Archivi giornalieri: 8 giugno 2022

Detrazioni figli a carico in busta paga, spettano ancora dopo l’Assegno unico?

Detrazioni figli a carico in busta paga, spettano ancora dopo l’Assegno unico?

Come funzionano e fino a quando spettano le detrazioni per figli a carico, dopo l’introduzione dell’Assegno unico

Cosa sono le detrazioni per figli a carico?

Le detrazioni per figli a carico sono degli sconti sulle tasse che ogni contribuente deve pagare ogni anno. Le detrazioni possono essere usufruite in busta paga, mese per mese, o direttamente in dichiarazione dei redditi in maniera unitaria.
La detrazione per figli a carico spetta ai genitori di figli ancora fino al 31 dicembre 2021 e poi, dal 1° gennaio 2022, verrà sostituita dall’Assegno unico.

A quanto ammonta l’importo delle detrazioni per figli a carico?

Le “vecchie” detrazioni per figli a carico (che spettano fino a fine anno per chi già le percepisce) dipendono da una serie di fattori che sono: il reddito del contribuente, se la detrazione viene ripartita con l’altro genitore; il numero di figli; la loro età condizione di salute.

BannerBannerLa legge prevede le seguenti detrazioni:

  • 1.200 euro annui per ogni figlio di età inferiore ai 3 anni;
  • 950 euro annui per ogni figlio di età pari o superiore ai 3 anni;
  • 1.650 euro annui per ogni figlio portatore di handicap di età inferiore ai 3 anni;
  • 1.350 euro annui per ogni figlio portatore di handicap di età pari o superiore ai 3 anni.

Questi importi di detrazioni sono aumentati di 200 euro per ogni ulteriore figlio a partire dal primo se la famiglia ha più di tre figli.

 Quando e cosa cambia per le detrazioni figli a carico con il passaggio all’Assegno unico?

Dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2021 non cambia niente per chi ha le detrazioni per figli a carico. La “misura ponte” in vigore dal 1° luglio riguarda, infatti, solo i soggetti attualmente esclusi, che non hanno diritto alle detrazioni per figli a carico.

Dal 1° gennaio 2022, invece, salvo modifiche dell’ultim’ora, non vi saranno più le detrazioni per figli a carico in busta paga e i parametri e i requisiti per ottenere l’Assegno unico saranno diversi da quelli attuali per beneficiare delle detrazioni.

Quando i figli non sono più a carico?

Le detrazioni per figli a carico attualmente spettano quando il figlio non percepisce redditi annui superiori a 2.840,51 euro o, se minore di 24 anni, 4.000 euro. Questo paramento cambierà quando l’Assegno unico, a gennaio 2022, entrerà in vigore definitivamente in quanto tale ultima misura è stata pensata per i nuclei famigliari con figli fino a 21 anni, salvo questi non siano disabili.

 

Leggi anche:
Nuovo assegno unico figli: dal 1° luglio la sperimentazione

 

 

 

Detrazioni figli a carico 2022: Assegno Unico per gli underi 21

Detrazioni figli a carico 2022: Assegno Unico per gli underi 21

 

Sulle detrazioni per i figli a carico attualmente esistenti sorgono alcuni dubbi per quanto riguarda la coesistenza con quello che sarà l’Assegno Unico Universale. Questa misura riguarda infatti una erogazione mensile che sarà garantita a tutte le famiglie con figli a carico fino a 21 anni di età. Questo sostegno è una delle novità principali del 2022, e viene confermata dall’ultima manovra. Tuttavia alcuni si chiedono cosa accadrà alle detrazioni per i figli a carico esistenti precedentemente, detrazioni che ogni anno vengono corrisposte ai lavoratori dipendenti con figli in sede di dichiarazione dei redditi.

L’Assegno Unico va ad assorbire tutta una serie di sostegni presenti in precedenza a favore dei figli delle famiglie italiane. Si tratta di sostegni come i diversi bonus per le famiglie, come il premio alla nascita o sostegni simili.

Per quanto riguarda le detrazioni a carico bisogna sapere che ancora per qualche mese sarà possibile per tutti i lavoratori dipendenti accedervi, ma successivamente non esisteranno più.

L’Assegno Unico infatti sarà operativo dal primo marzo 2022, assorbendo tutte le detrazioni esistenti per i figli a carico. Vediamo in questo articolo come funzionerà questa nuova misura per le famiglie italiane e cosa comporterà per le detrazioni esistenti in precedenza.

Detrazioni figli a carico: di cosa si tratta

Attualmente le normative italiane prevedono che per tutti i lavoratori dipendenti, ovvero per tutti i cittadini che lavorano per una azienda o impresa e per un datore di lavoro, possono accedere a degli sgravi in sede di dichiarazione dei redditi, nel momento in cui sono presenti dei figli.

Questi sgravi sono detrazioni fiscali erogate per i figli a carico, per cui i cittadini possono beneficiare anche in base al numero di componenti del nucleo familiare. In questo senso quindi le famiglie più numerose possono beneficiare di maggiori detrazioni fiscali nel momento in cui provvedono alla dichiarazione dei redditi.

Tuttavia i dubbi che sorgono per i cittadini riguardano la possibilità di accedere nuovamente a queste agevolazioni fiscali nonostante da marzo 2022 sarà attiva la misura dell’Assegno Unico per tutte le famiglie.

Sulle detrazioni fiscali le normative che riguardano il nuovo Assegno Unico sono chiare: esse verranno assorbite da questa misura completamente. Questo significa che per il momento chi desidera ancora accedere alle detrazioni fiscali per i figli a carico può farlo solamente per i primi mesi del 2022, ovvero per gennaio e febbraio.

Le detrazioni fiscali non sono le uniche componenti che verranno assorbite completamente da questa nuova misura, perché anche altri bonus spariranno si tratta del bonus bebè, degli assegni al nucleo familiare, il premio alla nascita.

Riassumiamo nella tabella, in base alle informazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate, a quanto ammontavano annualmente le erogazioni sotto forma di detrazioni IRPEF per figli a carico:

Età del figlio Detrazione fiscale spettante
Figlio con età inferiore a tre anni 1.220 euro di detrazione
Figlio con età pari o superiore ai tre anni 950 euro di detrazione
Figlio portatore di handicap con età inferiore a tre anni 1.620 euro di detrazione
Figlio portatore di handicap con età uguale o superiore a tre anni 1.350 euro di detrazione
Con più di tre figli a carico 200 euro in più per ogni figlio a partire dal primo

Queste detrazioni scompariranno definitivamente, per questo motivo alcuni ritengono che, rispetto all’importo dell’Assegno Unico, ci saranno famiglie che andranno a perderci in termini di cifra del sostegno. Tuttavia l’Assegno Unico verrà garantito universalmente, per importi che variano da 50 euro a 175 euro, esteso fino a 21 anni di età.

Detrazioni IRPEF ordinarie per i figli di età superiore a 21 anni

Ai sensi dell’art. 10, commi 4 e 5, D.Lgs. n. 230/2021, a decorrere dal primo marzo 2022 le detrazioni IRPEF per i figli a carico (art. 12, comma 1, lettera c, TUIR) sono applicabili esclusivamente per i figli di età pari o superiore a 21 anni. Quindi, per tali soggetti rimangono in vigore le ordinarie detrazioni IRPEF, fruibili in busta paga o in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Assegno Unico, detrazioni fiscali e ANF

L’Assegno Unico di fatto introdurrà una nuova erogazione mensile standard per le famiglie italiane, in base al reddito complessivo prodotto dal nucleo familiare. L’assegno unico è operativo dal primo gennaio 2022, in quanto da questo momento è possibile presentare alcune domande per accedere all’erogazione, tuttavia sarà effettivamente erogato soltanto partire da marzo.

Come spiega anche la comunicazione ufficiale INPS, oltre a tutti i bonus che vengono sostituiti da questa misura, anche gli ANF termineranno. Rimane attivo invece il bonus asilo nido, per cui precedentemente si ipotizzava una eliminazione:

“Il Premio alla nascita (Bonus mamma domani), l’Assegno di natalità (Bonus bebè), gli ANF e le detrazioni per i figli a carico al di sotto dei 21 anni. Rimarrà invece vigente il bonus nido.”

Secondo quanto spiegato dall’ente previdenziale stesso, a partire da marzo negli stipendi dei lavoratori dipendenti non saranno più presenti le detrazioni fiscali e gli assegni familiari ANF, sostituiti in tutto e per tutto dall’ultima misura dell’Assegno Unico.

Per chi si chiede quindi se nel 2022 sarà ancora possibile accedere alle detrazioni per i figli a carico e agli ANF, la risposta è sì, ma solamente per gennaio e febbraio 2022. Da marzo, a seguito dell’accoglimento delle domande per la ricezione della nuova misura, verrà garantita una nuova erogazione ai cittadini che ne possono beneficiare, in base all’ISEE del nucleo familiare specifico.

Detrazioni fiscali: quali rimangono

Bisogna anche segnalare che alcune detrazioni fiscali per le spese sostenute per i figli rimarranno possibili in sede di dichiarazione dei redditi. Rimangono infatti uguali tutte le detrazioni fiscali che spettano alle famiglie per tutte quelle spese sostenute per i figli a carico, o eventuali altri familiari, a livello di IRPEF.

Si tratta di agevolazioni che possono essere richieste durante la dichiarazione dei redditi dai cittadini lavoratori dipendenti. A questo proposito quindi le agevolazioni rimarranno per quanto riguarda le spese sanitarie o mediche, le spese per i trasporti, alcune spese per l’istruzione e per altri tipi di servizi specifici.

Queste detrazioni fiscali non vanno confuse con quelle che saranno assorbite dall’Assegno Unico, che fanno riferimento esclusivamente all’agevolazione che fino ad ora è stata portata in sede di dichiarazione dei redditi a tutti lavoratori dipendenti direttamente in busta paga, nel caso della presenza di figli.

Lo stesso vale per tutti quei casi in cui in famiglia è presente un componente portatore di handicap: in questo caso, oltre ad esserci un Assegno Unico maggiorato, sono anche garantiti tutti i sostegni fiscali relativi alle spese specifiche sostenute per eventuali medicinali e apparecchiature.

Assegno Unico: cosa cambia da marzo

Da marzo con l’arrivo dell’Assegno Unico per tutti i genitori italiani sarà possibile richiedere un sostegno mensile erogato a favore dei figli. Si tratta di una misura che nel 2021 è stata introdotta parzialmente per i lavoratori autonomi e per i disoccupati, sotto forma di assegno temporaneo, e nel 2022 estesa anche ai lavoratori dipendenti.

Questa misura garantirà un sostegno economico mensile minimo a tutte le famiglie con figli fino ai 21 anni di età: sarà estesa a lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti e disoccupati.

Per chi vuole richiedere questa particolare erogazione c’è tempo fino a marzo 2022: sarà necessario in questo caso presentare tutti i dati relativi al reddito familiare, riassunti dall’indicatore ISEE aggiornato.

Questo dato infatti darà come risultato la cifra esatta che ogni mese la famiglia potrà ricevere per il mantenimento dei figli, mentre in assenza di questo dato verrà erogata alla singola famiglia l’importo minimo della misura.

Verranno infine riassorbiti tutti i bonus presenti per i figli in precedenza, ad eccezione del bonus asilo nido. Le detrazioni fiscali per figli a carico, gli ANF, il bonus bebè, il bonus mamma e altri sostegni similari scompariranno per confluire in un’unica erogazione.

 
 

Assegno unico, la fregatura delle detrazioni per figli a carico

Assegno unico, la fregatura delle detrazioni per figli a carico

Le detrazioni per figli a carico con l’assegno unico universale sono limitate e penalizzanti. Con la riforma, lo Stato taglia 7,8 miliardi di spesa alle famiglie.

Assegno unico figlio che compie 18 anni dopo la domanda: istruzioni INPS

Molte sono le novità in arrivo con l’introduzione dell’assegno unico universale dal 1 luglio. La riforma, voluta dal governo Conte per semplificare il welfare delle famiglie con figli rischia però di creare più problemi che benefici.

Come noto nell’assegno unico confluiranno tutta una serie di bonus e agevolazioni per i quali oggi occorre presentare distinta domanda alle amministrazioni. Fra questi, l’assegno unico erogato dai Comuni, il premio alla nascita, il bonus bebè, l’assegno per il nucleo familiare (ANF), e altri ancora.

Detrazioni fiscali e assegno unico

Nell’assegno unico confluiranno, però, anche le detrazioni fiscali. E uno dei punti dolenti della riforma è proprio questo. Essendo la nuova misura di sostegno alle famiglie con figli limitata fino al 21 esimo anno di età dei figli è penalizzante.

Oggi, infatti, le detrazioni Irpef per figli a carico sono riconosciute in base all’età del figlio e al reddito percepito. Più precisamente la detrazione fiscale è stabilita in 950 euro all’anno (1.220 euro per i figli fino a 3 anni) e 400 euro in più per i figli portatori di handicap. Detti soldi spettano se i figli percepiscono redditi inferiori a 4.000 euro fino a 24 anni di età e 2.840,51 se superano i 24 anni.

L’assegno unico, invece, prevede il sostegno economico solo fino al compimento del 21 esimo anno di età del figlio a prescindere dal reddito e solo se studente. Dopo il 21 esimo anno, nessun bonus è più riconosciuto.

Assegno unico penalizzante

Così, l’assegno unico universale, se da un lato semplificherà il welfare delle famiglie con figli, dall’altro sarà penalizzante. Il governo Conte, in realtà ha mascherato con la scusa della semplificazione amministrativa un taglio alle spese familiari.

Tant’è che dalla soppressione di questa misura si otterrà un risparmio di 7,8 miliardi di euro.Vero che mancano ancora i decreti attuativi per regolamentare con precisione l’erogazione dell’assegno unico, ma il disegno di legge già approvato dal parlamento è abbastanza chiaro. Il maggior onere di questa riforma ricadrà sulle famiglie con figli. Dal 21 esimo anno in poi, infatti, nessun aiuto economico sarà più previsto.

Non solo. A stabilire quanto percepirà una famiglia con figli, sarà l’Isee. L’indicatore economico è obbligatorio per poter accedere all’assegno unico che verrà pagato dall’Inps. Secondo le stime de Il Sole 24 Ore, con un valore Isee fino a 30.000 euro si arriverebbe a percepire 161 euro al mese per un nucleo familiare di tre persone con un figlio minore. Cifra che salirebbe a 97 euro al mese per ciascun figlio maggiorenne fino a 21 anni di età.

250 euro a famiglia?

Come preannunciato dal governo Conte, le famiglie con figli dovrebbero beneficiare fino a 250 euro al mese. Questa sarebbe la misura massima, secondo i criteri di progressività previsti dal riordino del welfare familiare.

In realtà, però, secondo alcune simulazioni effettuate dall’Istat e gruppi di ricerca, ci si accorge che pochissime delle 7,6 milioni di famiglie italiane potenzialmente beneficiarie potranno godere di tale assegno.

Questo importo è riconosciuto solo se in famiglia sono presenti figli disabili per i quali la legge riserva un incremento fino al 50% dell’assegno unico. Per la generalità delle famiglie, invece, tale beneficio si fermerebbe a 161 euro al mese con Isee per nucleo familiare fino a 30.000 euro.

Con Isee superiore a 52 mila euro, poi, non spetterebbe nulla (oggi invece sì). Una fregatura che si spera venga corretta dai decreti attuativi. O al limite che si cerchi di rinviare l’entrata in vigore della riforma a tempi migliori, come chiedono anche i sindacati che già fanno notare come molte famiglie avranno difficoltà a richiedere per tempo il certificato Isee.

Le spese detraibili

Vi sono poi le spese detraibili per i figli a carico.

Posto che dopo i 18 anni (21 se si è studenti) l’assegno unico non esiste più, resta da capire come potranno essere detratte tutte quelle spese che i genitori sostengono per i figli che non lavorano.Vengono, ad esempio, in mente le spese sanitarie o quelle universitarie. Venendo a mancare il requisito della detrazione Irpef dopo i 21 anni con la riforma, tutte queste spese non troveranno più ambito di detrazione nella dichiarazione dei redditi.

E in un Paese dove la disoccupazione giovanile è al 32% (al Sud si supera il 50%) è un danno enorme al sostegno per le famiglie meno abbienti. Una riforma che rischia di fare più male che bene, alla fine dei conti.

 

Sezione Prima giurisdizionale Centrale Appello n. 208/2022 Quantificazione danno d’immagine non meramente simbolica

Sezione Prima giurisdizionale Centrale Appello n. 208/2022 Quantificazione danno d’immagine non meramente simbolica

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Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

I magistrati contabili intervengono sui criteri valutativi adottati nella quantificazione del danno all’immagine evidenziando che: “sebbene il danno all’immagine rientri nella categoria del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) e perciò soggetto a valutazione equitativa del giudice, è altrettanto vero che non si può procedere a una quantificazione meramente simbolica in quanto si finisce per svilire del tutto il significato afflittivo della sanzione diretta al ristoro del danno subito dall’Amministrazione in termini di prestigio e credibilità così come ha fatto il giudice di prime cure nel caso di specie”. Infatti, l’orientamento consolidato della Corte nella definizione del danno all’immagine, evidenzia che pur classificandosi quale danno erariale il danno all’immagine è contrassegnato dalla lesione del buon andamento dell’amministrazione, “la quale, per la condotta illecita di agenti infedeli, perde credibilità e apprezzamento poiché ingenera la convinzione che tali comportamenti rappresentino l’ordinario modo di agire e non soltanto tra i cittadini amministrati, ma anche al di là degli angusti limiti dell’ambiente in cui si sono sviluppati, sia professionalmente sia geograficamente inteso” (ex multis: sez. giur. Lombardia 284/08 e 540/08; Sez. III Appello n.55/2012; SS.RR. n.10/2003).

 

In Olanda calerà il sipario sul Welfare State?

In Olanda calerà il sipario sul Welfare State?

In Olanda calerà il sipario sul Welfare State? Così parrebbe rileggendo le parole che il re dei Paesi Bassi Guglielmo Alessandro ha pronunciato il 18 settembre davanti al Parlamento in occasione dell’approvazione del bilancio per il 2014. Il discorso del sovrano, come normale in tutte le monarchie costituzionali, ha espresso le posizioni del governo nazionale, che pare deciso a continuare la politica di austerity che anche il Paese degli Orange si trova ormai costretto a dover applicare con sempre maggior rigore.

“Il classico Welfare State, quello sviluppatosi nella seconda metà del ventesimo secolo, ha portato ad accordi che sono insostenibili nella loro forma attuale. Così re Guglielmo Alessandro ha sintetizzato il problema che secondo il suo governo affligge lo Stato Sociale olandese. Quest’ultimo con le sue “regole e norme obsolete” ha spiegato il sovrano “si è sviluppato su un terreno che non può più sostenerlo”. Per questo il sistema deve trasformarsi, orientandosi verso quella che il re ha indicato come la “società della partecipazione”, dove ai cittadini sarà chiesto di “assumersi le proprie personali responsabilità, per la propria vita e quella di chi sta loro vicino”. In parole povere, nei prossimi mesi, lo Stato non garantirà più alcuni servizi, che dovranno essere necessariamente presi in mano dagli olandesi così come, secondo il governo, già avviene in diversi ambiti, come sicurezza sociale e long term care.

Il discorso del sovrano arriva alla vigilia dell’approvazione del bilancio per il 2014 che, nonostante le politiche di taglio e risparmio attuate a partire dal 2010, appare tutt’altro che semplice. La situazione economica dei Paesi Bassi negli ultimi mesi, infatti, non ha fatto passi avanti come si aspettavano gli analisti, tanto che il rapporto deficit-Pil dovrebbe sfondare il tetto imposto dall’Unione Europa e attestarsi al 3.3%, al di sopra del noto limite del 3%. Il dato rappresenta un campanello di allarme per il governo di coalizione – formato dai liberali del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia e dal Partito Laburista olandese – nonché uno smacco per il suo primo ministro, Mark Rutte. Quest’ultimo si è quasi sempre schierato al fianco di Angela Merkel nel sostenere le politiche di austerità promosse dall’UE, e non si è mai tirato indietro quando c’è stato da tirar le orecchie ai Paesi dell’area mediterranea. La scelta di andare a incidere sul “vecchio” Welfare State appare dunque una mossa per rimettere in ordine i conti e rientrare nei parametri di Maastricht il prima possibile, onde evitare possibili sanzioni da parte di Bruxelles.

Il governo senza dubbio non ha perso tempo: le parole pronunciate da Guglielmo Alessandro sono state seguite da fatti concreti ben prima di quanto ci si potesse aspettare. Nelle ultime ore il ministro delle Finanze Jeroen Dijsselbloem ha infatti annunciato tagli al welfare per 6 miliardi di euro, che andranno a intaccare soprattutto l’assistenza sanitaria, e che sicuramente comporteranno maggior costi, economici e non solo, per i cittadini olandesi.

La politica intrapresa dall’esecutivo di Amsterdam evidentemente rappresenta una scelta discutibile, che rischia di determinare fratture sociali significative all’interno del Paese. L’arretramento dello Stato potrebbe infatti comportare importanti conseguenze per la popolazione olandese, in particolare per quella parte della classe media che, pur non potendo essere annoverata tra i poveri, da quando è iniziata la crisi economica si trova in situazione di malessere crescente. Se infatti le tutele per gli indigenti difficilmente verranno meno nonostante i tagli annunciati, una parte consistente di cittadini potrebbe scivolare in situazioni di disagio sociale finora inedite, incapaci di rispondere autonomamente ai propri bisogni sociali e nel contempo privi dei requisiti necessari per ottenere il sostegno minimo da parte delle istituzioni. In un momento in cui i rischi e bisogni dei cittadini si fanno più articolati e numerosi a causa della crisi che non passa, l’improvviso venir meno del settore pubblico in diversi ambiti in cui attualmente garantisce servizi potrebbe quindi rappresentare un ulteriore peso difficilmente sostenibile.

Allo stesso tempo, tuttavia, la maggiore responsabilizzazione della società civile potrebbe permettere a numerosi corpi intermedi di esprimere le proprie potenzialità. A condizione che il settore pubblico operi un disimpegno progressivo e non improvviso, e supporti adeguatamente la popolazione nel passaggio a un sistema meno incentrato su servizi di welfare garantiti unicamente dagli attori pubblici, l’Olanda potrebbe diventare un interessante laboratorio sociale a cui far riferimento. E’ per tale ragione che occorrerà dunque aspettare di capire come, quanto e con quali tempistiche lo Stato olandese diminuirà il proprio impegno in tema di politiche sociali, in modo da poter valutare anche l’emergere di concrete politiche di secondo welfare, non sostitutive dell’intervento pubblico ma capaci di integrarne le azioni. 

 

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Sezione VI Ordinanza del 18/5/2022 causa C-450-21 Impiego pubblico – docenti precari – carta del docente – incompatibilità con ordinamento comunitario

Sezione VI Ordinanza del 18/5/2022 causa C-450-21 Impiego pubblico – docenti precari – carta del docente – incompatibilità con ordinamento comunitario

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Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

La Corte di giustizia europea con l’ordinanza emessa nella causa C-450/21 il 18 maggio scorso ha dichiarato incompatibile con l’ordinamento eurounitario la norma che preclude ai docenti precari il diritto di avvalersi dei 500 euro della carta per l’aggiornamento e la formazione del docente del docente. L’ordinanza della Corte è stata pronunciata a seguito di un ricorso presentato al giudice monocratico da una docente precaria, che lamentava un trattamento discriminatorio nonostante la situazione giuridica dei docenti precari fosse comparabile con quella dei docenti di ruolo, a cui era stato precluso l’accesso alla carta del docente ai sensi dell’art. 1 co.121 L. 107/2015. Di fatto, insegnanti di ruolo e precari svolgono le stesse mansioni e sono in possesso delle medesime competenze disciplinari, pedagogiche, metodologiche – didattiche, organizzativo relazionali e di ricerca, conseguite attraverso il maturare dell’esperienza didattica riconosciuta dalla stessa normativa interna come equipollente. La Corte di giustizia europea ha, pertanto, affermato l’incompatibilità dell’articolo 1, comma 121, della legge n. 107/2015 con l’ordinamento comunitario. «La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato della direttiva 1999/70/CE del  Consiglio, del 28  giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, Unice e Ceep sul lavoro a tempo determinato», spiegano  i giudici di Bruxelles, «deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo determinato ditale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell’importo di 500 euro all’anno».

 

Sottoscritta l’Ipotesi di Accordo sulle modalità di adesione al Fondo Pensione Espero, anche mediante forme di silenzio-assenso

Sottoscritta l’Ipotesi di Accordo sulle modalità di adesione al Fondo Pensione Espero, anche mediante forme di silenzio-assenso

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Ieri, 31 maggio, è stata sottoscritta l’Ipotesi di accordo sulla regolamentazione inerente alle modalità di espressione della volontà di adesione al Fondo pensione Espero, anche mediante forme di silenzio-assenso, ed alla relativa disciplina di recesso del lavoratore.

L’accordo si applica al personale assunto, dopo il 1° gennaio 2019, nelle amministrazioni pubbliche destinatarie del Fondo Nazionale Pensione Complementare per i lavoratori della Scuola Fondo Pensione Espero, il fondo di previdenza complementare negoziale a cui possono aderire tutti i lavoratori della scuola e delle Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica.

In analogia a quanto già avviene nel settore privato, e all’accordo sottoscritto per il Fondo Perseo-Sirio in data 16 settembre 2021, l’accordo prevede sia l’adesione espressa, mediante una esplicita manifestazione di volontà dell’aderente, sia l’adesione mediante silenzio-assenso (cosiddetta “adesione tacita”).

Per questo secondo caso, l’accordo definisce modalità e regole che assicurino una puntuale ed esaustiva informazione per i neo-assunti. Si prevede, infatti, che il lavoratore al momento dell’assunzione riceva una dettagliata informativa dalla propria amministrazione, contenente informazioni generali sulla previdenza complementare e informazioni specifiche sul Fondo Espero, anche mediante rinvio al sito web del Fondo o di siti web istituzionali, sulla possibilità di iscriversi e sul meccanismo del silenzio-assenso. Nei nove mesi successivi, il lavoratore può iscriversi espressamente o dichiarare che non vuole iscriversi (in tale ultimo caso, naturalmente, non scatta il meccanismo del silenzio-assenso). Se non fa né l’una né l’altra cosa allo scadere dei nove mesi egli è iscritto. Riceverà, quindi, una seconda comunicazione, stavolta da parte del Fondo Espero, che lo informerà dell’avvenuta iscrizione evidenziando anche che, entro un mese, potrà esercitare il diritto di recesso. Solo dopo che è trascorso questo ulteriore periodo, senza che sia stata manifestata alcuna volontà, l’iscrizione si perfeziona.

L’accordo è stato sottoscritto nella forma di Ipotesi e sarà efficace solo dopo il completamento dell’iter dei controlli previsto per i contratti collettivi di lavoro sottoscritti dall’Aran.

Per approfondire il tema della previdenza complementare, si rinvia alla guida introduttiva alla previdenza complementare curata da Covip:

https://www.covip.it/per-il-cittadino/educazione-previdenziale/guida-introduttiva-alla-previdenza-complementare

Per maggiori informazioni sul Fondo pensione Espero, si rinvia al sito internet del Fondo:

https://www.fondoespero.it

È on-line il nuovo “Rapporto semestrale dell’Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti”

È on-line il nuovo “Rapporto semestrale dell’Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti”

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Il nuovo “Rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti” analizza nella prima sezione la retribuzione complessiva dei dipendenti contrattualizzati Aran nella sua composizione, disaggregata in macro voci:

–      la retribuzione base che comprende le voci retributive dovute ai singoli dipendenti per il fatto stesso di appartenere ad un certo comparto e di essere inquadrati ad un determinato livello;

–      le indennità fisse – come le indennità di amministrazione o di comparto o professionali – che include voci largamente assimilabili a quelle della retribuzione fissa, in quanto percepite da tutto il personale, con valori spesso graduati in base alle categorie di inquadramento;

–      le indennità variabili che remunerano istituti usualmente legati ad una specifica prestazione o un impegno aggiuntivo e che sono richieste solo ad una parte del personale;

–      la premialità che raccoglie gli istituti legati alla premialità collettiva e individuale;

–      la responsabilità che comprende gli istituti destinati a quote limitate di personale che tendono a valorizzare maggiori responsabilità e professionalità – come nel caso delle indennità di funzione per le posizioni organizzative e le retribuzioni di posizione, le indennità di incarico e di coordinamento o di responsabilità professionale;

–      infine gli straordinari istituto quasi desueto e poco rilevante.

La fotografia che ne risulta evidenzia il forte peso delle componenti stabili (retribuzione base e indennità fisse), con variazioni che oscillano fra il 72% degli Enti pubblici non economici, l’80% delle Agenzie fiscali fino a circa il 95% per Scuola Ricerca e Università.

La seconda parte esamina l’andamento della quota dedicata alla premialità con particolare riferimento ai comparti che presentano valori più elevati, anche se variabili, con percentuali comprese fra il 12% e il 14% della retribuzione complessiva per il comparto delle Agenzie fiscali e gli Enti pubblici non economici, e gli altri comparti che destinano agli istituti legati alla premialità collettiva e individuale cifre più modeste, con quote fra il 5% e il 7%. La sezione finale nell’indagare circa la possibile correlazione fra valori retributivi più elevati e una quota di premialità più consistente rileva una buona associazione fra le due entità in quasi tutti i comparti; invece, l’ipotesi che una buona dinamica retributiva favorisca l’innalzamento della premialità non trova affermazione dalle risultanze dei dati.

La seconda sezione del Rapporto approfondisce, come di consueto, la dinamica registrata per le retribuzioni contrattuali dei settori pubblici e privati. Si tratta di un focus specifico che prende in considerazione gli andamenti delle sole voci retributive con importi “tabellati” definiti nel contratto nazionale. I dati delle retribuzioni contrattuali del settore privato e della pubblica amministrazione di questa sezione, sono aggiornati al comunicato stampa Istat del 28 aprile 2022, che riporta le informazioni del primo trimestre dell’anno.

Con uno sguardo al passato, la variazione cumulata per il periodo 2013/2022 restituisce una crescita delle retribuzioni contrattuali per l’intera economia del +9,8%, di cui il +11,5% per il complesso del settore privato (+13,2% industria +9,7% per i servizi privati); +6,1% per il complesso della pubblica amministrazione (+8,0% per il personale non dirigente delle forze armate e dell’ordine; +4,7% per il personale non dirigente rappresentato dall’Aran quale parte datoriale. La variazione cumulata dell’inflazione per il decennio considerato è pari al +11,8%.

Volgendosi al futuro, data la tempistica dei rinnovi contrattuali, i meccanismi di determinazione degli incrementi attualmente seguiti e considerata la persistenza della spinta inflazionistica, a fine 2022 si stima si giungerà ad una perdita di potere d’acquisto valutabile in quasi cinque punti percentuali.

Sottoscritta l’Ipotesi di Accordo sulle modalità di adesione al Fondo Pensione Espero, anche mediante forme di silenzio-assenso

Sottoscritta l’Ipotesi di Accordo sulle modalità di adesione al Fondo Pensione Espero, anche mediante forme di silenzio-assenso

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Ieri, 31 maggio, è stata sottoscritta l’Ipotesi di accordo sulla regolamentazione inerente alle modalità di espressione della volontà di adesione al Fondo pensione Espero, anche mediante forme di silenzio-assenso, ed alla relativa disciplina di recesso del lavoratore.

L’accordo si applica al personale assunto, dopo il 1° gennaio 2019, nelle amministrazioni pubbliche destinatarie del Fondo Nazionale Pensione Complementare per i lavoratori della Scuola Fondo Pensione Espero, il fondo di previdenza complementare negoziale a cui possono aderire tutti i lavoratori della scuola e delle Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica.

In analogia a quanto già avviene nel settore privato, e all’accordo sottoscritto per il Fondo Perseo-Sirio in data 16 settembre 2021, l’accordo prevede sia l’adesione espressa, mediante una esplicita manifestazione di volontà dell’aderente, sia l’adesione mediante silenzio-assenso (cosiddetta “adesione tacita”).

Per questo secondo caso, l’accordo definisce modalità e regole che assicurino una puntuale ed esaustiva informazione per i neo-assunti. Si prevede, infatti, che il lavoratore al momento dell’assunzione riceva una dettagliata informativa dalla propria amministrazione, contenente informazioni generali sulla previdenza complementare e informazioni specifiche sul Fondo Espero, anche mediante rinvio al sito web del Fondo o di siti web istituzionali, sulla possibilità di iscriversi e sul meccanismo del silenzio-assenso. Nei nove mesi successivi, il lavoratore può iscriversi espressamente o dichiarare che non vuole iscriversi (in tale ultimo caso, naturalmente, non scatta il meccanismo del silenzio-assenso). Se non fa né l’una né l’altra cosa allo scadere dei nove mesi egli è iscritto. Riceverà, quindi, una seconda comunicazione, stavolta da parte del Fondo Espero, che lo informerà dell’avvenuta iscrizione evidenziando anche che, entro un mese, potrà esercitare il diritto di recesso. Solo dopo che è trascorso questo ulteriore periodo, senza che sia stata manifestata alcuna volontà, l’iscrizione si perfeziona.

L’accordo è stato sottoscritto nella forma di Ipotesi e sarà efficace solo dopo il completamento dell’iter dei controlli previsto per i contratti collettivi di lavoro sottoscritti dall’Aran.

Per approfondire il tema della previdenza complementare, si rinvia alla guida introduttiva alla previdenza complementare curata da Covip:

https://www.covip.it/per-il-cittadino/educazione-previdenziale/guida-introduttiva-alla-previdenza-complementare

Per maggiori informazioni sul Fondo pensione Espero, si rinvia al sito internet del Fondo:

https://www.fondoespero.it

INPS Mobile: nuovo servizio per la consultazione dell’ISEE

INPS Mobile: nuovo servizio per la consultazione dell’ISEE

Relativamente agli interventi e alle iniziative in ambito di innovazione e trasformazione digitale attuate dall’Istituto e rivolte alla semplificazione e all’efficientamento dei processi previsti per i cittadini, l’app INPS Mobile è stata arricchita integrando al suo interno il nuovo servizio Consultazione ISEE .
Il servizio consente di scaricare e visualizzare l’ultima attestazione ISEE in corso di validità.

Si ricorda che l’app INPS Mobile è disponibile sia per il sistema operativo Android che per IOS ed è utilizzabile da parte dei cittadini muniti di SPID o di CIE (Carta Identità Elettronica).

Albania e inclusione sociale

Albania e inclusione sociale

Albania – foto di Lasien Vojo

E’ tra i paesi più poveri d’Europa, nonostante tassi di crescita economica sempre sopra lo zero. E questo ha forti conseguenze anche sull’inclusione sociale dei gruppi più deboli. Un approfondimento

04/07/2012 –  Gian Matteo Apuzzo

L’Albania è uno dei paesi con più bassi livelli di reddito in Europa e nei Balcani, presentando un reddito annuo procapite stimato in 2973 € per il 2011 (fonte Agenzia Nova), che è comunque il 6% in più del 2008. Infatti, i tassi di crescita fin dagli anni ’90 sono tra i più alti di tutte le economie in transizione, ma il paese nelle statistiche sulla povertà supera solo il Kosovo.

In questo quadro le politiche sociali – e di welfare in generale – risentono di un processo di cambiamento che non è riuscito ancora ad affrontare in modo efficace le maggiori criticità della società albanese.

Il processo di riforme istituzionali iniziato nel 1991 ha portato l’Albania ad affrontare una serie di ristrutturazioni verso la costruzione di uno stato democratico e all’apertura del libero mercato, ma gli anni della transizione sono stati caratterizzati dalla forte instabilità di istituzioni che si sono rivelate incapaci di affrontare le nuove sfide.

La mancata definizione di adeguate politiche sociali e le limitate risorse economiche hanno fatto emergere una nuova massa di gruppi sociali a rischio di marginalizzazione e il sistema dei servizi sociali è ancora lungi dal garantire qualità e trasparenza tali da coprire il fabbisogno di una domanda crescente.

 

Il report della Commissione europea

Il report della Commissione europea del 2008 sul “Processo di inclusione sociale in Albania”, presenta una situazione contraddittoria e con molti chiaro-scuri, dove, se da una parte i dati ufficiali mostrano un calo della povertà assoluta, dall’altra sono sempre più in aumento le diseguaglianze tra i diversi gruppi sociali e tra le varie aree territoriali del paese.

Il report riconosce che il sistema pubblico di protezione sociale offre una seppur limitata copertura ad alcuni gruppi bisognosi: gli anziani, i disabili e gli orfani. Ma sottolinea che l’esclusione sociale è ancora alta in Albania ed è frutto della povertà, della debolezza dei processi di governance, della bassa decentralizzazione, di politiche sociali insufficienti, di inefficienza nel rispondere ai bisogni delle famiglie povere e inadeguata implementazione delle leggi esistenti.

Uno degli aspetti critici sottolineati è proprio una definizione omogenea dei gruppi a rischio, resa tra l’altro complicata anche dalla presenza di diverse agenzie internazionali che usano metodologie e strumenti diversi tra loro.

 

La strategia di inclusione sociale

Un passaggio importante nella definizione di una maggiore chiarezza dei bisogni, dei gruppi vulnerabili e delle politiche a questi indirizzate, è stata l’approvazione da parte del governo albanese della “Strategia di inclusione sociale 2007-2013” (promulgata all’inizio del 2008), in cui vengono delineate le priorità, i mezzi e le risorse da impiegare per la riforma globale delle politiche sociali, considerate come parte integrante di quel processo di adeguamento agli standard europei richiesti dall’Accordo di Stabilizzazione e Associazione (2006).

Tale strategia si inquadra in una serie di riforme, sia di carattere economico che istituzionale, tra le quali ad esempio di cruciale importanza la riforma verso il decentramento amministrativo (iniziata fin dal 1990 e convogliata nella “Strategia per il decentramento e l’autonomia locali “ nel 2000-2002), che ha dato vita a nuove forme di organizzazione e all’avvio di sistemi di gestione e distribuzione più vicine ai cittadini.

E’ così avvenuto il passaggio da un sistema altamente centralizzato con competenze esclusive in materia di pianificazione – tipico del regime comunista – a un progressivo e difficile trasferimento di poteri e responsabilità a unità amministrative inferiori (regioni, municipi e comuni). La prima normativa sulle funzioni e organizzazioni dei governi locali risale al 1992 ma si deve aspettare il 1998 affinché questa divenga legge (art.13 della nuova Costituzione 1998). Per la prima volta, i governi locali dispongono di una certa autonomia gestionale e finanziaria nonostante la pianificazione e la distribuzione del budget sia ancora prerogativa del governo centrale.

 

I programmi statali

Tra le politiche delle istituzioni albanesi più rilevanti in materia di inclusione sociale bisogna ricordare il Programma di Assistenza Economica (Ndihma Ekonomike), attivo fin dal 1993, totalmente finanziato dal bilancio dello Stato e la cui distribuzione è gestita a livello locale dai municipi (Bashkia) e dai comuni (Komuna).

Due sono gli obiettivi principali per cui vengono erogati contributi attraverso i centri dei Servizi Sociali dislocati sul territorio nazionale: da una parte il sostegno al reddito per le famiglie bisognose per garantire i requisiti del livello minimo di sussistenza; dall’altra assegni per l’invalidità (dalla nascita o acquisita) in seguito alla valutazione da parte di una commissione medica. Sono inoltre previsti dei rimborsi parziali delle bollette elettriche a famiglie particolarmente povere.

Successivamente la legge 9355/2005 sull’Assistenza e i servizi sociali (Ligji per ndihmen dhe sherbimet shoqerore) ha posto le basi per attuare una riforma dei servizi sociali in chiave di decentralizzazione e de-istituzionalizzazione, oltre ad allargare l’erogazione degli aiuti a nuove categorie svantaggiate.

 

Il caso dei disabili

La disabilità in Albania rappresenta ancora un problema di natura culturale, anche se alcuni passi avanti sono stati fatti anche negli interventi. L’inquadramento dato dalla Strategia nazionale per la disabilità e dal Sistema di protezione sociale relativamente alle persone disabili (sia con invalidità dalla nascita che acquisita), ha subito notevoli sviluppi e cambiamenti negli anni della transizione.

Inizialmente infatti, erano previsti dei contributi per le famiglie con persone disabili attraverso il capofamiglia; successivamente i benefici sono stati diretti alla persona disabile e attualmente sono previsti ulteriori aiuti economici per l’assistenza a domicilio nei casi in cui venga ritenuta necessaria dalla commissione medica. Negli ultimi anni c’è stato un incremento di diverse forme di associazionismo per la difesa dei diritti delle persone disabili, nonché residenze preposte alla loro cura ed assistenza nelle principali città del paese.

Ciò nonostante, è ancora elevata l’incapacità di accogliere ed integrare persone disabili o affette da invalidità nel mercato del lavoro, mancano le strutture adeguate sia a livello organizzativo che nelle infrastrutture pubbliche e l’accessibilità in generale è una fortissima criticità.

 

L’aiuto delle organizzazioni internazionali

L’UNDP (United Nations Developement Programme) ha attuato diversi programmi per sostenere lo sviluppo del paese durante la transizione. Il Local Governance Program LGP (2002-2005) si è incentrato sull’affiancamento nel processo di decentramento, promuovendo lo sviluppo di un sistema democratico di governance a livello locale, con l’obbiettivo di ridurre la povertà e la corruzione rafforzando le competenze dei Consigli regionali ed accrescendo la capacità di management delle regioni.

Altri programmi di sostegno sono stati attuati da diversi soggetti, come per esempio dalla Banca Mondiale con il Public Administration Reform (2000) che prevedeva il sostegno alle pubbliche amministrazioni, dall’Ong IDRA (Institute for Developement Research and Alternative) con un progetto di sostegno alla riforma amministrativa, dall’OSFA (Open Society Foundation for Albania) con azioni di sostengo alle riforme istituzionali.

Rilevante sul tema della collaborazione con organizzazioni internazionali e Ong locali in tema di inclusione sociale è la “Strategia nazionale per lo sviluppo e l’integrazione (SKZHI 2007-2012)” che prosegue nel processo di decentramento e rafforza il ruolo degli attori non governativi, promuovendo ad esempio il coinvolgimento di tutti gli attori e i gruppi d’interesse nella lotta all’esclusione sociale e alla povertà. E’ una strategia intersettoriale che stabilisce le principali linee d’azione del governo attraverso l’articolazione di obiettivi concreti e piani di realizzazione per l’offerta di servizi ai gruppi più vulnerabili.

 

Gli obiettivi per il futuro

La Strategia per l’Inclusione Sociale fissa alcuni obiettivi per la modernizzazione del sistema di assistenza sociale: la diminuzione del tasso di povertà assoluta al 12,2% nel 2015; l’allineamento nel 2013 dell’assegno di assistenza economica con il livello minimo di pensione, sempre nel 2013 almeno 70mila famiglie dovrebbero ricevere tale assistenza; il decentramento dei centri di assistenza per anziani e disabili con competenza data al livello comunale; la de-istituzionalizzazione dei servizi per i bambini; nuovi servizi per le famiglie.

In questo processo di riforma bisogna però sottolineare, così come in altri paesi dei Balcani occidentali, che gli enti pubblici albanesi sono ancora gli attori più deboli nel quadro della definizione e dell’implementazione di strategie e interventi nel campo sociale.

La presenza delle organizzazioni internazionali è ancora un aspetto fondamentale, e le risorse che portano al miglioramento del sistema dei servizi sociali sono ancora troppo legate a finanziamenti privati e al ruolo delle Ong che riescono ad ottenere questi finanziamenti e che hanno un ruolo di primo piano nell’erogazione e distribuzione di servizi.

Grazie all’ingente afflusso di finanziamenti e alla disponibilità di risorse umane, le organizzazioni del terzo settore si sono affiancate alle istituzioni finendo spesso però col sostituirle, a causa della scarsa capacità di queste ultime di sostenere i processi in atto. Un rafforzamento delle istituzioni locali e un sistema di valutazione e di monitoraggio sostenibile e coordinato è quindi la vera sfida per le politiche sociali in Albania.

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