a dare stipendi altissimi ai manager pubblici e delle imprese private e lasciare che i lavoratori continuino a percepire un reddito non sufficiente a garantire una vita dignitosa”.
Parlando dell’attuale fase di instabilità politica, Camusso ribadisce il no alle ”logiche del governissimo o dell’esecutivo di unità nazionale, perche’ si deve rispettare l’esito del voto”, che rappresenta anche ”un segnale di grande sfiducia”.
”La risposta che gli elettori si aspettano è quella di un
governo politico che possa dare il via a misure concrete per migliorare le condizioni di vita, che guardi all’economia reale, ai redditi, ai posti di lavoro. Soltanto in questo modo – sostiene – si rafforzano gli interventi, altrettanto necessari, sulla trasparenza, la sobrietà e i costi della politica”.

Ansa

8 marzo

8 marzo – Appello Anaao

Un ”impegno concreto a sostegno della parità salariale e di carriera, di politiche a favore della conciliazione lavoro; famiglia, della flessibilità degli
orari di lavoro, dell’adeguamento della normativa sul part-time, dell’estensione delle tutele ai contratti atipici”. E’ quello che chiede l’Anaao Assomed, il principale sindacato dei medici ospedalieri, ai neo parlamentari, e soprattutto alle numerose parlamentari elette, e al futuro Governo.

”Alle donne parlamentari – si legge nell’appello dell’Anaao – chiediamo di non dimenticare che sono proprio le donne l’asso nella manica delle nazioni più evolute, che lo sviluppo potenziale di un Paese dipende dal superamento del gender gap e che è fondamentale l’intervento dei Governi per ottenerlo.

”I dati del Global Gender Gap 2012 – prosegue il sindacato – il rapporto mondiale del World Economic Forum sulle differenze tra uomo e donna, che analizza le disparita’ di genere in 135 Paesi secondo quattro grandi parametri (la partecipazione politica, la salute, l’istruzione e la partecipazione economica) vedono l’Italia all’80/o posto della classifica generale,
facendole perdere in un solo anno ben sei posizioni (e non solo perchè “gli altri hanno fatto meglio”). Evidentemente il nostro è un Paese che invoca equità, solidarietà e pari opportunità a parole, ma nei fatti poco riesce a fare per scardinare condizionamenti e radicati retaggi culturali di cui soffre”.   

”L’Anaao Assomed – conclude la nota – chiede quindi di passare, senza ulteriori esitazioni, dalle parole ai fatti attraverso una revisione dell’organizzazione del lavoro e dei contratti di lavoro, la puntuale applicazione delle norme già esistenti a tutela di maternità, paternità, disabilità e la loro estensione alle lavoratrici e lavoratori precari”.

ansa

Piccinini, Inca

Piccinini, Inca – Disattesi i principi Carta costituzionale

“Avremmo voluto parlare soltanto dei sinonimi di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, ma la realtà che stiamo vivendo ci impone di riflettere profondamente sul perché i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale siano così profondamente disattesi. Forse sono stati troppo audaci i Padri costituenti quando li scrissero nero su bianco? Certamente no, se consideriamo il contesto nel quale vennero elaborati e quanti passi in avanti abbiamo fatto finora. Allora si usciva da una guerra drammatica che aveva mietuto miseria e distruzione.” 

Lo afferma Morena Piccinini, Presidente del Patronato INCA CGIL (vedi video intervista http://www.italiannetwork.it/video.aspx?id=1431)  nella prefazione di una pubblicazione  “Costituzione sostantivo femminile. I sinonimi e i contrari dei principi fondamentali” che  affronta attraverso gli esempi e le parole di donne di età diverse, diversa condizione socio-economica e professionale, ma anche diverse sensibilità, i diritti affermati dalla Costituzione italiana ma variamente disattesi  (http://www.inca.it/Editoria/EsperienzeInca.aspx).

“Sono passati 65 anni dalla promulgazione della Costituzione italiana, ma mai come in questo momento quei valori, in essa espressi, ci sembrano tanto lontani dalla realtà. La grave crisi attuale, economica e occupazionale sta facendo crescere la sfiducia verso le nostre istituzioni democratiche, alimentando, soprattutto in alcuni ambienti politici, la tentazione di allontanarsi da esse.” afferma la sindacalista della CGIL sottolineando:
“Sapevano, i nostri Padri costituenti, che la Carta non sarebbe stata scritta una volta per tutte; che ci sarebbe voluto lo sforzo di tutti per migliorarne il profilo. Per questo scelsero di distinguere i principi fondamentali, dagli altri articoli che avrebbero dovuto accoglierli, con coerenza e coraggio, senza mai tradirli.

Il movimento sindacale del nostro Paese, con le sue battaglie sociali, ha tenuto fede a questi principi, aiutando il percorso di affermazione di una cultura democratica, fondata sui diritti del lavoro e di cittadinanza. Nel corso degli anni, pur con ritardi e contraddizioni, l’Italia repubblicana si è dotata di un complesso di normative importanti sul welfare solidale e universale, sulla parità degli uomini e delle donne, sul diritto allo studio, sul rispetto delle aspettative professionali di ognuno, sull’assistenza e sulla tutela delle fasce più deboli. Diritti che, troppo spesso, vediamo messi in discussione in una politica di tagli intrapresa come unica o prevalente risposta alla crisi economica.

Nella crisi che stiamo attraversando attualmente non ci sono eserciti che si contendono una vittoria, purtuttavia c’è una guerra insidiosa che lascia strascichi nelle condizioni di vita di chi, richiamando gli articoli della Costituzione, non riesce a trovare una traduzione giusta dei diritti fondamentali, nei quali ciascuno di noi si riconosce, rappresentando essi stessi la nostra identità di Paese.

Le donne sono le persone che pagano di più la discrasia tra gli enunciati della Costituzione e le condizioni nelle quali versano: sono le prime ad essere licenziate; a percepire salari più bassi rispetto agli uomini; a pagare l’assenza di servizi sociali, per garantire l’assistenza ai propri familiari; a subire violenze dentro e fuori le mura domestiche (vedi: http://www.italiannetwork.it/news.aspx?ln=it&id=42579).
Ciononostante, le donne sono, spesso, in prima fila a rimboccarsi le maniche quando devono combattere la mafia; quando con ogni sforzo si impegnano in difficili missioni di pace e di cooperazione all’estero; quando c’è bisogno di denunciare un’ingiustizia; quando, alla guida di amministrazioni locali, si prodigano per il benessere collettivo delle comunità. Sono questi “i sinonimi della Costituzione” che vogliamo far crescere per accorciare le distanze tra Costituzione formale e Costituzione reale, convinte che non si debba riportare indietro l’orologio della nostra storia repubblicana; lo si deve e lo si può fare con la partecipazione attiva delle donne.”

“Le testimonianze raccolte in questa pubblicazione – conclude la Presidente dell’INCA – sono il nostro contributo, in occasione dell’8 marzo, per dare un volto reale alle aspettative di ognuno e per ricostruire la fiducia verso le istituzioni democratiche, duramente compromessa.
È il nostro modo per aiutare il rinnovamento della società in cui viviamo rispettando ciascuno dei 12 articoli che compongono i principi fondamentali della Costituzione italiana, dai quali non si può e non si deve prescindere.”

Italian network

8 marzo

8 marzo – Scultz, parità tra uomo e donna è vitale

“La parità tra donne e uomini è un valore fondamentale dell’Unione europea ed è vitale per la crescita economica, la prosperità e la competitività. Tuttavia, oggi tale uguaglianza esiste solo sulla carta. Le donne sono pagate il 16,2% in meno degli uomini per lo stesso lavoro. Le donne sono stati colpiti duramente dalla crisi economica attraverso  una maggiore disoccupazione e più posti di lavoro precari.

La violenza di genere contro le donne rimane scandalosamente pervasiva, con un costo pesante per gli individui, le famiglie e la società in generale. Le donne sono ancora ampiamente sottorappresentate in politica ed economica del processo decisionale.  Abbiamo bisogno di un cambiamento radicale nella lotta per la parità di genere: si tratta di una lotta culturale, politica ed economica”. E’ quanto dichiarato in una nota dal Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.