Archivi giornalieri: 19 ottobre 2022

CFC84

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Le procedure di progressione verticale sono uniche per area oppure vanno svolte procedure distinte per famiglie professionali o posizioni di lavoro?*

Poiché le procedure di progressione verticale sono basate sull’accertamento del possesso delle competenze necessarie a svolgere attività di un’area superiore e poiché le competenze attese variano a seconda dei lavori, si è dell’avviso che la progressione verticale vada svolta almeno a livello di “famiglia professionale”.

*Orientamento applicativo redatto di concerto con il Dipartimento della Funzione Pubblica e la Ragioneria Generale dello Stato.

CFC78

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Si può lasciare una EP senza incarico?*

No, il contratto non prevede tale eventualità. L’incarico è infatti un elemento sostanziale e qualificante dell’appartenenza all’Area EP, analogamente a quanto avviene per la dirigenza. Pur non essendovi un diritto a coprire un incarico specifico (o a mantenere nel tempo, anche oltre la sua scadenza, l’incarico affidato inizialmente), vi è tuttavia il diritto a coprire uno degli incarichi previsti dall’amministrazione, per le sue esigenze organizzative e di ottimale funzionamento.

*Orientamento applicativo redatto di concerto con il Dipartimento della Funzione Pubblica e la Ragioneria Generale dello Stato.

CFC79

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L’incarico affidato ad una EP può essere rinnovato alla scadenza?*

Non vi è una preclusione del contratto ad attribuire nuovamente lo stesso incarico, una volta che lo stresso sia giunto a scadenza, previa positiva valutazione da parte dell’amministrazione con le procedure previste dal sistema di valutazione.

*Orientamento applicativo redatto di concerto con il Dipartimento della Funzione Pubblica e la Ragioneria Generale dello Stato.

CFC77

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Una volta che il piano triennale nell’ambito del PIAO ha previsto un fabbisogno di personale EP, bisogna anche modificare le dotazioni organiche, se non vi sono posti di EP in organico? Come si effettua, in tal caso, la modifica delle dotazioni organiche?*

In base all’art. 6, comma 3 del d. lgs. n. 165/2001, in sede di definizione del piano dei fabbisogni di personale (ora confluito nel PIAO), ciascuna amministrazione indica la consistenza della dotazione organica e la sua eventuale rimodulazione in base ai fabbisogni programmati. Da tale disposizione si evince che la rimodulazione degli organici è effettuata all’interno del piano dei fabbisogni.

La suddetta rimodulazione deve avvenire, però, senza alterare le quantità finanziarie complessive (la disposizione di legge pone, infatti, un vincolo di “neutralità finanziaria”) e con il limite di non poter istituire nuove posizioni dirigenziali. Il che significa che il costo della dotazione organica rimodulata non può essere superiore al costo della dotazione organica ante rimodulazione.

*Orientamento applicativo redatto di concerto con il Dipartimento della Funzione Pubblica e la Ragioneria Generale dello Stato.

Sottoscritto in via definitiva il Contratto del comparto della Presidenza del Consiglio dei Ministri 2016-18

Sottoscritto in via definitiva il Contratto del comparto della Presidenza del Consiglio dei Ministri 2016-18

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Nella mattinata di oggi, terminate le procedure di controllo, l’Aran e le parti sindacali hanno sottoscritto in via definitiva il testo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – Comparto autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, relativo al triennio 2016 – 2018.

“Un contratto che poteva essere firmato nel gennaio 2021, viene firmato solo oggi, per resistenze incomprensibili di alcuni sindacati. Comunque meglio tardi che mai”, ha sottolineato il presidente Aran, Antonio Naddeo.

Il contratto riguarda tutto il personale non dirigente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato ricompreso nel comparto autonomo di contrattazione collettiva della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Dal giorno successivo alla firma, il contratto entra definitivamente in vigore.

Tra gli elementi maggiormente caratterizzanti di tale nuovo testo contrattuale si evidenziano:

a) la razionalizzazione e la semplificazione delle precedenti regole contrattuali, come ad esempio la totale rivisitazione delle relazioni sindacali e della responsabilità disciplinare;

b) l’introduzione di nuovi istituti come la tutela delle donne vittime di violenza, le ferie e riposi solidali in favore dei lavoratori che debbano assistere figli minori bisognosi di cure;

c) la definizione della disciplina dei permessi per visite specialistiche e l’estensione delle misure a tutela dei dipendenti con gravi patologie che necessitano di terapie salvavita.

In materia di trattamento economico, invece, il nuovo contratto in linea con le risorse previste per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego nel triennio 2016-2018 riconosce aumenti a regime del 3,48% corrispondenti a circa 125 euro medi al mese per 13 mensilità, a cui vanno aggiunti gli arretrati dal 2016.

Come si fanno le leggi

Come si fanno le leggi

Il percorso che porta all’entrata in vigore di una legge si articola in 4 passaggi: presentazione, approvazione, promulgazione e pubblicazione. Ciascuno di questi può assumere forme diverse a seconda dei casi specifici.

Nel nostro paese il potere legislativo appartiene al parlamento ma il percorso che porta all’entrata in vigore di una legge è lungo, complesso e vede la partecipazione di diversi altri attori. L’iter può essere sintetizzato in 4 passaggi: la presentazione di una proposta di legge, la discussione e l’approvazione del parlamento, la promulgazione da parte del presidente della repubblica e l’entrata in vigore.

Tutti i progetti di legge seguono questo iter salvo quelli costituzionali e di revisione costituzionale. In questo caso infatti è richiesta una procedura aggravata con un doppio voto da parte di entrambe le camere ad almeno 3 mesi di distanza l’uno dall’altro.

Oltre alle leggi esistono poi altri due “atti aventi forza di legge“: i decreti legge sono atti emanati dal governo per gestire situazioni emergenziali ed urgenti e devono essere convertiti in legge dal parlamento entro 60 aggiorni attraverso un’apposita norma. Attraverso le leggi delega invece il parlamento attribuisce al governo l’incarico di legiferare. In questo caso camera e senato si limitano a delineare la cornice dentro cui può muoversi l’esecutivo che emanerà poi uno o più decreti legislativi.

Da ricordare infine anche le leggi regionali, norme deliberate dal consiglio regionale e che non hanno una validità nazionale ma limitata a quel singolo territorio.

La presentazione

Il processo legislativo inizia con la presentazione al parlamento di una proposta, indifferentemente al senato o alla camera. Possono presentare un progetto di legge tutti i parlamentari, il governo, i cittadini (raccogliendo almeno 50mila firme), i consigli regionali e, su determinate materie, il consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel).

Al senato le proposte si chiamano disegni di legge mentre alla camera prendono il nome di proposte di legge (fanno eccezione i progetti del governo, denominati disegni di legge anche a Montecitorio). Queste devono avere un titolo ed essere redatte in articoli. Il testo della legge inoltre deve essere accompagnato da una relazione illustrativa.

I progetti presentati devono essere assegnati alla commissione permanente competente per materia. In questo passaggio il presidente dell’assemblea ricopre un ruolo di primo piano. Spetta a quest’ultimo infatti assegnare i progetti di legge alla commissione giusta e proporre all’assemblea le modalità con cui la commissione deve procedere nell’analisi della proposta. Vale a dire, in sede: 

  • referente;
  • redigente;
  • deliberante;
  • consultiva.

La discussione

La commissione in sede referente (il caso più comune) analizza la proposta, prepara un testo da sottoporre all’assemblea e redige una relazione. Nel corso dell’istruttoria, sono acquisiti i pareri di altre commissioni, di esperti, di associazioni di categoria o altri rappresentanti di interessi particolari. Anche esponenti del governo possono partecipare a questa fase e alla formazione del testo.

La commissione può stabilire di trattare insieme due o più progetti che vertono sullo stesso argomento al fine di presentare un’unica relazione e un solo testo per la discussione in assemblea. In questo caso i testi si dicono “abbinati”. Può anche decidere di adottare uno solo dei progetti presentati come testo base per la discussione o può procedere – eventualmente incaricando un comitato ristretto al suo interno – alla stesura di un testo unificato dei diversi progetti. In questa fase possono essere presentate anche delle proposte di modifica, gli emendamenti, su cui la commissione è chiamata a esprimersi approvandoli o respingendoli.

Il grosso del lavoro sui progetti di legge viene fatto in commissione.

Una volta esaurita la discussione, la commissione vota il progetto definitivo e nomina un relatore incaricato di presentare all’assemblea il testo predisposto. È possibile anche presentare delle relazioni di minoranza qualora alcuni parlamentari non condividano il testo definitivo.

La discussione in assemblea si apre con l’illustrazione della proposta da parte del relatore e con l’eventuale intervento di un rappresentante del governo. Seguono le dichiarazioni dei parlamentari che si esprimono sulle linee generali del progetto. Inizia poi l’esame dei singoli articoli attraverso la votazione degli emendamenti (che possono essere proposti anche in questa fase) presentati al testo approvato dalla commissione. Infine, dopo le dichiarazioni di voto e l’esame di eventuali ordini del giorno, l’aula procede alla votazione sul progetto nel suo complesso.

Una volta che un ramo del parlamento ha approvato una proposta di legge, l’iter prosegue nell’altra camera. Se questa però approva delle modifiche al testo, anche minime, la proposta deve tornare dov’era iniziato l’iter per una nuova approvazione. I passaggi tra una camera e l’altra proseguono fin tanto che entrambi i rami del parlamento non approvano lo stesso identico testo. Si parla in questi casi di “navetta parlamentare”.

La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due camere.

Se invece una commissione opera in sede redigente, oltre a esaminare il disegno di legge, ne delibera anche i singoli articoli. In questo caso in assemblea si svolgono solamente le dichiarazioni di voto, le votazioni sui singoli articoli (che però non possono essere modificati) e il voto finale.

Quando invece opera in sede deliberante (legislativa alla camera) il processo avviene interamente in commissione, senza votazioni in aula. Il progetto può essere rimesso all’assemblea se il governo, un decimo dei parlamentari o un quinto degli appartenenti alla commissione lo richiedono. Non possono essere discussi in sede deliberante/legislativa i progetti in materia costituzionale o elettorale, le leggi delega, le conversioni di decreti legge, le ratifiche di trattati internazionali, l’approvazione di bilanci preventivi e consuntivi e gli atti collegati alla manovra di finanza pubblica. A questi si aggiungono gli atti rinviati alle camere dal presidente della repubblica. 

Se invece la commissione opera in sede consultiva, si limita a esprimere un parere sul disegno di legge. Tale parere sarà poi inviato alla commissione competente a esaminare il provvedimento nel merito.

Promulgazione ed entrata in vigore

Una volta esaurito l’iter parlamentare il percorso della proposta di legge prosegue presso la presidenza della repubblica. Il capo dello stato infatti ha il potere di promulgare le leggi ma può anche rinviarle alle camere, con messaggio motivato, qualora ravvisi delle criticità. Tale prerogativa però non può essere reiterata. Qualora infatti il parlamento decida di riapprovare il medesimo testo, indipendentemente dal fatto che abbia recepito o meno le sue osservazioni, il presidente della repubblica è tenuto ad apporre la propria firma e promulgare la legge.

Dopo la promulgazione c’è il passaggio della pubblicazione. Questa avviene ad opera del ministro della giustizia che inserisce la legge nella raccolta ufficiale degli atti normativi della repubblica italiana e la pubblica sulla gazzetta ufficiale.

La legge entra in vigore, salvo diverse indicazioni contenute nella legge stessa, a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione in gazzetta.

Dati

Dal 1996 a oggi sono entrate in vigore definitivamente 2.788 leggi. La legislatura più prolifica è stata la XIII (1996-2001) con 906 proposte approvate. Mentre la XV, che però è durata solamente dal 2006 al 2008, è stata quella in cui sono state licenziate meno norme (112). Per quanto riguarda la tipologia di legge maggiormente adottata, al primo posto troviamo le quelle ordinarie (1.005). Seguono le ratifiche di trattati internazionali (964) e le conversioni di decreti legge (969).

In questo contesto occorre tuttavia ricordare che la proliferazione di leggi non è necessariamente un bene. Anzi, in molti casi il fatto che le agende di camera e senato siano sature di provvedimenti da discutere compoprta che non si riesca sempre ad entrare nel merito delle questioni. Si tratta di un tema particolarmente rilevante a proposito delle conversioni dei decreti legge.

Inoltre l’eccesso di leggi può portare all’adozione di norme contraddittorie rispetto al resto del tessuto normativo o dalla qualità della formulazione scadente che ne rende difficile l’interpretazione. Senza contare che in molti ambiti risulta particolarmente complesso recuperare tutte le leggi che disciplinano un determinato aspetto. Per questo in anni recenti si è parlato spesso di semplificazione, di delegificazione e si è anche proposto di raccogliere le norme all’interno di testi unici.

Relativamente ai tempi per l’approvazione di un progetto di legge invece, di norma non sono previste scadenze specifiche per l’avvio e la conclusione dell’iter. Ci sono però alcune eccezioni. Ad esempio le leggi di conversione dei decreti legge devono essere approvate entro 60 giorni, pena la decadenza delle norme in esso contenute. Mentre la legge di bilancio deve essere approvata entro il 31 dicembre di ogni anno, altrimenti lo stato andrebbe in “esercizio provvisorio”. In alcuni casi inoltre un progetto di legge può essere dichiarato urgente. Quando ciò avviene sono adottate delle procedure semplificate e si prevede l’avvio della discussione entro un certo limite di tempo. Si tratta però di una pratica non molto usata.

Durante la XVIII legislatura, in media sono serviti 371 giorni per approvare una legge ordinaria. Dato simile per le ratifiche di trattati internazionali. Tempi molto più contenuti invece per le conversioni dei decreti legge (43 giorni) e per l’approvazione delle norme legate al bilancio dello stato (56). In questi due casi però, come abbiamo appena visto, ci sono delle scadenze specifiche da rispettare.

Analisi

Come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, in Italia vige il cosiddetto “bicameralismo perfetto“. A differenza di molti altri stati, dove esistono una “camera bassa” e una “camera alta” con poteri e competenze diversi, nel nostro paese i due rami del parlamento hanno le stesse funzioni e pari rilevanza.

La necessità che entrambe le assemblee approvino lo stesso testo prima che una legge possa entrare in vigore determina un fisiologico allungamento dei tempi e grandi difficoltà nel portare a conclusione l’iter. Le forze politiche contrarie all’approvazione di una legge infatti hanno molti strumenti per fare ostruzionismo. Ad esempio la presentazione di centinaia, se non migliaia, di emendamenti con il solo fine di allungare i tempi del dibattito. Per questo in molti anche nel mondo accademico si sono domandati se non fosse arrivato il momento di modificare questo sistema (pensato per rendere più difficile l’approvazione di norme inaccettabili, come le leggi razziali) per renderlo più moderno ed efficiente.

Tutti i tentativi fatti finora però sono falliti. Di conseguenza i vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni e le maggioranze che li hanno sostenuti hanno fatto ricorso a delle “scorciatoie”. È il caso, ad esempio, del cosiddetto “monocameralismo di fatto”. Ovvero la prassi informale di far discutere una proposta di legge a una sola camera, con l’altra che si limita ad approvare quanto già disposto.

Inoltre è stato fatto ricorso sempre più spesso ai decreti legge non solo per far fronte alle emergenze, come prevede la costituzione, ma anche per dare attuazione al programma di governo. Una pratica che, se accoppiata con l’apposizione della questione di fiducia, di fatto riduce enormemente le prerogative del parlamento.

 

Meglio di Opzione Uomo è quota 100 con assegno tutto contributivo

Meglio di Opzione Uomo è quota 100 con assegno tutto contributivo

Il centro-destra ipotizza Opzione Uomo per dare più flessibilità ai lavoratori sulle pensioni, ma sarebbe meglio quota 100 rivista

Opzione Uomo? Meglio quota 100 contributiva

Il governo Meloni che sta per nascere affronterà tra i suoi primi nodi la riforma delle pensioni per evitare che dal 2023 resti in vigore soltanto la legge Fornero. Alla fine di quest’anno, infatti, scadono quota 102, Opzione Donna e Ape Social. La prima quasi certamente non sarà rinnovata in quanto costosa. Le altre due misure potrebbero essere estese a una categoria più ampia di lavoratori, così da concedere più flessibilità in uscita. Ma il presidente di Confindustria, Andrea Bonomi, ha avvertito che non possiamo permettersi “misure immaginifiche come flat tax e prepensionamenti”. In questi giorni di tese e intense trattative per la nascita del nuovo esecutivo, il centro-destra sta valutando l’ipotesi di una cosiddetta Opzione Uomo. Altro non sarebbe che consentire anche agli uomini, così come accade ad oggi per le donne, di andare in pensione a 59 anni di età, se in possesso di almeno 35 anni di contributi.

Opzione Uomo costosa

Questa misura si scontra con la realtà dei numeri. La spesa per le pensioni entro il 2025 salirà al 17,6% del PIL dal 15,7% atteso per quest’anno. Soprattutto, si tratterebbe di un ammorbidimento eccessivo rispetto alla prevista pensione anticipata con la legge Fornero. Essa si ottiene con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Serve una via di mezzo per non farci bocciare la riforma da mercati ed Europa. Non possiamo chiedere prestiti a basso costo e sussidi a fondo perduto a Bruxelles, se poi dimostriamo di scialacquare i soldi pubblici con misure fin troppo generose.

Nuova quota 100 contributiva

E se tornassimo a una versione rivista di quota 100? Essa ha consentito tra la primavera del 2019 e la fine del 2021 ai lavoratori di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi. Costo stimato: sui 5 miliardi all’anno. Troppi. Altra cosa sarebbe, invece, se mantenessimo gli stessi requisiti, ma accompagnandoli da una previsione: l’assegno sarebbe liquidato solamente con il metodo contributivo.

In altre parole, il lavoratore va in pensione fino a 5 anni prima, ma in cambio dovrà percepire solo sulla base di quanto versato.Si dirà: eh, ma così l’assegno sarà basso. Con Opzione Uomo sarebbe ancora più basso, dato che anch’esso prevede la liquidazione dell’assegno con il solo contributivo. Dai calcoli emerge che il taglio arriverebbe al 31%. Con quota 100 tutta contributiva, sarebbe nettamente inferiore: il lavoratore andrebbe in pensione almeno 3 anni dopo, per cui il coefficiente di trasformazione risulterebbe maggiore e sarebbe applicato su un montante contributivo più alto. In effetti, rispetto ai 35 anni di contributi necessari da versare per Opzione Donna oggi (e ipoteticamente Opzione Uomo domani), qui ne servirebbero non meno di 38 anni.

Si potrebbe eventualmente restringere la platea dei beneficiari, fissando qualche altro criterio. Ad esempio, inglobando Ape Social, si darebbe la possibilità solamente a coloro che svolgono lavori gravosi di accedere al beneficio, magari concedendo loro maggiori contributi figurativi per arrivare ai 38 anni minimi. Quale che sia la soluzione, non potrà gravare sui conti pubblici, bensì essere neutrale dal punto di vista attuariale. In altre parole, chi prima va in pensione, meno prende. Una logica che terrebbe invariato il costo complessivo nel lungo periodo. E servirebbe a rassicurare mercati ed Europa che non stiamo aumentando ulteriormente la spesa per le pensioni, bensì perseguendo una misura di equità sociale senza costi aggiuntivi per il bilancio dello stato.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

Santa Laura di Cordova

 
 

Santa Laura di Cordova

 

nome

Santa Laura di Cordova

titolo

Martire

nascita

IX Secolo
Cordova, Spagna

morte

19 ottobre 864
Cordova, Spagna

ricorrenza

19 ottobre

Sono poche le informazioni che si hanno sulla sua vita, ma il suo culto fu molto diffuso. Nacque in un’importante famiglia spagnola ed entrò nella vita monastica nel convento di Santa Maria di Cuteclara, vicino a Cordova in Spagna, dopo la morte del marito e delle figlie.

Divenne badessa nell’anno 856, succedendo a Sant’Aurea, nel periodo in cui la Spagna era sotto la conquista dei Mori. Nel «Martyrologium hispanicum» si narra che rifiutò di abiurare la propria fede cristiana, per questo venne condannata a morte da un giudice musulmano e martirizzata il 19 ottobre 864 in una caldaia di pece bollente. La memoria liturgica ricorre nel giorno del suo martirio, il 19 ottobre.

 

Nonostante si abbiano poche notizie sulla sua vita, il culto per la martire Laura si diffuse rapidamente, così come il suo nome, in tutta Europa.

Nonostante sia citata nel Martirologio ispanico non è riconosciuta dalla Chiesa Cattolica perché in realtà si pensa che non sia mai esistita

fonte:wikipedia.org