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Marghine

Marghine

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Marghine
subregione
Localizzazione
Stato Italia Italia
Regione Sardegna-Stemma.svg Sardegna
Provincia Provincia di Nuoro-Stemma.png Nuoro
Territorio
Coordinate 40°15′59.76″N 8°46′59.88″E

Superficie 475,42 km²
Abitanti 23 127
Densità 48,65 ab./km²
Comuni BiroriBolotanaBororeBortigaliDualchiLeiMacomerSindiaNoragugumeSilanus
Divisioni confinanti PlanargiaMeiloguGoceanoBarbagia di NuoroBarbagia di OllolaiBarigaduCampidano di OristanoMontiferru
Altre informazioni
Lingue italianosardo
Cod. postale 0801x
Prefisso 0785
Fuso orario UTC+1
Nome abitanti (IT) marghinesi
(SCmarghinesos
Cartografia
Marghine – Localizzazione

Il Màrghine è una subregione del Logudoro nella Sardegna centro-occidentale con popolazione di 23 127 abitanti. Il centro abitato principale è Macomer che ha una popolazione di circa 9 600 abitanti.

Geografia fisica[modifica | modifica wikitesto]

 

Panorama della piana del basso Marghine dal paese di Macomer. I monti del Gennargentu sono visibili all’orizzonte.

Territorio[modifica | modifica wikitesto]

Si estende a nord dall’altopiano di Abbasanta e ricade per intero nella provincia di Nuoro; è attraversato in senso longitudinale dalla catena montuosa omonima. Tra le cime più alte si distinguono il monte Santu Padre (1 030 metri), punta Lammeddari (1 118 metri) e infine la più alta punta Palai, che si eleva a quota 1 200 metri s.l.m. I centri urbani che si trovano nella subregione sono BiroriBolotanaBororeBortigaliDualchiLeiMacomerSindiaNoragugumeSilanus. Lungo le pendici meridionali della catena montuosa corre la strada statale 129 Trasversale Sarda, che unisce tra loro i centri abitati di Bortigali, Silanus e Lei; poco distante dall’asse viario si trova Bolotana.

Verso nord-ovest si estende l’altopiano di Campeda, posto ad un’altitudine media di 650 metri, ed attraversato dalla strada statale 131 Carlo Felice. In questa zona si trova Mulargia, piccolo centro frazione di Bortigali, la cui attività economica prevalente ha carattere agro-pastorale. È inoltre il paese più alto del Marghine, posto ad un’altitudine di 700 metri.

Monumenti e luoghi d’interesse[modifica | modifica wikitesto]

Nella parte nord-orientale si estende foresta Burgos, in parte gestita dall’Ente foreste della Sardegna. Nella zona si trovano numerosi nuraghi, alcuni dei quali sono nuraghe Orolo, nuraghe Ponte, nuraghe Santa Barbara, nuraghe Santa Sabina, nuraghe Orolio e nuraghe Corbos.

Società[modifica | modifica wikitesto]

Istituzioni, enti e associazioni[modifica | modifica wikitesto]

Sul territorio del Marghine sono attive varie istituzioni ed enti pubblici che si propongono lo sviluppo economico, sociale e culturale, tra cui l’Unione dei comuni del Marghine, che ha sostituito la precedente comunità montana del Marghine-Planargia, ed il GAL Marghine, il gruppo di azione locale nato nell’ambito della programmazione dei fondi europei per lo sviluppo rurale (FEASR), che coinvolge tutti i dieci comuni dell’area.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni

Baronia (Italia)

Baronia (Italia)

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Baronia
Baronia di Vico
Baronia district viewed from Ariano Irpino.jpeg

La Baronia vista da Ariano Irpino;
il paese visibile sulla montagna è Trevico.

Stati Italia Italia
Regioni Campania Campania (provincia di Avellino)
Territorio CarifeCastel BaroniaFlumeriSan Nicola Baronia San Sossio BaroniaScampitellaTrevicoVallataVallesaccarda
Capoluogo Vico
Superficie 180,88 km²
Abitanti 13 921 (2017)
Densità 76,96 ab./km²
Lingue lingua italianadialetti irpini
Mappa di localizzazione: Italia

Baronia
Baronia

La Baronia è un comprensorio storico-geografico dell’Italia meridionale.

Geografia[modifica | modifica wikitesto]

Territorio[modifica | modifica wikitesto]

La Baronia si estende a cavallo della linea spartiacque appenninica, fra la medio-alta valle dell’Ufita e l’alto corso del Calaggio, quest’ultimo situato sul versante adriatico. La maggior parte del territorio e la quasi totalità dei centri abitati sono comunque collocati sul lato tirrenico.

Ne fanno parte nove comuni della provincia di AvellinoCarifeCastel BaroniaFlumeriSan Nicola BaroniaSan Sossio BaroniaScampitellaTrevicoVallata e Vallesaccarda.

Ad eccezione di Flumeri e Vallata (da lungo tempo autonomi), i comuni della Baronia hanno costituito fino in età moderna un’unica entità amministrativa (la Baronia di Vico, nell’ambito del Principato Ultra del Regno di Napoli) e religiosa (la diocesi di Trevico, suffraganea dell’arcidiocesi di Benevento). Nel basso medioevo la Baronia si estese temporaneamente verso nord fino a comprendere i territori di VillanovaZungoliAccadia e Anzano; quest’ultimo rimase anzi legato alla Baronia fino al 1809.[1]

Quasi tutto il territorio della Baronia è parte integrante della comunità montana dell’Ufita, avente sede in Ariano Irpino. Notevole è la rilevanza naturalistica del territorio: i boschi e sorgenti della Baronia costituiscono infatti una delle zone di protezione speciale della Campania.

Clima[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Stazione meteorologica di Trevico.

La Baronia è soggetta a un clima di tipo temperato-fresco, con inverni piuttosto freddi ed estati solo relativamente calde mentre le precipitazioni, alquanto modeste, tendono a concentrarsi in autunno-inverno ove non mancano le nevicate.

Sismicità[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Terremoti in Irpinia.

L’intero territorio della Baronia è compreso nel distretto sismico dell’Irpinia.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La presenza dell’uomo è attestata in Baronia sin dal V millennio a.C.; reperti archeologici a testimonianza di insediamenti umani preistorici sono stati infatti rinvenuti in località Isca del Pero di Castel Baronia, presso il fiume Ufita.

Notevoli anche i reperti di epoca sannitica, fra i quali spiccano quelli rinvenuti fra le numerose tombe e necropoli dell’area archeologica di Carife.

In epoca romana è già attestata l’esistenza di una villa denominata Trivicum (forse la frazione Civita di San Sossio Baronia) mentre i resti di un forum graccano sono stati rinvenuti nell’ampia valle dell’Ufita, in località Fioccaglie di Flumeri; il nome di tale insediamento rimane ignoto, ma si ipotizza che potesse corrispondere a Forum Aemilii considerato che da lì si dipartiva la via Aemilia.

Durante la dominazione dei Longobardi il territorio faceva parte del gastaldato di Quintodecimo, dipendente dal Ducato di Benevento, che nel 774 divenne Principato.

Intorno all’anno Mille i Normanni occupano la regione, ricacciando i Longobardi e sostituendosi ad essi nel governo dell’area. Nella seconda metà del XI secolo Roberto il Guiscardo, duca di Puglia, Calabria e Sicilia, istituì la Baronia di Vico, affidandone il governo al nipote Gradilone, che decise di fissare la sua residenza a Trevico. Questo centro abitato, situato sulla cima di un monte a 1094 m s.l.m., era infatti ben attrezzato per la difesa e munito di un castello; tuttavia la notevole distanza dalle aree agricole circostanti, la penuria di fonti sorgive e il rigore degli inverni spinsero una parte cospicua della popolazione civile a trasferirsi nei casali sparsi nel territorio, dai quali presero origine gli attuali comuni della Baronia.

Società[modifica | modifica wikitesto]

Lingue e dialetti[modifica | modifica wikitesto]

Accanto alla lingua italiana, nei comuni della Baronia è in uso una varietà del dialetto irpino, con piccole differenze tra una località e l’altra parzialmente attribuibili ad influssi gergali, sebbene l’unico gergo storicamente attestato è il ciaschino, in uso un tempo a Castel Baronia.

Religione[modifica | modifica wikitesto]

Ad eccezione di Vallata, anticamente l’intero territorio della Baronia costituiva la diocesi di Trevico, poi (nel 1818) aggregata a quella di Lacedonia (di cui Vallata faceva già parte). A partire dal 1986 tutta la Baronia è parte integrante della diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia.

Economia[modifica | modifica wikitesto]

Le attività agro-silvo-pastorali rappresentano da sempre la base dell’economia locale. Tra i numerosi prodotti tradizionali delle aree propriamente montane spiccano la castagna di Trevico (di antiche origini), la patata di Trevico (impiantata agli inizi dell’Ottocento) e il prosciutto di Trevico (anch’esso attestato fin dall’Ottocento), tutte dotate di marchio PAT. Nelle fasce collinari domina invece la coltura dell’olivo di varietà Ravece, materia prima per la produzione di olio extravergine Irpinia – Colline dell’Ufita, che invece si fregia del marchio DOP. Infine, nelle aree di fondovalle prossime alla rete autostradale sono sorte alcune aree industriali, con aziende di piccola o media dimensione ad eccezione dell’Industria Italiana Autobus che occupa il grande impianto ex-Irisbus in Valle Ufita.

Infrastrutture e trasporti[modifica | modifica wikitesto]

 

Mappa della Baronia

Il comprensorio è attraversato dall’autostrada A16 con i due caselli di Grottaminarda e Vallata. La viabilità interna è invece assicurata dall’ex strada statale 91, che attraversa o lambisce quasi tutti i comuni della Baronia.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ I comuni di Accadia e Anzano passarono poi alla provincia di Foggia, dapprima temporaneamente (dal 1811 al 1861), quindi in modo definitivo dal 1928 (Accadia) e dal 1929 (Anzano). Il comune di Anzano, che nel 1863 aveva acquisito la denominazione di Anzano degli Irpini, nel 1931 venne ridenominato Anzano di Puglia.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • AA.VV., I Dauni-Irpini, a cura di Salvatore Salvatore, Napoli, Generoso Procaccini, 1990, p. 113-122.

Gallura

Gallura

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Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il Giudicato di Gallura del Medioevo, vedi Giudicato di Gallura.
Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il traghetto, vedi Gallura (traghetto).
Gallura
subregione
(IT) Gallùra
(SDNSC) Gaddùra
Gallura – Veduta

Capo Testa, Santa Teresa Gallura

Localizzazione
Stato Italia Italia
Regione Sardegna-Stemma.svg Sardegna
Provincia Provincia di Sassari-Stemma.svg Sassari
Territorio
Coordinate 41°00′N 9°18′E

Abitanti  
Comuni AggiusAglientuArzachenaBadesiBortigiadasBudoniCalangianusGolfo AranciLa MaddalenaLoiri Porto San PaoloLuogosantoLurasOlbiaPalauSan TeodoroSant’Antonio di GalluraSanta Teresa GalluraTeltiTempio PausaniaTrinità d’Agultu e VignolaViddalba
Divisioni confinanti AnglonaMonteacutoBaronie
Altre informazioni
Lingue italianogalluresesardo
Fuso orario UTC+1
Nome abitanti (IT) galluresi
(SDNgadduresi
(SCgadduresos
Cartografia
Gallura – Localizzazione

La Gallura (Gaddùra /ga’ɖːura/ e Caddura in gallurese, ma anticamente Baddula in sardo) è una subregione storica e geografica della Sardegna. Comprende la parte nord-orientale dell’isola, dal fiume Coghinas che la delimita a ovest, passando poi per il massiccio del Limbara, che ne delimita la parte meridionale, fino al massiccio del monte Nieddu a sudest, nei comuni di San Teodoro e Budoni.

La Gallura è caratterizzata un’economia solida dove prevalgono, oltre al rinomato settore turistico, l’industria del sughero e del granito, nelle quali ha raggiunto primati a livello internazionale.

I centri più significativi sono OlbiaArzachena e La Maddalena per quanto riguarda il settore turistico (situa in Gallura, ad esempio, la rinomata Costa Smeralda), Calangianus e Tempio Pausania per l’ampia industrializzazione (si è qui sviluppata l’industria sugheriera più grande in Italia e tra le maggiori al mondo).

La lingua sarda ha qui risentito il ripopolamento da parte delle genti corse: il gallurese, derivato dall’interazione tra sardo logudorese e lingua corsa, è la parlata che prevale nei centri galluresi; il sardo resiste oramai solamente ad OlbiaLurasBudoni e Golfo Aranci, anche se in quest’ultima località si trova oramai solamente nella toponomastica.

Estensione territoriale e comuni[modifica | modifica wikitesto]

La Gallura è limitata a ovest dal fiume Coghinas, a sud dal monte Limbara ed a sud-est dal monte Nieddu, fino al comune di Budoni dove funge da limite Punta Ottiolu.

La parte attorno all’agro di Olbia è delimitata dagli antichi confini delle Baronie montacutesi di Silvas de Intro e dei Saltos de Giosso, avamposti della confinante regione storica del Monteacuto. Per Silvas de Intro dalla catena del Limbara lungo il confine comunale tra Calangianus e Berchidda la delimitazione seguiva la località Pedra de campos, in passato territorio berchiddese, oggi zona demaniale di Calangianus denominata Santa Caterina. Seguendo il corso del fiume Pedru Nieddu costeggiava il limite meridionale di Telti per poi scendere verso Enas e Su canale, territori di Silvas de Intro e dunque storicamente non facenti parte della Gallura, nonostante siano abitati da genti galluresofone. Il confine tra Gallura e Montacuto passa dunque per la Conca di Zappalì, Monte Litu, Funtana Barattu, Punta Maruddu, Punta Santu Paulu, Punta Lacabatu, Punta La ceddha, Li Tre Puntitti, e Andriottu. Da qui si collega alla catena montuosa trasversale di Monte Nieddu che scema verso la piana di Oviddè. Dunque metà del territorio comunale di Loiri Porto San Paolo, pur essendo considerato gallurese per via della lingua che vi si parla, non è da considerarsi Gallura in quanto facente parte della Baronia di Silvas de Intro, legata indissolubilmente ai territori del Montacuto appartenenti in periodo spagnolo ai Duchi di Gandia. In particolare il territorio attorno ai borghi di Loiri e Azzani, fino alle frazioni di Monte Litu, Azzanidò, Santa Giusta. Ancora nel 1873, la ripartizione del mandamento della neonata pretura di Terranova indicava Enas nella località Silvas de intro, e un decreto dello stesso periodo di concessione di terreni ademprivili alle Ferrovie Sarde, delimitava chiaramente l’avamposto più orientale di Silvas de Intro attorno al villaggio di Azzanì. Territori dunque facenti parte storicamente, amministrativamente e fiscalmente al Monteacuto e non alla Gallura, popolate però a partire dal 1600 da coloni provenienti dall’alta Gallura, Calangianus in particolare. Lo stesso dicasi per i Saltos de Giosso, la cui parte settentrionale ricade nella Valle di Olevà, odierna Berchiddeddu, che a dispetto dell’idioma parlato da una parte della sua popolazione è da considerarsi facente parte della regione storica montacutese e non della confinante Gallura, poiché storicamente Baronia del Monteacuto.

La Gallura raggruppa oggi 21 comuni, tutti in provincia di Sassari:

Stemma Comune In lingua gallurese/sarda Superficie  
  Olbia Tarranoa/Terranòa 383,64 km² 61 323 ab.
  Arzachena Alzachena/ Artzaghena 230,85 km² 13 815 ab.
  Tempio Pausania Tèmpiu 210,82 km² 13 798 ab.
  La Maddalena Madalena/ Sa Maddalena 52,01 km² 11 221 ab.
  Santa Teresa di Gallura Lungoni/Longone 102,29 km² 5 377 ab.
  Budoni Buduni/Budune 54,28 km² 5 209 ab.
  San Teodoro Santu Diadoru/Santu Tiadoru de Oviddè 107,6 km² 4 990 ab.
  Palau Lu Palau/Parau 44,44 km² 4 224 ab.
  Calangianus Caragnani/Calanzanos 126,84 km² 4 069 ab.
  Loiri Porto San Paolo Lòiri Poltu Santu Pàulu/Loèri e Portu de Santu Pàulu 118,52 km² 3 501 ab.
  Luras Lùrisi/Luras 87,59 km² 2 509 ab.
  Golfo Aranci Fìgari 37,43 km² 2 464 ab.
  Telti Telti/Tertis 83,25 km² 2 304 ab.
  Trinità d’Agultu e Vignola La Trinitai e Vignola/Sa trinidàde e Binzola 134 km² 2 206 ab.
  Badesi Li badesi/Sos badesos 31,3 km² 1 882 ab.
  Luogosanto Locusantu/Logu santu 135,07 km² 1 854 ab.
  Viddalba Vidda ecchja/Biddalva 50,41 km² 1 683 ab.
  Sant’Antonio di Gallura Sant’Antoni di Caragnani/Santu Antòni de Calanzanos 81,69 km² 1 494 ab.
Aggius-Stemma.svg
Aggius Àggju/Azos 86,31 km² 1 482 ab.
  Aglientu Santu Franciscu di l’aglientu/ Santu Frantziscu de s’alientu 148,19 km² 1 257 ab.
  Bortigiadas Bultigghjata/Bortijàdas 75,9 km² 755 ab.

Territorio[modifica | modifica wikitesto]

 

Gallura – il golfo di Cugnana, sullo sfondo capo Figari ed il profilo dell’isola di Tavolara.

Il territorio è ricompreso nella provincia di Sassari.

La natura del territorio gallurese è prevalentemente montuosa (monte Puntaccia, monte Abbalata), specie se paragonata a quella pianeggiante o collinare del confinante Logudoro. Ricca di roccia granitica levigata dal vento, dalla pioggia e dal mare, specie sulle coste, sculture naturali di forme bizzarre come quella dell’Orso nei pressi di Palau, conferiscono alla Gallura un aspetto assai originale, molto simile a quello del sud della Corsica e che lascia spazio solo verso nord a fertili pianure.

La vegetazione spontanea della costa è formata da macchia mediterranea (lentischiocistocorbezzolomirto ecc.). L’interno, invece, ha un aspetto differente, più riparato dai venti e caratterizzato da imponenti affioramenti granitici e boschi di querce e sughere la cui lavorazione costituisce una delle principali attività produttive.

 

Colline granitiche, tipico paesaggio gallurese.

Coronimo[modifica | modifica wikitesto]

Il significato del coronimo “Gaddùra/Caddùra” (collegabile ad altri toponimi sardi come Gaddaroniài a Oliena o Caddori presso Bultei), che appare nelle prime testimonianze scritte col condaghe di San Pietro di Silki (XIXII secolo), sarebbe “rocciosa, sassosa”[1].

In realtà, la presenza nei vari registri parrocchiali sardi del cognome Baddulesu, e più raramente e De Baddulu e De Ballulu, fa propendere per il nome di luogo Bàddulu/Bàllulu. Che derivava probabilmente da Gàddulu/Gàllulu, da considerarsi quindi come denominazione antica ed originaria del territorio. Presumibilmente al momento dell’arrivo dei pisani le versioni – sia con la G iniziale che con il passaggio alla B iniziale – erano entrambi in uso, che gli stessi pisani trasformeranno poi in Gallura.

È dunque Gàllulu il toponimo da interpretare e non certo il più recente Gallùra, di conio pisano, forse frutto di una banale assimilazione al gallo che fu scelto da Pisa come simbolo del giudicato.[senza fonte]

Secondo Francesco Cesare Casula, il coronimo Gallura deriva da fretum gallicum, l’antico nome dello stretto di Bonifacio[2].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Origini e preistoria[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cultura di Arzachena e Civiltà nuragica.

 

Necropoli di Li Muri, Arzachena

L’uomo moderno è arrivato in Sardegna circa 20 000 anni fa, percorrendo il blocco sardo-corso, dopo aver attraversato lo stretto di mare che si congiunge all’arcipelago toscano. È perciò molto probabile la sua presenza anche in Gallura. La più antica presenza certa dell’uomo in Gallura risale al neolitico antico, con la comparsa della ceramica cardiale[3]. Ad Aglientu in località Lu Littaroni e a cala Corsara nell’isola di Spargi è stata trovata una grande quantità di ceramica e di ossidiana proveniente dal monte Arci. Questo indica, ancora una volta, la Gallura come passaggio obbligato “dell’oro bianco e nero” nell’antichità. Nelle fasi successive del neolitico, il territorio gallurese si distingue per la presenza della cultura di Arzachena; nell’eneolitico sono scarse le attestazioni della cultura di Monte Claro, di Abealzu-Filigosa e del vaso campaniforme generalmente diffuse nell’isola.[4]

Le rotte da e per la Sardegna erano ben conosciute e le sue risorse richiamavano una massiccia affluenza di genti e di idee.

L’attuale Gallura è stata popolata da genti còrse fin dall’antichità preromana. In epoca nuragica la Gallura ha costituito una testa di ponte per la diffusione della cultura nuragica nel sud della Corsica e si segnala in particolare la diffusione e tipicità della tipologia a “corridoio” (imparentata con le tipologie torreane della vicina Corsica) e di quella mista corridoio-tholos, spesso accomunate dall’integrazione tra strutture architettoniche e rocce circostanti.

Periodo romano[modifica | modifica wikitesto]

 

Busto di Traiano da Olbia

Dopo la conquista della Sardegna da parte dei romani (238 a.C.), che la sottrassero al controllo punico nel corso della guerra dei mercenari, la città di fondazione greca di Olbia[5][6] assume notevole importanza essendo il porto maggiormente vicino alla penisola, collegato a Caralis e Colonia Iulia Turris Libisonis. Altre città romane degne di nota sorte in Gallura sono Calangiani, Gemellae, Tertium.

Periodo giudicale e pisano: il Giudicato di Gallura[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Giudicato di GalluraGiudici di Gallura e Liber fondachi.

Dopo il decadimento di Olbia a seguito delle incursioni dei vandali, dal 594 la sede vescovile viene insediata, probabilmente nello stesso territorio, a Phausiana per iniziativa del papa Gregorio Magno, poi sostituita in periodo giudicale da quella di Civita. Nel medioevo, dalla metà del IX secolo la Gallura costituisce uno dei quattro giudicati (o regni) autonomi in cui era divisa l’isola. Le rotte che toccavano la Sardegna ripresero ad essere frequentate in occasione della crisi del predominio delle flotte arabe; le risorse dell’isola ripresero a richiamare mercanti e navigatori provenienti soprattutto dalla Liguria e dalla Toscana[7]. Il Giudicato comprendeva le attuali regioni storiche della Gallura, delle Baronie e parte del Nuorese, con capitale Civita. Infatti, in seguito all’aiuto pisano dato ai sardi contro i tentativi di invasione araba di Mujāhid al-ʿĀmirī verso l’inizio dell’XI secolo, le ingerenze pisane sull’Isola si sarebbero fatte sempre più forti. Lo stesso Giudicato di Gallura sarebbe passato integralmente sotto il controllo di Pisa con la morte, nel 1296, dell’ultimo giudice Nino Visconti.

 

La basilica romanica di San Simplicio a Olbia

Nel 1073 in una epistola che il papa Gregorio VII indirizza ai Giudici sardi per invitarli alla sottomissione alla chiesa di Roma compare per la prima volta la denominazione “Gallura” nel riferimento Costantinus Gallurensis. In successivi documenti comparirà anche nelle forme GallulGalluluGallula e poi Gallura. Occorrerà invece attendere una Carta Pisana della metà del XIII secolo per veder riportato il termine Galorj (nei pressi dell’attuale Punta Nera a Palau) su una carta geografica. Nel periodo giudicale, fino al 1600 circa, i centri principali del giudicato sono le attuali Tempio Pausania e Calangianus (Tempio e Calanjanus in Gemini).

Il giudicato era diviso nelle seguenti curatorie (tra parentesi, i centri situati all’interno delle stesse):

  • Gemini (Tempio, Calanjanus, Nughes, Aggius, Bortigiadas, Luras, Vignas o Campo de Vigne o de Vinyes, Villa Latignano o Latinacho)
  • Taras o Caras (Villa Abba, Cokinas, Malacaras, Bongias, Morteddu)
  • Montanea o Montangia (Arcagnani, Assuni, Alvargius, La Paliga, Melassani, Agnorani, Villa Logusantu)
  • Balaniana o Balariana (Balarianu, Batore, Nuragi, Oranno, S. Stefano, Telargiu, Albaico, Vigna Maggiore)
  • Canahim o Canahini (Canahini, Agiana o Hagiana, Villa Canaran)
  • Unale josso (Villa de Muru, Agugheda-Cucchè, Nurachi, Corache-Cares (Orividdo-Siddai), Gonarium o Unale, Villa del Castro o Corte di Dorgali, Ortomurcato, Scopeta, Siffilionis, Thurcali-Cartagine Sulcos)
  • Civita o Fundimonte (Terranova, Villaverri, Puzzolo, Caresos, Tertis, Villa maior, Talanyana, Larathanos, Offilo, Villa Petresa)
  • Orfili (Orfili, Ossude, Villadanno, Guardoso, Lappia)
  • Posada (Posada, Torpè di Posada, Lodedè, Lorade, Pelarà, Palterisca, Stelaia, Siniscola)
  • Barbagia di Bitti (Bitti, Garofai, Onani, Dure, Norgale)
  • Orosei Galtellì (Galtellì, Orisè o Orosei, Irgoli, Onnifai, Locoli, Lulla, Dilisorre, Duassodera, Gorgorai, Ircule)
  • Franca di Jirifai.

Periodo aragonese e iberico[modifica | modifica wikitesto]

In periodo tardo medioevale e aragonese all’abbandono di Civita (i pisani fondarono Terranova, più vicina al porto[8]) e allo spopolamento delle coste oppresse dalle incursioni piratesche arabe corrisponde un maggiore sviluppo delle zone interne e delle città di Tempio e Calangianus, le quali diverranno le due città principali della Gallura, favorite dalla posizione che le preservava da barbari e pestilenze.[9]

Sono documentati stanziamenti di famiglie còrse nel territorio almeno a partire dal XIV secolo; una fonte aragonese del 1358, il Componiment de Sardenya, menziona la presenza nel salto di Cassari di “los Corsos e altres homens…tenen aqui bestiàr” (i Corsi e altre persone…tengono qui del bestiame)[10]. Nel 1554 un Memoriale del Virrey del Reyno de Cerdeña[11] rileva la presenza dei còrsi in Gallura (riferendosi a questa “… parte de Cerdeña que confina con la Corçega …” cita “Está mucha parte d.ella habitada de corços …“), che compaiono anche in una lettera di García Hernández a Filippo II di Spagna del 1563 in cui si accenna ai numerosi còrsi che abitavano in Sardegna e che aderivano alla causa indipendentistica còrsa propugnata da Sampiero Corso, mentre nel 1562, in un atto relativo alle campagne di Tempio, compare la prima attestazione della presenza degli stazzi (… quoddam stacium seu capannam pastorum …)[12]. Secondo alcune teorie storico-linguistiche sarebbero responsabili della nascita della lingua gallurese: infatti, si pensa che prima di questi flussi migratori, durante il periodo del giudicato di Gallura, venisse parlato il sardo logudorese che sopravvive tutt’oggi in alcuni centri tra cui OlbiaLurasGolfo AranciBudoni e Padru. Risalire alla discendenza corsa dei nativi galluresi è possibile solo mediante analisi storica del proprio cognome.

 

La cattedrale di San Pietro nel centro storico di Tempio.

Periodo sabaudo[modifica | modifica wikitesto]

Per lunghi decenni la regione semispopolata fu ribelle ad ogni autorità. Intorno al 1810 la regione fu lacerata dallo scontro furibondo di un consistente e numeroso gruppo di fazioni tempiesi. La sfrontatezza dei fuorilegge arrivò a tal punto che caddero vittima delle fazioni in lotta i vertici delle autorità locali. Perirono il censore diocesano, il reggente ufficiale di giustizia e il sostituto procuratore fiscale. Questi attacchi violenti al cuore dello stato provocarono la reazione del governatore di Sassari Varax. La situazione di ingovernabilità della Gallura viene sottolineata con estrema chiarezza nel resoconto della Regia delegazione per la pacificazione della Gallura del 1813. In tale relazione si denunciarono le numerose e feroci faide che insanguinavano la regione condotte da pastori “insofferenti all’ordine, indipendenti, vendicativi, astuti e intelligenti”. Il 9 maggio 1813 davanti al notaio di Tempio, Apollinare Fois-Cabras si rogarono le “paci” seguite da un atto di grazia del Re emanato con decreto del 29 dello stesso mese. Nella Gallura marittima le cose non andavano meglio. L’epilogo di una faida lunga e sanguinosa fu siglata con le paci del 1850 tra gli Orecchioni e i Vincentelli di Santa Teresa di Gallura. L’incontro si tenne nello stazzo di Cucuruzza proprietà del ricco pastore Pietro Scampuddu Pilosu, amico e confidente di Giuseppe Garibaldi, concludendosi con una funzione religiosa e un banchetto.[13]

Nel 1839 la sede vescovile viene trasferita da Olbia a Tempio che nello stesso periodo era stata elevata al rango di città (1836) e di capoluogo di provincia (dal 1807 al 1821 e dal 1833 al 1859).

 

Un tipico stazzo gallurese.

Il XX secolo e il periodo contemporaneo[modifica | modifica wikitesto]

Con la fine dell’Ottocento e il XX secolo con il miglioramento dei collegamenti si è invertita la tendenza insediativa a favore della fascia costiera e della città di Olbia che ha anche beneficiato della nascente Costa Smeralda insieme a Arzachena,Palau, Santa Teresa e San Teodoro. Oltre al turismo, la lavorazione del sughero è una delle principali fonte di ricchezza della comunità gallurese, e vede in Calangianus il principale centro economico.

Simboli[modifica | modifica wikitesto]

«Non le farà sì bella sepultura la vipera che Melanesi accampa, com’avria fatto il gallo di Gallura»
(Dante Alighieri, Purgatorio – canto VIII – versi 79-81)

Il simbolo per eccellenza della Gallura è il gallo, sin dal medioevo, essendo l’antico stemma del giudicato di Gallura dal XII secolo[2].

Società[modifica | modifica wikitesto]

Lingue e dialetti[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Lingua gallurese e Lingua sarda logudorese.

In Gallura, oltre all’italiano, si parlano essenzialmente due lingue: il gallurese, classificato come una lingua sardo-corsa o una varietà del corso meridionale affine ai dialetti del Sartenese, e il sardo logudorese nella varietà settentrionale, che ha comunque assimilato parte del lessico corso e gallurese adattandolo alla struttura della lingua sarda. In termini di distribuzione geografica il gallurese, originatosi nell’Alta Gallura, è parlato in quasi tutta la Gallura (da Viddalba alla fascia settentrionale di Budoni) mentre il sardo – che fino al 1400 era diffuso in tutta la Gallura e nella cui lingua venivano redatti i documenti dei governi giudicali – è tuttora diffuso a macchia di leopardo: OlbiaLuras, parte dell’agro di Golfo Aranci, Budoni meridionale. Alla Maddalena più propriamente si parla l’isulanu, una variante del còrso molto prossima a quello parlato nell’entroterra di Bonifacio (cossu suttaninu, in corso corsu suttanacciu). Ad Aggius si parla un gallurese particolare, che ha assunto influenze sassaresi nella pronuncia, mentre Bortigiadas è ora galluresofono, ma fino a metà del secolo scorso il suo idioma era un logudorese fortemente corrotto dal gallurese.

Monumenti e luoghi d’interesse[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Stazzo.

L’elemento costruttivo che caratterizza l’architettura gallurese è il granito: con questo materiale, infatti, venivano costruiti gli stazzi ma anche le chiese e i palazzi cittadini.

Preistoria e periodo nuragico[modifica | modifica wikitesto]

 

Il dolmen di Ladas a Luras

Architetture del periodo romano[modifica | modifica wikitesto]

  • Resti della città romana e dell’acquedotto di Olbia

Architetture medioevali e di età giudicale[modifica | modifica wikitesto]

 

Fontanella in granito, Tempio-Pausania.

Architetture dal quattrocento al settecento nel periodo iberico[modifica | modifica wikitesto]

  • Facciata gotico-aragonese dell’Oratorio del Rosario a Tempio Pausania
  • Stazzi nelle campagne galluresi
  • Parrocchiale di Santa Giusta a Calangianus (XVII secolo)
  • Oratorio di Sant’Anna a Calangianus
  • Oratorio di Santa Croce, del Rosario, di Sant’Anna e della Madonna di Itria ad Aggius
  • Parrocchiale con campanile e oratori del Purgatorio e di San Pietro a Luras
  • Palazzo Pes-Villamarina a Tempio Pausania
  • Palazzo degli Scolopi con corte porticata a Tempio Pausania
  • Complesso del Santuario, della Parrocchiale e del Camposanto di Nuchis
  • Santuario della Natività di Maria a Luogosanto
  • Palazzetti in granito dei centri storici di Tempio Pausania, Aggius e Calangianus
  • Chiesa primarziale di San Paolo Apostolo e oratorio di Santa Croce (Olbia)
  • Palazzi del centro storico di Olbia (quartiere di “su Casteddu”)

Architetture sabaude e ottocentesche[modifica | modifica wikitesto]

  • Chiese campestri nelle campagne galluresi.
  • Piano di espansione di La Maddalena (1777)
  • Piano Regolatore di fondazione sabauda di Santa Teresa Gallura dell’ing. Francesco Maria Magnon (1808)
  • Ampliamento della cattedrale di San Pietro a Tempio Pausania (XIII secolo) e sopraelevazione del campanile quattrocentesco
  • Facciata e copertura della Chiesa medioevale di Santa Croce (XIII secolo) a Tempio Pausania
  • Santuario del Buon Cammino a Santa Teresa Gallura
  • Chiesa della Santissima Trinità a Trinità d’Agultu
  • Villa Tamponi a Olbia (1870)
  • Palazzo municipale a Tempio Pausania (1882)
  • Palazzo La LittrangaPalazzo Corda e Palazzu Mannu a Calangianus (1750, 1892, 1800).
  • Villa Weber a La Maddalena

Architetture del novecento e contemporanee[modifica | modifica wikitesto]

  • Municipio di Olbia (primi del Novecento)
  • Municipio di Calangianus (prima metà del Novecento)
  • Palazzo Colonna, a Olbia in corso Umberto (primi del Novecento)
  • Scuole elementari “Vecchio Caseggiato” o “Scolastico” a Tempio Pausania (1910/1917)
  • Scuole elementari “Vecchio Caseggiato” a Calangianus (1910/1917)
  • Scuole elementari “Scolastico” a Olbia (1911)
  • Teatro del Carmine a Tempio Pausania (1928-1929)
  • Stazione e officine ferroviarie di Tempio Pausania (1930-33) con dipinti di Giuseppe Biasi (1931-32)
  • Architetture della Costa Smeralda
  • Centro commerciale terranova a Olbia, progettato dall’arch. Aldo Rossi;
  • Teatro sul golfo di Olbia, progettato dall’architetto Giovanni Michelucci
  • Museo archeologico nazionale di Olbia (“Museo del Mare”), progettato dall’arch. Giovanni Maciocco
  • Ampliamento dell’aeroporto “Costa Smeralda” a Olbia

Sport[modifica | modifica wikitesto]

Il calcio è lo sport più diffuso, praticato e seguito in Gallura. Molte sono le società calcistiche, al seguito delle quali sono numerosi i gruppi di tifo organizzato. Hanno sede in Gallura quelle che sono tra le società più antiche ed importanti della Sardegna, quali:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Attilio Mastino, La Gallura: l’età punica e romana: percorso storico e archeologico. (PDF), su eprints.uniss.it, 2001. URL consultato il 24 dicembre 2014.
  2. ^ Salta a:a b Francesco Cesare Casula, La storia di Sardegna, 1994 p.255
  3. ^ Giovanni Ugas – L’alba dei Nuraghi (2005) – pg.13
  4. ^ Ignazio Abeltino – Le origini dei Galluresi, 2010
  5. ^ Rubens Fabiano, Giuseppe D’Oriano, Olbia greca: il contesto di via Cavour
  6. ^ Gallura Oggi.it, Olbia è stata fondata dai greci, una mostra spiega la rivoluzionaria scoperta
  7. ^ Giuseppe MeloniContributo allo studio delle rotte e dei commerci mediterranei nel Basso Medioevo, in “Medioevo. Saggi e Rassegne”, 3, Cagliari, 1977. = Medioevo Catalano. Studi (1966-1985), Sassari, 2012, pp. 153 sgg
  8. ^ Marco Cadinu, Olbia, una Terranova medievale in Sardegna
  9. ^ ITALIAPEDIA | Comune di Calangianus – Storia, su italiapedia.it. URL consultato l’11 novembre 2016.
  10. ^ Mauro Maxia, p.143.
  11. ^ riportato in A. Argiolas e A. Mattone, Ordinamenti portuali e territorio costiero di una comunità della Sardegna moderna, in Da Olbìa ad Olbia, Atti del Convegno internazionale di Studi, Olbia, 1994
  12. ^ Documento custodito presso l’Archivio di Stato di Cagliari, citato in Mauro Maxia, Studi storici sui dialetti della Sardegna settentrionale, 1999
  13. ^ Faide e sicari nella Gallura del ‘700 – ‘800, http://www.contusu.it/faide-e-sicari-nella-gallura-del-700-800/

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Chessa S., Le Dimore rurali in Sardegna, con particolare riferimento al Monteacuto, al Goceano, al Meilogu e alla Gallura, Cargeghe, Documenta, 2008.
  • Maxia Mauro, I Corsi in Sardegna, Edizioni Della Torre, 2006.
  • Murineddu A. (a cura di), Gallura, Cagliari 1962.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Ogliastra

Ogliastra

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Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando l’omonima provincia in fase di costituzione, vedi Provincia dell’Ogliastra.
Ogliastra
subregione
(IT) Ogliastra
(SC) Ogiàstra, Ollàstra, Ozàstra
Ogliastra – Veduta

Cala Sisine

Localizzazione
Stato Italia Italia
Regione Sardegna-Stemma.svg Sardegna
Provincia Provincia di Nuoro-Stemma.png Nuoro
Territorio
Coordinate 39°32′48″N 9°33′00″E

Abitanti  
Comuni ArzanaBari SardoBauneiCardeduEliniGairoGirasoleIlbonoJerzuLanuseiLoceriLotzoraiOsiniPerdasdefoguSeuiTalanaTerteniaTortolìTrieiUlassaiUrzuleiVillagrande Strisaili
Divisioni confinanti Barbagia di NuoroBarbagia di OllolaiMandrolisaiBarbagia di BelvìBarbagia di SeùloTrexentaSarrabus-GerreiQuirra
Altre informazioni
Lingue italianosardo
Fuso orario UTC+1
Nome abitanti (IT) ogliastrini
(SCogiastrinus/ollastrinus/ozastrinos
Cartografia
Ogliastra – Localizzazione

L’Ogliastra (OgiàstraOllàstra o Ozàstra in sardo) è una regione storico-geografica situata nella Sardegna centro-orientale; essa è una delle sette Barbagie. In passato era conosciuta non come Ogliastra, ma come Barbagia Trigònia. Dava anche il nome alla Provincia dell’Ogliastraattiva dal 2005 al 2016, che aveva come capoluoghi Tortolì e Lanusei.

Geografia[modifica | modifica wikitesto]

L’Ogliastra viene convenzionalmente divisa in Alta Ogliastra, Tortolì e i territori a nord, e Bassa Ogliastra, i territori a sud di Tortolì.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Preistoria[modifica | modifica wikitesto]

L’Ogliastra è abitata dall’uomo sin dal neolitico. Come nel resto dell’Isola i Protosardi eressero qui le “pietre fitte” (menhir), dove svolgevano i loro riti magico-religiosi. Numerose anche le caratteristiche domus de janas e le successive tombe dei giganti nonché i nuraghi che in Ogliastra sono circa 250, concentrati con una maggiore intensità nei territori di TortolìTerteniaBarisardo e Ilbono.

Accanto ai più importanti edifici nuragici, che rappresentano la vitalità e le capacità creative dei Sardi del mondo antico, si riscontrano i muri a secco circolari delle capanne di frasche che costituivano dei veri e propri villaggi, come a Orruinas (Arzana), Su Chiai (Villagrande), Goene (Ilbono), S’Orciada (Barisardo). In Ogliastra sono stati rinvenuti numerosi bronzetti nuragici, ciò sta a indicare come in questa regione, in epoca nuragica, si svolgesse un’intensa attività culturale. A queste opere d’arte si devono aggiungere le armi, gli utensili e gli oggetti ornamentali, in gran parte fusi o rifiniti nell’officina rinvenuta nei pressi di Lotzorai e in quella di S’Arcu ‘e Is Forros (Villagrande). Esistevano villaggi Nuragici costieri come quello addossato al Nuraghe S’ortali ‘e su monti, nel Nuraghe sono stati rinvenuti ben dieci silos, testimoni dell’intensa attività agricola delle popolazioni stanziali Nuragiche, il villaggio doveva quindi essere un importante snodo commerciale, la presenza di così tanti silos infatti implica un surplus produttivo. Nel Nuraghe sono state ritrovate anche 19 asce in bronzo a margini rialzati. il centro metallurgico-santuario di S’arcu e is Forros (XIV-VIII secolo a.c), dove erano presenti ben tre templi a megaron, ha restituito diversi reperti proventienti dall’Etruria e persino dal Mediterraneo Orientale come un’anfora Cananea con iscrizione e uno scarabeo Egizio. Un altro importante santuario era quello di Sa Carcaredda a Villagrande Strisali, dove sorgeva un ampio insediamento.

Periodo fenicio-punico[modifica | modifica wikitesto]

Ed è proprio ai Fenici che potrebbe farsi risalire la fondazione di Sulci Tirrenica, ubicata nella costa ogliastrina, nei pressi di Tortolì. Nel VI secolo a.C. i Cartaginesi s’imposseserano definitivamente della porzione centro-meridionale della Sardegna, sfruttandone le risorse agricole e minerarie. Gli Iliensi cercarono di ostacolarne la penetrazione, ma resisi conto che ogni resistenza era vana, si trasferirono in massa nelle zone montane a ridosso del Gennargentu, a nord del Flumendosa. Qui, dopo essersi fusi con gli abitanti che li avevano preceduti.

Nella costa, invece, più viva dovette essere l’influenza cartaginese. I resti di Sulci (probabilmente fiorente città punica) e il Porto Sulpicio, sono significativi a questo proposito.

Tertenia i ruderi più cospicui si trovano nella zona di “San Giovanni di Sarrala”, in località “Morosini”, “S’Arrettori” e “Su Tettioni”, tutte distanti dal mare e approssimativamente allineate lungo le pendici che delimitano a occidente il territorio costiero. Sulla costa le tracce antiche sono meno numerose, comunque, in corrispondenza delle foci di due fiumiciattoli dette rispettivamente “Sa Foxi Manna”, a nord, e “Sa Foxi Murdegu”, a sud, si hanno degli indizi interessanti d’insediamenti punici. Si dovevano avere, presumibilmente, due nuclei abitati cui corrispondono sul mare due approdi e sui monti due valichi per le strade di comunicazione verso l’interno, il cui nome doveva essere Saralapis.

Sotto e attorno al castello di Medusa, presso Lotzorai (che si ritiene eretto dai giudici di Cagliari, poi ampliato a più riprese e abbandonato, probabilmente, nel XVI secolo) la roccia del colle appare, in diversi punti, accuratamente tagliata in modo da consentire la posa in opera di grossi blocchi squadrati, alcuni dei quali sono ancora sul posto e sostengono le strutture medioevali. La particolare lavorazione della roccia e la tecnica edilizia a grandi blocchi squadrati messi in opera a secco, secondo gli studiosi, è da attribuire ad una costruzione monumentale cartaginese databile fra il IV e il III secolo a.C., probabilmente, pertinente ad un edificio militare o religioso.

È probabile la presenza di un sostrato punico in vari luoghi della piana di Tortolì, dove si osservano in superficie abbondanti ruderi romani e cocciame di cronologia incerta, come a “Sant’Efisio” (a Nord-Ovest del castello di Medusa), a “Donigala” (Lotzorai), a “Su Rulleu” presso Santa Maria Navarrese, a “Santa Barbara” presso Tortolì, e, infine, a “San Lussorio” di Tortolì. Nell’isolotto d’Ogliastra sono stati ritrovati frammenti fittili di epoca punica e romana.

Particolare cura era dedicata, in epoca punica, alla strada costiera orientale, lungo la quale dovevano essere disseminati una miriade d’insediamenti legati al commercio marittimo, ma che non ebbero modo di svilupparsi e di prosperare a causa delle sfavorevoli condizioni politiche ed economiche, determinate nel V secolo a.C. dalle sconfitte subite da Punici ed Etruschi, rispettivamente a Imera e a Cuma.

Periodo romano[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la prima guerra punica, le popolazioni furono assoggettate a Roma con patti giurati, messe sotto le direttive dei praefectus, i quali riuscirono a romanizzarle profondamente. Furono costruite importanti strade fra le quali la più importante per l’Ogliastra quella che univa Caralis a Olbia attraversando, in lungo, tutta la regione, in gran parte lungo la costa. Per proteggere il traffico da azioni delittuose si limitarono a istituire dei posti di polizia, denominati, secondo l’importanza, custodia e stationes.

I resti dell’antica Sulci, altri ruderi d’importanti abitazioni, sparsi in vari paesi d’Ogliastra, anfore di terracotta raccolte nei dintorni di Barisardo, migliaia di monete rinvenute un po’ dovunque, e la lingua romanza, simile al latino, tuttora parlata in Ogliastra, e alcuni diplomi militari testimoniano del profondo legame che univa questa regione a Roma. Uno dei congedi romani, rinvenuto a Tortolì, apparteneva a due marinai sardi che servirono nella Classis Misenensis: “D. Numitorio Tarammoni” e suo figlio “Tarpal(‘)ari” (appartenenti al popolo ogliastrino dei Fifenses). Gli altri congedi, scritti sul bronzo, sono stati rinvenuti nei pressi di Ilbono: di quello rilasciato dall’imperatore Tito nel 79-81 d.C., ne resta solo un piccolissimo frammento; il secondo, rilasciato dall’imperatore Adriano, apparteneva a un marinaio che militò nella flotta pretoria di Ravenna.

Dai Romani l’Ogliastra, come il resto dell’isola, passò ai Vandali e, quindi, ai Bizantini.

Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

Nel XII secolo, tutta l’Ogliastra faceva parte del Giudicato di Cagliari. Nel 1258 il territorio del giudicato di Cagliari, sconfitto, fu diviso in tre parti: Giovanni Visconti di Gallura ebbe la fascia sud-orientale dell’isola, comprendente il Sarrabus, Tolostrai, Chirra e l’Ogliastra, che andava a saldarsi con le propaggini meridionali del Giudicato di Gallura. Giovanni Visconti rimase in Sardegna per pochi e non lunghi periodi, preferendo lasciare l’amministrazione dei suoi territori a dei giudici «di fatto». Così nel 1263 un «prudens et discretus Fasiolus» amministrava a suo nome l’Ogliastra e le altre Curatorie, costituenti la terza parte del Giudicato cagliaritano, a lui assegnata; e un Gioffredo reggeva, col titolo di vicario, il Giudicato di Gallura. Il termine di Giudicato invece di Curatoria, attribuito in epoca pisana all’Ogliastra, era dovuto all’organizzazione data ai territori da Giovanni Visconti in forma diversa da quella vigente nelle altre parti del disciolto Giudicato di Cagliari e per una certa assimilazione istituzionale col Giudicato di Gallura. Tuttavia, in considerazione del breve lasso di tempo che intercorre tra la tripartizione del Giudicato di Cagliari (1258), il diretto possesso dell’Ogliastra da parte della Repubblica di Pisa (1288) e la conquista catalano-aragonese (1323), non si può escludere che tale organizzazione istituzionale sia antecedente a questi ultimi avvenimenti. L’Ogliastra fu ceduta in feudo a Berengario Carroz e incorporata nella Contea di Quirra, nel 1363.

Per tutto il periodo spagnolo, il Feudo ogliastrino continuò a essere chiamato Giudicato d’Ogliastra. Nel 1481, gli Ogliastrini ottennero che il capitano del Giudicato fosse nativo del posto, e con giurisdizione da Gen’e Ponti, fino a Bau de Fillina. E nel caso in cui la Baronia di Orosei ritornasse all’ubbidienza del conte di Quirra, che detto capitano avesse giurisdizione anche in questa Baronia: «Fino a Dormilloru, com’era quando il detto popolo la possedeva, in seguito a conquista da esso fatta, per la quale ha sofferto molte difficoltà, con perdita di uomini e di beni e che detto onore e uso antico sia concesso al popolo del Giudicato d’Ogliastra. E che il capitano sia obbligato ad andare due o tre volte l’anno a visitare la Incontrada del Sarrabus, come era usanza e abitudine da parte degli altri capitani passati». Tortolì era sede del capitano di giustizia del Giudicato, e dei suoi subalterni: luogotenente e scrivano di Corte; ed ivi si radunavano i procuratori dei vari villaggi per trattarvi interessi e fissare i gravami fiscali, che senza il loro consenso non potevano aumentarsi.

Storia moderna e contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Dopo quattro secoli di presenza iberica, nei primi due decenni del secolo XVIII, la Sardegna cambia per tre volte dominazione. Per effetto della guerra di successione spagnola, l’isola passa nel 1713 alla Casa d’Austria (Trattato di Utrecht); nel 1717 è rioccupata dalla Spagna e, infine, col Trattato di Londra del 2 agosto 1718, è assegnata alla Casa Savoia in cambio della Sicilia.

La Provincia d’Ogliastra nell’Ottocento[modifica | modifica wikitesto]

Con Editto del 4 maggio 1807, furono istituiti in Sardegna 15 Tribunali di Prefettura, otto nella parte meridionale (Cagliari, Iglesias, Laconi, Mandas, Oristano, Sorgono, Tortolì, Villacidro) e sette nella settentrionale (Sassari, Alghero, Bono, Bosa, Nuoro, Ozieri, Tempio), con in ciascuna un comandante militare, un prefetto e un vice prefetto, un avvocato del Fisco e un segretario. L’intento era di facilitare l’amministrazione della Giustizia, creando giudici intermedi tra quelli locali e la Reale Udienza. Oltre alle competenze giudiziarie, le Prefetture avevano anche funzioni amministrative (di Intendenza e di Tesoreria) sulla Provincia. La Prefettura di Tortolì comprendeva i villaggi dell’Ogliastra e del Sarrabus: Tortolì, Ardali, Arzana, Baunei, Barì, Elini, Gairo, Girasole, Jerzu, Ilbono, Lanusei, Loceri, Lotzorai, Muravera, Manurri, Osini, Perdasdefogu, San Vito, Talana, Tertenia, Triei, Ulassai, Urzulei, Villagrande Strisaili, Villanova Strisaili, Villaputzu.

Con l’Editto 24 dicembre 1821, Lanusei sostituì Tortolì, come capoluogo di Provincia, a cui furono tolti i Comuni di Muravera e San Vito; altrettanto successe per Oristano, a favore di Busachi. L’isola restava divisa in 10 Prefetture e in 10 Provincie agli effetti amministrativi: Cagliari, Busachi, Iglesias, Isili, Lanusei, Sassari, Alghero, Cuglieri, Nuoro, Ozieri. L’Editto, pur mantenendo, agli effetti giudiziari le circoscrizioni di Prefettura, attribuiva agli intendenti provinciali (dipendenti dall’intendente generale di Cagliari) le attribuzioni dei Comuni e la vigilanza sui Consigli comunali, fino allora affidate ai prefetti. Dal 1825 i prefetti restarono esclusivamente funzionari giudiziari.

Con Regie patenti del 22 dicembre 1846, si modificarono queste circoscrizioni agli effetti esattoriali e si divise la Sardegna in 12 Province: Cagliari, Alghero, Cuglieri, Iglesias, Isili, Lanusei, Mandas, Nuoro, Oristano, Ozieri, Sassari, Tempio). Il decreto reale 12 agosto 1848 divise la Sardegna in tre Divisioni amministrative e 11 Province: Divisione di Cagliari (Cagliari, Iglesias, Isili, Oristano); Divisione di Nuoro (Nuoro, Cuglieri, Lanusei); Divisione di Sassari (Sassari, Alghero, Ozieri, Tempio). Quest’ordinamento restò immutato sino al 1859, quando le Province sarde vennero ridotte a due, Cagliari e Sassari, e Lanusei restò come uno dei Circondari della Provincia di Cagliari.

Tale Circondario, cui furono aggregati Comuni già della Provincia di Isili, comprendeva i Mandamenti di Lanusei, con Arzana, Elini, Loceri, Ilbono e Villagrande; di Tortolì, con Barisardo, Baunei, Girasole, Lotzorai, Talana, Triei e Urzulei; di Jerzu, con Gairo, Osini, Perdasdefogu, Tertenia e Ulassai; di Seui, con Escalaplano, Esterzili, Sadali, Seulo e Ussassai; di Isili, con Escolca, Genoni, Gergei, Nuragus, Nurallao e Serri; di Sorgono, con Austis, Teti, Tiana e Tonara; di Mandas, con Laconi, Nurri e Orroli. Dal 2 gennaio 1927, l’Ogliastra ha fatto parte della Provincia di Nuoro. La creazione della Provincia d’Ogliastra – di là dalle pur giustificate considerazioni sull’effettiva incisività di tale istituzione – ha, infine, sancito nel maggio 2005 la realizzazione di un sogno a lungo perseguito: il riconoscimento ufficiale dell’identità ogliastrina. Comunità che ha avuto nei secoli e millenni passati una propria, autonoma e ben definita, organizzazione istituzionale. La provincia in seguito ai referendum regionali del 2012 viene abolita dalla legge regionale 2/2016, fatto che porterà ad aprile al ritorno del territorio ogliastrino sotto l’amministrazione della provincia di Nuoro.

Il Carnevale[modifica | modifica wikitesto]

Nei giorni del carnevale, come in qualunque festa solenne, era proibito lavorare. Era Martiperra che voleva così, e sebbene si trattasse di una festa pagana, guai al malcapitato che osava disobbedire. Martiperra punisce severamente chi non rispetta il suo giorno, che è di dolore e di sacrificio. Per questo a Ulassai si fa chiamare Martisberri e manda lancinanti dolori a chi lavora il martedì grasso, che per lui è giorno sacro, mentre con voce tonante grida:

(SC)«{{{3}}}» (IT)«Deu soi Martisberri,

benniu soi po ti ferri!»

A Gairo s’immaginava Martiperra come un grosso gatto, pronto a graffiare e lacerare le carni di coloro che il martedì grasso se la passavano a lavorare, anziché godersi la sua festa. Si narra che a una donna che si mise a lavorare non curandosi del carnevale, esso le apparve sotto le spoglie di un grosso gatto che la guardava con occhi minacciosi, mentre spazzava il forno per cuocere il pane, con una scopa di frasche. Lei tentò di scostarlo dicendo: «Cattò, cattò, allontanati!». Il gatto, però, lungi da allontanarsi divenne più grosso, e minaccioso le disse:

(SC)«{{{3}}}» (IT)«No’ mi neris cattò,

ca Martiperra so’,

ca soi Martisberri

benniu po ti ferri! »

E scomparve, mentre la donna vedeva la sua mammella allungarsi a dismisura. Allora continuò a spazzare il forno, usando la mammella al posto della scopa. La punizione era chiara: alle donne che non rispettavano il carnevale, si sarebbero prosciugati i seni e non avrebbero avuto più latte. Quella donna, secondo la leggenda, continuò a spazzare il forno con la sua mammella, tanto ad altro non le sarebbe servita.

Il nome Martiperra si compone di due parole: Martis e Perra. Martis significa martedì e allude all’ultimo giorno di carnevale; ma Martis viene dal dio Marte, che ha imposto il suo nome al mese di marzo e che prima di trasformarsi nel dio della guerra, era Dioniso, dio della primavera. Perra è usato in Sardegna per indicare una “perra de pani”, la metà, una sfoglia di pane. Il nome ritorna in tante preghiere che si recitavano durante la siccità, quando la statua del santo protettore era portata in processione e immersa nel vicino corso d’acqua. A Urzulei si pregava cantando:

(SC)«{{{3}}}» (IT)«Abba a terra, Deus meu,

ca semmos disperaos,

pitzu ‘e perra a sos minores,

a sos mannos petzu intreu.

Abba a terra, Deus meu! »

Si portava la statua di san Giorgio nel fiume, perché questo santo era anche cocconeri, panificatore:

(SC)«{{{3}}}» (IT)«Santu Jorzi cocconeri,

dazenos abba e laore,

ca bos fatto unu coccone

mannu cantu unu tazeri!»

Sempre a Urzulei si usano indifferentemente i termini maimones o mamuthones per indicare le maschere in genere, ma si distingue su mamuthone ‘e bruvera, detto anche s’urcu, che viene pungolato e si butta a terra rotolandosi nella polvere. Questa maschera era sempre muta, carica di pelli e sonagli e non aveva corna. «Si muoveva come i mamuthones di Mamoiada. Si rotolava nella polvere e nel fango (s’imbrussinaiada) quando si avvicinava alle fontane» (D. Turchi). Forse con questo gesto davanti all’acqua che sgorga, si volevano accomunare i due elementi acqua-terra, fondamentali per la germinazione.

Nell’antica Roma, il 15 febbraio di ogni anno, si celebrava la festa dei Lupercali. Una festa di cui erano protagonisti i Luperci, membri di un gruppo le cui «selvagge riunioni», scrive Cicerone, erano state istituite «prima della libertà e delle leggi». I Luperci, nel giorno in cui si celebrava la festa, uscivano nelle strade, nudi, coperti solo da un perizoma. Erano armati di una frusta e inseguivano e fustigavano i passanti. Non tutti, però, fuggivano, non tutti cercavano di ripararsi dai loro colpi: le donne adulte speravano, infatti, di essere colpite e facevano di tutto perché accadesse.

Fustigare era uno dei modi per gettare incantesimi su cose e persone, e poteva produrre, secondo i casi, gli effetti più diversi. Come, ad esempio, quello di far sì che l’anno nuovo nascesse nel segno della felicità. A questo scopo, sempre nell’antica Roma, il 14 marzo di ogni anno – allora, data d’inizio del nuovo anno – un uomo chiamato Mamuzio Veturio (il vecchio Marte) era cacciato da Roma dopo essere stato condotto per le strade e fustigato. Mamuzio, infatti, rappresentava l’anno vecchio che veniva espulso insieme a tutti gli influssi negativi che contaminavano la città. E poiché grazie alla fustigazione gli influssi si coagulavano attorno a lui, l’anno nuovo entrava in una città purificata. Le donne adulte romane cercavano di essere colpite dalle fruste dei Luperci, perché la fustigazione, tra le sue virtù, aveva anche quella di favorire la fecondità. Ecco perché, il 15 febbraio, esse aspettavano con ansia i Luperci: per essere sicure di non venir meno al compito cui erano destinate.

La fede nella magia della fustigazione era diffusissima. In Grecia ad esempio, a Cheronea uno schiavo che rappresentava la fame veniva, ogni anno, fustigato e cacciato dalla città al grido di: «Se ne vada la fame, vengano ricchezza e prosperità». Per non parlare, sempre in territorio greco, del rito di espulsione dei pharmakoi, i “capri espiatori”, dei poveretti rinchiusi e tenuti in vita al solo scopo di essere fustigati, espulsi o sacrificati quando qualcosa faceva temere che l’ira degli dèi si sarebbe abbattuta sulla città.

I mamuthones a Mamoiada compaiono in numero fisso, sono sempre dodici. Tale numero dodici, secondo Dolores Turchi, sarebbe dato dalle lunazioni, una per ogni mese dell’anno, giacché le vittime erano destinate alla divinità lunare. Secondo la stessa Autrice, la conferma che i mamuthones fossero le vittime da sacrificare per ottenere piogge abbondanti, parrebbe darcela un’usanza che ancora si praticava nei primi decenni di questo secolo in parecchi paesi della Barbagia e dell’Ogliastra. Quando la siccità minacciava la vita degli uomini e delle bestie, si era soliti prelevare dall’ossario del cimitero dodici crani e immergerli nell’acqua fintanto che arrivava la pioggia. A Urzulei, si precisa che tale pratica era così efficace e le piogge cadevano con tanta violenza che bisognava andare subito a rimettere i teschi nell’ossario perché la pioggia cessasse.

Il carnevale di Ulassai è caratterizzato dalla questua in onore del fantoccio, su maimoni, e dalle varie maschere: sa ingrastula, ossia la madre del carnevale; su maimulu, personificazione del carnevale; l’orso, ursu o omini aresti, con i guardiani, omadoris; assogadoris, provvisti del laccio, sa soga; sa martinica, ossia la donna-uomo-scimmia che questuando disturba s’ingrastula, rubandole spesso e volentieri i doni della gente. L’ultimo giorno, il fantoccio è bruciato. A Barisardo, l’ultimo giorno di Carnevale termina con la recita della Cumedia sarda de Bari, in dialetto locale a sfondo campidanese, con la caratteristica paesana che raddoppia costantemente la “elle” (palladinu) e cambia la “di” in “erre” (frari invece di fradi). Il testo è tramandato oralmente dal popolo, che ne aspetta le immancabili battute. Il soggetto s’ispira alla tratta delle schiave, patema vissuto dal paese durante le infinite incursioni moresche. I personaggi sono il re turco, il re cristiano, su capitanu, s’ortulanu, la sua consorte chiamata sa filongiana, il pellegrino traditore dei cristiani, tre dame, sa dama de furriu, soldati turchi e cristiani, e il portabandiera chiamato norfelias.

A Tortolì, come si è detto, rappresentavano la commedia Diego e Maria.

Tratto da: A. Lepori, Ogliastra. Miti, leggende, tradizioni. Dolianova, 2014.

Lingue e varianti linguistiche autoctone dell’Ogliastra[modifica | modifica wikitesto]

In Ogliastra si parla una variante del sardo campidanese, l’ogliastrino, o Barbaricino orientale. Data la vicinanza e il legame con gli altri paesi della Barbagia, la variante ogliastrina risente di forti influssi nuoresi modificando anche la grammatica[senza fonte], specialmente nei paesi della montagna ogliastrina, quali UlassaiGairo e Arzana, e parimenti in comuni quali UrzuleiTalanaVillagrandeBaunei e Triei che trovandosi più a nord sono ancora più distaccati dal campidanese.

Musei[modifica | modifica wikitesto]

Edifici storici[modifica | modifica wikitesto]

Archeologia[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ SardegnaAgricoltura: Tortolì, su sardegnaagricoltura.it. URL consultato il 19 aprile 2021.
  2. ^ SardegnaAgricoltura: Jerzu, su sardegnaagricoltura.it. URL consultato il 19 aprile 2021.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Campidano di Oristano

Campidano di Oristano

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Campidano di Oristano
subregione
Campidano di Oristano – Veduta
Localizzazione
Stato Italia Italia
Regione Sardegna-Stemma.svg Sardegna
Provincia Provincia di Oristano-Stemma.svg Oristano
Territorio
Coordinate 39°46′N 8°35′E

Abitanti  
Comuni ArboreaBaratili San PietroBauladuCabrasMarrubiuMilisNurachiOllastraOristanoPalmas ArboreaRiola SardoSanta GiustaSiamannaSiapicciaSan Nicolò d’ArcidanoSan Vero MilisSiamaggioreSimaxisSolarussaTerralbaTramatzaUrasZeddianiZerfaliu
Divisioni confinanti MontiferruMarghineBarigaduMarmillaMonreale
Altre informazioni
Lingue italianosardo
Fuso orario UTC+1
Cartografia
Campidano di Oristano – Localizzazione

Il Campidano di Oristano è una sub-regione della Sardegna occidentale.

Il territorio apparteneva anticamente al giudicato di Arborea, e corrisponde a quello delle curatorie di:

  • Campidano di Milis;
  • Campidano Maggiore (o di Cabras);
  • Campidano di Simaxis;
  • Usellus;
  • Montis;
  • Bonorzuli.

Campidano di Cagliari

Campidano di Cagliari

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Campidano di Cagliari
subregione
Campidano di Cagliari – Veduta
Localizzazione
Stato Italia Italia
Regione Sardegna-Stemma.svg Sardegna
Città metropolitana Provincia di Cagliari-Stemma.svg Cagliari
Sud Sardegna
Territorio
Coordinate 39°19′N 8°58′E

Abitanti  
Comuni Assemini (CA), Cagliari (CA), Capoterra (CA), Decimomannu (CA), Decimoputzu (SU), Elmas (CA), Maracalagonis (CA), Monastir (SU), Monserrato (CA), Nuraminis (SU), Quartucciu (CA), Quartu Sant’Elena (CA), Samassi (SU), San Sperate (SU), Selargius (CA), Serramanna (SU), Serrenti (SU), Sestu (CA), Settimo San Pietro (CA), Siliqua (SU), Sinnai (CA), Ussana (SU), Uta (CA), Villasimius (SU), Villasor (SU), Villaspeciosa (SU)
Divisioni confinanti MarmillaMonrealeParteòllaSarrabus-GerreiSulcis-IglesienteTrexenta
Altre informazioni
Lingue italianosardo
Fuso orario UTC+1
Cartografia
Campidano di Cagliari – Localizzazione

Il Campidano di Cagliari è una regione storica della Sardegna sud-orientale.

Anticamente il territorio apparteneva al Giudicato di Cagliari, ed in particolare alle curatorie di:

  • Cagliari;
  • Decimo;
  • Gippi;
  • Nuraminis.

Geograficamente rappresenta la divisione convenzionale più meridionale della pianura del Campidano che ha come suo centro principale Cagliari nonché Quartu Sant’Elena e i comuni immediatamente a nord-ovest del capoluogo sardo. Si affaccia sul mare e comprende la costa orientale del golfo di Cagliari, fino al paese di Villasimius.

L’area è conosciuta per le diverse lagune costiere intorno alle quali si sono sviluppati i principali centri urbani considerando anche il capoluogo Cagliari. In questi specchi d’acqua vivono stanzialmente i fenicotteri rosa.

Barbagia di Ollolai

Barbagia di Ollolai

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Barbagia di Ollolai
subregione
Barbagia di Ollolai – Veduta
Localizzazione
Stato Italia Italia
Regione Sardegna-Stemma.svg Sardegna
Provincia Provincia di Nuoro-Stemma.png Nuoro
Territorio
Coordinate 40°10′N 9°11′E

Abitanti  
Comuni OlzaiGavoiLodineMamoiadaOllolaiOvoddaFonniTianaTetiAustis
Divisioni confinanti MandrolisaiBarigaduMarghineBarbagia di NuoroOgliastra
Altre informazioni
Lingue nuoreseitaliano
Fuso orario UTC+1
Nome abitanti (IT) barbaricini
(SCbarbaricinos/barbaritzinos[1]
Cartografia
Barbagia di Ollolai – Localizzazione

La Barbagia di Ollolai (Barbàgia ‘e Ollolài o Barbàza ‘e Ollolài in sardo) è una regione storica della Sardegna centrale.

Fu una curatoria del Giudicato di Arborea[2][3].

Ne fanno parte i comuni di OlzaiSaruleOllolaiGavoiLodineFonniOvodda, e MamoiadaTianaTeti e Austis .Secondo alcune tesi anche alcuni altri centri sarebbero ricompresi nella Barbagia di Ollolai durante la vigenza dell’Impero Bizantino e il primo periodo giudicale del Giudicato di Arborea.

 

Il Lago di Gùsana lambisce i territori di alcuni dei comuni più centrali della Barbagia di Ollolai

La regione comprendeva anche i villaggi scomparsi di Crapedha Sa Itria, Orrui o San Michele, Orreade (o Orcadae pronunciata Ortzade) o San Sebastiano, oggi località Ortziai, e Oleri o Santu Predu, rispettivamente collocati negli odierni agri di: Gavoi, Fonni, Ollolai e Ovodda. A Orgosolo nel XVII secolo scomparve Locoe (San Leonardo). A Oliena nel XIV-XV secolo scomparvero Golcone (Santu Milianu), Dule o Notule (Sa Misericordia), Gadu o Giumpattu (Santa Ligustina), Filihuri o Filluri (N.S. de sos Disamparados), Latinaco o Lanaito. Della Barbagia di Ollolai faceva parte anche Ilohe, località Iloghe (San Pietro), in agro di Dorgali, scomparso nel XIV secolo, la cui grafia tradisce l’appartenenza linguistica barbaricina.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ L’esistenza di un termine in lingua sarda equivalente all’italiano “barbaricini” è confutata da diversi autori, fra i quali ad esempio Antonello Satta (Cronache dal sottosuolo: la Barbagia, Jaca Book, pag. 6, 1991 – ISBN 8816402814) per il quale la mancanza di un simile termine è addirittura significativa, e barbarizinos sarebbe un “brutto italianismo di dubbia acquisizione e di provenienza retorica”; l’autore ammette tuttavia la presenza di brabaxinus in sardo meridionale.
  2. ^ Francesco Cesare CasulaIl Regno di Sardegna, Vol. 2°, Ed. Logus mondi interattivi, 2012 – ISBN 8898062117
  3. ^ Massimo Rassu, Rita Piras, Le strutture territoriali del Regno d’Arborea, Ed. Rassu, Cagliari, 1995

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Sportello Mobile INPS

Sportello Mobile INPS

 

Lo Sportello Mobile è un’iniziativa attivata nei confronti degli utenti con disabilità e anziani che hanno difficoltà a recarsi presso i nostri sportelli.
Consiste essenzialmente nel fornire determinati e specifici servizi normalmente erogati presso gli sportelli attraverso una richiesta effettuata telefonicamente; ciò consente all’utente di ottenere la prestazione senza la necessità di spostarsi dal proprio domicilio.
Gli operatori dello Sportello sono, nella maggior parte, operatori di centralino, anche non vedenti e ipovedenti, debitamente formati e particolarmente sensibili alle necessità manifestate dalla particolare utenza coinvolta.
Attualmente, con 111 sportelli operativi, il servizio è già attivo in tutte le sedi provinciali e diverse agenzie territoriali.

COME FUNZIONA

Ad ogni utente viene inviata una lettera informativa, con l’indicazione di un codice personale identificativo e con i numeri telefonici e gli orari da contattare per la fruizione del servizio.
L’utente può telefonare e attraverso il codice di sicurezza (che consente l’identificazione e la tutela della privacy) ottenere determinati servizi (es. invio Certificazione Unica, estratto contributivo, cedolino pensionistico, informazioni sull’invalidità civile etc.) senza la necessità di recarsi agli sportelli INPS.
Il servizio è attualmente rivolto a:

  • utenti con disabilità, fruitori di indennità di accompagnamento, speciale e di comunicazione, di età inferiore ai diciotto anni o pari o superiore ai settantacinque anni;
  • utenti con disabilità visiva appartenenti alla categoria 1 “Ciechi civili”, indipendentemente dall’età;
  • pensionati ultraottantenni residenti in Valle d’Aosta e nelle province autonome di Trento e Bolzano, per un totale complessivo “dinamico” di diverse centinaia di migliaia di utenti.

UTILITÀ DELLO SPORTELLO MOBILE INPS

  • Mobilità: nelle metropoli il problema della mobilità rappresenta uno dei problemi principali per tutti; tale problema si accentua e diventa a volte irrisolvibile per persone che versano in difficoltà fisiche, che impediscono o ostacolano lo spostamento;
  • Barriere architettoniche: il servizio Sportello Mobile ne consente il pieno abbattimento, dato che non costringe l’utente a raggiungere gli sportelli;
  • Invecchiamento della popolazione: il progressivo aumento dell’aspettativa di vita, con il conseguente processo di invecchiamento della popolazione ed il connesso “digital divide”, costituisce elemento oggettivo dal quale non si può prescindere; lo Sportello Mobile viene incontro alle difficoltà dell’utenza e fornisce le risposte alle problematiche poste dagli utenti più fragili.

PRINCIPALI OBIETTIVI DEL PROGETTO

  • Fornire specifici servizi senza la necessità di far spostare l’utente dal proprio domicilio, in un’ottica di facilitazione della vita per coloro che hanno difficoltà a recarsi presso le Strutture INPS;
  • Rendere pubblica l’attenzione che l’INPS ha nei confronti delle persone disagiate;
  • Ottimizzare, fluidificare e snellire i servizi INPS offerti agli utenti anziani e/o disabili, non sempre autonomi negli spostamenti.
  • Migliorare l’immagine dell’INPS, anche stimolando l’eventuale coinvolgimento di altre Pubbliche Amministrazioni verso l’aspetto sociale dell’handicap.
  • Sensibilizzare l’opinione pubblica verso i problemi connessi all’handicap e ai disagi delle persone anziane.

PREMI E RICONOSCIMENTI

Lo Sportello Mobile, per il valore etico e sociale e per le caratteristiche del servizio e dei suoi operatori, ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui:

Best Practice dell’Unione Europea- EPSA 2009 Maastricht

UNPSA Award – ONU- Migliori progetti della P.A. 2010 Barcellona

Premio PA sostenibile 2019 i migliori 100 progetti della PA

Forum PA 2019 (Segnalazione)

Vai al video di presentazione dello Sportello Mobile

Vai al video degli operatori non vedenti dello Sportello Mobile

Vai al video del Premio europeo EPSA 2009

Pentecoste

 

Pentecoste


Nome: Pentecoste
Titolo: L’effusione dello Spirito Santo
Ricorrenza: 5 giugno
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Solennità
« …Vi dico la verità, è meglio per voi che me ne vada, perché se io non vado, non verrà a voi il Consolatore; quando sarò andato, ve lo manderò e venendo, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio ». Così aveva detto Gesù agli Apostoli poco tempo prima di salire al cielo.

Come nella creazione dell’uomo cooperarono tutte le tre Persone della SS. Trinità, così pure nella redenzione doveva cooperare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Già aveva cooperato il Padre con la preparazione remota e col mandare il suo unico Figlio; aveva cooperato Gesù Cristo con la sua passione e morte: ora doveva cooperare lo Spirito Santo, col vivificare, sostenere e santificare le anime.

Asceso Gesù al cielo, gli Apostoli si radunarono nel cenacolo e con Maria Vergine si prepararono a ricevere il Consolatore promesso.

All’alba del decimo giorno un forte rumore scosse la casa, e in un attimo tutte le 120 persone che si trovavano radunate nell’ampia sala attorno a Maria, si inginocchiarono tremanti ed ecco che sopra le loro teste comparve un globo di fuoco dividendosi in tante fiammelle che andarono a posarsi su ciascuno, mentre una candida colomba aleggiava sul capo di Maria. « Repleti sunt omnes Spiritu Sancto, et coeperunt loqui variis linguis ». « Furono tutti ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare diverse lingue ».

Ammirabile discesa d’amore, meravigliosa opera dello Spirito: quale cambiamento, quale rigenerazione produsse!

Gli Apostoli, che ancora pensavano a un regno temporale del Messia, son diventati spirituali; da deboli e timidi pieni di forza e coraggio, poichè la grazia dello Spirito Santo li ha resi giusti, fedeli, umili, vincitori del mondo.

E mentre prima si erano nascosti ed avevano abbandonato il Maestro nella passione, ora si dividono il mondo, predicano a tutti Gesù risorto, rinfacciano a tutti i loro peccati e i vizi e non risparmiano neppure gli stessi crudeli imperatori, e anche nei più atroci tormenti non cessano di predicare Gesù.

S. Pietro, che pur costituito da Gesù capo della Chiesa, era stato vinto da una semplice servetta ed aveva rinnegato Gesù, ora dà inizio alla predicazione e converte subito 3.000 Giudei. Da quel giorno lo zelo degli Apostoli non conobbe confini.

E quella Chiesa fondata da Gesù, che sembrava essere travolta dalla bufera che accompagnò la sua morte, colla venuta dello Spirito Santo si rianima, si fortifica, esce da quelle mura, cominciando a far proseliti e stendendo le sue tende dall’uno all’altro mare.

Persecuzioni di ogni genere, calunnie, eresie, scismi, si scatenarono in ogni tempo contro la Chiesa, contro il Papa, ma essa assistita, confortata e aiutata dallo Spirito Santo, ha resistito impavidamente.

Morirono i persecutori, i malvagi ministri di Satana, si spensero le diverse sette antireligiose, ma la Chiesa, opera di Dio, rimase, come « torre ferma che non crolla mai ».

PRATICA. Invochiamo in questa giornata i doni dello Spirito Santo.

PREGHIERA. O Signore, che quest’oggi con l’illustrazione dello Spirito Santo hai ammaestrato i cuori dei fedeli, dà a noi di gustare per mezzo dello Spirito ciò che è bene e di godere sempre della Sua consolazione

OFFERTA. Sulla via dolorosa che conduce al Calvario io Ti chiedo, o Gesù, di divenirti compagno. Insegnami come si abbraccia la Croce e come quando si cade sotto il suo peso, ci si possa rialzare. Aiutami Tu, o Gesù Crocifisso, a vedere nel dolore un disegno d’amore e Tu che hai lasciato il Cielo per salvare la Terra ricordami sempre che sulla Terra io sono in attesa del Cielo!

Che io impari da Te come si ama per ben soffrire e come si soffre per ben amare.

Dammi l’Amore che rende fecondo il dolore e fà che il dolore alimenti ed accresca l’Amore! Nutrimi di Te perchè io vivo con Te nel tempo e nell’eternità!

Ma Tu che hai voluto cibarti della Volontà del Padre, fà che anch’io mi alimenti di essa in ogni attimo della mia giornata.

Con Te al Padre, sulla medesmi Croce, offro la mia sofferenza per quanti non lo conoscono ancora ed imploro alla messa copiosa gli operai necessari.

Valga la mia piccola offerta unita alla Tua a rendere valida la loro fatica, perchè venga presto il Tuo Regno. Signore, su tutta la Terra!

MARTIROLOGIO ROMANO. Giorno di Pentecoste, in cui si conclude il tempo sacro dei cinquanta giorni di Pasqua e, con l’effusione dello Spirito Santo sui discepoli a Gerusalemme, si fa memoria dei primordi della Chiesa e dell’inizio della missione degli Apostoli fra tutte le tribù, lingue, popoli e nazioni.

ICONOGRAFIA

Nell’iconografia della Pentecoste Cristo è assente nonostante fosse il mandatario dello Spirito Santo e lo accompagna con la sua luce, nella scena gli apostoli sono riuniti attorno alla Vergine che sostituisce Gesù.

Pentecoste del Chiostro di Santo Domingo de los Silos

Pentecoste del Chiostro di Santo Domingo de los Silos

I raggi o le lingue di fuoco generalmente provengono da una colomba, simbolo dello Spirito Santo e talvolta assumono la forma di nastri o funi che si fermano su ciascun apostolo; raramente la colomba è sostituita dalla mano di Dio, ma a volte i due simboli possono essere riuniti, come nel chiostro di Santo Domingo de los Silos, dove la colomba, affiancata da due angeli e sormontata dalla mano divina, emerge dalle nubi raffigurate da linee sinuose.

Tela della Pentescoste a Santa Maria del Suffragio a L'Aquila

Tela della Pentescoste a Santa Maria del Suffragio a L’Aquila

Bellissima la tela di autore ignoto nella Chiesa di Santa Maria del Suffragio a L’Aquila, l’artista nel rappresentare la classica scena ha aggiunto delle fiammelle sopra ogni apostolo e la Vergine a significato di aver ricevuto lo Spirito Santo.

Pentecoste

titolo Pentecoste
autore Lanfranco Giovanni anno XVII sec

Degna di ammirazione anche la tela di Lanfranco Giovanni, artista parmigiano vissuto a Roma e allievo di Guido Reni. Nell’opera oltre ai classici soggetti sono presenti anche altri seguaci di Cristo e gli angeli tra le nuvole che accompagnano lo Spirito Santo.

Pentecoste

titolo Pentecoste
autore Giotto anno 1303-1305

Diversamente Giotto l’affresco facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova si caratterizza per l’originale impianto architettonico-spaziale, per lo Spirito che si manifesta sotto forma di raggi luminosi e per l’assenza di Maria. Infatti talvolta i Dodici sono riuniti nella stanza alta, ma tra loro non c’è la Vergine

Pentecoste

titolo Pentecoste
autore Juan Bautista Maíno anno 1615-20

Nella splendida tela di Juan Bautista Maíno, pittore spagnolo del XVII sec, l’artista ha implementato un modo innovativo di disporre i personaggi, oltre alla Vergine compare un’altra donna la Maddalena come descritto negli Atti degli apostopli: “erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù”. Le due figure più sorprendenti e importanti sono San Pietro con le chiavi del paradiso e San Luca mentre scrive uno dei suoi testi biblici.