Archivi giornalieri: 22 ottobre 2015

Vino, scoperto in Sardegna il vitigno più antico del Mediterraneo occidentale

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 14 15Semi di vernaccia e malvasia risalenti a circa tremila anni fa ritrovati nel pozzo che faceva da ‘frigorifero’ a un nuraghe nelle vicinanze di Cabras. La prova del carbonio 14 effettuata dal Centro conservazione biodiversità dell’Università di Cagliari conferma la datazione e fa ritenere che la coltura della vite nell’Isola fosse conosciuta sin dall’età del bronzo

di MONICA RUBINO

Vino, scoperto in Sardegna il vitigno più antico del Mediterraneo occidentale
Il luogo del ritrovamento degli archeosemi di vite, a Cabras, nell’Oristanese, da parte dell’équipe del Centro Conservazione Biodiversità dell’Università di Cagliari 

ROMA – Una scoperta che riscrive la storia della viticultura dell’intero Mediterraneo occidentale. A farla gli studiosi dell’Università di Cagliari. L’équipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB), guidata dal professor Gianluigi Bacchetta, ha rinvenuto semi di vite di epoca Nuragica, risalenti a circa 3000 anni fa. E ha avanzato l’ipotesi che in Sardegna la coltivazione della vite non sia stata un fenomeno d’importazione, bensì autoctono. 

Sino ad oggi, infatti, i dati archeobotanici e storici attribuivano ai Fenici, che colonizzarono l’isola attorno all’800 a.C., e successivamente ai Romani, il merito di aver introdotto la vite domestica nel Mediterraneo occidentale. Ma la scoperta di un vitigno coltivato dalla civiltà Nuragica dimostra che la viticoltura in Sardegna era già conosciuta: probabilmente ebbe un’origine locale e non fu importata dall’Oriente. A suffragio di questa ipotesi, il gruppo del CCB sta raccogliendo materiali in tutto il Mediterraneo: dalla Turchia al Libano alla Giordania si cercano tracce per verificare possibili “parentele” tra le diverse specie di vitigni. 

La ricerca. Nel sito nuragico di Sa Osa, nel territorio di Cabras, nell’Oristanese (non lontano dal luogo del ritrovamento dei Giganti di Mont’e Prama), la squadra di archeobotanici del professor Bacchetta, grazie alla collaborazione con la Soprintendenza per i Beni  Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, ha trovato oltre 15.000 semi di vite, perfettamente conservati in fondo a un pozzo che fungeva da ‘paleo-frigorifero’ per gli alimenti. “Si tratta di vinaccioli non carbonizzati, di consistenza molto vicina a quelli ‘freschi’ reperibili da acini raccolti da piante odierne – spiega Bacchetta – . Grazie alla prova del Carbonio 14 i semi sono stati datati intorno a 3000 anni fa (all’incirca dal 1300 al 1100 a. C.), età del bronzo medio e periodo di massimo splendore della civiltà Nuragica”. 

Gli archeosemi ritrovati e analizzati sono quelli della Vernaccia e della Malvasia, varietà a bacca bianca coltivate proprio nelle aree centro-occidentali della Sardegna. “Affermare che la viticoltura in Occidente sia nata nell’Isola sarebbe esagerato – spiega ancora Bacchetta –  e non sarebbe supportabile in base alle evidenze scientifiche attuali. Quello che è certo, però, è che la vite in Sardegna non è stata portata dai Fenici, che in Libano già la coltivavano ancor prima dell’età Nuragica. Più che un fenomeno di importazione, dunque, noi pensiamo che in Sardegna si sia verificata quella che noi chiamiamo ‘domesticazione’ in loco di specie di vite selvatiche, che ancora oggi sono diffuse ampiamente in tutta la Sardegna. Va tenuto conto, però, che i Nuragici erano un popolo molto attivo negli scambi commerciali e hanno avuto contatti anche con altre civiltà, come quella cretese o di Cipro, che conoscevano la vite”. 

La scoperta è il frutto di oltre 10 anni di lavoro condotto sulla caratterizzazione dei vitigni autoctoni della Sardegna e sui semi archeologici provenienti dagli scavi diretti dagli archeologi della Soprintendenza e dall’Università di Cagliari. I risultati sono giunti anche grazie all’innovativa tecnica di analisi d’immagine computerizzata messa a punto dai  ricercatori del Ccb in collaborazione con la Stazione Consorziale  Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia. L’analisi sfrutta particolari funzioni matematiche che analizzano le forme e le dimensioni dei vinaccioli (semi di vite), mettendo a confronto i dati morfometrici dei semi archeologici con le attuali cultivar e le popolazioni selvatiche della Sardegna. Ciò ha permesso di scoprire che questi antichissimi semi erano appartenuti alle varietà coltivate mostrando, come visto, una relazione parentale anche con quelle silvestri che crescono spontanee sull’Isola. 

“Adesso abbiamo la prova scientifica che i Nuragici conoscessero la vite domestica e la coltivassero – spiega Andreino Addis, presidente di Assoenologi Sardegna. Una buona occasione per rilanciare in grande stile la viticoltura sarda, che pesa ancora troppo poco sul piano nazionale”.

Questi semi di vite provenienti dal passato sono dunque un patrimonio prezioso per valorizzare le produzioni vitivinicole doc e dei vitigni in via di sparizione. Che poi è lo scopo per cui L’Università di Cagliari è scesa dalla cattedra e si è calata nel territorio: “Da anni diciamo che la ricerca scientifica può aiutare molto le produzioni locali  – conclude Bacchetta – e avere importanti ricadute economiche. Caratterizzare un prodotto, conoscerne le origini costituiscono elementi essenziali per riuscire a dare un valore aggiunto. Di fatto stiamo operando di comune accordo con numerose cantine sociali che credono nel nostro lavoro. E cerchiamo di dare il nostro contributo concreto allo sviluppo economico della Sardegna”.

Esodati

Esodati nella legge di stabilità

Fra le misure contenute nella Legge di Stabilità 2016 approvata dal Governo vi è la settima salvaguardia esodati che riguarda 26.300 esodati, usciti dal mondo del lavoro nel 2011 e rimasti senza stipendio e senza pensione in virtù delle nuove norme della Riforma Fornero.

Si tratta di lavoratori in mobilità, autorizzati ai contributi volontari, cessati dal servizio e in congedo per assistenza parenti disabili nel 2011. Per rientrare nella settima salvaguardia devono maturare la decorrenza della pensione entro il 6 gennaio 2017. A questi 26mila 300 esodati se ne aggiungono altri 5mila che non erano rientrati nelle sei precedenti.

Immigrati

C. Costituzionale – Immigrati, per l’inabilità basta il soggiorno

I cittadini extracomunitari, ciechi assoluti o parziali, hanno diritto alla pensione d’inabilità e all’indennità speciale anche se non hanno la carta di soggiorno, purché siano regolarmente soggiornanti in Italia.

La novità sancita dalla sentenza n. 22/2015 della Corte Costituzionale e ripresa nel messaggio Inps n. 6456/2015, non trova applicazione nelle situazioni consolidate per effetto di sentenze passate in giudicato che hanno negato la prestazione.

Cassazione

Cassazione – No a infortunio in itinere per l’insegnante che si reca al corso aggiornamento

Niente infortunio in itinere per l’insegnante coinvolta in un incidente stradale mentre si reca al corso obbligatorio di aggiornamento. La tutela assicurativa è rivolta solo verso l’attività didattica e non anche verso la formazione. Infatti sulla scorta dell’art. 4 del DPR 1124/65, la copertura assicurativa è limitata agli insegnanti “che attendono ad esperienze pratiche o che svolgono esercitazioni di lavoro”, mentre l’art. 1 del medesimo DPR cita le attività “per cui si è in contatto con le macchine elettriche”. Quindi “in difetto di prova dello svolgimento di una di tali occupazioni, non compete alcun indennizzo per eventuali infortuni occorsi nell’attività di insegnamento che di per sé non da luogo alla tutela antinfortunistica”.

Lo ha sancito la sentenza n. 21400/2015 della sezione lavoro della Cassazione che ha rigettato il ricordo in un’insegnante di educazione tecnica convalidando di fatto la sentenza di appello. In primo grado, invece, l’Inail era stata condannata al pagamento, in suo favore, dell’indennità per temporanea inabilità, a seguito di incidente in itinere, per 108 giorni.

San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla)

 

 


San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla)

Nome: San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla)
Titolo: Papa
Ricorrenza: 22 ottobre
Protettore di:famiglie, giornate mondiali della gioventù

« Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa! »

Di solito, perché uno sia ufficialmente dichiarato santo, ne deve passare di acqua sotto i ponti del “Tevere, con il rischio che il suo ricordo si disciolga nel vischioso amalgama del tempo. Poche le eccezioni. Una ha riguardato papa Giovanni Paolo II, scomparso nel 2005. Con lui la burocrazia vaticana ha bruciato i tempi, accogliendo l’appello lanciato a gran voce dalle centinaia di migliaia di persone accorse a Roma a rendergli l’estremo riconoscente: «Subito santo!». 

Il ricordo del papa venuto dall’Est è ancora vivissimo nel cuore e nella memoria di moltissimi. Chi ha qualche anno di più lo ricorda affacciato al balcone di San Pietro, sconosciuto cardinale di Cracovia, rivolgere con voce robusta ben impostata e in un italiano un po’ acerbo, il primo saluto ai fedeli romani, dopo la sua elezione a sommo pontefice. O le parole con cui ha inaugurato il suo pontificato, il 22 aprile 1978: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!». 

Il suo è stato un pontificato lunghissimo, intenso e soprattutto missionario. Tantissimi i viaggi da lui intrapresi per incontrare lì dove vivono i cristiani di tutto il mondo e irrobustirli nella fede e sostenerli con la vicinanza nella carità. 

Aperto al dialogo con tutti, in particolare con le altre religioni, i cui rappresentanti egli ha voluto incontrare ad Assisi, nel 1986, per pregare insieme per la pace nel mondo. 

Attento ai giovani, che ricambiavano le sue attenzioni accompagnandolo e sostenendolo con il loro tonificante entusiasmo, specie nell’ultima fase della sua vita, debilitato dall’età e dalla malattia. A volte deciso, come nella Valle dei Templi ad Agrigento, quando, rivolgendosi ai mafiosi con inattesa durezza, ha invocato su di loro l’ira di Dio, se non si fossero convertiti. O quando ha puntato il dito minaccioso contro Augusto Cardenal, il mite monaco e poeta venezuelano, esponente della teologia della liberazione per lui, uomo vissuto sotto il regime comunista, pericolosamente imbevuta di marxismo rivoluzionario. 

Autorevole e decisivo sullo scacchiere mondiale, tanto che gli viene riconosciuto un ruolo importante nella caduta del regime comunista in Polonia, sua patria, e poi nel resto della galassia sovietica. 

Karol Wojtyla nasce a Wadowice, in Polonia, il 18 maggio 1920, ultimo di tre figli. Vive un’infanzia tranquilla in un paese mai tranquillissimo. A tempo debito, riceve i sacramenti dell’iniziazione cristiana e si iscrive alle scuole fino all’università Jagellonica di Cracovia, nel 1938. L’anno seguente la Polonia è occupata dalle truppe del Terzo Reich: fine della libertà e di ogni attività culturale. Le università chiudono i battenti e Wojtyla deve mettere da parte i libri e cercarsi un lavoro, che trova prima in una cava e poi nella fabbrica chimica Solvay. Così si guadagna da vivere ed evita la deportazione in Germania. 

Continua nella clandestinità a coltivare interessi culturali, come la passione per il teatro. Gli piace calcare le scene e nel 1939 recita nell’opera fiabesca Il cavaliere al chiaro di luna, messa in scena da una compagnia sperimentale, il Teatro Rapsodico. Intraprende anche lo studio delle lingue. Un’altra vocazione nel frattempo fa breccia nel suo cuore, la vocazione sacerdotale, cui dà seguito iscrivendosi nel 1942 ai corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia. 

La vocazione ha origine da un incidente occorsogli nel febbraio 1944. Sta rincasando dal lavoro quando un camion tedesco lo investe. Esce malconcio dall’incidente: trauma cranico acuto ed escoriazioni varie, una ferita alla spalla curata in due settimane d’ospedale. Vede nell’essersela cavata un segno della chiamata del Signore. 

Vive la tragedia dcl suo popolo. Nell’agosto 1944, durante la rivolta di Varsavia, sfugge alla deportazione. Quando la Gestapo perquisisce la città di Cracovia, casa per casa, alla caccia di polacchi maschi, Karol riesce a nascondersi in arcivescovado, dove rimane fino a guerra finita.

La notte del 17 gennaio 1945 i tedeschi abbandonano la città. Nella Polonia e nell’Europa, finalmente liberate dall’incubo nazista, la vita rinasce. Anche il seminario riapre i battenti e Wojtyla riprende gli studi, iscrivendosi alla facoltà di teologia dell’università Jagellonica e 1’1 novembre 1946 viene ordinato sacerdote. 

Giovane prete di eccellenti promesse, è mandato a Roma a coronare con la laurea un profittevole corso di studi. Due anni dopo, nel 1948, relatore padre GarrigouLagrange, consegue il dottorato in teologia discutendo una tesi sulla dottrina della fede in san Giovanni della Croce.

Ritornato in patria, alterna l’attività pastorale in alcune parrocchie con l’assistenza spirituale agli universitari. Nel 1951 riprende gli studi all’Università cattolica di Lublino, dove si laurea nuovamente con una tesi sulla possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal sistema etico del filosofo Max Scheler. Dopodiché, si dedica all’insegnamento della teologia morale e dell’etica nel seminario di Cracovia e nella facoltà di teologia di Lublino. 

Ha tutte le carte in regola per una promettente carriera ecclesiastica. Il primo passo gliela fa compiere Pio XII nel 1958 nominandolo vescovo ausiliare di Cracovia. Prosegue Paolo VI, facendolo arcivescovo, nel 1964, della stessa città e creandolo, tre anni dopo, cardinale. Nel frattempo partecipa al concilio Vaticano II (19621965) dando un contributo importante nell’elaborazione delle costituzioni Gaudium et spes e Dignitatis humanae. 

A Cracovia l’arcivescovo Wojtyla deve fare i conti con il duro regime comunista, ma non è tipo da subirne i soprusi senza battere ciglio. Si contrappone a esso con fierezza e coraggio, fino a sfidarne i burocrati pubblicando a puntate nel giornale diocesano libri colpiti dalla censura, come Ipotesi su Gesù di Vittorio Messori e Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci. 

Dopo la morte di Paolo VI, nell’agosto 1978, partecipa al conclave, che elegge a succedergli Albino Luciani, patriarca di Venezia, che prende il nome di Giovanni Paolo I. Trentatré giorni dopo, la Cappella Sistina accoglie i cardinali per un nuovo conclave. Luciani è prematuramente scomparso, stroncato da un infarto nel cuor della notte. 

Il 16 ottobre fumata bianca. I cardinali hanno eletto il giovane (ha solo cinquantotto anni) arcivescovo di Varsavia, cardinale Karol Wojtyla. Con il nome di Giovanni Paolo II, egli inizia il 22 ottobre successivo il suo pontificato, destinato a essere uno dei più lunghi della storia della chiesa: ventisette anni, ricchi anche di sorprese, come quella di vederlo sciare sui monti innevati del Terminillo, della Marmolada e dell’Adamello. 

Carissimi fratelli e sorelle,

siamo ancora tutti addolorati dopo la morte del nostro amatissimo Papa Giovanni Paolo I. Ed ecco che gli Eminentissimi Cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da un paese lontano… lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana. Ho avuto paura nel ricevere questa nomina, ma l’ho fatto nello spirito dell’ubbidienza verso Nostro Signore Gesù Cristo e nella fiducia totale verso la sua Madre, la Madonna Santissima.

Non so se posso bene spiegarmi nella vostra… nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete. E così mi presento a voi tutti, per confessare la nostra fede comune, la nostra speranza, la nostra fiducia nella Madre di Cristo e della Chiesa, e anche per incominciare di nuovo su questa strada della storia e della Chiesa, con l’aiuto di Dio e con l’aiuto degli uomini. 

Tra i primi passi del suo ministero, il pellegrinaggio alla tomba dei due patroni d’Italia: va ad Assisi a rendere omaggio a san Francesco e poi si reca nella basilica di Santa Maria sopra Minerva in Roma a venerare Caterina da Siena. 

I viaggi missionari sono un tratto caratteristico del pontificato di Giovanni Paolo II: ne fa ben 104, nel corso dei quali incontra milioni di fedeli in tutto il mondo; 146 sono le visite pastorali in Italia; come vescovo di Roma; poi, visita 317 parrocchie. Innumerevoli anche le udienze generali del mercoledì e le udienze speciali riservate a personalità del mondo della politica, della cultura e della scienza. 

Per i giovani avvia nel 1985 le Giornate mondiali della gioventù. Ed è presente a ben diciannove di esse in varie parti del mondo, con la partecipazione di milioni di giovani entusiasti e affascinati dalla parola di Dio che egli annuncia senza sconti. 

Un episodio lo segna a fondo nel corpo e nello spirito, l’attentato di cui è vittima il 13 maggio 1981 in piazza San Pietro. A colpirlo è un giovane killer turco, Mehmet Ali Agca. Su chi abbia armato la sua mano non è mai stata fatta completa luce: i servizi segreti di paesi del blocco sovietico, irritati per il suo apporto dato alla caduta del comunismo? Forse. 

Il pontefice ferito è sottoposto a un difficile intervento chirurgico. Si salva e lui attribuisce la salvezza all’intervento della Madonna, apparsa a Fatima, appunto, un 13 di maggio. L’anno successivo, ristabilitosi, si reca in Portogallo a ringraziarla e fa incastonare il bossolo del proiettile nella corona che cinge la testa della Vergine. 

La vicenda ha un seguito. Interrogandosi sul senso di quanto accadutogli e su alcune coincidenze e conoscendo il contenuto dell’ultimo dei segreti confidati dalla Madonna ai pastorelli di Fatima e non ancora svelato, intravede se stesso nei tratti del vescovo vestito di bianco colpito a morte, descritto nel segreto, e collega il tutto a quanto successogli quel 13 maggio. 

Vive con intensità e slancio, nonostante il progredire inesorabile della malattia, la preparazione al terzo millennio e poi la celebrazione del giubileo del 2000, promuovendo grandi celebrazioni e iniziative, dalle quali si attende un profondo rinnovamento spirituale della chiesa. Rilancia in seguito proclamando l’anno mariano e l’anno dell’eucaristia. 

L’evangelizzazione di chi non ha ancora subito il fascino del Vangelo di Cristo, e la rievangelizzazione di chi a quel fascino si è poi sottratto sono la nota dominante del suo pontificato e dei suoi interventi: sinodi (14), lettere encicliche ed esortazioni apostoliche (15), libri (5), Catechismo della chiesa cattolica… 

Il tutto, naturalmente, accompagnato da una profonda fede personale, da una filiale devozione alla Madre del Signore e da un grande amore per il prossimo, soprattutto per i più deboli, bambini, anziani e malati, nelle cui file passa lui stesso l’ultimo tratto di vita, offrendo un umanissimo e luminoso esempio di sopportazione e di coraggio nel cercare un senso al dolore che accompagna la vita di ciascuno. 

Giovanni Paolo II muore in Vaticano il 2 aprile 2005. Davanti alla sua bara, esposta in San Pietro, sfilano più di tre milioni di pellegrini. Benedetto XVI lo proclama beato maggio 2011 e viene canonizzato il 27 aprile 2014 da Papa Francesco.

PRATICA O nostro amatissimo padre Giovanni Paolo II aiutaci ad amare la Chiesa con la stessa gioia e intensità con cui tu l’amasti in vita.

PREGHIERA O Trinità Santa, ti ringraziamo per aver donato alla Chiesa il Beato Giovanni Paolo II e per aver fatto risplendere in lui la tenerezza della tua paternità, la gloria della Croce di Cristo e lo splendore dello Spirito d’amore.