Archivi giornalieri: 3 ottobre 2022

Normativa

DECRETI-LEGGE – NUOVE REGOLE DI AGGIORNAMENTO

A partire dal mese di agosto 2019 sono state revisionate alcune modalità di aggiornamento degli atti. In particolare, con riferimento ai Decreti-Legge quali fonti aggiornanti, è stata revisionata la regola per l’aggiornamento degli atti modificati dagli stessi.
Nella modalità di aggiornamento precedente in presenza di un Decreto-Legge aggiornante, le modifiche da questo disposte venivano applicate agli articoli degli atti modificati al momento della sua pubblicazione.
Successivamente, in caso di:

conversione con modificazioni del Decreto-Legge, le suddette modifiche venivano sovrascritte aggiungendo quelle disposte dalla Legge di conversione e pertanto se ne perdeva il testo;

mancata conversione del Decreto-Legge, la versione generata dal D.L. veniva eliminata, dando notizia della modifica subita esclusivamente in nota all’atto, ma perdendo il testo del D.L. non convertito.

Oggi, invece, con le nuove regole è possibile tenere traccia e visualizzare sia le modifiche apportate dal Decreto-Legge al momento della sua pubblicazione, sia le eventuali successive modifiche disposte dalla sua Legge di conversione.
Di conseguenza, in presenza di un Decreto-Legge aggiornante, gli articoli oggetto di modifica presentano una versione con l’evidenza delle modifiche apportate dal D.L. al momento della sua pubblicazione e, successivamente, in caso di:

conversione con modificazioni del Decreto-Legge, viene generata una nuova versione dell’articolo con le modifiche disposte dalla Legge di conversione opportunamente evidenziate;

mancata conversione del Decreto-Legge, viene generata una nuova versione con entrata in vigore al 61° giorno dalla data di pubblicazione del Decreto-Legge, in cui verrà ripristinato il testo antecedente alla modifica inizialmente introdotta dal Decreto-Legge decaduto e inserita un’annotazione in calce con la notizia della mancata conversione.

Conclusivamente, saranno presenti in banca dati tre documenti: la versione originale dell’atto modificando, una versione come modificata dal D.L., una versione aggiornata alle modifiche apportate dalla legge di conversione, oppure la precedente versione originaria immodificata ma con diversa decorrenza del vigore, nel caso di mancata conversione.
N.B. – l’attività di allineamento della Banca Dati in aderenza a tali nuove regole è in corso di espletamento e, pertanto, possono risultare ancora presenti atti aggiornati con le regole precedentemente adottate.

PENSIONE DI VECCHIAIA CON 20 ANNI. A VOLTE BASTANO 15 ANNI DI CONTRIBUTI

PENSIONE DI VECCHIAIA CON 20 ANNI. A VOLTE BASTANO 15 ANNI DI CONTRIBUTI

29 Settembre 2022

 

pensione di vecchiaia 20 anniPer conseguire la pensione di vecchiaia, oltre ad avere l’età pensionabile, bisogna far valere almeno 20 anni di contributi previdenziali: ma per questo requisito ci sono delle deroghe finite del dimenticatoio.

Requisito anagrafico

Per la pensione di vecchiaia il primo requisito è quello legato all’età fissato a 67 anni sia per gli uomini che per le donne. La pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello del perfezionamento del requisito anagrafico e contributivo. Se la domanda viene presentata in ritardo di qualche mese, vengono comunque riconosciuti gli arretrati.

Requisito contributivo

Per la pensione di vecchiaia è necessario poter far valere almeno 20 anni di contributi di qualsiasi tipo: obbligatori (cioè versati dal datore di lavoro), figurativi (servizio militare, maternità, malattia, infortuni) e da riscatto.

Le deroghe al requisito contributivo del 20 anni di anzianità

Fino al 31 dicembre 1992, parliamo quindi di trent’anni fa, per la pensione di vecchiaia erano sufficienti 15 anni di contributi, incrementati negli anni fino ad arrivare agli attuali 20 anni.

Le deroghe al requisito dei 20 anni scattano dai seguenti casi, che si realizzano soprattutto per le donne che hanno interrotto l’attività lavorativa da giovani per motivi familiari:

  • Lavoratori dipendenti ed autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti) che al 31 dicembre 1992 avevano già maturato 15 anni di anzianità contributiva;
  • Lavoratori dipendenti ed autonomi che, dopo aver cessato l’attività lavorativa, avevano chiesto l’autorizzazione ai versamenti volontari per avere qualche contributo in più. In questo caso, se avevano già accumulato 15 anni di contributi, la deroga scatta anche se, a seguito dell’autorizzazione INPS concessa prima del 31 dicembre 1992, non abbiano mai versato i contributi volontari.

Come faccio a sapere se posso avvalermi di queste deroghe?

È molto semplice: basta recarsi in una delle Sedi del Patronato ACLI e richiedere l’estratto della posizione contributiva INPS.

L’estratto non solo contiene tutte le informazioni inerente ai contributi accreditati, sia quelli obbligatori che figurativi, ma anche l’annotazione dell’autorizzazione ai versamenti volontari che magari avete dimenticato di aver richiesto e, sebbene autorizzati, non abbiate mai versato nulla all’INPS.

Le sedi del Patronato ACLI sono a tua disposizione per un’assistenza e consulenza personalizzata, al fine di poter richiedere le prestazioni alle quali hai diritto sulla base della tua situazione!

Raffaele De Leo

UN ANNO DI MORTI SUL LAVORO IN ITALIA. Le Zone Rosse del 2021.

UN ANNO DI MORTI SUL LAVORO IN ITALIA. Le Zone Rosse del 2021.

UN ANNO DI MORTI SUL LAVORO.

NEL 2021 SONO 1.221 LE VITTIME CON UN INCIDENZA MEDIA NAZIONALE DI 42,5 INFORTUNI MORTALI OGNI MILIONE DI OCCUPATI.

ECCO LA MAPPATURA DELL’EMERGENZA DELL’OSSERVATORIO VEGA ENGINEERING: PER CAPIRE DOVE I LAVORATORI RISCHIANO MAGGIORMENTE LA PROPRIA VITA. 

LA LOMBARDIA SI CONFERMA ANCHE A FINE ANNO LA REGIONE PIÙ SICURA D’ITALIA: E’ INFATTI LA REGIONE CON L’INCIDENZA DI INFORTUNI MORTALI SULLA POPOLAZIONE

PIU’ BASSA IN TUTTA ITALIA (26,3 CONTRO IL DATO MEDIO NAZIONALE DI 42,5).LE REGIONI DEL CENTROSUD DEL PAESE SUL PODIO DELL’INSICUREZZA

IN ZONA ROSSA: PUGLIA, CAMPANIA, BASILICATA, UMBRIA, MOLISE, ABRUZZO E VALLE D’AOSTA.

IN ZONA ARANCIONE: TRENTINO ALTO ADIGE, PIEMONTE, MARCHE, FRIULI VENEZIA GIULIA, LIGURIA ED EMILIA ROMAGNA.

IN ZONA GIALLA: LAZIO, SICILIA, VENETO E SARDEGNA.

IN ZONA BIANCA: LOMBARDIA, TOSCANA E CALABRIA.

I CAMBI DI ZONA RISPETTO AL MESE SCORSO: LA LIGURIA E L’EMILIA ROMAGNA ESCONO DALLA ZONA GIALLA ED ENTRANO IN ZONA ARANCIONE; LA TOSCANA LASCIA LA ZONA GIALLA ED ENTRA IN ZONA BIANCA. INTANTO, LE DENUNCE DI INFORTUNIO TOTALI SONO IN LIEVE AUMENTO (+0,2 %). NEL 2021 SONO 555.236. ERANO 554.340 A FINE 2020.

LA ZONIZZAZIONE A COLORI È LA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA ELABORATA DALL’OSSERVATORIO SICUREZZA SUL LAVORO VEGA ENGINEERING DI MESTRE, PER FOTOGRAFARE, ALLA STREGUA DELLA PANDEMIA, L’EMERGENZA MORTI BIANCHE IN ITALIA.

IL RISCHIO DI MORTE, REGIONE PER REGIONE DA GENNAIO A DICEMBRE 2021.DALLA ZONA ROSSA ALLA ZONA BIANCA.

“Il 2021 si chiude con un tragico bilancio per le morti sul lavoro. Sono 1221 le vittime. E, purtroppo, siamo consapevoli come in questo drammatico bilancio restino fuori molti altri decessi. Quelli che appartengono all’economia sommersa e tutti i lavoratori che non sono assicurati Inail. Ma, come teniamo sempre a precisare, i numeri non definiscono l’emergenza nel Paese. È infatti l’indice di incidenza della mortalità – cioè il rapporto degli infortuni mortali rispetto alla popolazione lavorativa, che a livello nazionale nel 2021 è pari 42,5 infortuni mortali ogni milione di occupati – a descrivere correttamente e obiettivamente l’emergenza, regione per regione. Ed è così che la Lombardia – che conta il maggior numero di vittime in Italia, ma anche il maggior numero di persone occupate – è anche quella più sicura, perché l’incidenza di mortalità, pari a 26,3, è la più bassa d’Italia”.

Mauro Rossato, Presidente dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre, apre così l’esplorazione e il commento all’ultima indagine e zonizzazione del rischio di morte per i lavoratori del nostro Paese. Per fotografare, alla stregua della pandemia, l’emergenza morti bianche in Italia nel 2021.

A finire in zona rossa al termine del 2021 con un’incidenza maggiore del 25% rispetto alla media nazionale (Im=Indice incidenza medio, pari a 42,5 morti ogni milione di lavoratori) sono: Puglia, Campania, Basilicata, Umbria, Molise, Abruzzo e Valle D’Aosta.

In Zona ArancioneTrentino Alto Adige, Piemonte, Marche, Friuli Venezia Giulia, Liguria ed Emilia Romagna.

In Zona Gialla: Lazio, Sicilia, Veneto e Sardegna.

In Zona Bianca: Lombardia, Toscana e Calabria.

I cambi di zona rispetto al mese scorso.

La Liguria e l’Emilia Romagna escono dalla zona gialla ed entrano in zona arancione; la Toscana lascia la zona gialla ed entra in zona bianca.

 

I NUMERI ASSOLUTI DELLE MORTI SUL LAVORO IN ITALIA DA GENNAIO A DICEMBRE 2021

Numeri assoluti e incidenze producono graduatorie differenti. E infatti la classifica cambia. Tant’è che a guidare la classifica del maggior numero di vittime in occasione di lavoro è la Lombardia (116). Seguono: Campania (111), Piemonte (92), Lazio ed Emilia Romagna (85), Veneto (78), Puglia (75), Toscana e Sicilia (48), Abruzzo (38), Marche e Liguria (28), Friuli Venezia Giulia (27), Trentino Alto Adige (24), Umbria (23), Sardegna (19), Basilicata (16), Molise (15), Calabria (14) e Valle D’Aosta (3).

Nel report allegato il numero delle morti in occasione di lavoro provincia per provincia.

Nel 2021 sono 1.221 le vittime sul lavoro registrate in Italia; di queste, sono 973 (– 8 % rispetto al 2020) quelle rilevate in occasione di lavoro, mentre 248 (+ 16 % rispetto al 2020) sono quelle decedute a causa di un incidente in itinere. A fine 2020 le vittime totali erano 1.270 (49 in più del 2021), ma il confronto tra i due anni deve tener conto del contributo dato dagli infortuni mortali connessi con il COVID19, che si possono stimare in circa il doppio nel 2020 rispetto al 2021.

Per quanto riguarda l’andamento mensile, a fine dicembre 2021 si registrano 105 vittime in più rispetto a fine novembre 2021.

Ed è il settore delle Costruzioni quello che nel 2021 ha fatto più vittime in occasione di lavoro: sono 127.

Seguono: Attività Manifatturiere (109), Trasporto e Magazzinaggio (97), Commercio, Riparazione di autoveicoli e motocicli (78).

La fascia d’età più colpita dagli infortuni mortali sul lavoro è quella tra i 45 e i 64 anni (674 su un totale di 973). Ma anche qui, valutando il dato rispetto al numero di occupati per fascia di età, si scopre che è più a rischio il lavoratore over 65, con un’incidenza di mortalità del 155,6, mentre tra i 55 e i 64 anni l’incidenza scende a 82, tra i 45 e i 54 anni a 42,2 e tra i 35 e 44 anni a 20,2. L’incidenza di mortalità minima è nella fascia di età tra 25 e 34 anni, pari a 13, mentre nella fascia dei più giovani, ossia tra 15 e 24 anni, l’incidenza risale a 27,3 infortuni mortali ogni milione di occupati. Questo dimostra che le fasce di età dei più giovani e, soprattutto dei più anziani, sono quelle più a rischio di infortunio mortale. Aspetto da tenere in considerazione vista la propensione del legislatore di posticipare l’età di pensionamento.

Le donne che hanno perso la vita in occasione di lavoro nel 2021 sono 91 su 973 (quasi il 10% delle vittime).

Gli stranieri deceduti in occasione di lavoro da gennaio a dicembre del 2021 sono 144 (circa il 15% del totale).

Il lunedì il giorno nero del 2021. È il primo giorno della settimana quello in cui si è verificato il maggior numero di infortuni mortali.

Le denunce di infortunio totali sono lieve aumento (+0,2 %). Nel 2021: sono 555.236. Erano 554.340 a fine 2020.

Le denunce di infortunio delle lavoratrici italiane nel 2021 sono state 200.557, quelle dei colleghi uomini 354.679.

*La pandemia ci ha obbligati da diversi mesi a vivere l’Italia “a colori”. Ma ci ha anche insegnato che i colori possono raccontare l’emergenza in modo più semplice ed efficace. Per questo l’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre – che da oltre un decennio elabora indagini statistiche sulle morti bianche nel nostro Paese – ha deciso di utilizzare gli stessi colori per descrivere in modo più leggibile e incisivo le tragedie che si consumano nella quotidianità lavorativa. Si tratta, dunque, di una zonizzazione sulla base della mortalità rispetto alla popolazione lavorativa, parametrata su un’incidenza media nazionale (Im=42,5).

Al fine di promuovere e diffondere la Cultura della Sicurezza sul Lavoro, ci auguriamo che il comunicato non solo sia un utile strumento di lavoro per Voi ma anche una fonte di riflessione e di analisi di fronte alla grave situazione che colpisce la nostra Penisola.

 

NOTIZIE INCA

Invalidità civile: novità per l’invio della documentazione sanitaria

Invalidità civile: novità per l’invio della documentazione sanitaria

Nell’ambito dei progetti di innovazione legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), è stato esteso ai medici certificatori e ai patronati il servizio per l’allegazione della documentazione sanitaria di invalidità civile. Si tratta del servizio già utilizzato dai cittadini per inviare all’Istituto la documentazione sanitaria probante, ai fini dell’accertamento medico-legale, per la definizione delle domande/posizioni in attesa di valutazione sanitaria di prima istanza/aggravamento.

Con il messaggio 1º ottobre 2022, n. 3574 si forniscono ai medici certificatori e agli operatori dei patronati le indicazioni per l’utilizzo del servizio, le tipologie di domande per le quali può essere utilizzato e i tempi di fruizione.

Una volta trasmessa la documentazione, la commissione medica INPS potrà consultarla e pronunciarsi con un verbale inviato al cittadino tramite raccomandata A/R. Qualora, invece, la documentazione pervenuta non venga considerata sufficiente, o nel caso in cui la revisione sanitaria non sia trasmessa entro 40 giorni dalla ricezione della richiesta, si procederà con la convocazione a visita diretta dell’interessato.

Cessione quinto pensioni: aggiornamento tassi quarto trimestre 2022

Cessione quinto pensioni: aggiornamento tassi quarto trimestre 2022

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro ha indicato i Tassi Effettivi Globali Medi (TEGM) praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari, rilevati dalla Banca d’Italia e in vigore per il periodo dal 1° ottobre al 31 dicembre 2022.

L’INPS, con il messaggio 30 settembre 2022, n. 3571, pubblica i valori dei tassi da applicarsi nel periodo per i prestiti da estinguersi con cessione del quinto dello stipendio e della pensione, e i tassi soglia TAEG per i prestiti estinguibili con cessione del quinto della pensione in regime di convenzionamento.

 

il manifesto

Oltre 76 uccisi e lavoro a rischio: repressi dentro e fuori le piazze

IRAN. Almeno 3mila arresti, tra loro l’ex deputata e attivista Faezeh Hashemi Rafsanjani. Teheran minaccia rappresaglie. Per le strade donne con e senza velo: vogliono decidere per sé, senza obblighi. A sorpresa l’ayatollah ultraconservatore Hamedani apre alla protesta: una parte della gerarchia sciita cerca il compromesso per salvare il khomeinismo
<img src="data:;base64,” alt=”” />Oltre 76 uccisi e lavoro a rischio: repressi dentro e fuori le piazze
Una manifestante iraniana durante le proteste a Teheran
 
 
 
 
 

Nuovo!

Oltre 76 morti, 3mila persone arrestate, tra cui in tarda serata anche Faezeh Hashemi Rafsanjani, ex deputata e figlia dell’ex presidente Ali Akbar Rafsanjani, nota attivista per i diritti delle donne. È il bilancio provvisorio delle proteste in Iran, le più importanti da quelle che nel 1979 culminarono nella cacciata dello scià. Oggi nelle piazze iraniane viene convogliata la frustrazione sia dei ceti popolari colpiti dalla crisi economica sia della classe media che chiede maggiori diritti. Mahsa Amini era originaria della provincia, non apparteneva alla borghesia di Teheran. Anche per questo molti si identificano in lei e nel dolore della famiglia. E in strada scendono più donne del solito.

TRA QUESTE ANCHE chi metterebbe comunque il velo, anche se non fosse obbligatorio, ma non vuole che le figlie siano obbligate a indossarlo e tanto meno vengano prese di mira dalla polizia morale e uccise.

questi giorni a esprimersi a favore dei dimostranti sono in tanti, soprattutto sui social network. Tra questi, l’ex calciatore Ali Karimi, eletto giocatore asiatico dell’anno nel 2004 e soprannominato il Maradona d’Asia. Su Instagram è seguito da 1,2 milioni di persone. La sua ultima storia inneggia alla libertà (azadì), alla «mia patria» (vatan-e man), al «mio Iran» (Iran-e man) e al fatto che la rivoluzione del 1979 sia stata fatta in nome degli «ultimi della terra» (i mostazafin).

Domenica, il capo della magistratura ha però dichiarato che «chi incoraggia le proteste sarà ritenuti responsabili». Una minaccia, soprattutto per gli utenti dei social. Ma è un fake la notizia secondo cui una villa di Ali Karimi sarebbe già stata sequestrata. Il ministero dell’intelligence invece prevede multe, carcere e perdita del lavoro e degli studi per chi sarà arrestato alle proteste.

È PROBABILMENTE alla luce di questa minaccia del capo della magistratura iraniana che si spiega il comportamento di un anziano membro del clero sciita. Turbante bianco, sopracciglia scure, barba candida e occhiali senza montatura, moderni. È così che appare il Grande ayatollah Hossein Nouri Hamedani.

Dal seminario religioso nella città santa di Qum, a sud della capitale Teheran, Hamedani chiede alle autorità di «soddisfare le richieste del popolo». Per evitare di pagare un prezzo troppo alto per la propria vicinanza ai manifestanti, aggiunge che «il popolo iraniano ha sempre difeso la Rivoluzione» e critica «quei pochi che hanno causato subbuglio e insultato la santità». La presa di posizione dell’ayatollah sarebbe molto cauta, anche perché la repressione non ha risparmiato il clero.

A sorprendere è il fatto che a chiedere alle autorità di «soddisfare le richieste del popolo» non sia un esponente del clero riformatore ma l’ultraconservatore Hamedani, ripreso dall’agenzia Isna. Classe 1925, il religioso è noto per le sue posizioni integraliste: si era contraddistinto per la richiesta di epurare le università dai professori anti-islamici e atei; era a favore della repressione nei confronti dei dervisci e dei sufi messa in atto nel 2006, durante la presidente dell’ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad; e nel 2008 aveva criticato l’intellettuale iraniano Abdolkarim Soroush dicendo che i suoi scritti sarebbero «peggio di quelli di Salman Rushdie»: di fatto, una condanna a morte.

IN MERITO AI DIRITTI delle donne, nel 2003 Hamedani si era opposto alla ratifica della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), ed è sua la fatwa contro la presenza delle iraniane negli stadi. È quindi strano che sia stato proprio lui a prendere posizione.

L’unica spiegazione è la percezione del pericolo per la Repubblica islamica da parte del religioso e del suo entourage: l’ayatollah ha compiuto 97 anni e, per quanto lucido, non è certo lui a gestire la pagina web noorihamedani.ir, disponibile anche in inglese. Evidentemente, di fronte all’indifferenza del leader supremo, qualche altro esponente della gerarchia sciita si rende conto che il regime rischia, prima o poi, di saltare.

ORA, IL PROBLEMA è che l’obbligo del velo nei luoghi pubblici fu imposto dall’ayatollah Khomeini il 7 marzo 1979: rinunciarvi vorrebbe dire mettere in discussione uno degli elementi chiave dell’ideologia khomeinista.

Viene da domandarsi quanto sia rimasto della Repubblica islamica voluta da Khomeini nel 1979: se la rivoluzione era stata possibile grazie ai denari versati dai mercanti (i bazarì) nelle casse delle moschee, dei seminari religiosi e quindi degli ayatollah, oggi a comandare pare siano soprattutto i pasdaran, le Guardie rivoluzionarie. Sono loro, e i miliziani basij, a controllare il paese e la sua economia. E sono sempre loro a reprimere il dissenso.

Pensioni: ci sarà dibattito nel centrodestra, intanto gli assegni perdono valore

Pensioni: ci sarà dibattito nel centrodestra, intanto gli assegni perdono valore

Pensioni, una sede dell' Inps.
Pensioni, una sede dell’ Inps.

Meloni favorevole a innalzare le minime ma non c’è accordo su Quota 41 della Lega; intanto il valore reale delle pensioni è calato del 7,3% in un anno

Tra le questioni che dovrà affrontare il nuovo governo ci sarà il tema Pensioni: con l’esaurirsi delle esperienze di Quota 100 e di Quota 102 si tornerebbe infatti alla Fornero, ma i vari schieramenti che si sono presentati alle ultime elezioni hanno tutti avanzato proposte di riforma di questa legge. Non è però semplice prevedere come agirà il prossimo esecutivo di centrodestra, in quanto i partiti che lo comporranno non hanno la medesima idea sull’argomento, anzi partono da posizioni abbastanza differenti.

Fratelli d’Italia per l’innalzamento delle minime

Il partito di Giorgia Meloni ha dichiarato come obiettivo quello di incrementare l’importo delle pensioni minime e sociali, prevedendo ad esempio un aumento graduale ma strutturale degli assegni per invalidità.

Fratelli d’Italia intende inoltre mettere mano al sistema di adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita e prorogare Opzione Donna. Tra le idee in campo vi è anche quella di ricalcolare le cosiddette “pensioni d’oro”, in quanto “non corrispondono a contributi effettivamente versati” e di innalzare l’importo delle pensioni minime, “per permettere a tutti di vivere in una situazione dignitosa”.

Legge Fornero e Quota 41

A partire dal 2023 è intanto previsto il ritorno alla Legge Fornero la quale, occorre ricordare, vide tra i propri voti favorevoli anche Giorgia Meloni (che durante il governo Monti era deputata del PdL).

È probabile che la maggioranza si confronterà per porvi qualche aggiustamento, ma al momento sembrano da escludersi ipotesi di grandi sconvolgimenti: ad esempio pare lontana l’idea di Quota 41, caldeggiata dalla Lega ma non sostenuta dagli altri partiti di centrodestra.

Il calo del valore della pensione nell’ultimo anno

Nel frattempo, da uno studio della federazione europea dei sindacati, ETUC, è emerso che il valore reale delle pensioni in Italia è calato del 7,3%.

Il risultato tiene conto del dato di agosto dell’inflazione (9,1%) e dell’aumento della pensione minima, che è passata da 558 a 568 euro (+1,7%) tra il gennaio 2021 ed il gennaio 2022.

Nel panorama europeo l’Italia va meglio di Ungheria (-18,6%), Estonia (-10,34%), Cipro (-8,36%) e Portogallo (-8,2%), ma registra comunque un dato peggiore di altri stati come Austria (-6,25%), Francia (-5,52%), Belgio (-1,48%) e Spagna, (le cui pensioni tengono, perdendo solo lo 0,42%).

Secondo l’ETUC è quindi necessario che le pensioni vengano incrementate da subito, per permettere alle persone anziane di tenere il passo con l’aumento del costo della vita. Inoltre secondo la stessa federazione sindacale occorre inoltre che vengano presi provvedimenti contro gli aumenti delle bollette energetiche, fissando dei massimali, per prevenire situazioni di emergenza con tanti cittadini che altrimenti nel prossimo inverno non potranno permettersi di tenere acceso il riscaldamento.

Il Pnrr e le difficoltà degli enti locali #OpenPNRR

Il Pnrr e le difficoltà degli enti locali #OpenPNRR

Uno dei principali obiettivi del Pnrr è quello di ridurre i divari territoriali. Ma, tra carenze di personale negli enti locali e ritardi, la distanza rischia invece di acuirsi ancora di più.

 

Con le dimissioni del governo Draghi e le conseguenti elezioni svoltesi lo scorso 25 settembre, il processo di attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) potrebbe subire dei rallentamenti. A maggior ragione se il nuovo esecutivo vorrà provare a ridiscutere con Bruxelles alcuni aspetti del piano.

Questo, a cascata, potrebbe comportare delle difficoltà ancora maggiori per quegli enti locali che oggi sono chiamati a dare attuazione ad alcuni degli investimenti del piano. Abbiamo già raccontato infatti come siano proprio i comuni, specie quelli del meridione, ad essere più in difficoltà non solo nel portare avanti i progetti ma anche nel presentare delle proposte ammissibili ai finanziamenti. Tra i casi eclatanti più recenti in questo senso c’è quello del comune di Palermo, che non è stato in grado di presentare proposte nell’ambito dei bandi dedicati alla realizzazione di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti.

€ 40 mld le risorse complessive del Pnrr affidate alla diretta gestione di comuni e città metropolitane (fonte: Anci).

I motivi di queste difficoltà possono essere molteplici ma una delle cause principali è la carenza di personale e di competenze adeguate in queste realtà. Mancanze che sono da imputare a disparità e ritardi che caratterizzano storicamente i territori del mezzogiorno e ai quali lo stato non è mai riuscito a porre rimedio in modo efficace.

Se tali lacune non saranno colmate, non solo i progetti ammessi a finanziamento in questi territori rischiano di non concludersi nei tempi previsti. Ma si rischia anche che il Pnrr, anziché ridurli, contribuisca ad acuire i divari tra quei territori che già oggi sono più efficienti e il resto del paese.

Trasparenza, informazione, monitoraggio e
valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato
al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Accedi e monitora

 

Trasparenza, informazione, monitoraggio e
valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato
al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Accedi e monitora

 

La difficoltà degli enti locali nel presentare progetti

In questo quadro si inserisce poi il modello adottato per la selezione dei progetti da finanziare. Un modello che privilegia la competizione tra territori anziché l’adozione di politiche perequative. La quantità di passaggi burocratici a cui adempiere e la complessità della documentazione da fornire infatti, in alcuni casi può anche scoraggiare gli enti locali meno efficienti. Che rinunciano perfino all’invio delle candidature.

Mettere in competizione gli enti locali ha allontanato il Pnrr dal rispetto del criterio perequativo che avrebbe dovuto orientare la distribuzione territoriale delle risorse disponibili per andare incontro all’obiettivo di riequilibrio territoriale.

La conseguenza di questa dinamica è che gli enti locali che rischiano di rimanere esclusi dal riparto dei fondi del Pnrr sono proprio quelli che ne avrebbero maggiormente bisogno. Parliamo generalmente di piccoli centri che si trovano nel mezzogiorno o nelle aree interne del paese. Ma anche di città maggiori, che talvolta sono incappate nelle stesse difficoltà. Per evitare che ciò avvenga è stata introdotta la clausola che imponeva ai ministeri e agli altri soggetti responsabili di destinare almeno il 40% delle risorse al mezzogiorno. Abbiamo raccontato però che in moltissimi casi tale quota non è stata rispettata. Questo perché spesso dai territori non è stato presentato un numero sufficiente di domande.

E poiché mancano nel Pnrr meccanismi di salvaguardia della quota, quando questo si verifica sta alla singola organizzazione titolare decidere come procedere. Molti ministeri in questi casi hanno semplicemente deciso di far scorrere le graduatorie, scendendo sotto la soglia del 40%.

Da notare peraltro che una relazione pubblicata recentemente dall’associazione nazionale comuni italiani (Anci) sottolinea come le risorse del Pnrr non possano essere utilizzate per colmare le lacune di personale. Per ovviare a questi problemi il governo ha varato una serie di iniziative per supportare gli enti locali. Tuttavia questi accorgimenti, almeno sinora, non sembrano essere stati in grado di risolvere le criticità.

Il rischio di ritardi

Le difficoltà inoltre non si esauriscono neanche nei casi in cui gli enti locali riescano a intercettare i fondi. In particolare si sollevano dubbi sulla loro capacità di portare le opere a compimento entro i tempi previsti. Si tratta di un elemento fondamentale per non rischiare di perdere i fondi europei. Su questo aspetto è un rapporto dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno (Svimez) a fornire una panoramica preoccupante, soprattutto per il sud del paese.

Svimez ha analizzato la banca dati delle opere pubbliche relative a interventi infrastrutturali realizzati dai comuni (escluse le città metropolitane) nel periodo compreso tra il 2012 e il 2021. Concentrandosi in particolare sulla realizzazione delle opere per infrastrutture sociali. Non solo perché è il settore in cui è stato realizzato il maggior numero di interventi (circa il 49,6% del totale) ma anche perché si tratta di un ambito di fondamentale importanza per raggiungere gli obiettivi di coesione territoriale previsti dal Pnrr.

Secondo Svimez, molti giorni di ritardo si accumulano durante l’esecuzione delle opere.

Considerando un dato medio nazionale di 1.007 giorni per il completamento di un’opera in questo ambito, dalla relazione di Svimez emerge una enorme differenza nei tempi di realizzazione tra il nord e il sud del paese. I comuni del mezzogiorno infatti impiegano mediamente circa 450 giorni in più per portare a compimento la realizzazione delle infrastrutture sociali. Il report evidenzia inoltre come oltre 300 giorni di ritardo si accumulino nella fase di cantierizzazione (esecuzione). Se già a livello di progettazione si incontrano delle difficoltà quindi, non è improbabile che queste possano addirittura aggravarsi nel momento della messa in opera dei cantieri.

Se non si riuscissero a trovare soluzioni rapide per rendere più efficiente la macchina amministrativa necessaria all’affidamento dell’appalto, all’apertura del cantiere e alla realizzazione dei lavori, i tempi estremamente stretti per portare a conclusione le opere nel rispetto del termine ultimo di rendicontazione fissato per il 31 agosto 2026.

Considerando questi dati, Svimez si spinge ad osservare che i cantieri al sud dovrebbero essere avviati al massimo entro fine ottobre 2022. Un obiettivo che sembra abbastanza difficile da raggiungere dato che, come vedremo, molti bandi per l’assegnazione delle risorse sono ancora in corso. I tempi per le restanti macro-aree sono un po’ più diluiti: maggio 2023 per il centro e l’estate 2024 per le aree settentrionali.

A questo proposito occorre ricordare che le norme relative all’attuazione del Pnrr prevedono la possibilità per il governo di esercitare dei “poteri sostitutivi” in casi di gravi ritardi nella realizzazione delle opere. Ciò significherebbe sostanzialmente il commissariamento dei cantieri. Un’eventualità che andando avanti nella fase di “messa a terra” dei progetti potrebbe riproporsi spesso.

I bandi per gli enti locali già chiusi e quelli ancora in corso

Vediamo adesso qual è lo stato dell’arte dei bandi riservati in particolare agli enti locali (comuni e città metropolitane). In primo luogo possiamo osservare che si sono già chiusi i bandi relativi a 20 investimenti contenuti nel Pnrr. Da questo punto di vista l’intervento più consistente è quello dedicato agli asili nido e alle scuole dell’infanzia (4,6 miliardi) di competenza del ministero dell’istruzione. Seguono i bandi per i progetti legati alla rigenerazione urbana (3,3 miliardi) e quelli rivolti alle città metropolitane per i piani urbani integrati (2,7 miliardi), entrambi di competenza del ministero dell’interno.

Secondo la relazione dell’Anci invece sono complessivamente 49 i bandi ancora aperti a cui possono partecipare comuni e città metropolitane. Suddividendo tali bandi in base al tema, al primo posto troviamo la transizione ecologica con 12 misure. Seguono digitalizzazioneinclusione sociale e infrastrutture ciascuno con 8 bandi ancora in corso.

Per quanto riguarda invece le risorse da assegnare, notiamo che si parla di circa 58 miliardi di euro. Il dato così elevato è dovuto al fatto che Anci considera anche bandi per circa 9 miliardi che saranno gestiti centralmente dai ministeri della transizione ecologica e dell’agricoltura ma che vedranno i comuni come principali beneficiari. Inoltre, in alcuni casi, i bandi non si rivolgono solamente ai comuni ma anche ad altri soggetti come le regioni, le province e altre realtà territoriali. Fatta questa premessa, possiamo osservare che l’amministrazione titolare che assegnerà l’ammontare più consistente delle risorse con i bandi ancora in corso, è il ministero dell’interno con circa 12,9 miliardi di euro. Seguono il ministero della transizione ecologica (11,9 miliardi) e quello delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (11,3).

Ci sono poi anche altre risorse del Pnrr che vedranno comuni e città metropolitane come diretti beneficiari anche se non in qualità di soggetti attuatori. Questi però non sono stati inseriti nelle tabelle relative ai bandi in corso. Ciò perché tali investimenti riguardano sostanzialmente l’implementazione di una nuova struttura digitale della pubblica amministrazione che sarà gestita centralmente. Si tratta in particolare dei fondi per la piattaforma nazionale digitale dei dati (556 milioni) e per la digitalizzazione degli avvisi pubblici (245 milioni).

La proroga dei bandi, un segno delle difficoltà degli enti locali

Un ultimo elemento che emerge analizzando lo stato di implementazione dei bandi ancora in corso riguarda il fatto che molti di questi sono stati prorogati, anche più di una volta. Dalla relazione di Anci infatti emerge che in 5 casi i soggetti titolari sono stati costretti a rinviare la scadenza degli avvisi.

Molti bandi sono stati prorogati per mancanza di domande.

Il bando per la realizzazione di nuovi impianti di gestione rifiuti e ammodernamento di quelli esistenti avrebbe dovuto chiudersi il 14 febbraio ma la scadenza è stata rinviata di un mese. Allo stesso modo il bando per la forestazione urbana dedicato alle città metropolitane avrebbe dovuto concludersi a fine maggio ma la scadenza è stata prorogata due volte: prima al 14 giugno e successivamente al 21 dello stesso mese. Il 16 maggio inoltre avrebbe dovuto concludersi il bando per la realizzazione delle infrastrutture sociali nelle aree interne ma anche in questo caso la scadenza è stata prorogata di un mese. Addirittura 3 proroghe infine per il bando dedicato alla valorizzazione dei beni confiscati alle mafie. L’avviso pubblico inizialmente prevedeva come scadenza il 24 gennaio. Successivamente prorogata prima al 28 febbraio, poi al 31 marzo e infine al 22 aprile.

Per quanto riguarda invece i bandi per il rafforzamento della mobilità ciclistica, Anci riporta che attualmente le procedure sono interrotte a causa di un “doppio passaggio del decreto di attribuzione delle risorse al Mims, al Mef e in conferenza unificata”.

le misure del Pnrr i cui bandi sono stati prorogati.

Anche tra i bandi che si sono già conclusi si registrano dei casi simili. Quello più eclatante è certamente legato al bando per gli asili nido e per le scuole dell’infanzia. La scadenza iniziale entro cui inviare le candidature infatti era stata fissata al 28 febbraio. Arrivati alla data in questione però, non erano state presentate domande sufficienti a esaurire i fondi stanziati. Per cui la scadenza è stata prorogata fino all’1 aprile. Si è reso poi necessario un ulteriore bando riservato alle regioni del mezzogiorno (con priorità rivolta a Basilicata, Molise e Sicilia) per distribuire gli ultimi 70 milioni di euro che rischiavano di rimanere inutilizzati.

Questi rinvii confermano le difficoltà degli enti locali nel presentare progetti in grado di intercettare le risorse. A vantaggio di territori che si trovano già in situazioni avanzate in tema di infrastrutture e servizi, ma che hanno le competenze necessarie per accedere ai bandi. Tale dinamica rischia di far diventare il Pnrr, se non ben gestito, da strumento per la riduzione delle disuguaglianze a causa del loro inasprimento.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto: Anci