Archivi giornalieri: 27 ottobre 2022

Sant’ Evaristo

 

Sant’ Evaristo


Nome: Sant’ Evaristo
Titolo: Papa e martire
Nascita: I Secolo, Evaristo, Grecia
Morte: 108 circa, Roma
Ricorrenza: 27 ottobre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Questo santo Pontefice, che per nove anni sedette sulla cattedra di S. Pietro, illustrò la Chiesa con savie disposizioni, non meno che colla sua santa vita, coronata dalla palma del martirio.

Nacque, Evaristo, in Grecia da padre ebreo. Nella sua giovinezza frequentò le principali scuole della sua dotta patria, ed alla cultura filosofica e letteraria unì lo studio della dottrina cristiana. Iscrittosi fra i catecumeni, ricevette il santo battesimo e divenne egli pure zelantissimo apostolo della fede, dapprima fra i suoi connazionali e poscia in Roma, chiamatovi dal Papa Anacleto che ne aveva ammirato le doti non comuni di scienza e di zelo. Alla morte di Papa Anacleto, per l’unanime consenso dei fedeli, fu eletto a succedergli nel difficile e delicato ministero.

Gravi furono le difficoltà del suo pontificato, rese più gravi ancora dalle furiose persecuzioni suscitate dagli imperatori di Roma. La Chiesa era perciò costretta in quel tempo a svolgere le sue attività nell’oscurità delle Catacombe. Ivi si compivano le sacre funzioni, venivano conferiti gli ordini sacri, e vi si prendevano disposizioni per le più urgenti necessità.

Non si può dubitare dello zelo indefesso di Papa Evaristo, nè della sua pastorale vigilanza, ricordando quanto il grande martire Ignazio di Antiochia ci fa sapere sulla condotta dei fedeli di Roma al tempo di questo degnissimo successore di S. Pietro. Essi infatti venivano proposti ad esempio alle altre chiese della cristianità, per la purezza di dottrina, per l’ardente carità con cui s’amavano, e per l’eroico attaccamento alla fede cristiana.

Moltissime e rilevanti sono le opere compiute nella Chiesa da questo glorioso Pontefice: vanno però ricordate alcune, perchè degne di maggior rilievo.

Anzitutto, la divisione da lui fatta della diocesi di Roma in Titoli o Parrocchie, a ciascuna delle quali propose un prete cardinale.

Poi quella di avere propugnato la santificazione del matrimonio, ordinando che venisse celebrato pubblicamente e che le nozze fossero benedette dal sacerdote: disposizione che fu poi largamente illustrata da Leone XIII e da Pio XI, che ci ha donato un nuovo preziosissimo documento coll’enciclica « Casti Connubii » del 29 dicembre 1930.

S. Evaristo, durante il suo saggio governo della Chiesa, conferì tre volte i sacri ordini, consacrando quindici vescovi, diciassette sacerdoti e due diaconi.

Santamente chiuse i suoi giorni, coronati dal glorioso martirio; che subì per ordine di Traiano, l’anno 121. Le sue sacre spoglie furono deposte sul Colle Vaticano presso la tomba di S. Pietro.

PRATICA. Leggiamo volentieri la parola del Papa, sapendo che per mezzo di lui parla il Divin Maestro Gesù Cristo.

PREGHIERA. Riguarda, Dio onnipotente, la nostra infermità, e giacchè siamo oppressi dai peccati, ci protegga la gloriosa intercessione del tuo beato martire e Pontefice Evaristo.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma, sant’Evaristo, papa, che resse la Chiesa di Roma per quarto dopo il beato Pietro, sotto l’imperatore Traiano.

Rivalutazione di pensioni e prestazioni assistenziali per il 2022

Rivalutazione di pensioni e prestazioni assistenziali per il 2022

Circolare n° 120 del 26-10-2022

Rivalutazione definitiva delle pensioni, delle prestazioni assistenziali e delle prestazioni di accompagnamento alla pensione per l’anno 2022

INDICE

1. Premessa

2. Rivalutazione dei trattamenti previdenziali

2.1 Indice di rivalutazione definitivo per l’anno 2022

2.2 Modalità di attribuzione della rivalutazione definitiva 2022

3. Rivalutazione delle pensioni sulle quali sono attribuiti i benefici di cui alla legge n. 206/2004 e successive modificazioni (vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice)

4. Tabelle

5. Rivalutazione delle quote di pensione dovute ad altro beneficiario

6. Pensioni della Gestione pubblica

6.1 Rivalutazione delle quote di pensione dovute ad altro beneficiario

7. Prestazioni di accompagnamento a pensione

8. Prestazioni di invalidità civile e assegno sociale

1. PREMESSA

L’Istituto ha concluso le attività di rivalutazione definitiva delle pensioni e delle prestazioni assistenziali per l’anno 2022.

Con la presente circolare si descrivono in dettaglio le operazioni effettuate.

2. RIVALUTAZIONE DEI TRATTAMENTI PREVIDENZIALI

L’articolo 21, comma 1, lettera a), del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2022, n. 142, prevede che:

1. Al fine di contrastare gli effetti negativi dell’inflazione per l’anno 2022 e sostenere il potere di acquisto delle prestazioni pensionistiche, in via eccezionale:

a) il conguaglio per il calcolo della perequazione delle pensioni, di cui all’articolo 24, comma 5, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, per l’anno 2021 è anticipato al 1° novembre 2022”.

Per la determinazione dell’importo complessivo da prendere a base della perequazione vengono considerate le prestazioni memorizzate nel Casellario Centrale delle Pensioni, erogate da Enti diversi dall’INPS e per le quali è indicata l’assoggettabilità al regime della perequazione cumulata, e le prestazioni erogate dall’INPS ad esclusione delle seguenti:

  • prestazioni a carico delle assicurazioni facoltative (VOBIS, IOBIS, VMP, IMP), delle pensioni a carico del fondo clero ed ex ENPAO (CL, VOST), dell’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale (INDCOM), che vengono perequate singolarmente;
  • prestazioni a carattere assistenziale (AS, PS, INVCIV) e delle pensioni che usufruiscono dei benefici previsti per le vittime di atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice, di cui alla legge 3 agosto 2004, n. 206, che vengono rivalutate singolarmente e con criteri propri;
  • prestazioni di accompagnamento a pensione (027-VOCRED, 028-VOCOOP, 029-VOESO, 127–CRED27, 128–COOP28, 129–VESO29, 143–APESOCIAL, 198-VESO33, 199-VESO92, 200-ESPA), che non vengono rivalutate per tutta la loro durata;
  • pensioni di vecchiaia in cumulo a formazione progressiva, per le quali non siano stati utilizzati tutti i periodi assicurativi accreditati presso le gestioni di cui all’articolo 1, comma 239, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come modificata dall’articolo 1, comma 195, della legge 11 dicembre 2016, n. 232.

Per i trattamenti degli Enti diversi dall’INPS, l’informazione relativa al cumulo della pensione ai fini della perequazione viene memorizzata nel Casellario Centrale delle Pensioni, nel campo “GP1AV35N” di ciascuna prestazione e assume valore 2 (SI PEREQUAZIONE) ovvero 1 (NO PEREQUAZIONE).

L’importo di perequazione eventualmente spettante sul trattamento complessivo viene ripartito sulle pensioni in misura proporzionale, con le modalità illustrate nella circolare n. 102 del 6 luglio 2004.

Per le pensioni in totalizzazione e in cumulo la perequazione viene ripartita sulle singole quote nella misura percentuale di apporto di ciascuna quota all’intera pensione.

2.1 INDICE DI RIVALUTAZIONE DEFINITIVO PER L’ANNO 2022

Con la circolare n. 15 del 28 gennaio 2022 è stato comunicato che la variazione percentuale ai fini della perequazione automatica delle pensioni, calcolata dall’ISTAT, è stata pari all’1,90%.

Tale valore rappresenta l’indice di perequazione automatica da attribuire alle pensioni, in via definitiva, per l’anno 2022. Conseguentemente, si è proceduto al conguaglio da perequazione rispetto al valore dell’1,70% utilizzato in sede di rinnovo per l’anno 2022.

Si riportano di seguito i valori definitivi per l’anno 2022 e si rammenta che l’importo del trattamento minimo viene preso a base anche per l’individuazione dei limiti di riconoscimento delle prestazioni collegate al reddito.

Decorrenza Trattamenti minimi pensioni lavoratori dipendenti e autonomi Assegni vitalizi
1° gennaio 2022 525,38 € 299,49 €
IMPORTI ANNUI 6.829,94 € 3.893,37 €

2.2 MODALITÀ DI ATTRIBUZIONE DELLA RIVALUTAZIONE DEFINITIVA 2022

La legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (legge Finanziaria 2001), all’articolo 69 dispone che a decorrere dal 1° gennaio 2001 la percentuale di aumento per variazione del costo della vita si applica per intero sull’importo di pensione non eccedente il triplo del minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti; per le fasce di importo comprese tra il triplo e il quintuplo del minimo la percentuale di aumento è ridotta al 90%; per le fasce d’importo eccedenti il quintuplo del minimo la percentuale di aumento è ridotta al 75%. L’articolo 1, comma 478, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, dispone che a decorrere dal 1° gennaio 2022 l’indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448:

a) nella misura del 100% per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici fino a quattro volte il trattamento minimo INPS;

b) nella misura del 90% per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra quattro e cinque volte il trattamento minimo INPS;

c) nella misura del 75% per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il predetto trattamento minimo.

Di seguito si riporta la tabella di riepilogo.

AUMENTI PER COSTO VITA
dal Fasce trattamenti complessivi % indice perequazione da attribuire Aumento del Importo trattamenti complessivi
da a
1° gennaio 2022 Fino a 4 volte il TM 100 1,900% 2.062,32
Oltre 4 e fino a 5 volte il TM 90 1,710% 2.062,33 2.577,90
Oltre 5 volte il TM 75 1,425% 2.577,91

3. RIVALUTAZIONE DELLE PENSIONI SULLE QUALI SONO ATTRIBUITI I BENEFICI DI CUI ALLA LEGGE N. 206/2004 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI (VITTIME DEL TERRORISMO E DELLE STRAGI DI TALE MATRICE)

L’articolo 3, comma 4-quater, del decreto–legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, ha stabilito che, dal 1° gennaio 2018, ai trattamenti diretti dei pensionati vittime di atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice, dei loro superstiti, nonché dei familiari di cui all’articolo 3 della citata legge n. 206/2004è assicurata, ogni anno, la rivalutazione automatica:

a) in misura pari alla variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati;

ovvero, in alternativa,

b) un incremento annuale in misura pari, nel massimo, all’1,25% calcolato sull’ammontare dello stesso trattamento per l’anno precedente, secondo l’articolazione indicata dall’articolo 69 della legge n. 388/2000, da riferire alla misura dell’incremento medesimo.

Si rammenta che le pensioni sulle quali sono attribuiti i benefici di vittima del terrorismo non sono assoggettate alla disciplina del cumulo perequativo e vengono, pertanto, rivalutate sempre singolarmente.

Poiché l’indice ordinario per il 2022 è risultato superiore all’1,25%, la rivalutazione è stata riconosciuta nella misura indicata alla lettera a) sull’intero importo.

4. TABELLE

Nell’Allegato n. 1 si forniscono le tabelle con gli importi del trattamento minimo, delle prestazioni assistenziali e i limiti di reddito per il diritto alle diverse prestazioni collegate al reddito, costruiti come multipli dell’importo del trattamento minimo dell’anno 2022.

Si fornisce, inoltre, la tabella utile al calcolo della “trattenuta teorica massima” applicabile su pensione in caso di recupero per indebiti “propri”.

5. RIVALUTAZIONE DELLE QUOTE DI PENSIONE DOVUTE AD ALTRO BENEFICIARIO

In considerazione di quanto riportato nel paragrafo 2.1 sono state rivalutate anche le quote di pensione dovute al beneficiario diverso dal pensionato, in presenza di un piano di “Pagamenti ridotti o disgiunti” individuato da uno dei seguenti codici:

  • M4 Assegno divorzile per ex coniuge superstite;
  • M5 Assegno alimentare per figli;
  • M6 Assegno alimentare per ex coniuge.

Analogamente, è stato perequato l’importo “Altra pensione” memorizzato dalle Sedi per i piani di recupero N1-Trattenuta Fondo Clero.

Si rinvia in proposito al messaggio n. 382 del 14 novembre 2003.

6. PENSIONI DELLA GESTIONE PUBBLICA

Per effetto dell’applicazione delle percentuali di variazione della perequazione automatica, la misura mensile dell’indennità integrativa speciale dal 1° gennaio 2022 è pari a 804,56 €; l’importo della stessa indennità sulla tredicesima mensilità è determinato in 784,56 €.

Nei casi di cumulo di due o più pensioni corrisposte dall’INPS e da altri Enti previdenziali si fa rinvio alle disposizioni impartite con la nota operativa Inpdap n. 49 del 23 dicembre 2008.

Si conferma che anche per l’anno 2022, in presenza di due o più pensioni corrisposte dalla Gestione Dipendenti Pubblici, la procedura informatica sulla base dei dati relativi al codice fiscale del titolare delle prestazioni ha provveduto con modalità automatica all’abbinamento dei codici che identificano la pensione c.d. “principale” e “secondaria” attribuendo l’incremento della perequazione in misura proporzionale.

6.1 RIVALUTAZIONE DELLE QUOTE DI PENSIONE DOVUTE AD ALTRO BENEFICIARIO

La corresponsione degli aumenti perequativi descritti trova applicazione anche nel caso di un unico trattamento pensionistico, indiretto o di reversibilità, attribuito in quota parte al coniuge superstite e al coniuge divorziato, titolare di assegno divorzile.

Si ricorda che l’adeguamento annuale degli assegni di mantenimento riconosciuti all’ex coniuge superstite e/o ai figli di iscritto o pensionato, dovrà essere disposto, secondo le modalità stabilite dal giudice nel provvedimento di assegnazione, direttamente dagli operatori delle Sedi – Gestione Dipendenti Pubblici.

7. PRESTAZIONI DI ACCOMPAGNAMENTO A PENSIONE

Si rammenta che le prestazioni di accompagnamento alla pensione corrisposte ai sensi degli articoli 3 e 4 della legge 28 giugno 2012, n. 92, di categoria 027-VOCRED, 028-VOCOOP, 029-VOESO, 127–CRED27, 128–COOP28, 129–VESO29, 143–APESOCIAL, 198-VESO33, 199-VESO92, 200-ESPA, non avendo natura pensionistica, conservano per tutta la loro durata l’importo stabilito alla decorrenza.

Si rammenta, inoltre, che il pagamento delle suddette prestazioni corrisposte ai sensi del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, e dell’articolo 4 della citata legge n. 92/2012 viene sempre effettuato con separata disposizione anche nei confronti dei titolari di altra prestazione previdenziale o assistenziale, per consentire la quantificazione della provvista a carico delle aziende esodanti.

La tassazione delle prestazioni assoggettate alla tassazione ordinaria viene, invece, effettuata con le generali regole del cumulo fiscale.

8. PRESTAZIONI DI INVALIDITÀ CIVILE E ASSEGNO SOCIALE

L’aumento perequativo di cui all’articolo 21 del decreto-legge n. 115/2022 trova applicazione anche alle prestazioni assistenziali, ovvero alle prestazioni di invalidità civile e assegno sociale/pensione sociale.

Le predette prestazioni sono di seguito riportate:

– pensione di inabilità, di cui all’articolo 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118;

– assegno mensile di assistenza, di cui all’articolo 13 della legge n. 118/1971;

– assegno sociale sostitutivo, di cui all’articolo 19 della legge n. 118/1971;

– pensione non riversibile per sordi, di cui alla legge 26 maggio 1970, n. 381, e alla legge 20 febbraio 2006, n. 95;

– pensione non riversibile per ciechi, di cui alla legge 10 febbraio 1962, n. 66, e alla legge 27 maggio 1970, n. 382;

– indennità di accompagnamento, di cui alla legge 11 febbraio 1980, n. 18, e alla legge 21 novembre 1988, n. 508;

– indennità di comunicazione, di cui alla legge n. 508/1988;

– indennità accompagnamento cieco assoluto, di cui alla legge 28 marzo 1968, n. 406, e alla legge n. 508/1988;

– indennità speciale, di cui alla legge n. 508/1988;

– indennità di frequenza, di cui alla legge 11 ottobre 1990, n. 289;

– indennità di talassemia, di cui all’articolo 39, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448;

– assegno sociale, di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335;

– pensione sociale, di cui alla legge 30 aprile 1969, n. 153.

Il Direttore Generale
Vincenzo Caridi

L’INPS ha concluso le attività di rivalutazione delle pensioni e delle prestazioni assistenziali, propedeutiche al pagamento delle prestazioni previdenziali e assistenziali nel 2022.

Con la circolare INPS 26 ottobre 2022, n. 120 l’Istituto descrive i criteri e le modalità applicative della rivalutazione delle pensioni, delle prestazioni assistenziali e delle prestazioni di accompagnamento alla pensione per il 2022.

I ministri del governo Meloni Mappe del potere

I ministri del governo Meloni Mappe del potere

Abbiamo analizzato attraverso i dati la composizione nel nuovo consiglio dei ministri. Ne emerge un governo con età media alta e rappresentanza femminile scarsa.

 

Come noto, sabato scorso Giorgia Meloni e la sua squadra di ministri hanno prestato giuramento nelle mani del capo dello stato. In attesa di sapere come il parlamento si esprimerà sul nuovo governo, abbiamo analizzato attraverso i dati la composizione del nuovo consiglio dei ministri (Cdm).

Per avere un quadro completo sul nuovo esecutivo e sui rapporti di forza tra le varie forze politiche che ne fanno parte dovremo attendere anche la nomina di viceministri e sottosegretari. Ma già dalla scelta dei ministri è possibile estrapolare alcune indicazioni molto interessanti.

Dal disequilibrio tra i partiti di maggioranza al ruolo dei tecnici, dall’età media alla presenza di donne nella squadra.

Composizione ed equilibri

Il nuovo consiglio dei ministri (Cdm) si compone di 25 esponenti, inclusa la presidente Giorgia Meloni. I ministri senza portafoglio sono 9 mentre quelli con portafoglio 15. Tra questi anche i due vicepresidenti Matteo Salvini (infrastrutture e mobilità sostenibili) e Antonio Tajani (esteri).

Si aggiunge inoltre Alfredo Mantovano, che è stato nominato sottosegretario alla presidenza del consiglio. Questi svolgerà il ruolo di segretario con il compito di redigere il verbale delle sedute, a cui partecipa ma senza diritto di voto.

Per quanto riguarda invece gli equilibri tra le forze politiche della maggioranza possiamo osservare che Fratelli d’Italia vanta all’interno dell’esecutivo tanti esponenti quanti Lega e Forza Italia messi insieme (5 ciascuno). Un dato che premia chiaramente la forza politica che ha ottenuto il maggior numero di consensi alle elezioni e che va invece in parte a penalizzare la Lega. Il Carroccio infatti in parlamento ha un maggior numero di esponenti rispetto al partito di Silvio Berlusconi. D’altra parte lo scarto di voti ottenuti tra Lega e Fi è veramente minimo. Di conseguenza si può parlare di una sorta di riequilibrio tra le due forze politiche.

40% i componenti del Cdm espressione di Fdi.

A questo proposito è utile tenere presente, come riportato dalla stampa nei giorni scorsi, che le trattative per la composizione dell’esecutivo, per quanto relativamente rapide, sono state tutt’altro che pacifiche. E gli alleati di Fdi sono stati costretti a rinunciare ad alcuni loro obiettivi. Salvini ad esempio aveva rivendicato per sé il ministero dell’interno. Mentre Berlusconi non è riuscito a ottenere per il proprio partito né il ministero della giustizia (affidato a Carlo Nordio, ex magistrato ma eletto in parlamento con Fdi) né un ruolo nel governo per Licia Ronzulli, sua stretta collaboratrice. Tali dinamiche evidenziano chiaramente la differenza di peso tra le forze politiche della maggioranza.

Le precedenti esperienze

Da notare anche le significative e prevedibili differenze con il governo Draghi rispetto ai ministri tecnici. Nel nuovo esecutivo infatti sono soltanto mentre in quello uscente erano 9 (incluso Draghi).

I dicasteri strategici sono stati affidati a “politici”.

Inoltre in questo caso, fatta eccezione per il ministero dell’interno, i dicasteri più “strategici” come quello dell’economia, delle infrastrutture, dello sviluppo economico e della transizione ecologica (questi ultimi due cambieranno denominazione) sono stati affidati a politici.

Non tutti i tecnici inoltre possono essere considerati come “indipendenti”. L’esempio più evidente è quello dell’ex prefetto di Roma Matteo Piantedosi che aveva ricoperto il ruolo di capo di gabinetto per Matteo Salvini al ministero dell’interno durante il governo Conte I. Un altro esempio è quello del nuovo ministro della cultura Gennaro Sangiuliano che era stato nominato alla direzione del Tg2 durante il governo giallo-verde. In generale si può dunque parlare di cosiddetti “tecnici d’area”. Anche se non sempre la collocazione partitica, inclusa quella dello stesso Piantedosi, è chiara.

Un’ultima indicazione che possiamo trarre da questi dati riguarda il fatto che questo sia un governo molto “esperto”. Quasi tutti i suoi membri infatti, inclusa la presidente Meloni, hanno già ricoperto incarichi di governo o occupato seggi in parlamento per una o più legislature. Le sole eccezioni in questo senso sono rappresentate da Orazio Schillaci (ex rettore dell’università di Tor Vergata e ministro della salute), Marina Elvira Calderone (componente del cda di Leonardo e ministra del lavoro), Andrea Abodi (ex presidente dell’istituto per il credito sportivo e ministro per lo sport e i giovani), oltre ai già citati Carlo Nordio, Gennaro Sangiuliano e Matteo Piantedosi. Su questi aspetti torneremo in maniera più dettagliata in un apposito approfondimento.

6 su 25 i ministri del governo Meloni che non hanno ricoperto in passato incarichi nel governo o in parlamento.

Alla luce di questi dati non sorprende quindi che l’attuale esecutivo abbia un’età media piuttosto elevata.

Una squadra non giovane

Come abbiamo appena visto, quasi tutti i ministri e le ministre del nuovo esecutivo hanno avuto in passato esperienze di governo o parlamento. Un aspetto che, in un certo senso, si riflette nell’età anagrafica del governo Meloni: 60 anni in media.

Anche se l’età chiaramente non è un criterio per valutare il nuovo Cdm, è comunque una prospettiva interessante da cui osservare il nuovo esecutivo e metterlo a confronto con i precedenti. Seppur in misura limitata infatti, un’età media alta può indicare un notevole bagaglio di esperienza, ma una minore forza innovativa. Viceversa, un’età bassa tra i ministri potrebbe far pensare a un approccio più spiccato al cambiamento, ma col rischio di una minore esperienza alle spalle.

Quello di Meloni è il quarto governo italiano con l’età media più alta.

Dal 1948 a oggi, solo 3 esecutivi hanno registrato un’età media superiore a quella dell’attuale. Si tratta dei governi Monti (62,7 anni), Fanfani VI (60,9) e Dini (60,8). Si tratta di governi tecnici in due casi su tre (Dini e Monti).

Con 60 anni in media, Meloni supera la squadra del suo predecessore Draghi (54,4 anni) e consolida l’inversione di un trend che aveva visto nei recenti governi Renzi (47,3 anni) e Conte II (47,7) un abbassamento dell’età media mai registrato prima.

Tra le fila del nuovo esecutivo, i due estremi in questo senso sono rappresentati dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni – classe 1977 – e dalla ministra per le riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati – classe 1946.

Ancora poche le donne a capo di ministeri

Si è parlato molto, sia in campagna elettorale che in fase di formazione del nuovo governo, della novità che un esecutivo a guida Meloni avrebbe rappresentato per l’Italia. È infatti la prima volta nella storia del nostro paese che una donna è a capo del governo.

Tuttavia, questa novità non ha avuto effetti positivi in termini di rappresentanza femminile tra i ministri.

7 su 25 le ministre del nuovo governo, compresa Meloni.

Parliamo quindi di una quota del 28%in linea con molti esecutivi passati e inferiore ad altri. In primis a quello guidato da Renzi, il quale aveva voluto e rivendicato la parità del 50% in Cdm. Ma superano il 28% di donne anche le formazioni dei governi Conte II e Letta (entrambi al 33,3%) e quella del predecessore Draghi, dove le ministre costituivano il 34,8%.

D’altra parte, Meloni non ha mai rivendicato l’intenzione politica di favorire una maggiore rappresentanza femminile nelle istituzioni, né in generale una particolare sensibilità al problema della disparità di genere in Italia. Era quindi in un certo senso prevedibile, che nel definire la sua squadra di ministri non avrebbe rappresentato una svolta positiva in questo senso.

Foto: presidenza del consiglio dei ministri

 

La composizione del consiglio dei ministri del governo Meloni

La composizione del consiglio dei ministri del governo Meloni

I componenti del governo Meloni suddivisi in base all’appartenenza politica

GRAFICO
 
DESCRIZIONE

Il consiglio dei ministri (Cdm) del governo Meloni si compone, inclusa la premier di 25 componenti. A questi si può aggiungere Alfredo Mantovano in qualità di sottosegretario alla presidenza del consiglio con funzioni di redazione del verbale delle riunioni. I ministri senza portafoglio sono 9 mentre quelli con portafoglio 15. Complessivamente gli esponenti di Fratelli d’Italia sono 10, tanti quanti Lega e Forza Italia messi insieme (5 ciascuno). Sono 5 anche i tecnici, tutti d’area.

DA SAPERE

Per i ministri che sono stati eletti anche in parlamento l’appartenenza politica è stata attribuita in base al gruppo a cui si sono iscritti. Negli altri casi è stata attribuita solo nel caso in cui sia stato possibile risalire a una esplicita militanza politica. I tecnici, anche se d’area, sono stati considerati tutti come indipendenti.

 

I ministri

I ministri del governo Meloni Mappe del potere

Abbiamo analizzato attraverso i dati la composizione nel nuovo consiglio dei ministri. Ne emerge un governo con età media alta e rappresentanza femminile scarsa.

 

Come noto, sabato scorso Giorgia Meloni e la sua squadra di ministri hanno prestato giuramento nelle mani del capo dello stato. In attesa di sapere come il parlamento si esprimerà sul nuovo governo, abbiamo analizzato attraverso i dati la composizione del nuovo consiglio dei ministri (Cdm).

Per avere un quadro completo sul nuovo esecutivo e sui rapporti di forza tra le varie forze politiche che ne fanno parte dovremo attendere anche la nomina di viceministri e sottosegretari. Ma già dalla scelta dei ministri è possibile estrapolare alcune indicazioni molto interessanti.

Dal disequilibrio tra i partiti di maggioranza al ruolo dei tecnici, dall’età media alla presenza di donne nella squadra.

Composizione ed equilibri

Il nuovo consiglio dei ministri (Cdm) si compone di 25 esponenti, inclusa la presidente Giorgia Meloni. I ministri senza portafoglio sono 9 mentre quelli con portafoglio 15. Tra questi anche i due vicepresidenti Matteo Salvini (infrastrutture e mobilità sostenibili) e Antonio Tajani (esteri).

Si aggiunge inoltre Alfredo Mantovano, che è stato nominato sottosegretario alla presidenza del consiglio. Questi svolgerà il ruolo di segretario con il compito di redigere il verbale delle sedute, a cui partecipa ma senza diritto di voto.

Per quanto riguarda invece gli equilibri tra le forze politiche della maggioranza possiamo osservare che Fratelli d’Italia vanta all’interno dell’esecutivo tanti esponenti quanti Lega e Forza Italia messi insieme (5 ciascuno). Un dato che premia chiaramente la forza politica che ha ottenuto il maggior numero di consensi alle elezioni e che va invece in parte a penalizzare la Lega. Il Carroccio infatti in parlamento ha un maggior numero di esponenti rispetto al partito di Silvio Berlusconi. D’altra parte lo scarto di voti ottenuti tra Lega e Fi è veramente minimo. Di conseguenza si può parlare di una sorta di riequilibrio tra le due forze politiche.

40% i componenti del Cdm espressione di Fdi.

A questo proposito è utile tenere presente, come riportato dalla stampa nei giorni scorsi, che le trattative per la composizione dell’esecutivo, per quanto relativamente rapide, sono state tutt’altro che pacifiche. E gli alleati di Fdi sono stati costretti a rinunciare ad alcuni loro obiettivi. Salvini ad esempio aveva rivendicato per sé il ministero dell’interno. Mentre Berlusconi non è riuscito a ottenere per il proprio partito né il ministero della giustizia (affidato a Carlo Nordio, ex magistrato ma eletto in parlamento con Fdi) né un ruolo nel governo per Licia Ronzulli, sua stretta collaboratrice. Tali dinamiche evidenziano chiaramente la differenza di peso tra le forze politiche della maggioranza.

Le precedenti esperienze

Da notare anche le significative e prevedibili differenze con il governo Draghi rispetto ai ministri tecnici. Nel nuovo esecutivo infatti sono soltanto mentre in quello uscente erano 9 (incluso Draghi).

I dicasteri strategici sono stati affidati a “politici”.

Inoltre in questo caso, fatta eccezione per il ministero dell’interno, i dicasteri più “strategici” come quello dell’economia, delle infrastrutture, dello sviluppo economico e della transizione ecologica (questi ultimi due cambieranno denominazione) sono stati affidati a politici.

Non tutti i tecnici inoltre possono essere considerati come “indipendenti”. L’esempio più evidente è quello dell’ex prefetto di Roma Matteo Piantedosi che aveva ricoperto il ruolo di capo di gabinetto per Matteo Salvini al ministero dell’interno durante il governo Conte I. Un altro esempio è quello del nuovo ministro della cultura Gennaro Sangiuliano che era stato nominato alla direzione del Tg2 durante il governo giallo-verde. In generale si può dunque parlare di cosiddetti “tecnici d’area”. Anche se non sempre la collocazione partitica, inclusa quella dello stesso Piantedosi, è chiara.

Un’ultima indicazione che possiamo trarre da questi dati riguarda il fatto che questo sia un governo molto “esperto”. Quasi tutti i suoi membri infatti, inclusa la presidente Meloni, hanno già ricoperto incarichi di governo o occupato seggi in parlamento per una o più legislature. Le sole eccezioni in questo senso sono rappresentate da Orazio Schillaci (ex rettore dell’università di Tor Vergata e ministro della salute), Marina Elvira Calderone (componente del cda di Leonardo e ministra del lavoro), Andrea Abodi (ex presidente dell’istituto per il credito sportivo e ministro per lo sport e i giovani), oltre ai già citati Carlo Nordio, Gennaro Sangiuliano e Matteo Piantedosi. Su questi aspetti torneremo in maniera più dettagliata in un apposito approfondimento.

6 su 25 i ministri del governo Meloni che non hanno ricoperto in passato incarichi nel governo o in parlamento.

Alla luce di questi dati non sorprende quindi che l’attuale esecutivo abbia un’età media piuttosto elevata.

Una squadra non giovane

Come abbiamo appena visto, quasi tutti i ministri e le ministre del nuovo esecutivo hanno avuto in passato esperienze di governo o parlamento. Un aspetto che, in un certo senso, si riflette nell’età anagrafica del governo Meloni: 60 anni in media.

Anche se l’età chiaramente non è un criterio per valutare il nuovo Cdm, è comunque una prospettiva interessante da cui osservare il nuovo esecutivo e metterlo a confronto con i precedenti. Seppur in misura limitata infatti, un’età media alta può indicare un notevole bagaglio di esperienza, ma una minore forza innovativa. Viceversa, un’età bassa tra i ministri potrebbe far pensare a un approccio più spiccato al cambiamento, ma col rischio di una minore esperienza alle spalle.

Quello di Meloni è il quarto governo italiano con l’età media più alta.

Dal 1948 a oggi, solo 3 esecutivi hanno registrato un’età media superiore a quella dell’attuale. Si tratta dei governi Monti (62,7 anni), Fanfani VI (60,9) e Dini (60,8). Si tratta di governi tecnici in due casi su tre (Dini e Monti).

Con 60 anni in media, Meloni supera la squadra del suo predecessore Draghi (54,4 anni) e consolida l’inversione di un trend che aveva visto nei recenti governi Renzi (47,3 anni) e Conte II (47,7) un abbassamento dell’età media mai registrato prima.

Tra le fila del nuovo esecutivo, i due estremi in questo senso sono rappresentati dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni – classe 1977 – e dalla ministra per le riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati – classe 1946.

Ancora poche le donne a capo di ministeri

Si è parlato molto, sia in campagna elettorale che in fase di formazione del nuovo governo, della novità che un esecutivo a guida Meloni avrebbe rappresentato per l’Italia. È infatti la prima volta nella storia del nostro paese che una donna è a capo del governo.

Tuttavia, questa novità non ha avuto effetti positivi in termini di rappresentanza femminile tra i ministri.

7 su 25 le ministre del nuovo governo, compresa Meloni.

Parliamo quindi di una quota del 28%in linea con molti esecutivi passati e inferiore ad altri. In primis a quello guidato da Renzi, il quale aveva voluto e rivendicato la parità del 50% in Cdm. Ma superano il 28% di donne anche le formazioni dei governi Conte II e Letta (entrambi al 33,3%) e quella del predecessore Draghi, dove le ministre costituivano il 34,8%.

D’altra parte, Meloni non ha mai rivendicato l’intenzione politica di favorire una maggiore rappresentanza femminile nelle istituzioni, né in generale una particolare sensibilità al problema della disparità di genere in Italia. Era quindi in un certo senso prevedibile, che nel definire la sua squadra di ministri non avrebbe rappresentato una svolta positiva in questo senso.

Foto: presidenza del consiglio dei ministri

I ministri del governo Meloni Mappe del potere

 

I ministri del governo Meloni Mappe del potere

Abbiamo analizzato attraverso i dati la composizione nel nuovo consiglio dei ministri. Ne emerge un governo con età media alta e rappresentanza femminile scarsa.

 

Come noto, sabato scorso Giorgia Meloni e la sua squadra di ministri hanno prestato giuramento nelle mani del capo dello stato. In attesa di sapere come il parlamento si esprimerà sul nuovo governo, abbiamo analizzato attraverso i dati la composizione del nuovo consiglio dei ministri (Cdm).

Per avere un quadro completo sul nuovo esecutivo e sui rapporti di forza tra le varie forze politiche che ne fanno parte dovremo attendere anche la nomina di viceministri e sottosegretari. Ma già dalla scelta dei ministri è possibile estrapolare alcune indicazioni molto interessanti.

Dal disequilibrio tra i partiti di maggioranza al ruolo dei tecnici, dall’età media alla presenza di donne nella squadra.

Composizione ed equilibri

Il nuovo consiglio dei ministri (Cdm) si compone di 25 esponenti, inclusa la presidente Giorgia Meloni. I ministri senza portafoglio sono 9 mentre quelli con portafoglio 15. Tra questi anche i due vicepresidenti Matteo Salvini (infrastrutture e mobilità sostenibili) e Antonio Tajani (esteri).

Si aggiunge inoltre Alfredo Mantovano, che è stato nominato sottosegretario alla presidenza del consiglio. Questi svolgerà il ruolo di segretario con il compito di redigere il verbale delle sedute, a cui partecipa ma senza diritto di voto.

Per quanto riguarda invece gli equilibri tra le forze politiche della maggioranza possiamo osservare che Fratelli d’Italia vanta all’interno dell’esecutivo tanti esponenti quanti Lega e Forza Italia messi insieme (5 ciascuno). Un dato che premia chiaramente la forza politica che ha ottenuto il maggior numero di consensi alle elezioni e che va invece in parte a penalizzare la Lega. Il Carroccio infatti in parlamento ha un maggior numero di esponenti rispetto al partito di Silvio Berlusconi. D’altra parte lo scarto di voti ottenuti tra Lega e Fi è veramente minimo. Di conseguenza si può parlare di una sorta di riequilibrio tra le due forze politiche.

40% i componenti del Cdm espressione di Fdi.

A questo proposito è utile tenere presente, come riportato dalla stampa nei giorni scorsi, che le trattative per la composizione dell’esecutivo, per quanto relativamente rapide, sono state tutt’altro che pacifiche. E gli alleati di Fdi sono stati costretti a rinunciare ad alcuni loro obiettivi. Salvini ad esempio aveva rivendicato per sé il ministero dell’interno. Mentre Berlusconi non è riuscito a ottenere per il proprio partito né il ministero della giustizia (affidato a Carlo Nordio, ex magistrato ma eletto in parlamento con Fdi) né un ruolo nel governo per Licia Ronzulli, sua stretta collaboratrice. Tali dinamiche evidenziano chiaramente la differenza di peso tra le forze politiche della maggioranza.

Le precedenti esperienze

Da notare anche le significative e prevedibili differenze con il governo Draghi rispetto ai ministri tecnici. Nel nuovo esecutivo infatti sono soltanto mentre in quello uscente erano 9 (incluso Draghi).

I dicasteri strategici sono stati affidati a “politici”.

Inoltre in questo caso, fatta eccezione per il ministero dell’interno, i dicasteri più “strategici” come quello dell’economia, delle infrastrutture, dello sviluppo economico e della transizione ecologica (questi ultimi due cambieranno denominazione) sono stati affidati a politici.

Non tutti i tecnici inoltre possono essere considerati come “indipendenti”. L’esempio più evidente è quello dell’ex prefetto di Roma Matteo Piantedosi che aveva ricoperto il ruolo di capo di gabinetto per Matteo Salvini al ministero dell’interno durante il governo Conte I. Un altro esempio è quello del nuovo ministro della cultura Gennaro Sangiuliano che era stato nominato alla direzione del Tg2 durante il governo giallo-verde. In generale si può dunque parlare di cosiddetti “tecnici d’area”. Anche se non sempre la collocazione partitica, inclusa quella dello stesso Piantedosi, è chiara.

Un’ultima indicazione che possiamo trarre da questi dati riguarda il fatto che questo sia un governo molto “esperto”. Quasi tutti i suoi membri infatti, inclusa la presidente Meloni, hanno già ricoperto incarichi di governo o occupato seggi in parlamento per una o più legislature. Le sole eccezioni in questo senso sono rappresentate da Orazio Schillaci (ex rettore dell’università di Tor Vergata e ministro della salute), Marina Elvira Calderone (componente del cda di Leonardo e ministra del lavoro), Andrea Abodi (ex presidente dell’istituto per il credito sportivo e ministro per lo sport e i giovani), oltre ai già citati Carlo Nordio, Gennaro Sangiuliano e Matteo Piantedosi. Su questi aspetti torneremo in maniera più dettagliata in un apposito approfondimento.

6 su 25 i ministri del governo Meloni che non hanno ricoperto in passato incarichi nel governo o in parlamento.

Alla luce di questi dati non sorprende quindi che l’attuale esecutivo abbia un’età media piuttosto elevata.

Una squadra non giovane

Come abbiamo appena visto, quasi tutti i ministri e le ministre del nuovo esecutivo hanno avuto in passato esperienze di governo o parlamento. Un aspetto che, in un certo senso, si riflette nell’età anagrafica del governo Meloni: 60 anni in media.

Anche se l’età chiaramente non è un criterio per valutare il nuovo Cdm, è comunque una prospettiva interessante da cui osservare il nuovo esecutivo e metterlo a confronto con i precedenti. Seppur in misura limitata infatti, un’età media alta può indicare un notevole bagaglio di esperienza, ma una minore forza innovativa. Viceversa, un’età bassa tra i ministri potrebbe far pensare a un approccio più spiccato al cambiamento, ma col rischio di una minore esperienza alle spalle.

Quello di Meloni è il quarto governo italiano con l’età media più alta.

Dal 1948 a oggi, solo 3 esecutivi hanno registrato un’età media superiore a quella dell’attuale. Si tratta dei governi Monti (62,7 anni), Fanfani VI (60,9) e Dini (60,8). Si tratta di governi tecnici in due casi su tre (Dini e Monti).

Con 60 anni in media, Meloni supera la squadra del suo predecessore Draghi (54,4 anni) e consolida l’inversione di un trend che aveva visto nei recenti governi Renzi (47,3 anni) e Conte II (47,7) un abbassamento dell’età media mai registrato prima.

Tra le fila del nuovo esecutivo, i due estremi in questo senso sono rappresentati dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni – classe 1977 – e dalla ministra per le riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati – classe 1946.

Ancora poche le donne a capo di ministeri

Si è parlato molto, sia in campagna elettorale che in fase di formazione del nuovo governo, della novità che un esecutivo a guida Meloni avrebbe rappresentato per l’Italia. È infatti la prima volta nella storia del nostro paese che una donna è a capo del governo.

Tuttavia, questa novità non ha avuto effetti positivi in termini di rappresentanza femminile tra i ministri.

7 su 25 le ministre del nuovo governo, compresa Meloni.

Parliamo quindi di una quota del 28%in linea con molti esecutivi passati e inferiore ad altri. In primis a quello guidato da Renzi, il quale aveva voluto e rivendicato la parità del 50% in Cdm. Ma superano il 28% di donne anche le formazioni dei governi Conte II e Letta (entrambi al 33,3%) e quella del predecessore Draghi, dove le ministre costituivano il 34,8%.

D’altra parte, Meloni non ha mai rivendicato l’intenzione politica di favorire una maggiore rappresentanza femminile nelle istituzioni, né in generale una particolare sensibilità al problema della disparità di genere in Italia. Era quindi in un certo senso prevedibile, che nel definire la sua squadra di ministri non avrebbe rappresentato una svolta positiva in questo senso.

Foto: presidenza del consiglio dei ministri

 

Centenario

CENTENARIO
28 ottobre 1922. la marcia su Roma.

Ricorre domani il centesimo anniversario della funesta Marcia fascista su Roma.
Una delle massime responsabilità storiche di Vittorio Emanuele III fu l’aver favorito l’avvento e l’affermarsi del Fascismo. In seguito alla cosiddetta Marcia su Roma infatti, incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Avrebbe potuto far intervenire l’esercito per combattere e disperdere gli “insorti”, invece mentre le forze armate si preparavano a fronteggiare “le camicie nere”, – con Badoglio fra i principali esponenti della linea, giustamente dura –, Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d’assedio, di fatto aprendo la strada al fascismo.
Poco interessa oggi sapere se lo abbia fatto per viltà, opportunismo e calcolo politico: fu comunque il re a nominare Mussolini capo del Governo dando il via alla tragedia ventennale di quel regime.
Non tenendo conto che nelle ultime elezioni politiche del 1919 il movimento fascista, presentatosi nel solo collegio di Milano, con una lista capeggiata da Mussolini e Marinetti, raccolse meno di 5.000 suffragi sui circa 370.000 espressi, non riuscendo a eleggere alcun rappresentante.
Non tenendo conto che i due partiti democratici e di massa nelle stesse elezioni avevano trionfato: il Partito Socialista Italiano con il 32% dei voti e 156 seggi e il neonato Partito Popolare Italiano di don Sturzo con il 20% dei voti e 100 seggi.
Mussolini di fatto esautorerà la stessa monarchia che beata e beota si godeva il suo “impero” di sabbia con le conquiste imperiali, che evidentemente riteneva dessero lustro e prestigio alla stessa monarchia, non comprendendo che invece di volare stava precipitando e con essa l’intero popolo italiano e quello sardo in primis! Abbeverato di olio di ricino, internato nelle galere e esiliato al confino, condannato per ben quattro lustri ad ulteriore sottosviluppo.
Scrive Carta Raspi: ”Mussolini più volte aveva fatto grandi promesse alla Sardegna e aveva pure stanziato un miliardo da rateare in dieci anni. Era stato tutto fumo, anche perché né i ras né i gerarchi e i deputati isolani osarono chiedergli fede alle promesse. Già sarebbero state briciole; ormai le aquile imperiali spaziavano nel mediterraneo e oltre tutto veniva inghiottito dalla Libia, poi dalla conquista dell’Abissinia e dalla guerra di Spagna. Solo all’inizio della seconda guerra mondiale Mussolini si ricordò della Sardegna, per attribuirle il ruolo di portaerei al centro del Mediterraneo occidentale”4.
In conclusione Vittorio Emanuele III non separò mai le sorti e le responsabilità della dinastia da quelle del regime: sul piano interno non si oppose alla graduale soppressione delle libertà garantite dallo Statuto e non si oppose neppure all’infamia delle leggi razziali e sul piano estero non si oppose alla seconda guerra mondiale.

Francesco Casula