Archivi giornalieri: 11 ottobre 2015

Osservatore Romano

Relazioni dei circoli minori di lingua spagnola

 
 

10 ottobre 2015

 
 

 

Pubblichiamo in una nostra traduzione i testi delle relazioni dei circoli minori di lingua spagnola riunitisi dal 6 all’8 ottobre per esaminare la prima parte dell’Instrumentum laboris, dedicata al tema «L’ascolto delle sfide della famiglia».

Che cosa non abbiamo fatto?

Spagnolo A

Nella prima sessione, dopo la recita della terza, come era previsto, si è proceduto all’elezione del moderatore e del relatore. Per l’incarico del moderatore è stato scelto in seconda votazione con 19 voti il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, salesiano, arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras) e per l’incarico di relatore è stato eletto in terza votazione con 17 voti il cardinale José Luis Lacunza Maestrojuán, degli agostiniani recolletti, vescovo di David (Panama).

Andrea Benetti, «Uomo e donna» (2009)

Una volta adempiute queste formalità, si è passati alla lettura dell’Instrumentum laboris, punto per punto, e ai successivi commenti. Ci siamo concentrati sui seguenti punti: evidenziare la bellezza dell’amore umano aperto alla vita. Illustrare meglio che cosa significa «scuola di umanità», in vista soprattutto degli interventi sulle famiglie in cui si verificano atti di violenza contro le donne, i bambini etc. Segnalare la sfida del rinnovamento della propria Chiesa. È ovvio che i «fattori esterni» ci condizionano e sono forti, ma come abbiamo risposto come Chiesa? Abbiamo fallito nella «formazione cristiana» e nell’«educazione della fede», e perciò le coppie giungono al matrimonio con molte lacune.

Dovremmo chiederci: che cosa non abbiamo fatto? Siamo anche noi colpevoli della situazione della famiglia poiché in molte occasioni abbiamo vissuto di rendita.

Non si insiste abbastanza sui nonni. Oggi l’età media della vita sta crescendo e i nonni dispongono del tempo e delle capacità per intervenire nella formazione dei nipoti. Occorrerebbe fare un appello a vivere con gioia il compimento di questa missione.

Scoprire ciò che la famiglia è veramente: il contesto è importante, ma ci deve portare a vedervi un’opportunità per continuare a crescere e a rafforzarci.

Nell’ambito secolare, quando la Chiesa parla della famiglia, si commenta che il pensiero della Chiesa è medievale, che non è in sintonia con il mondo attuale, che non percepisce la realtà. Forse questo ci mostra che la nostra riflessione sulla famiglia e sul matrimonio è stata monotematica, che ci siamo soffermati solo su alcuni aspetti, ci siamo attenuti alle norme, senza però affrontare la vera essenza della famiglia che, vista da un’ottica integrale, è un tesoro.

Come è nata la crisi? Senza dubbio ha avuto anche a che vedere con il tipo di catechesi che abbiamo offerto; occorre una preparazione più approfondita.

Nella prima parte manca qualcosa di essenziale: cerchiamo di risolvere i problemi senza sapere qual è la loro origine.

C’è bisogno di maggiore rinnovamento, non solo delle persone ma anche delle comunità, facendo attenzione al linguaggio e al modo di presentare la dottrina.

Ampliare ciò che ha a che vedere con il «cambiamento antropologico»: bisognerebbe mettere in evidenza come si occulta la presenza di Dio e, di conseguenza, anche dell’altro; si sospetta dell’istituzione e la si mette in discussione; manca un’analisi sull’influenza delle tecnologie che comportano solitudine, mancanza di comunicazione, individualismo. Occorre seminare nella cultura il Vangelo della famiglia, ma non sempre conosciamo la cultura.

Le coppie si sposano senza sapere a cosa vanno incontro, qual è la loro identità come matrimonio e come famiglia. E neanche molti sacerdoti lo sanno. Occorre sostenere questo processo per tutto l’iter di formazione.

Non si dice che cos’è la famiglia. E non è solo una questione di preparazione perché molti, senza preparazione, sono stati fedeli e felici e altri, con una grande preparazione, hanno finito col separarsi.

Si è prodotta una rottura dell’unità tra amore, sessualità e procreazione.

E non solo, ma è stata anche separata la dimensione educativa: si è infranta la relazione tra amore, sessualità, matrimonio, famiglia ed educazione dei figli.

A partire da tutto ciò, nelle sessioni successive, si è passati all’analisi e ai commenti, che sono stati poi sottoposti al discernimento del gruppo e, man mano che venivano approvati, sono stati formulati nei formati ufficiali.

In tal modo, al termine dell’analisi dei 36 punti contenuti nella prima parte sono stati approvati 54 modi che saranno consegnati in segreteria.

Più coincidenze che divergenze

Spagnolo B

In un clima cordiale e fraterno, noi padri sinodali, con l’aiuto dei periti e l’accompagnamento degli uditori, abbiamo condiviso in spagnolo e in portoghese, con membri d’Europa, Africa e America latina, la tematica relativa alla prima parte: l’ascolto delle sfide che la famiglia deve affrontare. C’è stata grande partecipazione da parte di tutti i membri del gruppo.

La metodologia condivisa in questo sinodo e la grande libertà e fraternità con cui sono stati trattati i temi sono state viste in modo molto positivo. È stato ricordato che la maggior parte dei membri ha già partecipato al sinodo straordinario, il che ha facilitato il lavoro di gruppo.

Non c’è stato tempo per analizzare il capitolo 4. Sollecitiamo che si trovi il tempo per affrontarlo in seguito, perché contiene temi molto importanti.

Come osservazione generale nata durante lo scambio d’idee, si chiede di curare con maggiore impegno il linguaggio delle traduzioni che non sempre concordano con l’originale italiano e, a volte, contengono vocaboli estranei allo spagnolo o al portoghese.

Si è proceduto in primo luogo alla lettura a voce alta di ogni capitolo, per poi concentrarsi sulla sua analisi punto per punto. Dopo una breve pioggia d’idee e di punti di vista, il moderatore ha chiesto di presentare per iscritto tutti i modi proposti per poi dibatterli e votarli.

In generale sono state più le coincidenze che le divergenze, il che ha permesso di raggiungere consensi o l’unanimità. Le proposizioni o i modi presentati che non hanno raccolto l’unanimità dei consensi sono stati solitamente ritirati dai relatori.

Nella prima sessione di circoli minori, il 6 ottobre pomeriggio, ci sono stati 22 interventi tra padri sinodali e periti. Riportiamo le idee principali sulle quali c’è stato maggior consenso.

Occorre riaffermare la metodologia utilizzata nell’Istrumentum laboris come quella adeguata, che quindi va conservata.

La sfida: collegare il sinodo straordinario a quello attuale, dargli continuità. Linguaggio di speranza, la Chiesa del sì.

Significato pastorale: occorre parlare della famiglia non in astratto, ma a partire dalle sue diverse realtà; i cambiamenti antropologici sono più profondi di quanto c’immaginiamo (biotecnologia, genere); è una sfida piena di speranze. Dobbiamo chiederci che cosa facciamo e che cosa dobbiamo fare e valutarci alla luce dello stile Francesco.

La famiglia come soggetto di tutta la pastorale. Necessità della formazione.

Non dobbiamo sentirci padroni ma servitori della famiglia, dobbiamo trasformare le leggi anti-famiglie in leggi morte.

Insufficiente iniziazione cristiana e frammentazione della pastorale. Realtà della diminuzione dei membri della Chiesa.

Bisogna segnalare le esperienze positive: movimenti, catecumenato domiciliare, famiglie formate e formatrici, sostenere programmi relativi alla famiglia e alla bioetica nelle università e nelle scuole.

Rapporto tra il vedere e l’agire. Il vedere dell’Instrumentum laboris ha una dimensione etico-teologica. Occorre partire dalla sguardo di Dio.

Realtà su cui c’è stato uno scambio d’idee: la fede è debole e quindi non può accogliere la sfida. Fragilità e immaturità, guarigione affettiva. Se si trascura Dio, se c’è indifferenza, non c’è capacità di illuminare gli altri. Le legislazioni nazionali e internazionali rispondono a uno stesso modello e pretendono d’imporsi. Occorre passare da una spiritualità individuale e una spiritualità di comunione, altrimenti non si superano i problemi legati alla famiglia. Bisogna vedere la famiglia come una sfida culturale (ideologia del genere, nuovo ordine mondiale, linguaggio ambiguo).

Nella seconda e nella terza sessione dei circoli minori, mercoledì 7, di mattina e di pomeriggio, si è proceduto innanzitutto alla lettura collettiva del primo capitolo, seguita da uno scambio generale d’idee. Dopo la pausa caffè, è stato letto il capitolo 2. Ci sono stati 50 interventi dei padri sinodali.

Sul numero 6 sono stati votati due modi, il primo con 21 voti a favore e 2 contrari e il secondo con 21 a favore, uno contrario e un’astensione.

Sul numero 7 un modo con 23 voti a favore e uno contro.

Sul numero 8 un modo con 24 voti a favore.

Sul numero 9 due modi, il primo con 23 voti a favore e un’astensione, il secondo con 24 voti a favore.

Sul numero 10 non c’è stata nessuna proposizione.

Sul numero 11 un modo con 22 voti a favore.

Sul numero 12 un modo con 24 voti a favore.

Sul numero 13 due modi, il primo con 21 voti a favore e il secondo con 18 voti a favore e 4 astensioni.

Sul numero 14 tre modi, uno con 23 voti a favore e un’astensione, gli altri due con 24 voti a favore ognuno.

Sul numero 15 tre modi, il primo con 11 voti a favore, 4 astensioni e 5 contrari, il secondo con 22 voti a favore e due astensioni, il terzo con 24 voti a favore.

Per la quarta sessione dell’8 ottobre, tenutasi di mattina, sono stati esaminati i modi relativi al numero 16, che erano stati lasciati in sospeso. Sono stati votati quattro modi. Due hanno ottenuto 23 voti a favore e un’astensione, gli altri due hanno raccolto l’unanimità dei consensi, con 24 voti.

Si è poi proceduto alla lettura del capitolo 3, con un giro di valutazioni generali. Ci sono stati 20 interventi dei padri sinodali.

Si è poi proceduto alla votazione dei modi formulati, su richiesta del moderatore, su proposte già scritte, il che ha facilitato il lavoro.

Sul cambiamento del titolo del capitolo c’è stato un modo con 24 voti a favore.

Sul numero 17 quattro modi, due con 23 voti a favore e un’astensione, e due con 24 voti a favore.

Sul numero 18 due modi con 24 voti a favore ciascuno.

Sul numero 19 quattro modi, due con 22 voti a favore e 2 astensioni, uno con 23 voti a favore e un’astensione e l’altro con 24 voti a favore.

Sul numero 20 quattro modi, due con 22 voti a favore e 2 astensioni, uno con 23 voti a favore e un’astensione, uno con 23 voti a favore e un’astensione e il quarto con 24 voti a favore.

La quinta sessione di circoli minori si è svolta nel pomeriggio dell’8 ottobre.

È proseguito l’esame dei modi del capitolo 3 ed è poi stata letta la relazione.

È stata approvata all’unanimità la proposta di dare un altro ordine ai punti del capitolo: la sfida delle migrazioni (24-27), il ruolo delle donne (30), la famiglia e i bambini (29), gli adolescenti e i giovani (29a), la sfida della terza età (17-18), la sfida della vedovanza (19) e l’ultima tappa della vita (20).

Sul punto 21 sono stati approvati due modi, uno con 23 voti a favore e un’astensione, un altro con 24 voti a favore,

Sul numero 22 tre modi, uno con 23 voti a favore e un’astensione, un altro con 24 voti a favore e un terzo con 22 voti a favore e 2 astensioni.

Sul numero 23 nulla.

Sul numero 24 tre modi, uno con 23 voti a favore e un’astensione, un altro con 23 voti a favore e un terzo con 22 voti a favore e un’astensione.

Sul numero 25 un modo con 23 voti a favore e un’astensione.

Sul numero 26 un modo con 21 voti a favore e 3 astensioni.

Sul numero 27 un modo con 22 voti a favore e un’astensione.

Sul numero 28 un modo con 23 voti a favore,

Sul numero 29 un modo con 23 voti a favore e un modo nuovo 29a con 23 voti a favore.

Sul numero 30 quattro modi, i primi due con 23 voti a favore, il terzo con 21 voti a favore e 2 astensioni e il quarto con 22 voti a favore e un’astensione.

 
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    Sinodo dei vescovi
 
 

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Misericordia da vivere

 

 

· ​I lavori del sinodo ·

10 ottobre 2015

 
 

 

Un treno in corsa che non si ferma. È l’immagine usata da un padre sinodale per descrivere il rischio di passare accanto a tante realtà umane senza mettere in atto la necessaria misericordia. Un tema, quello della misericordia, al quale da più parti si è fatto riferimento, nella quinta e nella sesta congregazione generale, svoltesi rispettivamente nel pomeriggio di venerdì 9 e nella mattina di sabato 10 ottobre, alla presenza di Papa Francesco.

Durante la congregazione di sabato, i 253 padri sinodali presenti, sotto la presidenza del cardinale Napier, hanno terminato la seconda parte dell’Instrumentum laboris e hanno iniziato la terza sul tema: «La missione della famiglia oggi». Tra gli intervenuti, i cardinali Parolin, Montenegro, Ryłko, Thottunkal, Blázquez Pérez e gli arcivescovi Gómez, Pontier, Takami. Alla recita dell’Ora terza, l’arcivescovo Ioannis Spiteris ha tenuto l’omelia, mettendo in guardia dal rischio di considerare la santità come il primato del sacrificio, del culto esterno, invece di viverla come l’obbedienza amorosa a Dio testimoniata dal comandamento dell’amore vicendevole.

Nella successiva discussione è tornato a più riprese il riferimento alla misericordia. Che va considerata un’opera di salvezza e non di perdizione, perché in essa è racchiusa la giustizia più grande. Da qui l’invito alla Chiesa perché non finisca prigioniera di un’immagine stereotipata che la rappresenta come “comunità del no”. È significativo, è stato fatto notare, che Gesù non abbia definito il termine misericordia, ma l’abbia mostrata concretamente con la sua stessa vita. D’altra parte, si è anche insistito sulla necessità di non contrapporre misericordia e giustizia, misericordia e verità. E qui il riferimento diretto è stato alla questione dell’indissolubità del matrimonio e alle aperture pastorali nei riguardi dei divorziati risposati civilmente. La Chiesa, è stato detto, non può lasciarsi condizionare né da sentimenti di falsa compassione per le persone, né da errati modelli di pensiero, anche se diffusi nella società.

Dalle molte esperienze presentate durante gli interventi è emerso il quadro della situazione delle famiglie nei vari continenti, con le loro attese, le loro difficoltà e le loro potenzialità. In particolare, è stato messo l’accento sul bisogno di maggiore spiritualità, di preghiera e di interiorità. Una possibile risposta alla crisi familiare potrebbe venire proprio dalla parola di Dio, perché davanti a essa la famiglia scopre pienamente il senso del matrimonio. Per questo, i coniugi devono imparare a lasciarsi illuminare dalla luce del Vangelo senza farsi influenzare dalle ideologie del momento. Proprio per non venire omologata ai modelli imperanti, è stato ribadito che la famiglia è al centro delle attenzioni pastorali della Chiesa. La quale, nel rispetto dei ruoli, sollecita i governi per i gravi ritardi delle politiche familiari, anche nei sistemi sociali considerati più avanzati. In particolare, essa richiama l’attenzione pubblica sulla necessità di una più equa amministrazione dei beni comuni e dell’ambiente. Invita poi a riflettere più seriamente sulla fretta di certi adattamenti normativi che riguardano la specificità dei legami personali e sociali.

La discussione sulla terza parte dell’Instrumentum laboris è stata preceduta dalla testimonianza di Penelope e Ishwarlal Bajaj, coppia indù-cristiana della diocesi di Mumbai in India, i quali hanno sottolineato come la libertà religiosa abbia aperto la strada alla fecondità del loro matrimonio. Quindi il cardinale Napier ha ricordato come in questa fase del dibattito l’attenzione verrà concentrata sul rapporto tra famiglia ed evangelizzazione, famiglia e formazione e famiglia e accompagnamento ecclesiale.

Nel corso degli interventi di venerdì pomeriggio, 9 ottobre, durante la quinta congregazione generale, svoltasi alla presenza di Papa Francesco e sotto la presidenza del cardinale Damasceno Assis, il confronto si è concentrato sulla famiglia considerata come una scuola, una forza missionaria, una vocazione, ma anche come l’espressione più compiuta di solidarietà tra i membri che la compongono. Alla presenza di 249 padri sinodali, sono stati pronunciati 23 interventi programmati e 18 liberi. A prendere la parola, tra gli altri, i cardinali Tauran, Tagle, Müller, Poli, Sistach, Nichols, gli arcivescovi Chimoio, Smith, Paglia, il vescovo Solmi, e i religiosi Nicolás Pachón e Janson.

Una delle proposte emerse dalla discussione è stata quella di celebrare un presinodo per ogni continente vista la diversità di culture, tradizioni, politiche e geografiche. D’altra parte, è stato anche fatto notare che la famiglia si basa su elementi validi e valori condivisibili in altre tradizioni religiose. Per questo motivo, essa è un luogo privilegiato per sviluppare un fecondo dialogo. Oltretutto, nelle nostre società sempre più globalizzate, multiculturali e multireligiose, il contributo che la famiglia può offrire alla comprensione e all’integrazione è essenziale. Infatti, sono proprie le famiglie cristiane a entrare in contatto con persone di altre religioni e a offrire perciò la prima testimonianza dell’accoglienza della comunità cristiana. In questo contesto, non è mancato un pensiero alle famiglie costrette ad abbandonare le proprie case a causa delle violenze, alla ricerca di sicurezza e di migliori opportunità di vita.

In ogni caso è stato ribadito che la famiglia non è solo oggetto di evangelizzazione, ma è anche una scuola dove si imparano i valori su cui si deve fondare la società. In particolare, è una scuola di onestà, integrità, misericordia e giustizia. I riflessi di quanto avviene in essa si ripercuotono nella quotidianità. Dunque, se una famiglia è corrotta si corrompe anche la società.

Lo stesso vale per la capacità della famiglia di venire in soccorso degli altri che sono nella sofferenza. Per questo essa deve aprirsi all’esterno e curare le ferite delle altre famiglie. Un’apertura quanto mai necessaria: ed è questo che molti attendono dal sinodo, invocando una spinta decisiva per riconoscere la forza missionaria della famiglia.

È stato anche fatto notare come la Chiesa stessa sia una famiglia che dovrebbe avere gli stessi atteggiamenti nei confronti degli uomini e delle donne che hanno bisogno d’amore: divorziati, coppie di fatto, poligami e tutti quanti si sentono esclusi. I padri sinodali sono stati invitati a guardare con compassione chi ha fame di misericordia.

L’accento sulla formazione al matrimonio è stato posto da diversi padri. C’è stato anche chi ha invitato a istituire sei mesi di “noviziato” per le coppie che vogliono sposarsi in chiesa, proprio perché possano seguire un programma di accompagnamento in vista del loro progetto di vita comune. Esiste già un’esperienza simile in un parrocchia di Tokyo, dove i cristiani sposati accompagnano i fidanzati per sei mesi.

I padri sinodali avevano cominciato a riflettere sulla seconda parte dell’Instrumentum laboris già venerdì mattina, a chiusura della quarta congregazione generale. Undici gli interventi, tra i quali quelli dei cardinali Vingt-Trois, Rivera Carrera, Scherer e Wuerl, e degli arcivescovi Bessi Dogbo e Palma. Fra i temi affrontanti: il matrimonio indissolubile tra uomo e donna, come autentica vocazione della Chiesa, la famiglia come soggetto missionario, protagonista della nuova evangelizzazione e luogo privilegiato per fare esperienza dell’amore di Dio che salva, un segno concreto di salvezza e di speranza in un mondo segnato da tante zone d’ombra, crisi e contraddizioni. Nel corso degli interventi è stato sottolineato che quando si parla di vocazione, non sempre si è consapevoli che il matrimonio è una delle vie privilegiate di risposta alla chiamata universale alla santità; bisogna però fare in modo che questa consapevolezza cresca, perché gli sposi «non si possono accontentare di una vita mediocre».

A più riprese i padri sono tornati a ribadire da una parte il valore dell’indissolubilità del matrimonio, dall’altra l’importanza di avere sempre un atteggiamento di pazienza e di misericordia verso chi non condivide o non riesce a vivere in pieno quanto viene annunciato dalla Chiesa. Insomma, bisogna avere «coraggio, insistenza, speranza», ma soprattutto misericordia.

 
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    Sinodo dei vescovi
 
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rassegna.it

Newsletter del 10/10/2015

Call center: Orlando, Rossi, Emiliano e Cgil per clausola sociale appalti (09/10/2015 18:13)

Contratti, Cgil: l’attuale sistema va difeso (09/10/2015 17:12)

  Solari a RadioArticolo1: “La contrattazione nazionale non può essere archiviata, com’è definito nel Testo Unico, dove si parla di struttura su due livelli, configurando spostamenti di competenza a dimensione aziendale, a seconda delle singole situazioni”

Poste: Cestaro (Slc), accordo è punto di svolta (09/10/2015 16:16)

Cgil Palermo: fondamentale il rilancio dell’azione sindacale unitaria (09/10/2015 14:26)

  “47.000 posti persi dal 2008 al 2014; un migliaio di lavoratori, in primis edili e metalmeccanici, in attesa degli ammortizzatori sociali; 3.500 insegnanti della formazione professionale licenziati; aree industriali desertificate”, denuncia Enzo Campo

Il destino comune di sindacati e imprese (09/10/2015 13:11)

  “Confindustria deve capire che il governo vuole ridurre spazi e prerogative di tutte le parti sociali”. Così Baseotto (Cgil) a RadioArticolo1. “Non possiamo lasciare che sui contratti l’esecutivo decida senza di noi. Bisogna trovare una buona mediazione”

Fillea Emilia Romagna, Maurizio Maurizzi nuovo segretario generale (09/10/2015 13:01)

Il vero record italiano è la caduta degli investimenti (09/10/2015 12:52)

  La flessione della quota di salari sul Pil, registrata nelle maggiori economie dell’Ocse, in Italia è stata la più forte. Ma i margini di profitto non sono stati reinvestiti nella crescita. Risposta alla nota di Confindustria DI RICCARDO SANNA

Spi Cgil Modena, 14/10 presentazione Rapporto Anziani(09/10/2015 12:12)

Scuola: Modena, attivo unitario contro la riforma (09/10/2015 11:52)

Flai-Fondazione Metes, 12/10 presentazione ricerca (09/10/2015 10:50)

Sinagi Cgil, lanciata l’iniziativa ‘Leggi-e-Vendi’ (09/10/2015 09:45)

Lavoro e giovani ancora troppo lontani (09/10/2015 09:42)

  Nel 2014 nel mondo c’è stata una lieve diminuzione del numero dei disoccupati tra le nuove generazioni che si attestano a quota 73,3 milioni, ma il 43% resta ancora inattivo. Sempre negativi i dati italiani: siamo quart’ultimi in Europa

RadioArticolo1, i programmi di venerdì 9 ottobre (09/10/2015 09:09)

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San Giovanni XXIII

 

 


San Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli)

Nome: San Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli)
Titolo: Papa
Ricorrenza: 11 ottobre

«Figlioli… tornando a casa, troverete i bambini, date loro una carezza e dite: questa è la carezza del papa. Troverete, forse, qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Dite che il papa è con loro…». 

Era una tiepida serata d’autunno e Giovanni XXIII congedava così la gente accorsa in piazza San Pietro per celebrare l’avvio del concilio Vaticano II (1 l ottobre 1962). Quelle parole, intrise di umanità e di poesia, commossero il mondo e furono il miglior preludio della grande assise ecumenica destinata a rinnovare profondamente la chiesa e che fece di Giovanni XXIII, come scrisse Frainois Mauriac, il papa che ha gettato «un ponte sui nove secoli che ci dividono dai cristiani dell’oriente c sui quattro che ci separano dai fratelli dell’occidente». Insomma: il papa del dialogo, delle aperture, delle audaci novità che in pochi anni servirono ad avvicinare la chiesa al mondo moderno. Quando lo elessero, ormai prossimo agli ottant’anni, tutti pensarono che sarebbe stato un papa di transizione, per consentire alla chiesa di riordinare le idee di fronte alle sfide che la società le stava imperiosamente ponendo. Invece il suo pontificato fu sì di breve durata, ma come pochi altri significativo e incidente. 

L’idea di finire lui stesso sul soglio di Pietro non l’aveva neppure sfiorato quando, il 12 ottobre 1958, lasciava Venezia per andare a Roma a eleggere il successore di Pio XII. Era certo che a Venezia, la città del santo papa Pio X di cui si sentiva onorato di continuare l’opera, si sarebbe conclusa la parabola della sua vita. 

La domenica 15 marzo 1953 si era presentato ai veneziani con semplicità, e con stile confidenziale aveva fatto il punto della sua vita: «Desidero parlarvi con la più grande apertura di cuore e con molta franchezza di parola — aveva detto —. Sono state dette e scritte cose che sorpassano di molto i miei meriti. Mi presento umilmente io stesso. Vengo dall’umiltà e fui educato a una povertà contenta e benedetta. Da quando nacqui io non ho mai pensato che a essere prete. Da giovane prete non aspiravo che a diventare curato di campagna nella mia diocesi, ma la Provvidenza ha voluto avviarmi per altre strade prima di giungere qui. Mi trasse dal mio villaggio natio e mi rete percorrere le vie del mondo in Oriente e in Occidente. Fui sempre preoccupato più di ciò che unisce che di quello che separa e suscita contrasti. Non guardate dunque al vostro patriarca come a un uomo politico, a un diplomatico: cercate il sacerdote, il pastore d’anime che esercita tra voi il suo ufficio nel nome di Dio». 

Giovanni XXIII, Angelo Giuseppe Roncalli, era nato a Sotto il Monte, piccolo paese del bergamasco, il 25 novembre 1881. Alla povertà contenta e benedetta lo ha educato la sua patriarcale famiglia contadina che viveva nella cascina «La Colombera», alternando lavoro e preghiera, sotto la guida saggia dello zio Saverio.

Di indole buona e sensibile, sentì presto il desiderio di consacrare la propria vita a Dio per poter servire meglio gli altri nella carità. Nel seminario di Bergamo iniziò la lunga strada di preparazione al sacerdozio, che si concluse a Roma il 10 agosto 1904. 

Pretino novello, invece che nella desiderata parrocchietta di campagna, fu mandato a fare il segretario del nuovo vescovo di Bergamo, monsignor Radini Tedeschi, al fianco del quale rimase dieci anni, imparando che un uomo di chiesa deve essere soprattutto buono e caritatevole. Una lezione, accompagnata dall’esempio, che non scorderà mai più. Intanto viveva la terribile esperienza della prima guerra mondiale, alla quale partecipò come sergente di sanità e cappellano militare. 

Neppure alla morte del monsignore si aprirono per don Angelo le porte di una canonica. Lo vollero a Roma, all’Opera della propagazione della fede, diretta dal cardinale von Rossum, il quale vide nell’intelligente e saggio prete bergamasco l’uomo giusto da inviare nelle capitali del mondo a intessere rapporti con le chiese e con gli stati. «Dovrete viaggiare, viaggiare molto. Sarete il viaggiatore di Dio», gli disse papa Benedetto XV nell’affidargli l’incarico. 

Consacrato vescovo il 15 marzo 1925, cominciò il suo lungo viaggio che lo porterà in missione come visitatore apostolico in Bulgaria, poi delegato apostolico in Turchia e in Grecia e poi nunzio apostolico a Parigi, ultima tappa prima dell’approdo a Venezia. 

Partendo per la Bulgaria, annotava nel diario (Giornale dell’anima): «La chiesa mi vuole vescovo per mandarmi in Bulgaria, a esercitare un ministero di pace. Forse nella mia vita mi attendono molte tribolazioni. Con l’aiuto del Signore mi sento pronto a tutto». E con l’aiuto del Signore invocato nella preghiera, e con le sue doti di pazienza, di bontà, di tenacia, di rispetto delle posizioni degli altri, ottenne in Bulgaria, dove i rapporti con la chiesa ortodossa non erano dei migliori, ottimi risultati. Come avvenne poi anche in Grecia e in Turchia. 

Il suo spirito ecumenico si formò da quelle parti, sul campo: certi pregiudizi incrostatisi nel tempo cominciarono qua e là a sciogliersi al calore della bontà e della carità di questo insolito rappresentante della chiesa di Roma. Spesso, tra la sorpresa e l’ammirazione dei presenti, gli incontri di monsignor Angelo Roncalli con i vescovi ortodossi si concludevano con un abbraccio, a suggellare un’amicizia che cancellava, nei loro rapporti, secoli di divisioni e di incomprensioni. Fu per questo il primo dignitario della chiesa cattolica a visitare il celebre, e inavvicinabile per i cattolici, monastero del monte Athos in Grecia. E l’ecumenismo sarà un punto forte del suo programma pastorale anche a Venezia, città da sempre considerata ponte tra occidente e oriente. 

Eletto papa, al cardinale Tisserant che gli chiedeva con quale nome volesse essere chiamato, disse: «Mi chiamerò Giovanni, un nome dolce e nello stesso tempo solenne». Il 28 ottobre 1958, l’umile figlio della terra bergamasca, a settantasette anni, cominciava il servizio che la provvidenza gli aveva assegnato; lo svolgerà con il suo stile accattivante di bontà, di umiltà, di comprensione che faranno di lui il «papa buono». Una bontà sempre condita dal buon umore, dall’ottimismo della fede. 

Monsignor Loris Capovilla, segretario personale, racconta: «Don Gelmo, amico da settant’anni, visita papa Giovanni in Vaticano, s’inchina per baciargli i piedi. Il vecchio amico papa lo richiama, guardandolo negli occhi: “Don Gelmo che cosa fai? Siamo pur sempre gli stessi figlioli delle nostre buone mamme”. Don Gelmo si giustifica: “Ma voi siete il vicario di Cristo”. E papa Giovanni, abbracciandolo: “Sono però, ancora, il tuo antico compagno di scuola e amico. Ricordati che dal Vaticano e da Seriate [paese di don Gelmo] la strada per giungere al paradiso è la stessa”». 

Ad attirare la simpatia della gente, la devozione, l’ ammirazione per papa Giovanni, è soprattutto la sua umiltà: «Il Signore mi ha fatto nascere da povera gente e ha pensato a tutto. Io l’ho lasciato fare. Mi sono lasciato condurre in perfetta conformità alle disposizioni della provvidenza, veramente: Voluntas Dei pax nostra (nella volontà di Dio sta la nostra pace)». 

A monsignor Giovan Battista Montini (il futuro Paolo VI), che nel novembre del 1952 dalla Segreteria di stato gli comunicava l’intenzione di Pio XII di trasferirlo da Parigi alla sede patriarcale di Venezia, scriveva: «Assicuri Sua Santità che io ho pochissima stima di me stesso: per me tutto è superiore al mio merito; ma avendo da tempo rinunziato a tutto quel che riguarda la mia persona, ciò mi rende tutto più facile e tranquillo, e mi assicura in ogni evento una grande pace». 

Riusciva a unire la pazienza al coraggio: «Il coraRio si esercita quando sono in pericolo i supremi interessi dell anima e non meschine rivalità di casta o il desiderio, sia pur legittimo, di personale soddisfazione». L:anziano papa è stato una primavera per la chiesa e, per il mondo intero, una porta aperta alla speranza. Non hanno avuto ragione quanti avevano ravvisato nelle sue aperture la rovina della chiesa. 

Il 3 giugno 1963, alle ore 19.45, in Vaticano, si spegneva una grande luce sul mondo. Il suo nome era Giovanni. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 3 settembre 2000 ed è stato canonizzato il 27 aprile 2014 da Papa Francesco.