Archivi giornalieri: 13 ottobre 2022

Nel 2023 le pensioni con la nuova Quota 103 a 64 o 65 anni

Nel 2023 le pensioni con la nuova Quota 103 a 64 o 65 anni

Prima la Quota 100 per tre anni, poi la Quota 102 per un solo anno e adesso si passa a Quota 103. A dirlo in questo modo è evidente che il sistema previdenziale italiano viaggia sempre più verso la cancellazione di tutte le misure di pensionamento anticipato. Soprattutto quelle che prevedono l’uscita prima dei 67 anni di età. La misura frutto di una proposta e che quindi al momento è soltanto una mera ipotesi, continuerebbe il lavoro iniziato con la Quota 100 e proseguito con la Quota 102. Un lavoro nato con l’obiettivo di ridurre al minimo l’impatto di un eventuale scalone sui lavoratori.

Nel 2023 le pensioni con la nuova Quota 103 flessibile

Mentre per i nati dal 1957 al 1959 la Quota 100 è stata una possibilità dal momento che garantiva, con 38 anni di contributi versati una uscita a partire dai 62 anni di età, per i nati nel 1960 tutto diverso. Nonostante la Quota 102, lo scalone ad oggi è perfettamente materializzato. Infatti chi è nato nel 1960, a prescindere dalla presenza di 38 anni di contributi già completati, non ha potuto accedere alla Quota 100. Infatti i 62 anni di età andavano completati entro la fine del 2021. E con l’ingresso della Quota 102 per questi lavoratori non è stato possibile nemmeno sfruttare la nuova Quota 102. Questo dal momento che entro la fine del 2022 avrebbero dovuto compiere 64 anni.

I veri penalizzati sono la classe 1960

In barba a qualsiasi soluzione anti scalone, anche la Quota 103 di cui si parla in queste ore li taglia nuovamente fuori. Ed in ogni caso, perché nonostante si parla di Quota 103 flessibile, serviranno sempre almeno 64 anni di età. Infatti con la nuova Quota 103 potrebbero uscire coloro i quali raggiungono 39 anni di contributi versati e 64 anni di età. In alternativa possono bastare sempre i 38 anni di contributi versati. Ma in questo caso l’età necessaria sale a 65. In pratica i nati nel 1960 o dopo, rischiano di passare due generazioni di misure, e di subire lo stesso in pieno quello scalone che i legislatori volevano eliminare.

Ecco cosa hanno subito i nati nel 1960

Per chi solo per qualche mese o giorno non è nato nel 1959, il danno è notevole. Basti pensare a chi per esempio è nato il primo gennaio del 1960. Per un solo giorno chi è nato il 31 dicembre precedente, ha potuto sfruttare la Quota 102 andando in pensione nel 2021. Chi invece è nato l’anno dopo non vedrà la pensione prima del 2027, cioè quando arriverà ai canonici 67 anni di età. E non è neanche detto che i 67 anni restino tali. Infatti c’è da considerare che potrebbero addirittura diventare di più per via del collegamento all’aspettativa di vita bloccata fino al 2026, ma che dopo tornerà ad influenzare le uscite dal lavoro. Quindi, nel 2023 le pensioni con la nuova Quota 103 potrebbero servire a poco per molti lavoratori che non trarrebbero beneficio.

Lettura consigliata

Quando un lavoratore è costretto alla pensione e cosa fare per restare al lavoro

Si invita a leggere attentamente le Avvertenze riguardo al presente articolo e alle responsabilità dell’autore, consultabili QUI»
 

La disaffezione dalla politica e il calo nel numero di schede bianche

La disaffezione dalla politica e il calo nel numero di schede bianche

Il numero di schede bianche alle elezioni per il rinnovo della camera dal 1948 al 2022.

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DESCRIZIONE

Il numero di schede bianche è cominciato a crescere già dalle seconde elezioni repubblicane. Questa crescita tuttavia ha seguito un andamento molto più incostante rispetto all’astensione, raggiungendo poi il suo apice nel 2001. Dalle elezioni politiche del 2006 in poi, al contrario, il numero di schede bianche ha subito un tracollo drastico, passando da quasi 1,7 milioni nel 2001 (3,4% del corpo elettorale) a poco più di 400mila nel 2006 (0,9%). Tale cifra è poi rimasta abbastanza costante negli anni successivi e nel 2022 si è collocata intorno a 492mila, ovvero l’1,1% del corpo elettorale e il 2,9% di quello che abbiamo definito partito del non voto. È importante tenere in considerazione tuttavia l’effetto delle leggi elettorali sulla scelta degli elettori. Gli anni del picco nel numero di schede bianche infatti (1994-2001) sono infatti anche gli stessi anni in cui è stata in vigore la legge elettorale nota come mattarellum.

DA SAPERE

Gli elettori che votano “scheda bianca” rientrano tra quelli considerati “votanti”. Tali schede rientrano tra quelle considerate “nulle” ma sono conteggiate anche separatamente. A partire dai dati delle elezioni 2006 sono considerati solo gli elettori che hanno votato in Italia (e quindi non la circoscrizione estero) a esclusione di quelli della Valle d’Aosta. Al momento della pubblicazione i dati relativi al 2022 per quanto definitivi nella sostanza non sono ancora stati del tutto ufficializzati e potrebbero subire leggere variazioni.

 

Il partito del non voto alle elezioni 2022

Il partito del non voto alle elezioni 2022

Il numero di elettori che non hanno votato o che hanno votato scheda bianca messo a confronto con i voti ottenuti dalle liste e dalle coalizioni alle elezioni per il rinnovo della camera del 2022

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DESCRIZIONE

I risultati delle ultime politiche confermano quella del non voto come la scelta ampiamente più comune tra gli elettori, anche considerando le coalizioni nel loro insieme. Sono oltre 17 milioni di elettori infatti quelli che hanno scelto il “partito del non voto”, ovvero il 39,5% in più rispetto all’intera coalizione di centro-destra.

DA SAPERE

Per il “Partito del non voto” sono indicati il numero di elettori che non hanno votato e il numero di schede bianche. Per la coalizione di centro-destra i voti ottenuti dalle liste di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati. Per la coalizione di centro-sinistra quelli ottenuti dalle liste di Partito democratico, Alleanza Verdi e Sinistra, +Europa e Impegno civico. Separatamente sono poi indicati i voti ottenuti dalle due liste nazionali non coalizzate che sono entrate in parlamento ovvero il Movimento 5 stelle e Azione-Italia viva. Sono considerati solo gli elettori che hanno votato in Italia (e quindi non la circoscrizione estero) a esclusione della Valle d’Aosta. Al momento della pubblicazione i dati relativi al 2022 per quanto definitivi nella sostanza non sono ancora stati del tutto ufficializzati e potrebbero subire leggere variazioni.

 

L’astensionismo e il partito del non voto Mappe del potere

L’astensionismo e il partito del non voto Mappe del potere

Dopo le ultime elezioni parlamentari è emersa con ancora più evidenza la questione dell’astensionismo. Sono sempre di più infatti gli elettori che non si recano alle urne e il partito del non voto è ormai stabilmente il “primo partito” d’Italia.

 

Il tema dell’astensionismo interessa da anni il dibattito pubblico, in particolare nelle fasi elettorali. D’altronde la continua crescita del numero di persone che si astengono dal voto costituisce comprensibilmente un elemento di preoccupazione rispetto al grado di legittimità del sistema rappresentativo. I risultati elettorali infatti mostrano come la coalizione che ha ricevuto più voti e che otterrà la maggioranza parlamentare ha raccolto il consenso di poco più di 1 elettore su 4. È stato invece il “partito del non voto” l’opzione più comune in questa tornata elettorale, rappresentando la scelta di quasi il 40% del corpo elettorale.

Diritto o dovere

La costituzione italiana definisce l’esercizio del voto come un “dovere civico”. Un’espressione questa su cui si è molto dibattuto ma che senza dubbio esprime l’auspicio, da parte dei costituenti, che l’intero corpo elettorale partecipi al processo democratico.

Il voto e` personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

Già questa espressione d’altronde rappresenta una formula di mediazione tra chi, in assemblea costituente, riteneva che il voto dovesse essere obbligatorio e chi invece lo vedeva come un diritto che i cittadini possono liberamente decidere di esercitare o meno.

La costituzione dunque non disciplina di per sé un obbligo giuridico pur non escludendo, almeno esplicitamente, che la legge possa declinarlo come tale.

L’annosa questione del Voto come “dovere civico”.

E in effetti la prima formulazione del testo unico delle leggi per l’elezione della camera dei deputati (Dpr 361/1957) definiva esplicitamente l’esercizi del voto come un obbligo, prevedendo anche delle sanzioni, anche se di natura assolutamente modesta.

Ex art. 4 – L’esercizio del voto è un obbligo al quale nessun cittadino può sottrarsi senza venir meno ad un suo preciso dovere verso il paese.
Ex art. 115 – L’elettore, che non abbia esercitato il diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco del comune nelle cui liste elettorali è iscritto

Tali sanzioni peraltro furono molto raramente applicate e nel 1993, con la riforma del testo unico, l’articolo 115 che stabiliva le sanzioni per il mancato esercizio del voto fu abrogato, mentre l’articolo 4 fu riformulato. Nel nuovo testo non si parlava più di un dovere, ma di un diritto che dev’essere promosso dalla repubblica.

Il voto è un dovere civico e un diritto di tutti i cittadini, il cui libero esercizio deve essere garantito e promosso dalla repubblica.

Nel 2005 poi è intervenuta su questo dibattito la stessa corte costituzionale. Nella sentenza la consulta ha quindi definito la scelta di non partecipare come una forma di esercizio del diritto di voto. A parere della corte tuttavia a tale scelta non può essere interpretata come la manifestazione di una volontà politica, dovendogli piuttosto attribuire esclusivamente un significato socio-politico.

[…] il non partecipare alla votazione costituisce una forma di esercizio del diritto di voto significante solo sul piano socio-politico.

Il calo dell’affluenza

A partire dalle elezioni del 1979 l’affluenza alle consultazioni parlamentari ha subito un progressivo e quasi continuo calo che l’ha portata dal 93,4% del 1976 al 63,8% del 2022.

63,8% l’affluenza alle elezioni parlamentari 2022 (camera).

Dalla fine degli anni ’80 infatti solo in due occasioni si è registrata una momentanea ripresa dell’affluenza: prima nel 1987, con una crescita di appena 0,8 punti percentuali rispetto al 1983, e poi nel 2006 con una crescita di oltre 2 punti rispetto al 2001.

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DA SAPERE

La percentuale di affluenza alle elezioni per il rinnovo della camera dei deputati è calcolata facendo il rapporto tra il numero di elettori, ovvero i cittadini aventi diritto al voto, e i votanti, ovvero gli elettori che hanno effettivamente esercitato il loro diritto al voto. Questo indipendentemente dal fatto che abbiano espresso il loro voto a favore di una lista, che il loro voto sia stato considerato nullo per le più varie ragioni o che abbiano votato scheda bianca. A partire dai dati delle elezioni 2006 sono considerati solo gli elettori che hanno votato in Italia (e quindi non la circoscrizione estero) a esclusione di quelli della Valle d’Aosta. Al momento della pubblicazione i dati relativi al 2022 per quanto definitivi nella sostanza non sono ancora stati del tutto ufficializzati e potrebbero subire leggere variazioni.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno
(ultimo aggiornamento: venerdì 30 Settembre 2022)

 

Ma se in oltre 30 anni l’affluenza è calata di 10 punti, passando da oltre il 90% fino a valori comunque superiori all’80%, nel successivo quindicennio il calo dell’affluenza ha subito una drastica accelerazione. Tra il 2008 e il 2022 infatti la quota di elettori che si sono recati alle urne si è ridotta di quasi 17 punti percentuali.

Il partito del non voto

Ma se di grande importanza è la percentuale degli astenuti (ovvero chi non si è recato alle urne), altrettanto interessanti sono anche i numeri assoluti di quello che può essere definito come il partito del non voto, inteso come la somma degli astenuti e di chi ha votato scheda bianca (nel conteggio non sono invece incluse le schede nulle).

In particolare è utile mettere a confronto il numero di elettori che hanno scelto il non voto con quelli che invece hanno optato per una delle liste più votate alle elezioni.

Fino al 1987 il numero di elettori che hanno scelto il non voto si è posto costantemente al di sotto dei due principali partiti che si sono presentati alle elezioni, ovvero la Democrazia cristiana e il Partito comunista italiano.

A partire dal 2013 quello del non voto è costantemente il “primo partito” d’Italia.

Nel 1992, per la prima volta, il partito del non voto ha invece superato il secondo partito con più voti alle elezioni, in quell’occasione il Partito democratico della sinistra (Pds). Alle elezioni successive invece le prime due liste e il partito del non voto hanno raggiunto cifre molto simili: 8,1 milioni di voti Forza Italia, 7,8 il Pds e 8 il partito del non voto. Alle elezioni del 1996 poi il partito del non voto ha raccolto per la prima volta più preferenze di tutti, anche se negli anni successivi è tornato al pari o al di sotto almeno del primo partito. È a partire dal 2013 infine che il non voto rappresenta la scelta più comune tra gli elettori, almeno rispetto alle singole liste.

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DA SAPERE

Per partito del non voto si intende la somma tra il numero di elettori che non si sono recati alle urne e le schede bianche. Non sono invece inclusi in questo insieme i voti considerati nulli per ragioni diverse. A partire dai dati delle elezioni 2006 sono considerati solo gli elettori che hanno votato in Italia (e quindi non la circoscrizione estero) a esclusione di quelli della Valle d’Aosta. Al momento della pubblicazione i dati relativi al 2022 per quanto definitivi nella sostanza non sono ancora stati del tutto ufficializzati e potrebbero subire leggere variazioni.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno
(ultimo aggiornamento: venerdì 30 Settembre 2022)

 

Confrontare il partito del non voto con i risultati ottenuti dalle singole liste ci dice molto del rapporto tra elettori e formazioni politiche. Allo stesso tempo però è evidente che i risultati ottenuti dalle prime due liste dipendono in maniera determinante dal grado di frammentazione del sistema politico oltre che dall’eventuale inclusione nella legge elettorale della possibilità di fare coalizioni.

Tuttavia i risultati delle ultime politiche confermano quella del non voto come la scelta ampiamente più comune tra gli elettori, anche considerando le coalizioni nel loro insieme.

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DA SAPERE

Per il “Partito del non voto” sono indicati il numero di elettori che non hanno votato e il numero di schede bianche. Per la coalizione di centro-destra i voti ottenuti dalle liste di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati. Per la coalizione di centro-sinistra quelli ottenuti dalle liste di Partito democratico, Alleanza Verdi e Sinistra, +Europa e Impegno civico. Separatamente sono poi indicati i voti ottenuti dalle due liste nazionali non coalizzate che sono entrate in parlamento ovvero il Movimento 5 stelle e Azione-Italia viva. Sono considerati solo gli elettori che hanno votato in Italia (e quindi non la circoscrizione estero) a esclusione della Valle d’Aosta. Al momento della pubblicazione i dati relativi al 2022 per quanto definitivi nella sostanza non sono ancora stati del tutto ufficializzati e potrebbero subire leggere variazioni.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno
(ultimo aggiornamento: venerdì 30 Settembre 2022)

 
+39,5% gli elettori che hanno scelto di non esprimersi rispetto a quelli che hanno votato liste di centro-destra.

In questi termini infatti il partito del non voto ha coinvolto oltre 17 milioni di elettori. Ben oltre i 12,3 del centro-destra che complessivamente rappresentano il 26,7% dell’elettorato.

Disinteresse o forma di protesta

Nella scelta di non esprimere preferenza per alcuna lista cambia ovviamente il modo in cui si intende esprimere la propria decisione. Tra coloro che non si sono recati al voto infatti è impossibile distinguere tra coloro che non hanno votato per protesta non sentendosi rappresentati dai partiti e tra coloro che non hanno votato per disinteresse.

Diverso invece è il caso delle schede bianche, le quali possono essere interpretate, con un certo margine di sicurezza, come l’espressione di un voto di protesta nei confronti del sistema politico, o comunque un non riconoscimento nell’offerta politica esistente. È probabile poi che anche una quota di schede annullate risponda a questa stessa motivazione, tuttavia in questo caso è impossibile distinguere questa situazione dall’annullamento per errore materiale.

Considerando dunque le schede bianche come l’espressione più esplicita di un dissenso politico nei confronti dei partiti è interessante notare come l’andamento di queste abbia seguito negli anni un trend diverso sia rispetto all’affluenza sia rispetto a quello che abbiamo definito partito del non voto.

Infatti se da un lato è vero che il numero di schede bianche è cominciato a crescere già dalle seconde elezioni repubblicane, questa crescita ha seguito un andamento molto più incostante rispetto all’astensioneraggiungendo poi il suo apice nel 2001Dalle elezioni politiche del 2006 in poi, al contrario, il numero di schede bianche ha subito un tracollo drastico, passando da quasi 1,7 milioni nel 2001 (3,4% del corpo elettorale) a poco più di 400mila nel 2006 (0,9%). Tale cifra è poi rimasta abbastanza costante negli anni successivi e nel 2022 si è collocata intorno a 492mila, ovvero l’1,1% del corpo elettorale e il 2,9% di quello che abbiamo definito partito del non voto.

Un dato decisamente basso, in particolare se si considera che la quota di schede bianche rispetto al partito del non voto, nel 1968 sfiorava il 20%. Più in generale tra l’inizio degli anni ’50 e la fine degli anni ’80 questa percentuale è rimasta costantemente sopra il 17%, in una fase in cui l’affluenza alle urne era ancora molto forte.

Secondo autorevoli interpretazioni prima l’impennata e poi il calo del numero di schede bianche andrebbe letto alla luce di particolari caratteristiche del sistema elettorale in vigore tra il 1993 e il 2005, ovvero il cosiddetto mattarellumTuttavia anche escludendo questo periodo si osserva un calo delle schede bianche che passa da quasi 900mila nel 1992 a poco più di 400mila nel 2006. Valore dal quale non si è discostato di molto negli anni successivi.

 

La continua crescita del partito del non voto

La continua crescita del partito del non voto

Il confronto tra i voti ottenuti dai primi due partiti e il numero di elettori che non hanno votato tra il 1948 e il 2022

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DESCRIZIONE

Nel 1992, per la prima volta, il partito del non voto ha superato il secondo partito con più voti alle elezioni, in quell’occasione il Partito democratico della sinistra (Pds). Alle elezioni successive invece le prime due liste e il partito del non voto hanno raggiunto cifre molto simili: 8,1 milioni di voti Forza Italia, 7,8 il Pds e 8 il partito del non voto. Alle elezioni del 1996 poi il partito del non voto ha raccolto per la prima volta più preferenze di tutti, anche se negli anni successivi è tornato al pari o al di sotto almeno del primo partito. È a partire dal 2013 infine che il non voto rappresenta la scelta più comune tra gli elettori, almeno rispetto alle singole liste.

DA SAPERE

Per partito del non voto si intende la somma tra il numero di elettori che non si sono recati alle urne e le schede bianche. Non sono invece inclusi in questo insieme i voti considerati nulli per ragioni diverse. A partire dai dati delle elezioni 2006 sono considerati solo gli elettori che hanno votato in Italia (e quindi non la circoscrizione estero) a esclusione di quelli della Valle d’Aosta. Al momento della pubblicazione i dati relativi al 2022 per quanto definitivi nella sostanza non sono ancora stati del tutto ufficializzati e potrebbero subire leggere variazioni.

 

Il calo dell’affluenza alle elezioni parlamentari

Il calo dell’affluenza alle elezioni parlamentari

La percentuale di elettori che si sono recati al voto alle elezioni per la camera dei deputati tra il 1948 e il 2022

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DESCRIZIONE

A partire dalle elezioni del 1979 l’affluenza alle consultazioni parlamentari ha subito un progressivo e quasi continuo calo che l’ha portata dal 93,4% del 1976 al 63,8% del 2022. Dalla fine degli anni ’80 infatti solo in due occasioni si è registrata una momentanea ripresa dell’affluenza: prima nel 1987, con una crescita di appena 0,8 punti percentuali rispetto al 1983, e poi nel 2006 con una crescita di oltre 2 punti rispetto al 2001. Ma se in oltre 30 anni l’affluenza è calata di 10 punti, passando da oltre il 90% fino a valori comunque superiori all’80%, nel successivo quindicennio il calo dell’affluenza ha subito una drastica accelerazione. Tra il 2008 e il 2022 infatti la quota di elettori che si sono recati alle urne si è ridotta di quasi 17 punti percentuali.

DA SAPERE

La percentuale di affluenza alle elezioni per il rinnovo della camera dei deputati è calcolata facendo il rapporto tra il numero di elettori, ovvero i cittadini aventi diritto al voto, e i votanti, ovvero gli elettori che hanno effettivamente esercitato il loro diritto al voto. Questo indipendentemente dal fatto che abbiano espresso il loro voto a favore di una lista, che il loro voto sia stato considerato nullo per le più varie ragioni o che abbiano votato scheda bianca. A partire dai dati delle elezioni 2006 sono considerati solo gli elettori che hanno votato in Italia (e quindi non la circoscrizione estero) a esclusione di quelli della Valle d’Aosta. Al momento della pubblicazione i dati relativi al 2022 per quanto definitivi nella sostanza non sono ancora stati del tutto ufficializzati e potrebbero subire leggere variazioni.

 

Tutela dei lavoratori nella società post pandemica -il convegno

Tutela dei lavoratori nella società post pandemica -il convegno

di Biarella Laura, Avvocato, Giornalista Pubblicista, Docente 
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Al quesito della tutela dei lavoratori nell’epoca post-Covid19 hanno cercato di rispondere il Garante privacy e l’Ispettorato nazionale del lavoro, in un convegno che si è tenuto il 5 ottobre a Roma, seguito anche in diretta streaming.

Indice

  1. Le tematiche
  2. Il convegno del 5 ottobre
  3. Il protocollo tra Garante privacy e Ispettorato nazionale del lavoro

1. Le tematiche

Plurimi interrogativi prodromici sono stati formulati per poter rispondere al quesito principale vertente sulla tutela dei prestatori di lavori nell’era post Covid-19:

  • Quali sono le regole e le garanzie da applicare ai lavoratori del mondo digitale?
  • Come sfruttare le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale senza ledere i diritti fondamentali?
  • Come assicurare la salute nei luoghi di lavoro e rispettare la vita privata dei dipendenti, anche oltre l’emergenza Covid?
  • Qual è l’impatto dei nuovi strumenti tecnologici sul controllo a distanza dei lavoratori?

2. Il convegno del 5 ottobre

Quelli sopraelencati, infatti, sono stati solo alcuni dei temi profonditi nel convegno tenutosi presso l’Aula magna del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tre, in via Ostiense 159, Roma. La giornata di studi, dove hanno partecipato anche il Presidente del Garante privacy Pasquale Stanzione e il Direttore Generale dell’INL Bruno Giordano, è stata organizzata nell’ambito del protocollo d’intesa, sottoscritto nel 2021 dalle due Autorità, proprio per agevolare il confronto su questioni specifiche e collaborare anche ad attività di formazione e alla diffusione di buone pratiche nel settore pubblico e privato. L’iniziativa è stata intesa come preludio per avviare un dialogo permanente tra le due istituzioni, al fine di accorciare i margini di incertezza nell’applicazione della disciplina normativa in un contesto regolatorio in continua evoluzione. Nel corso dell’incontro, che è stato specificamente rivolto a:

  • esperti del settore, Pa,
  • dirigenti d’azienda,
  • Dpo,

ma aperto anche a tutte le persone interessate, sono stati forniti spunti e indicazioni operative sulle sfide connesse:

  • all’innovazione digitale,
  • alla trasformazione dell’organizzazione del lavoro per la produzione e l’erogazione di beni e servizi,

ad esempio attraverso:

  • la Dad (didattica a distanza),
  • il lavoro agile (smart-working),
  • le piattaforme di food delivery.

3. Il protocollo tra Garante privacy e Ispettorato nazionale del lavoro

Il 22 aprile 2021 il presidente del Garante per la protezione dei dati personali, e il Capo dell’Ispettorato nazionale del lavoro, avevano sottoscritto un protocollo d’intesa per l’avvio di una reciproca collaborazione istituzionale. Entrambe le Istituzioni, tramite il documento, sono state chiamate ad affrontare le sfide connesse all’accelerazione dei processi di digitalizzazione:

    • dei sistemi di gestione dell’organizzazione del lavoro,
    • della produzione,
  • dell’erogazione dei servizi.

E ciò, in particolare, con riferimento:

  • ai modelli di prestazione “a distanza” dell’attività lavorativa (dad, smartworking),
  • all’adozione di strumenti tecnologici per contenere il rischio di contagio, in ambito lavorativo pubblico e privato (app da installare su dispositivi mobili indossabili o su smartphone).

Il Garante e l’Ispettorato si erano impegnati a realizzare processi di stabile connessione tra le due istituzioni per:

  • assumere orientamenti condivisi su questioni specifiche,
  • fornire reciproca collaborazione e attività consultiva,

con particolare riferimento all’utilizzo di strumenti tecnologici connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro. Il protocollo ha la durata di due anni, e ha impegnato i due organismi anche:

  • a organizzare incontri periodici su materie di interesse comune,
  • a promuovere campagne di informazione e attività formative.

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Biarella Laura

Laureata cum laude presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia, è Avvocato e Giornalista. È autrice di numerose monografie giuridiche e di un contemporary romance, e collabora, anche come editorialista, con redazioni e su banche dati giuridiche (tra le altre Altalex, Quotidiano Giuridico, NTPLus, 24OreAvvocato, AlVolante, InSella, Diritti e Risposte, Orizzonte Scuola, Fisco e Tasse, poliziamunicipale.it). Ha svolto le funzioni di membro aggiunto presso la Corte d’Appello di Perugia, ai sensi della L. n. 69/1963. Già “cultore della materia” presso Università degli Studi E Campus nelle cattedre di “diritto privato” e “diritto della conciliazione, della mediazione e dell’arbitrato”, è moderatrice e relatrice di convegni, docente presso corsi di formazione e corsi di preparazione all’esame di abilitazione di avvocato. E’ stata professore a contratto di “Arbitrato” presso l’Università degli Studi E Campus, Master in ADR, sedi di Roma e Novedrate. E’ stata membro del Comitato Scientifico del corso di preparazione dell’esame di avvocato Altalex. Ha svolto docenze di diritto e procedura civile presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Perugia, ed ivi ha ricoperto il ruolo di Segretario del Comitato Scientifico. Svolge la funzione di Tutore legale presso il Tribunale dei Minorenni dell’Umbria. E’ membro del Comitato di Redazione del mensile 24Ore Avvocato.

Il procedimento per Cassazione che verrà: la Relazione della Corte

Il procedimento per Cassazione che verrà: la Relazione della Corte

 
Il procedimento per Cassazione che verrà: la Relazione della Corte

Lo schema di decreto legislativo, non ancora in G.U., adottato dal Governo, in attuazione della l. n. 206 del 26 novembre 2021 (riforma della giustizia civile Cartabia), è stato oggetto della Relazione n. 96 diffusa dalla Corte di Cassazione il 6 ottobre 2022, così dettagliando le novità normative del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione e fornendo i primi spunti operativi.

>>>Leggi la Relazione n. 96 della Cassazione<<<

     Indice

  1. La delega per la riforma del giudizio di Cassazione (L. n. 206/2021)
  2. Gli obiettivi della riforma e la relativa attuazione
  3. La Relazione della Cassazione

1. La delega per la riforma del giudizio di Cassazione (L. n. 206/2021)

Il giudizio di cassazione è stato oggetto di una profonda riforma ad opera dello schema di decreto legislativo licenziato dal Governo nei giorni scorsi, in attuazione della delega conferita al Governo dalla L. n. 206/2021. La delega ha previsto infatti:

  • la riforma del cd. filtro in Cassazione, con la previsione di un procedimento accelerato per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati. In particolare, se il giudice (giudice filtro, in luogo della sezione filtro) ravvisa uno dei possibili suddetti esiti, lo comunica alle parti lasciando loro la possibilità di optare per la richiesta di una camera di consiglio ovvero per la rinuncia al ricorso. Quest’ultima possibilità è incentivata escludendo, per il soccombente, il pagamento del contributo unificato altrimenti dovuto a titolo sanzionatorio;
  • l’introduzione del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, da parte del giudice di merito, di una questione di diritto (art. 1, comma 9);
  • l’introduzione di una nuova ipotesi di revocazione della sentenza civile quando il contenuto di una sentenza passata in giudicato sia successivamente dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in tutto o in parte, contrario alla Convenzione ovvero a uno dei suoi Protocolli (art. 1, comma 10).

2. Gli obiettivi della riforma e la relativa attuazione

L’intervento del Governo, come esposto nella Relazione tecnica allo schema di decreto, è stato indirizzato a razionalizzare i procedimenti dinanzi alla Suprema Corte, riducendone i tempi di durata e modellando i riti sia camerali che in pubblica udienza con misure di semplificazione, snellimento ed accelerazione degli adempimenti. Al fine di dare attuazione ai criteri e principi di delega previsti dai c. 9 e 10 dell’articolo unico della l. n. 206/2021, il decreto modifica la disciplina relativa al giudizio in cassazione. In particolare, ai commi 27, 28 e 29, l’art. 3 del d.lgs. così interviene:

  • unifica i riti camerali attraverso la soppressione della sezione di cui all’art. 376 c.p.c.; la concentrazione della relativa competenza dinanzi alle sezioni semplici ed il mantenimento della disciplina di cui all’art. 380 bis c.p.c., con deposito immediato in cancelleria dell’ordinanza succintamente motivata;
  • prevede, rispetto all’ordinaria sede camerale, un procedimento accelerato per la dichiarazione di inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza;
  • introduce il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in Cassazione, consistente nella possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto;
  • introduce anche una nuova ipotesi di revocazione delle sentenze il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in tutto o in parte, contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ovvero a uno dei suoi Protocolli, e non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente.

3. La Relazione della Cassazione

Con una Relazione di 40 pagine che anticipa la pubblicazione in G.U. del decreto che attua la riforma, la stessa Corte di Cassazione illustra le novità normative fornendo le prime indicazioni orientative agli operatori sui seguenti istituti toccati dalle novelle:

  • Il contenuto del ricorso.
  • La trattazione del ricorso.
  • L’unificazione dei riti camerali.
  • L’udienza pubblica.
  • Il rito camerale e il procedimento accelerato.
  • Lo spoglio dei fascicoli (e relative conseguenze sul piano organizzativo).
  • La nuova causa di revocazione.
  • Il rinvio pregiudiziale.
  • Le modalità di trattazione dei rinvii pregiudiziali.
  • Le modifiche alle disposizioni di attuazione.
  • La disciplina transitoria.
  • Il difetto di giurisdizione.
  • Il regolamento di competenza.

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Riforma delle assunzioni nella PA: ok dal Consiglio dei Ministri

Riforma delle assunzioni nella PA: ok dal Consiglio dei Ministri

 
Riforma delle assunzioni nella PA: ok dal Consiglio dei Ministri

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione Renato Brunetta, ha approvato, in esame preliminare, un regolamento, da adottarsi con decreto del Presidente della Repubblica, che introduce modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 2487, concernente norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi.

Il testo stabilisce che l’assunzione a tempo determinato e indeterminato nelle amministrazioni pubbliche avviene mediante concorsi pubblici, orientati alla massima partecipazione, che si svolgono con modalità che ne garantiscano l’imparzialità, l’economicità e la celerità di espletamento, ricorrendo, ove necessario, all’ausilio di sistemi automatizzati diretti anche a realizzare forme di preselezione e selezioni decentrate per circoscrizione territoriali.

1. InPa

Il fulcro è rappresentato da «InPa», il Portale del reclutamento costruito dal ministero per la Pa. Sul tema si legga l’articolo “Portale InPA, la guida per partecipare ai concorsi pubblici”

Con queste premesse, il Dpr spiega nella parte sostitutiva del vecchio articolo 4 che «alle procedure di concorso si partecipa esclusivamente previa registrazione nel Portale unico del reclutamento». L’iscrizione, ovviamente gratuita, può avvenire tramite Spid, carta d’identità elettronica o carta nazionale dei servizi. Con la registrazione, l’aspirante candidato inserisce dati anagrafici, curriculum formativo e documentazione sulle esperienze professionali maturate. E tramite il portale riceverà anche tutte le comunicazioni su procedure del concorso, date e sedi delle prove ed esito.

2. Procedure

Nella sostanza delle procedure, il capitolo più innovativo è quello legato alla parità d’accesso alla Pa. Per garantire l’equilibrio i bandi dovranno indicare la rappresentatività attuale di genere nell’amministrazione, e dove la distanza è superiore al 30% aprirà una corsia preferenziale al genere meno rappresentato.

Cambiano poi le commissioni. In cui siederanno anche psicologi ed esperti di risorse umane per provare a orientare le selezioni verso quelle capacità trasversali, organizzative e personali appena indicate come cruciali dalle Linee guida della Sna. Sul punto si legga:” Accesso alla dirigenza PA, saranno valutate anche le soft skill.”


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Consiglio UE: ok alla legislazione sui salari minimi adeguati

Consiglio UE: ok alla legislazione sui salari minimi adeguati

di Biarella Laura, Avvocato, Giornalista Pubblicista, Docente 
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Il Consiglio dell’UE, il 4 ottobre 2022, ha dato il via libera definitivo a una nuova direttiva finalizzata a promuovere l’adeguatezza dei salari minimi legali, così contribuendo a garantire condizioni di vita e di lavoro dignitose per i lavoratori dell’Unione.

     Indice

  1. La timeline
  2. La direttiva sui salari minimi adeguati
  3. Adeguatezza dei salari minimi legali
  4. Promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari
  5. Accesso effettivo alla tutela garantita dal salario minimo
  6. Vigenza

1. La timeline

Il 28 ottobre 2020 la Commissione UE aveva ha presentato la sua proposta ai due colegislatori, il Consiglio dell’UE e il Parlamento. Il Consiglio ha definito la sua posizione il 6 dicembre 2021, mentre il Parlamento ha adottato il suo mandato negoziale il 25 novembre 2021. Il 7 giugno, dopo otto cicli negoziali, i negoziatori del Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo su una posizione comune. Il 4 ottobre l’ok del Consiglio.

2. La direttiva sui salari minimi adeguati

La nuova direttiva UE:

  • stabilisce procedure per l’adeguatezza dei salari minimi legali,
  • promuove la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari,
  • migliora l’accesso effettivo alla tutela garantita dal salario minimo per i lavoratori che hanno diritto a un salario minimo a norma del diritto nazionale.

3. Adeguatezza dei salari minimi legali

Si richiede agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali, di istituire un quadro procedurale per fissare e aggiornare i salari minimi in parola secondo una serie di criteri chiari. I salari minimi legali saranno aggiornati almeno ogni due anni (o, al massimo, ogni quattro anni per gli Stati che impiegano un meccanismo di indicizzazione automatica). Tuttavia, la direttiva non prescrive un livello di salario minimo specifico che gli Stati membri devono raggiungere.

4. Promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari

Tra gli obiettivi della direttiva compare quello di implementare il numero di lavoratori coperti dalla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari. Per raggiungere obiettivo siffatto, gli Stati dovrebbero promuovere la capacità delle parti sociali di partecipare alla contrattazione collettiva. Se ad esempio il tasso di copertura della contrattazione collettiva dovesse essere inferiore a una soglia dell’80%, gli Stati membri dovrebbero stabilire un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva. Il piano d’azione dovrebbe definire una tempistica chiara e misure specifiche per aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva.

5. Accesso effettivo alla tutela garantita dal salario minimo

Il documento prevede che gli Stati membri adottino misure volte a migliorare l’accesso effettivo dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo legale. Le misure necessarie a tal fine comprendono controlli da parte degli ispettorati del lavoro, informazioni facilmente accessibili sulla tutela garantita dal salario minimo e lo sviluppo delle capacità delle autorità responsabili dell’applicazione della legge di prendere provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro non conformi.

6. Vigenza

La direttiva entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Gli Stati membri hanno a disposizione due anni di tempo per recepire la direttiva nel diritto interno nazionale.

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

 
 
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Biarella Laura

Laureata cum laude presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia, è Avvocato e Giornalista. È autrice di numerose monografie giuridiche e di un contemporary romance, e collabora, anche come editorialista, con redazioni e su banche dati giuridiche (tra le altre Altalex, Quotidiano Giuridico, NTPLus, 24OreAvvocato, AlVolante, InSella, Diritti e Risposte, Orizzonte Scuola, Fisco e Tasse, poliziamunicipale.it). Ha svolto le funzioni di membro aggiunto presso la Corte d’Appello di Perugia, ai sensi della L. n. 69/1963. Già “cultore della materia” presso Università degli Studi E Campus nelle cattedre di “diritto privato” e “diritto della conciliazione, della mediazione e dell’arbitrato”, è moderatrice e relatrice di convegni, docente presso corsi di formazione e corsi di preparazione all’esame di abilitazione di avvocato. E’ stata professore a contratto di “Arbitrato” presso l’Università degli Studi E Campus, Master in ADR, sedi di Roma e Novedrate. E’ stata membro del Comitato Scientifico del corso di preparazione dell’esame di avvocato Altalex. Ha svolto docenze di diritto e procedura civile presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Perugia, ed ivi ha ricoperto il ruolo di Segretario del Comitato Scientifico. Svolge la funzione di Tutore legale presso il Tribunale dei Minorenni dell’Umbria. E’ membro del Comitato di Redazione del mensile 24Ore Avvocato.

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