Archivi giornalieri: 24 ottobre 2022

Bonus psicologo 2022: nuove istruzioni

Bonus psicologo 2022: nuove istruzioni

Scade oggi, 24 ottobre 2022, il termine per il cosiddetto “Bonus psicologo”, una misura finalizzata a sostenere le spese per sessioni di psicoterapia, che può essere richiesto attraverso il servizio online Contributo sessioni psicoterapia, secondo le indicazioni illustrate nel messaggio 21 luglio 2022, n. 2905.

L’INPS, con il messaggio 21 ottobre 2022, n. 3820, fornisce ora nuove istruzioni e comunica che entro il 7 dicembre 2022 ufficializzerà con un apposito messaggio l’approvazione delle graduatorie per l’assegnazione del beneficio.

Contestualmente, l’Istituto provvederà a informare gli interessati con le modalità già indicate nella circolare INPS 19 luglio 2022, n. 83, sulla base dell’ammontare delle risorse finanziarie disponibili. Dal giorno di pubblicazione del messaggio decorrono, per il beneficiario, i 180 giorni utili per usufruire del Bonus e sostenere le sessioni di psicoterapia. 

Dall’8 dicembre 2022 sarà disponibile, inoltre, la procedura per le prenotazioni delle sedute e le conferme delle stesse da parte dei professionisti. Con un successivo messaggio saranno pubblicate le istruzioni operative per i professionisti.

1. La composizione delle nuove aule parlamentari

1. La composizione delle nuove aule parlamentari

Dopo il giuramento e il passaggio di consegne avvenuto nel fine-settimana, il governo Meloni si appresta a chiedere da domani la fiducia di camera e senato, nelle nuove aule parlamentari uscite dalle elezioni del 25 settembre e insediate il 13 ottobre scorso.

Un passaggio considerato scontato, vista la maggioranza di cui gode l’esecutivo in entrambe le camere, ma comunque rilevante. Saranno infatti deputati e senatori a decidere non solo sulla fiducia iniziale, ma sulla navigazione dell’esecutivo e sul destino della XIX legislatura della storia repubblicana.

Una legislatura indubbiamente diversa dalle precedenti, inedita per numero di deputati (ridotti a 400) e di senatori (200, oltre quelli a vita). Ma differente anche nel corpo elettorale che l’ha espressa: per la prima volta il senato è stato eletto dai giovani con meno di 25 anni di età.

Che volto hanno le nuove camere rispetto a quelle precedenti? Lo approfondiamo, da oggi e nei prossimi giorni, con una serie di uscite sul tema: dalla rappresentanza di genere a quella giovanile, dal profilo degli eletti – in termini di esperienze politiche pregresse, assenteismo e tendenza ai cambi di gruppo – alle incompatibilità emergenti.

Aspetti che abbiamo ricostruito anche nel confronto con le candidature presentate nelle elezioni politiche del 25 settembre.

Iniziamo con una panoramica delle nuove aule parlamentari nella XIX legislatura. La navigazione dell’esecutivo appena nato dipenderà molto dalla loro composizione ed evoluzione nel tempo. A maggior ragione in un parlamento con numeri ridotti, il cambio di gruppo di pochi parlamentari può cambiare completamente gli equilibri.

Anche in termini politici, la nuova legislatura si distingue da quelle immediatamente precedenti. Per la prima volta dal 2008 infatti una delle coalizioni pre-elettorali ha conseguito la maggioranza assoluta in entrambe le camere.

La composizione della camera dei deputati

Nella nuova aula da 400 seggi, la soglia per la maggioranza assoluta è fissata a quota 201. La coalizione tra Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati la supera con ampio margine, sfiorando i 240 seggi totali.

Gli scranni della nuova camera dei deputati sono infatti così ripartiti: 118 a Fdi, 66 alla Lega, 44 a Forza Italia. Noi moderati, la “quarta gamba” del centro-destra, non aveva i numeri per formare un gruppo autonomo, ma ha costituito una componente del misto insieme al Maie (Movimento associativo italiani all’estero), con 9 deputati.

All’opposizione, sono 69 gli iscritti al gruppo Pd, 52 al M5s, 21 ad Azione-Iv. Vi sono poi altre componenti del misto. Tra queste, i 12 deputati dell’alleanza Verdi-Sinistra italiana (Avs) e i 3 di +Europa. Sempre nel gruppo misto, figurano 3 deputati delle minoranze linguistiche e altri 3 non iscritti ad alcuna componente.

 

Gruppi e componenti di maggioranza hanno quindi 237 seggi su 400, pari al 59,3% dell’aula al completo. Tale maggioranza assoluta garantisce al centro-destra i numeri per l’insediamento di un governo coerente con la coalizione presentata alle elezioni.

Per la prima volta dal 2008, uno schieramento pre-elettorale ha la maggioranza in entrambe le aule parlamentari.

Una differenza sostanziale con quanto accaduto nel 2018, quando nessuna coalizione presentatasi alle politiche di quell’anno aveva raggiunto il 50%+1 dei seggi. Ma anche con la legislatura iniziata nel 2013. Allora la coalizione di centro-sinistra guidata da Pier Luigi Bersani aveva ottenuto la maggioranza solo alla camera, attraverso il premio di maggioranza nazionale previsto dalla legge Calderoli. Ma non al senato, dove per la stessa legge i premi erano regionali, e quindi non garantiti necessariamente alla coalizione con più voti a livello nazionale.

La novità sostanziale di questa tornata elettorale è che, per la prima volta dal 2008, la coalizione arrivata prima è maggioranza assoluta in entrambe le aule.

La composizione del senato della repubblica

I gruppi di centro-destra, con 116 senatori su 206, hanno infatti la maggioranza anche nell’altro ramo del parlamento. I 206 seggi del nuovo senato della repubblica sono così ripartiti dal lato della maggioranza: 63 a Fratelli d’Italia, 29 alla Lega, 18 a Forza Italia, 6 al gruppo “Civici d’Italia – Noi moderati – Maie”.

A differenza della camera dei deputati, al senato Noi moderati, quarta gamba del centro-destra, ha formato un gruppo autonomo. Ciò grazie all’apporto di un senatore eletto con il Maie e soprattutto di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia. Tra questi Giorgio Salvitti, vicepresidente del nuovo gruppo “Civici d’Italia – Noi moderati – Maie” e dirigente nazionale del partito guidato da Giorgia Meloni.

Le altre forze in parlamento sono Pd (38 seggi), M5s (28), Azione-Iv (9), il gruppo misto e quello per le autonomie. Il misto è composto da 7 membri: 3 sono senatori a vita (Mario Monti, Renzo Piano e Liliana Segre) e 4 sono eletti con il centro-sinistra, in particolare per l’alleanza Verdi-Sinistra italiana.

Sono 7 anche i seggi del gruppo per le autonomie, composto da forze politiche locali (Svp-Patt, Campobase e Sud chiama nord) e da 2 senatori a vita: Elena Cattaneo e l’ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano. L’ultimo dei 6 senatori a vita, Carlo Rubbia, non ha aderito ad alcun gruppo.

La maggioranza di centro-destra nell’aula è quindi del 56%. Una quota più che sufficiente per l’insediamento dell’esecutivo. Ma che andrà verificata nella prosecuzione della legislatura, soprattutto per la tenuta della maggioranza nella quotidianità dei voti d’aula.

Equilibri da verificare nel corso della legislatura

La riduzione dei parlamentari, specie al senato, pone infatti un forte limite alla funzionalità dell’aula, come segnalato in approfondimenti precedenti. A fronte di una maggioranza che in termini assoluti supera di 12 senatori il 50%+1 dei componenti, il rischio di “andare sotto” appare più concreto per una serie di motivi.

Oltre al ruolo del presidente del senato, che per prassi (come l’omologo della camera) non vota, la presenza di 9 senatori nell’esecutivo riduce il margine effettivo della maggioranza in termini assoluti. Il vantaggio potrebbe assottigliarsi ulteriormente con le future nomine dei sottosegretari, se diversi di questi saranno senatori. Come rilevato in passato, infatti, ministri e sottosegretari non sono molto presenti nei lavori delle aule, essendo impegnati nell’attività quotidiana dell’esecutivo.

Nell’immediato, il gap con i seggi delle minoranze può rendere più tranquilla la navigazione dell’esecutivo. Pd, M5s, Azione-Iv, Avs e autonomie – oltre a non esprimere un’opposizione unitaria – valgono insieme 86 seggi al senato. In ogni caso, per la nuova maggioranza sarà cruciale assicurarsi che numeri sulla carta solidi si traducano in presenze effettive nelle aule parlamentari.

La nuova maggioranza e i quorum “sensibili”

Un tema ricorrente della campagna elettorale è stata la possibilità che la coalizione di centro-destra raggiungesse una maggioranza tale da superare anche i quorum rafforzati previsti a garanzia degli equilibri costituzionali.

Parliamo in particolare delle riforme della costituzione senza necessità di approvazione popolare tramite referendum e dell’elezione di giudici costituzionali e membri del Csm. Il centro-destra uscito dalle urne però risulta al di sotto dei quorum previsti.

Per le modifiche alla carta fondamentale, è la stessa costituzione a prescrivere una soglia dei 2/3 in ciascuno dei voti finali di camera e senato. Sotto questa quota, l’approvazione a maggioranza assoluta può non bastare: un quinto dei membri di una camera, 500mila elettori o 5 consigli regionali possono chiedere entro 3 mesi un voto popolare sulla riforma.

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione (…) Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

2 su 3 i deputati e senatori che devono approvare una riforma costituzionale affinché questa possa evitare il referendum popolare.

Con 353 seggi su 606 totali (351 se si escludono i presidenti delle camere), al centro-destra mancano circa 50 parlamentari per la soglia dei 2/3. E – sebbene più vicino – risulta comunque al di sotto anche di quelle per eleggere i giudici costituzionali e i membri del Csm spettanti al parlamento in seduta comune.

Nel parlamento in seduta comune la maggioranza di centro-destra ha il 58% dei seggi.

A camere riunite, il centro-destra esprime infatti il 58% dei parlamentari. Da soli, non bastano per eleggere i giudici della corte costituzionale scelti dal parlamento. La legge costituzionale (2/1967, art. 3) prevede infatti la maggioranza dei 2/3 dei componenti (nei primi 2 voti) e dei tre quinti a partire dal terzo scrutinio.

non sono sufficienti per l’elezione del Csm, per cui la legge prevede i tre quinti dei componenti nei primi 2 voti e i tre quinti dei votanti dal terzo scrutinio.

La elezione dei componenti del Consiglio superiore da parte del Parlamento in seduta comune delle due Camere avviene a scrutinio segreto e con la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. (…) Per gli scrutini successivi al secondo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.

Con l’attuale distribuzione per gruppi, e in caso di presenze compatte delle minoranze in aula, sarebbe quindi necessaria una qualche forma di accordo tra la maggioranza e almeno una parte dell’opposzione per queste scelte di garanzia.

Un confronto tra voti ricevuti e seggi nelle aule

Da notare come rispetto ai risultati elettorali delle singole liste, i gruppi di maggioranza appaiano premiati in termini di consistenza parlamentare.

Un effetto della parte maggioritaria del sistema elettorale, ma anche della riduzione nel numero di parlamentari, che innalza di fatto la soglia implicita per accedere in parlamento.

In questo senso è interessante osservare come la divisione dei collegi uninominali tra partiti alleati, frutto di accordi precedenti il voto, abbia inciso nettamente sulla composizione finale di camera e senato.

GRAFICO
DA SAPERE

Da notare che la corrispondenza tra partito di elezione e gruppi di camera e senato non è perfetta. Rispetto alla classificazione per gruppi e componenti parlamentari, nel calcolo degli eletti esposto in tabella sono state fatte le eccezioni esplicitate in descrizione.

FONTE: openpolis
(consultati: giovedì 20 Ottobre 2022)

 

Nel centro-sinistra, ad esempio, le liste alleate del Pd che non hanno raggiunto lo sbarramento del 3% previsto nella parte proporzionale, eleggono alcuni parlamentari nei collegi uninominali. Nello specifico 2 deputati di +Europa (Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi), che insieme a Luca Pastorino – eletto come indipendente nel centro-sinistra – hanno formato una componente nel misto. E uno dei promotori di Impegno civico (Bruno Tabacci, che ha aderito al gruppo Pd della camera). Lo stesso vale per Noi moderati nel centro-destra, che ha 10 parlamentari eletti nell’uninominale.

Si tratta del risultato di accordi pre-elettorali tra le forze politiche incentivati dalla legge elettorale. Le forze maggiori della coalizione beneficiano – nella parte proporzionale – dei voti delle liste che, pur non raggiungendo il 3% dei voti, abbiano ottenuto almeno l’1%. In forza di questa previsione, i piccoli partiti possono negoziare candidature nei collegi uninominali considerati più sicuri.

1% la quota minima da raggiungere affinché i voti della lista vengano comunque conteggiati nella coalizione, andando ai partiti che superano lo sbarramento.

In alcuni casi, una lista minore può conseguire seggi uninominali in forza di un accordo pre-elettorale, pur non avendo contribuito al risultato della coalizione nella parte proporzionale. È il caso di Impegno civico e Noi moderati, rimaste di poco sotto la soglia dell’1%.

L’impatto dei collegi uninominali negli equilibri di maggioranza

L’effetto dei patti pre-elettorali è ancora più visibile negli equilibri interni al centro-destra. L’accordo di ripartizione dei collegi uninominali – pubblicato da Ansa a fine luglio – era basato sui sondaggi precedenti le elezioni, che attribuivano alla Lega circa il doppio dei consensi successivamente ricevuti. Uno squilibrio che ha pesato sui seggi del terzo partito della coalizione, Forza Italia.

Per questo motivo la Lega, con circa il 9% dei voti, ha un peso del 15,7% nel nuovo parlamento. Più di Forza Italia, che con un consenso simile ottiene circa il 10% dei seggi e del M5s (15,4% dei voti e 13,2% dei seggi). Garantendosi una forza parlamentare non distante da quella del Pd (17,7%), che nelle urne ha ricevuto il 19% dei voti.

Ciò significa che nelle aule di nuova elezione, come rivendicato nella prima dichiarazione dopo il voto dal segretario Matteo Salvini, la Lega può contare su quasi 100 parlamentari. A dispetto di un risultato elettorale considerato non esaltante dagli stessi esponenti leghisti, si tratta di una forza sulla carta in grado di orientare gli equilibri dell’intera legislatura.

Foto: Camera dei deputati

 

Con la nuova Quota 100 via paletti e limitazioni e pensioni più facili per molti

Con la nuova Quota 100 via paletti e limitazioni e pensioni più facili per molti

È dal 31 dicembre 2021 che il sistema previdenziale italiano non ha più al suo interno la pensione con la Quota 100. Infatti dopo tre anni di sperimentazione di questa particolare misura previdenziale, nel 2022 è stata introdotta la Quota 102. Adesso però con la nascita del nuovo Governo e con la necessità di modifiche alle pensioni nella Legge di Bilancio, ecco che ricompare come d’incanto, ancora una volta, la Quota 100. Effettivamente questa misura è stata fortemente voluta all’epoca del primo Governo Conte, dalla Lega di Matteo Salvini che allora era Vicepremier. Ed anche adesso col nuovo Governo Meloni, la Lega è nella maggioranza e Matteo Salvini è ancora Vice Presidente del Consiglio. Saranno semplicemente coincidenze, ma il fatto che torni in auge la Quota 100, anche se adesso è solo un’ipotesi, lascia ben sperare per quanti in questa misura vedono la via per uscire dal mondo del lavoro.

Differenze tra vecchia e nuova Quota 100

Ma è vietato fare paragoni tra la vecchia e la nuova Quota 100. Infatti quella che dovrebbe varare il nuovo Governo sarebbe una misura diversa dalla precedente. E per certi versi più favorevole ai lavoratori. Infatti sarà dotata di maggiore flessibilità rispetto alla precedente versione e prevederà una carriera contributiva inferiore. Ad oggi sono tutte voci e indiscrezioni, ma questa nuova Quota 100 flessibile potrebbe riuscire nell’intento di mandare in pensione più persone rispetto alla precedente. Verrebbe meno la rigidità della vecchia misura, che effettivamente ha impedito a molti potenziali beneficiari di centrarla.

Perché la vecchia Quota 100 non ha funzionato del tutto

La Quota 100 a cui gli italiani si erano abituati dal primo gennaio 2019 al 31 dicembre 2021, e quindi per i tre anni di sperimentazione, era una misura piuttosto rigida. Si partiva come al solito da un’età minima di uscita fissata a 62 anni e piuttosto rigida. Ma difficilmente completabile era soprattutto la soglia contributiva. Il limite di 38 anni infatti è diventato un muro insormontabile per molti lavoratori che di fatto non hanno beneficiato della misura in questi anni.

Un lavoratore poteva avere anche 63, 64 o 65 anni di età, ma senza aver raggiunto i 38 anni di contributi versati, la pensione con Quota 100 non poteva essere fruita. Ed anche i 35 anni effettivi da lavoro erano un paletto pesante. Infatti come per le pensioni anticipate ordinarie o per la Quota 41, anche con la Quota 100, ben 35 anni di contributi sui 38 necessari dovevano essere effettivi da lavoro e quindi senza i figurativi da disoccupazione INPS o da malattia.

La nuova Quota 100, più combinazioni e meno paletti

Con la nuova Quota 100 via paletti e limitazioni. Si allargherebbero così le maglie del sistema previdenziale italiano. Innanzitutto perché la soglia dei 38 anni di contributi versati scenderebbe a 35. E questo sarebbe il punto fondamentale, perché la nuova Quota 100 potrebbe mandare in pensione sempre coloro i quali hanno 35 anni di contributi versati. Ma al salire della contribuzione versata scenderebbe l’età di uscita. Infatti con 36 anni di contributi potrebbero andare in pensione anche coloro che hanno 64 anni di età. Allo stesso modo con 37 anni di contributi versati potrebbero uscire quelli che hanno 63 anni di età. In pratica l’età di uscita diventerebbe flessibile, e resterebbe fisso soltanto il requisito minimo contributivo dei 35 anni.

Con la nuova Quota 100 via paletti e limitazioni, soprattutto sui contributi

Adesso per il varo di questa misura bisogna aspettare come dicevamo la Legge di Bilancio. Se davvero sarà questa la strada intrapresa dal Governo, bisognerà verificare quali sarebbero le penalizzazioni a cui saranno chiamati i lavoratori che uscirebbero con la nuova misura. Perché non è escluso che ai lavoratori verrà imposta una penalizzazione di assegno, o con taglio lineare tra il 2% e il 3% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni di età, oppure con una rivisitazione contributiva nella loro carriera lavorativa. Una penalizzazione aggiuntiva rispetto al taglio che già subirebbero per via dei coefficienti di trasformazione.

Lettura consigliata

Cosa fare e come gestire i propri soldi e investimenti sulle Borse mondiali

Si invita a leggere attentamente le Avvertenze riguardo al presente articolo e alle responsabilità dell’autore, consultabili QUI»
 

dal Manifesto

Una rivolta di tutti, radicale e senza leader

I GIORNI DELL’IRAN. Le differenze rispetto all’Onda verde del 2009
<img src="data:;base64,” alt=”” />Una rivolta di tutti, radicale e senza leader
La manifestazione a Berlino contro il regime iraniano – Clemens Bilan/Ap
 
 
 
 
 

Nuovo!

All’inizio delle proteste iraniane l’appello «Hamvatan! Bia ba ham harf bezanim!» («Compatrioti, parliamoci!») era stato pubblicato dall’agenzia Fars legata ai pasdaran. Parole che, agli iraniani, ricordano quelle usate dal paciere nelle liti di coppia.

Queste sei settimane di proteste e repressione dimostrano però che per i vertici di Teheran non sarà facile mettere a tacere il dissenso: parlarsi non serve, cercare un compromesso con la leadership della Repubblica islamica nemmeno. A dimostrarne l’inutilità sono le vicende di una serie di personaggi che hanno dapprima avuto un ruolo di primo piano nella Rivoluzione del 1979 ma, nel momento in cui hanno assunto un atteggiamento più critico, sono stati perseguitati ed estromessi. I casi eclatanti sono quello del Grande ayatollah Montazeri e quello del filosofo Abdolkarim Soroush.
L’ayatollah Montazeri era stato uno dei fedelissimi di Khomeini fin dal tempo delle proteste del 1963 e del suo esilio l’anno successivo. Con la Rivoluzione del 1979, i suoi uomini avevano portato avanti le esecuzioni di massa a Isfahan e lui si era guadagnato il diritto alla successione a capo della Repubblica islamica. Quando aveva osato criticare ulteriori massacri di regime, era stato costretto a rassegnare le dimissioni. Considerato un difensore dei diritti umani, era stato messo agli arresti domiciliari ed è morto nel 2009, poco dopo le proteste del movimento verde di opposizione che aveva sostenuto.

Un ulteriore caso è quello del filosofo Abdolkarim Soroush: all’indomani della Rivoluzione del 1979 era stato membro del Consiglio rivoluzionario incaricato delle purghe e dell’islamizzazione delle università, per poi trasformarsi in una sorta di Martin Luther King dei riformisti ed essere obbligato ad andare in esilio.

Quella in corso non si può ancora definire «rivoluzione». I moti di protesta contro lo scià necessitarono di tredici mesi prima di ottenerne la fuga, il 16 gennaio 1979. Di certo non possiamo etichettarla come «rivoluzione delle donne», perché in prima linea ci sono tanti uomini. E non è nemmeno la «rivoluzione dei giovani» perché a protestare sono anche anziani. È il caso dell’ottantenne Gohar Eshghi: madre del blogger Sattar Beheshti, arrestato dalla polizia informatica e ucciso in prigione nel 2012, si è tolta il velo davanti alla telecamera e quel video è subito diventato virale. Per ora sappiamo che si tratta di proteste che coinvolgono generazioni diverse, dagli adolescenti agli anziani, in molteplici aree dell’Iran, dalla provincia del Kurdistan nell’ovest fino al Sistan e Balucistan nel sudest, passando per le città.

Le differenze rispetto al movimento verde del 2009 sono evidenti. Innanzi tutto, a quel tempo c’erano tre leader: Mir Hossein Musavi, sua moglie Zahra Rahnavard, e Mehdi Karrubi. Restarono agli arresti domiciliari per anni. Di loro è apparsa qualche immagine sui social, invecchiati e senza il carisma di un tempo. In secondo luogo, in quella occasione a protestare era il ceto medio in contesti urbani. Terzo, chiedevano dove fosse finito il loro voto, visto che l’ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad si era aggiudicato un secondo mandato presidenziale. Motivate dai brogli, le rivendicazioni erano in primis politiche. Quarto: la leadership dell’Onda verde invocava la memoria di Khomeini, citava testi ratificati dalle istituzioni della Repubblica islamica e chiedeva, invano, il sostegno dei vertici del clero sciita. Quinto: simbolo di protesta era il velo verde, colore simbolico per l’Islam.

Oggi, tutto è cambiato, a cominciare dal foulard che viene bruciato come atto di ribellione. I riformisti di un tempo non sono in prima linea e, se interpellati, chiedono di evitare gesti di rottura con il passato. Non ci sono leader e quindi il movimento di protesta non può essere decapitato. Le proteste sono partite dalla provincia iraniana del Kurdistan e non dalla capitale. Per scendere in strada, gli iraniani non hanno bisogno di internet, che le autorità hanno rallentato e, in certi orari, bloccano del tutto. A protestare sono tutte le generazioni e i ceti sociali. La differenza principale, rispetto al 2009, è che la gente che scende in strada non cerca un qualche compromesso perché è ben consapevole che non serve a niente. Ed è proprio questo il senso dello slogan «Boro gom shod!» («Andate a quel paese!») rivolto alle autorità e scandito dalle liceali in diverse località.

Indennità di 150 euro per dipendenti: dichiarazione del lavoratore

Indennità di 150 euro per dipendenti: dichiarazione del lavoratore

Con la circolare INPS 17 ottobre 2022, n. 116, l’Istituto ha fornito le istruzioni per accedere all’indennità una tantum di 150 euro in favore dei lavoratori dipendenti, prevista dal decreto Aiuti-ter.

Il lavoratore, per ricevere l’indennità, deve presentare al proprio datore di lavoro una dichiarazione con la quale afferma di non essere titolare di uno o più trattamenti pensionistici a carico di qualsiasi forma previdenziale obbligatoria, di pensione o assegno sociale, di pensione o assegno per invalidi civili, ciechi e sordomuti, nonché di trattamenti di accompagnamento alla pensione o di non appartenere a un nucleo familiare beneficiario del Reddito di Cittadinanza.

Con il messaggio 20 ottobre 2022, n. 3806, al fine di agevolare gli adempimenti da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro, si allega un fac-simile di dichiarazione, che costituisce solo uno strumento di supporto, personalizzabile dal datore di lavoro e non vincolante.

Indennità di 200 euro per i lavoratori dipendenti: precisazioni

Indennità di 200 euro per i lavoratori dipendenti: precisazioni

Con il messaggio 20 ottobre 2022, n. 3805 l’Istituto fornisce ulteriori indicazioni sull’indennità una tantum di 200 euro per i lavoratori dipendenti, che spetta anche laddove la retribuzione di luglio 2022 risulti azzerata in virtù di eventi tutelati come la sospensione del rapporto di lavoro, gli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro o i congedi.

Il messaggio, oltre a fornire ai datori di lavoro le modalità di regolarizzazione, chiarisce che tra gli eventi tutelati sono compresi anche:

  • l’aspettativa sindacale;
  • la disposizione che ha previsto l’immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale;
  • le ipotesi di aspettativa o congedo previste dai CCNL di settore.

Personale civile basi NATO e USA in Italia: obblighi contributivi

Personale civile basi NATO e USA in Italia: obblighi contributivi

L’Istituto ha effettuato una complessiva ricognizione degli obblighi contributivi relativi al personale civile impiegato con rapporto di lavoro subordinato, regolato dalla legge italiana, presso le Strutture militari NATO e presso le Basi militari concesse in uso agli Stati Uniti d’America in territorio italiano.

Secondo la normativa di riferimento, il personale civile è classificabile in tre tipologie: il cosiddetto “elemento civile” (al seguito delle singole forze), il personale a “statuto internazionale” (per le sole Basi NATO) e il personale a “statuto locale”.

Riguardo a quest’ultima tipologia di lavoratori, la circolare INPS 20 ottobre 2022, n. 117 fornisce un riepilogo delle contribuzioni previdenziali e assistenziali dovute.

Ancora nessuna salvaguardia sui fondi Pnrr per il sud #OpenPNRR

Ancora nessuna salvaguardia sui fondi Pnrr per il sud #OpenPNRR

La seconda verifica sul rispetto della quota mezzogiorno è mediamente positiva, ma le criticità sono ancora molte. A partire dal rischio che parte delle risorse per il sud vadano perse.

 

Trasparenza, informazione, monitoraggio e valutazione del PNRR

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L’aggiornamento del dipartimento per le politiche di coesione

La quota mezzogiorno è stata introdotta dal governo attraverso il decreto legge n.77/2021 e prevede che il 40% delle risorse con destinazione territoriale del Pnrr e del piano nazionale complementare (Pnc) sia indirizzato al sud.

Attraverso questo vincolo, il governo intende garantire che gli investimenti previsti dai piani favoriscano lo sviluppo dei territori del mezzogiorno. Riducendo quindi quei divari territoriali che storicamente colpiscono il meridione rispetto al resto del paese.

È il dipartimento per le politiche di coesione (Dpcoe) ad avere il compito di verificare periodicamente il rispetto della quota mezzogiorno. In un articolo precedente, abbiamo analizzato i risultati riportati nella prima relazione sui dati aggiornati al 31 gennaio 2022. In questo approfondimento ci occupiamo invece della seconda verifica, diffusa il 10 ottobre scorso, che analizza i dati al 30 giugno 2022.

È importante premettere che si tratta di calcoli che considerano tutte le misure con destinazione territoriale del Pnrr e del Pnc. Sia quelle territorializzate – che già in origine sono indirizzate a luoghi specifici – sia quelle territorializzabili – la cui destinazione è da definire tramite bandi. Sia quelle in uno stadio avanzato, che ha già portato alla definizione di progetti concreti, sia quelle ancora da avviare. Per queste ultime misure, la destinazione viene calcolata in base a stime e proiezioni.

41% la quota di risorse Pnrr e Pnc destinate al mezzogiorno, pari a 86,4 miliardi.

Mediamente il vincolo appare dunque rispettato e in linea con il risultato della precedente verifica, che riportava una percentuale del 40,8%. Variazioni limitate tra gennaio e giugno si registrano anche osservando le singole organizzazioni titolari.

Sono 5 le organizzazioni titolari che registrano un aumento rilevante – di almeno 1 punto percentuale – nella loro quota mezzogiorno. Tra questi, il dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale (+3,50 punti percentuali) e il ministero della transizione ecologica (+2,36).

Infine, va sottolineato che la quota aggiornata a fine giugno ha una maggiore solidità rispetto a quella di fine gennaio. Perché il 45% delle risorse che include sono di progetti già definiti e che quindi si ritiene per certo che andranno al mezzogiorno. A differenza della quota di fine gennaio, che per la gran parte si basava su stime.

38,9 miliardi € fondi che con certezza andranno a territori del sud, tra quelli inclusi nella quota mezzogiorno.

Gli enti titolari che non rispettano la quota

Nonostante il risultato della seconda analisi del Dpcoe sia mediamente positivo, racchiude non poche criticità. A partire dal fatto che, per legge, la quota va rispettata non solo complessivamente, ma singolarmente da ogni organizzazione titolare di misure. Cioè ministeri e dipartimenti della presidenza del consiglio. E dall’analisi del loro operato su questo fronte, la verifica è risultata per molti negativa.

Sono infatti 9 su 22 gli enti che, al 30 giugno 2022, risultano non rispettare la quota mezzogiorno. Si tratta dello stesso numero registrato dalla prima relazione, anche se le organizzazioni sono in parte cambiate.

Tra le riconferme negative, emergono ancora il ministero del turismo (28,6%) e quello dello sviluppo economico (24,5%).

I motivi sono gli stessi emersi dalla relazione precedenteDa un lato, condizioni che possiamo considerare oggettive. Per il ministero del turismo, è la territorializzazione già definita dell’investimento Caput Mundi, destinato al comune di Roma. Pari al 22% dei fondi Pnrr gestiti dal Mitur, è interamente indirizzato dall’origine, a un territorio non del sud. Per il Mise, invece, sono le difficoltà delle imprese del mezzogiorno a richiedere i crediti d’imposta previsti da Transizione 4.0. Anche in questo caso una misura consistente, che equivale ai 3/4 delle risorse affidate a questo ministero.

Gli enti titolari hanno autonomia decisionale sulla tutela della quota.

Dall’altro lato – come spiegheremo meglio nei prossimi paragrafi – nel rispetto della quota ha un peso cruciale l’arbitrarietà delle organizzazioni. Dal momento che sono del tutto assenti vincoli univoci e validi per tutti, sono i singoli ministeri e dipartimenti a decidere se introdurre, per le loro misure, dei vincoli di salvaguardia della quota mezzogiorno. O se non farlo, come nel caso del Mise e del Mitur, mettendo a rischio la destinazione di queste risorse.

Nonostante la maggiore solidità della quota aggiornata al 30 giugno, quindi, l’assenza di clausole di salvaguardia mette ancora a rischio parte dei fondi destinati al sud.

L’assenza di vincoli

Facendo un passo indietro, abbiamo già visto che secondo la verifica al 30 giugno, sono 86,4 miliardi di euro i fondi identificati destinati al sud. Poco più della metà di queste – il 55%, cioè circa 47 miliardi di euro – provengono da misure attivate e territorializzabili su scala nazionale. Cioè investimenti che prevedono procedure amministrative, come bandi, emanati direttamente dalle organizzazioni titolari centrali. Per assicurarsi i fondi quindi, amministrazioni locali, imprese e enti privati del sud devono essere in grado di partecipare a queste procedure. Proponendo progetti in grado di risultare idonei e finanziabili, in un numero che permetta di rispettare la quota del 40% di risorse al mezzogiorno.

Tuttavia il Dpcoe sottolinea, così come aveva già fatto nella prima relazione, che i territori del sud possono incontrare difficoltà a candidarsi nei tempi e nella modalità previste dai bandi,

[…] con la possibile conseguenza che la necessità di raggiungimento degli obiettivi di realizzazione (milestone e target) previsti nel PNRR possa confliggere con l’effettiva applicazione della clausola territoriale.

In altre parole, le storiche difficoltà degli enti del sud, in particolare in questo caso a livello amministrativo e burocratico, rischiano di ostacolare il rispetto della quota. Creando situazioni paradossali in cui il numero di proposte progettuali provenienti da realtà del meridione non è sufficiente ad arrivare alla quota del 40% di risorse che gli spetterebbe per legge.

Sono necessari vincoli di salvaguardia della quota mezzogiorno.

Nonostante la criticità di questa dinamica, non esistono a oggi dei vincoli validi, da mettere in atto per garantire l’allocazione del 40% di fondi al sud. Come abbiamo detto in precedenza, ogni ente titolare decide arbitrariamente se tutelare in qualche modo la quota. Un modo è, per esempio, riaprire i termini per la presentazione dei progetti. Oppure isolare il 40% delle risorse della misura di cui sono titolari ed emanare un nuovo bando solo per il sud.

Spesso tuttavia queste strade non vengono percorse, come nei casi visti prima del Mise del Mitur. Anche per evitare di accumulare ritardi e sforare le rigide scadenze richieste dal Pnrr.

La valutazione del rischio

La relazione fornisce poi una classificazione, per livello di rischio di tenuta, delle risorse per il sud, territorializzabili su scala nazionale e provenienti da misure attivate. Si tratta di quei 47 miliardi di euro a cui abbiamo accennato nel paragrafo precedente, cioè il 55% delle risorse incluse nella quota mezzogiorno.

Il grado di rischio dipende in questo caso sia dallo stato di attuazione delle misure, sia dalla presenza o meno di vincoli e clausole per salvaguardare questi fondi.

GRAFICO
DA SAPERE

Il rischio viene considerato:

  • basso, nei casi in cui le misure abbiano già condotto alla selezione dei progetti;
  • medio-basso, se l’investimento presenta un vincolo di destinazione territoriale e una clausola di salvaguardia a esso associata;
  • medio, quando non viene esplicitato un vincolo di destinazione, ma è possibile quantificare le risorse per il sud in base a dati parziali di avanzamento delle procedure;
  • medio-alto, se il vincolo di destinazione c’è ma è privo di clausole di salvaguardia della quota;
  • alto, quando le procedure non esplicitano nessuna destinazione territoriale delle risorse.

Per un ulteriore approfondimento, si rimanda alla relazione del Dpcoe.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Dpcoe

 

La quota più alta di queste risorse (39%) è considerata a basso rischio e quindi destinata certamente al mezzogiorno.

Tuttavia, oltre la metà dei fondi (55%) è associata a misure che non esplicitano un vincolo di destinazione al sud o, laddove sia presente, non è comunque associato a clausole di salvaguardia. Nonostante ciò, tale ammontare viene comunque classificato come quota mezzogiorno. E non comprende solo i fondi considerati a rischio medio-alto e alto, ma anche quelli a rischio medio.

26 miliardi € le risorse destinate al sud, ma prive o di vincoli di destinazione o di clausole di salvaguardia di tali vincoli.

Infine, a una situazione che risulta già critica per i fondi di misure attivate, si somma l’incertezza legata agli investimenti ancora inattivi di Pnrr e Pnc, che in totale ammontano a 37 miliardi di euro.

Se neanche il nuovo governo introdurrà dei meccanismi di salvaguardia della quota mezzogiorno, gli enti titolari di misure potranno continuare a scegliere in modo arbitrario se tutelare o no il vincolo di destinazione dei fondi al sud. Con il rischio di disattendere uno degli obiettivi principali del Pnrr: quello di ridurre gli storici divari tra il meridione e il resto del paese.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.