Archivi giornalieri: 2 giugno 2022

Ecco alcune tappe sulla storia della Festa della Repubblica

Ecco alcune tappe sulla storia della Festa della Repubblica

Oggi, 2 giugno, tutta l’Italia celebra la Festa della Repubblica, una delle giornate più importanti della nostra storia e della nostra Nazione, ricca di iniziative e cerimonie ufficiali. La Festa della Repubblica commemora il giorno in cui i cittadini italiani hanno votato l’abolizione della monarchia e l’istituzione della Repubblica Italiana che abbiamo ricordato oggi, attraverso il referendum istituzionale che si tenne proprio il 2 giugno del 1946.

Tutto ebbe inizio dopo la caduta del regime fascista, sostenuto da Casa Savoia per più di 20 anni. Casa Savoia era una dinastia reale fondata nel 1003, che gradualmente crebbe, da famiglia al potere a regno imponente con dominio assoluto. Dopo la caduta e la fine della seconda guerra mondiale, il 2 e 3 giugno 1946 fu indetto un referendum a suffragio universale per l’abolizione della monarchia. Il suffragio universale è il principio secondo il quale tutti i cittadini, di norma al raggiungimento della maggiore età, possono esercitare il diritto di voto e partecipare alle elezioni politiche e amministrative, e ad altre consultazioni pubbliche (come i referendum), senza alcuna restrizione.

storia festa della repubblica Life&People MagazineE fu così che, dopo 85 anni di monarchia, un referendum ha portato a 12.717.923 voti “a favore” (54%) e 10.719.284 voti “contrari” (45%). I risultati furono chiari: gli italiani inaugurarono un nuovo capitolo di libertà, come dichiarato dalla Corte di Cassazione, ed esiliarono i membri maschi della famiglia reale, i Savoia, che si trasferirono per la maggior parte in Svizzera. Il Paese adottò una nuova costituzione l’ 1 gennaio 1948, rendendo l’Italia una Repubblica parlamentare unitaria con il divieto permanente alla monarchia di governare di nuovo il Paese.

Mai più monarchia

La Costituzione ora vieta una monarchia e la famiglia Casa Savoia ha formalmente rinunciato alla pretesa al trono come una delle condizioni per il diritto al ritorno dall’esilio, nel 2002. Umberto rifiutò il diritto di tornare in patria, morendo a Ginevra nel 1983. Cosa è successo agli altri? Il principe Vittorio Emanuele, sua moglie e suo figlio sono tornati in Italia nel 2003, dopo che il partito dell’ex primo ministro Silvio Berlusconi ha ribaltato il loro esilio. Ma non furono proprio accolti a braccia aperte, anche perché Vittorio Emanuele, non molto tempo prima aveva difeso le leggi razziali di Mussolini definendole “non così cattive”. Dopo le numerosissime proteste, nel 2021, Emanuele Filiberto di Savoia (pronipote del re) si è scusato con la comunità ebraica del Paese per il ruolo svolto dal suo antenato nelle leggi razziali del dittatore Mussolini e nell’Olocausto.

storia festa della repubblica Life&People Magazine

Nella storia, la Festa della Repubblica ha cambiato data per 24 anni

Nel 1977, si pensava che il gran numero di giorni festivi in Italia avesse un impatto negativo sull’economia già in difficoltà. Quindi, per evitare di compromettere gli affari, la Festa della Repubblica è stata spostata alla prima domenica di giugno. La prima domenica di giugno aveva già avuto una lunga storia come festa nazionale d’Italia. Infatti prima che l’Italia diventasse una Repubblica, questa festa era conosciuta come la Festa dello Statuto Albertino; si commemorava la costituzione del 1848, che era vista come la fondazione del Regno d’Italia. Nel 2001, con la legge numero 336 del 20 novembre 2000, la festività del 2 giugno è stata reintrodotta.

Come si celebra la Festa della Repubblica?

Le celebrazioni per la Festa della Repubblica coinvolgono ogni anno le Forze Armate, le Forze di Polizia, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, il Corpo Nazionale della Croce Rossa Italiana ed alcune delegazioni militari di ONU, NATO ed Unione Europea. Il protocollo della celebrazione prevede che il Presidente Mattarella deponga una corona di fiori sulla Tomba del Milite Ignoto all’Altare della Patria a Roma. Segue la grande parata militare lungo Via dei Fori Imperiali. È tradizione che i membri del governo italiano e i Presidenti di entrambe le Camere del Parlamento abbiano una coccarda italiana tricolore appuntata sulla giacca durante la cerimonia. Il momento clou della giornata è il cavalcavia delle Frecce Tricolori; quando nove aerei dell’Aeronautica Militare italiana volano sopra la parata rilasciando striature di fumo verde, bianco e rosso nel cielo.

storia festa della repubblica Life&People Magazine

Il tradizionale protocollo prevede che i festeggiamenti proseguano anche nel pomeriggio

con l’apertura al pubblico dei Giardini del Palazzo del Quirinale; con i concerti delle bande dell’Esercito Italiano, della Marina Militare Italiana, dell’Aeronautica Militare Italiana; di Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale dello Stato. Al Palazzo del Quirinale si svolge la rappresentazione del Cambio della Guardia con il Reggimento Corazzieri e la Fanfara del IV Reggimento Carabinieri a cavallo in piena divisa. Le cerimonie ufficiali si svolgono in tutto il Paese, nelle Regioni e nei Comuni; in tutto il mondo, le Ambasciate italiane organizzano cerimonie alle quali sono invitati i Capi di Stato del Paese ospitante.

frecce tricolori Life&People MagazineUn giorno molto importante per tutti gli italiani che celebrano un patrimonio di valori condivisi; la libertà, la democrazia e lo stato di diritto che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dell’essere umano; insieme alla garanzia dello Stato sociale. Mai come in questo periodo storico questi festeggiamenti assumono un’importanza cruciale per la nostra società.

Guarda anche – Procida Capitale Italiana della Cultura 2022 

Per non perdere gli articoli di Life & People seguiteci su Google News

 

Granatieri di Sardegna

Granatieri di Sardegna

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
 
 
 

Jump to navigationJump to search

Brigata fanteria
“Granatieri di Sardegna”
CoA mil ITA mec Bde Granatieri di Sardegna.png

Scudetto della Brigata

Descrizione generale
Attiva 1659 – attuale
Nazione Regno di Sardegna Regno di Sardegna
Italia Italia
Italia Italia
Servizio Flag of the Kingdom of Sardinia (1848-1851).svg Armata Sarda
Flag of Italy (1860).svg Regio Esercito
Coat of arms of the Esercito Italiano.svg Esercito Italiano
Tipo fanteria pesante
Patrono San Martino
Battaglie/guerre Primaseconda e terza guerra di indipendenzaprima e seconda guerra mondiale
Decorazioni 3 Croci di cavaliere dell’Ordine militare d’Italia e 13 medaglie al valor militare
Parte di
VIII Comando Militare Territoriale
Reparti dipendenti
1946

Simboli
fregio e alamari di specialità Alamari granatieri.jpg Fre ftr graC.jpg Alamari granatieri.jpg
Voci su unità militari presenti su Wikipedia

I “Granatieri di Sardegna” è un corpo militare dell’Esercito italiano, inquadrato nella Brigata meccanizzata “Granatieri di Sardegna” una grande unità di stanza a Roma.

Alle Bandiere dei reggimenti della specialità sono state conferite complessivamente 3 croci di Cavaliere dell’Ordine militare d’Italia e 13 Medaglie al valor militare (4 d’oro, 7 d’argento e 2 di bronzo).

Fino al 2004, anno in cui venne sospesa la leva militare, l’altezza minima per accedere al corpo dei Granatieri di Sardegna era 190 cm, requisito che è stato ridotto a 180 cm (185 cm per gli Ufficiali) per necessità strettamente connesse all’ergonomia nell’uso dei mezzi militari da combattimento.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

«Sappiate che avete a che fare con i granatieri, i quali non si arrendono mai!»
(Filippo del Carretto, Comandante del 3° battaglione Granatieri)
«Di noi tremò la nostra vecchia gloria. Tre secoli di fede e una vittoria.»
(Gabriele d’Annunzio)

I granatieri derivano dall’antico Reggimento delle guardie reali del Regno di Sardegna creato nel 1659 dal duca Carlo Emanuele II di Savoia che proseguendo e affermando le riforme militari iniziate da Emanuele Filiberto, volle la costituzione di un esercito permanente di pace, come nucleo dell’esercito di guerra.[1] Il primo reggimento di tale esercito fu il reggimento di “Guardia” o delle “Guardie”, costituito il 18 aprile 1659, al quale risalgono le origini dei granatieri italiani.[2] Il reggimento ebbe uniforme rossa, sulla quale vennero in seguito applicati gli alamari bianchi, distintivi attuali dei granatieri. Nel 1664 il reggimento di guardia fu dichiarato il primo e il più anziano della fanteria d’ordinanza ed ebbe speciali privilegi, che conservò sino al 1852, tra cui quello di montare la guardia al palazzo del principe.[2]

L’appellativo “granatieri” deriva dal fatto che, nel 1685, in relazione all’invenzione di piccole granate a mano atte al lancio individuale a breve distanza e a imitazione dell’esercito francese, il Duca Vittorio Amedeo II di Savoia istituì la specialità dei soldati “granatieri”, addestrati e destinati a lanciare tali granate, precedendo le colonne d’attacco, assegnando ad ogni compagnia del reggimento sei soldati incaricati di lanciare allo scoperto le granate.[2]

Nel 1685 venne assegnata una compagnia per reggimento e nel 1696 una compagnia per ogni battaglione di fanteria d’ordinanza. Per ottenere che le granate venissero lanciate alla maggiore distanza possibile, furono scelti come granatieri uomini più forti e più alti della media, requisito mantenuto per tradizione, anche quando cadde l’uso del lancio delle granate a mano. Durante le campagne del 1796 del Piemonte contro la Repubblica Francese, furono formati battaglioni granatieri, riunendo le compagnie dei vecchi reggimenti, e vari reggimenti (cinque nel 1796), riunendo i battaglioni a due a due.[2] All’atto della ricostituzione delle forze militari piemontesi, che tra il 1798 e il 1814 erano state variamente sciolte e incorporate in quelle francesi, il re Vittorio Emanuele I ricostituì, tra l’estate 1813 e l’inizio del 1815, il Reggimento delle “Guardie”, assumendone il comando.[2]

Dopo la campagna del 1815 contro la Francia il reggimento divenne “Brigata Guardie”, in quanto destinato a formare una brigata di due reggimenti nell’eventualità di guerra. Nel gennaio 1816 la brigata guardie assorbì tutti i granatieri dell’esercito sardo; il sovrano estese a tutti i suoi componenti il titolo onorifico di “granatieri” e la brigata assunse la denominazione di “brigata Granatieri Guardie”. Nel gennaio 1831, a seguito del riordino dell’Arma di fanteria definito poi dall’ordinamento del 25 ottobre 1831, le brigate di fanteria furono costituite permanentemente su due reggimenti, la brigata “Granatieri Guardie” non venne sdoppiata e all’unico reggimento di cui era costituita denominato “Reggimento granatieri”, venne aggregato il reggimento “Cacciatori Guardie”; i due reggimenti costituirono la Brigata “Guardie”. Il reggimento “Cacciatori Guardie” era stato costituito il 13 luglio 1744 dal patrizio sardo don Bernardino Antonio Genovese, duca di San Pietro, e incorporato nell’esercito piemontese col nome di “Reggimento di Sardegna”, che durante il periodo napoleonico era rimasto l’unico a disposizione di casa Savoia, perché è stato l’unico a sfuggire allo scioglimento, grazie alla sua dislocazione in Sardegna.

Risorgimento[modifica | modifica wikitesto]

I granatieri presero parte alle campagne risorgimentali. Nel corso della Prima guerra di indipendenza, per la campagna del 1848 la brigata fu costituita su due reggimenti nei quali furono ripartite le compagnie del Reggimento Cacciatori e dopo tale campagna il 14 ottobre 1848 con la costituzione della “Brigata Guardie” su tre Reggimenti, agli esistenti Reggimento Cacciatori e al Reggimento Granatieri (1°) venne aggiunto un secondo Reggimento Granatieri, cui si aggiunse nel marzo 1850 un terzo Reggimento Granatieri che prese il nome di 3º Reggimento “Granatieri Guardie”, formato da due Battaglioni di riserva, che ebbe vita breve essendo stato soppresso due mesi dopo a seguito dello scioglimento dei Battaglioni di riserva.

Con decreto 20 aprile 1850, la Brigata Guardie tornò ad essere articolata su due Reggimenti Granatieri prendendo il nome di Brigata Granatieri la Brigata prese il nome di Brigata Granatieri, composta dal 1º e 2º Reggimento Granatieri, conservando la precedenza sulle altre Brigate di fanteria, con il Reggimento “Cacciatori Guardie” che venne staccato diventando autonomo con il nome di “Cacciatori di Sardegna”, che però venne sciolto definitivamente nel 1852 cedendo le sue dieci compagnie, cinque e cinque, nei due Reggimenti Granatieri che, da allora e per perpetuare il ricordo del disciolto Reggimento, presero il nome Reggimenti “Granatieri di Sardegna” e analogamente la Brigata Granatieri prese il nome di Brigata “Granatieri di Sardegna”.

i Granatieri presero parte alla Seconda guerra di indipendenza e il 29 agosto 1859, avvenuta l’annessione della Lombardia, fu decretata la formazione della brigata “Granatieri di Lombardia” (reggimenti 3° e 4°). Dopo l’annessione delle provincie meridionali fu formata, il 24 gennaio 1861, la Brigata “Granatieri di Napoli” (reggimenti 5° e 6°). Con l’ordinamento 29 giugno 1862 fu costituita la brigata “Granatieri di Toscana” (reggimenti 7° e 8°). Nel 1866 furono creati, per poco tempo, i reggimenti 9º e 10º granatieri. Le brigate “Granatieri di Lombardia”, “Granatieri di Napoli” e “Granatieri di Toscana” sono poi divenute rispettivamente le Brigate “Lombardia” (73º e 74º reggimento), “Napoli” (75º e 76º reggimento) e “Toscana” (77° e 78°). Successivamente in tempi più recenti venne costituita la Brigata “Granatieri di Savoia” costituita da 11º e 12º Reggimento Granatieri. Nel 1866 i granatieri presero parte alla Terza guerra di indipendenza. Nel 1871 tutte le brigate di granatieri furono trasformate in brigate di fanteria di linea, a eccezione della brigata “Granatieri di Sardegna”, la quale seguì, da quel momento, l’evoluzione organica delle unità di fanteria di linea. Sciolta il 25 ottobre 1871, unitamente alle altre brigate permanenti, la brigata venne ricostituita il 2 gennaio 1881 riunendo ancora il  e 2º Reggimento Granatieri.

Nel 1902 re Vittorio Emanuele III fece trasferire i due reggimenti Granatieri a Roma, lasciando le sedi di Parma e Piacenza. L’adozione della divisa grigio verde, pochi anni dopo, causò la perdita degli alamari che rimasero solo sull’alta uniforme da parata (essi comunque vengono riprodotti, stilizzati, sulle mostrine). I Granatieri parteciparono alla guerra italo-turca, che avrebbe portato alla conquista di Cirenaica e Tripolitania, e nel 1912 con due battaglioni della brigata Granatieri venne costituito per pochi mesi il Reggimento “Granatieri di Libia”.

La Grande guerra e l’impresa di Fiume[modifica | modifica wikitesto]

 

Granatiere in uniforme storica

Nella prima guerra mondiale i Granatieri furono in prima linea tra Monfalcone e il SabotinoOslavia, il Monte Cengio e il Monte San Michele, nonché sul Passo dello Stelvio. Nel 1918 partecipano alla battaglia di Vittorio Veneto. Nel corso del conflitto la Brigata Granatieri fu tra quelle che subirono le perdite in combattimento più pesanti: 12.202 uomini tra morti e dispersi e 14.110 feriti in poco più di 20 mesi trascorsi in prima linea. Le bandiere di guerra di entrambi i Reggimenti della Brigata furono decorate con la croce di Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia, una medaglia d’oro ed una d’argento al valor militare. Ingente anche il numero di decorazioni individuali: 10 medaglie d’oro, 572 d’argento e 658 di bronzo al valor militare[3]. Al termine della Grande Guerra (con la battaglia di Vittorio Veneto) i Granatieri di Sardegna furono destinati al presidio di Fiume. Ma in seguito a problemi con la minoranza croata furono allontanati dalla città il 25 agosto 1919. Acquartieratisi a Ronchi dei Legionari, sette ufficiali inviarono a Gabriele D’Annunzio la lettera da cui scaturì l’Impresa di Fiume:

«Sono i Granatieri di Sardegna che Vi parlano. È Fiume che per le loro bocche vi parla. Quando, nella notte del 25 agosto, i granatieri lasciarono Fiume, Voi, che pur ne sarete stato ragguagliato, non potete immaginare quale fremito di entusiasmo patriottico abbia invaso il cuore del popolo tutto di Fiume… Noi abbiamo giurato sulla memoria di tutti i morti per l’unità d’Italia: Fiume o morte! e manterremo, perché i granatieri hanno una fede sola e una parola sola. L’Italia non è compiuta. In un ultimo sforzo la compiremo.»
(Dalla lettera inviata a D’Annunzio da alcuni ufficiali dei Granatieri di Sardegna)

Periodo tra le due guerre[modifica | modifica wikitesto]

In esecuzione della legge 11 marzo 1926 sull’ordinamento del Regio Esercito, che prevedeva la costituzione delle Brigate su tre reggimenti, nella brigata venne inquadrato anche il 3º Reggimento “Granatieri” ricostituito il 1º dicembre 1926, formato con i terzi battaglioni dei reggimenti preesistenti, e la brigata prese il nome di XXI Brigata di fanteria. Nel 1935 il I Battaglione del 3º Reggimento prese parte alla Guerra di Etiopia. Il 12 ottobre 1936 venne costituita a Littoria (l’odierna Latina) la 65ª Divisione fanteria “Granatieri di Savoia”, che inquadrava la Brigata “Granatieri di Savoia”, su 10º Reggimento granatieri ed 11º Reggimento granatieri, un Battaglione mitraglieri d’Africa ed il 60º Reggimento artiglieria “Granatieri di Savoia”; nel novembre dello stesso anno venne inviata in Africa Orientale Italiana, ad Addis Abeba. I reparti della divisione vennero impiegati in operazioni anti-guerriglia e di rastrellamento nello Scioa, nella regione del Nilo Azzurro, a Debra Sina, a Sendafè e ad Addis Alem. Il 23 agosto 1937 il I Battaglione del 10º Reggimento granatieri venne assegnato al Corpo di Spedizione Internazionale per il presidio delle legazioni internazionali a Shanghai durante la seconda guerra sino-giapponese e fece rientro in Patria il 28 dicembre 1938.[4][5]

Nell’autunno 1939 quando vennero costituite le Divisioni di fanteria articolate su due reggimenti di fanteria, il  e il 2º Reggimento “Granatieri di Sardegna” vennero assegnati, insieme al 13º Reggimento artiglieria, alla 21ª Divisione fanteria “Granatieri di Sardegna”, mentre il 3º Reggimento “Granatieri Guardie” venne staccato da essa, restando dislocato in Albania alla cui invasione aveva preso parte e sarebbe stato poi impiegato durante la seconda guerra mondiale sul fronte greco-albanese, dove si sarebbe distinto per dedizione ed eroismo.

La seconda guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: 21ª Divisione fanteria “Granatieri di Sardegna”.

All’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale la 21ª Divisione fanteria “Granatieri di Sardegna” venne trasferita sul fronte occidentale inquadrata nella 7ª Armata con compiti di riserva, stabilendo la sede del Comando a Subbio nell’astigiano, ma non venne impiegata nelle operazioni contro la Francia a causa del rapido concludersi delle operazioni con l’armistizio di Villa Incisa.

il 20 aprile 1941 la 65ª Divisione fanteria “Granatieri di Savoia” che aveva operato in Africa Orientale Italiana venne considerata sciolta per eventi bellici.L’8 maggio 1941, in seguito all’invasione della Jugoslavia da parte delle truppe dell’Asse la Grande Unità venne trasferita in Slovenia nella zona di LubianaKočevje con il compito di presidiarne parte del territorio. Nel mese di settembre 1942, la Divisione venne trasferita in Croazia, per iniziare nella seconda metà di novembre il rimpatrio, prendendo sede a Roma.

Alla data dell’8 settembre 1943 la Divisione faceva parte del Corpo d’Armata Motocorazzato adibito alla difesa della capitale ed era schierata nella zona sud di Roma a presidio dei capisaldi predisposti in corrispondenza delle vie di accesso alla Capitale, lungo un semicerchio dell’estensione di circa trenta chilometri, dalla Via Boccea alla Via Collatina e in seguito alla proclamazione dell’armistizio tutti i reparti della Divisione presero parte agli scontri del 9 e 10 settembre a sud di Roma contro i tedeschi a cavallo della Via Ostiense agli ordini del generale Gioacchino Solinas, contendendo le posizioni presidiate per due giorni: presso Porta San Paolo poi al Campidoglio difeso dalla IV Compagnia Reclute del 1º Reggimento, comandata del Capitano Alberto Alessandrini, che si rivelerà l’ultimo baluardo della difesa di Roma, i Granatieri e le altre truppe giunte in rinforzo (carabinieri, bersaglieri, polizia Africa italiana, cavalleria, carristi, paracadutisti) ebbero il forte sostegno della popolazione romana armata. Questo episodio, per l’unione assolutamente inedita tra esercito e popolo, è stato considerato il preludio di quella che divenne la Resistenza italiana.

Il 10 settembre, in seguito al trasferimento di Vittorio Emanuele III assieme alle più alte cariche governative e militari ed alla successiva resa voluta dagli Alti comandi romani, la Divisione, rimasta priva di ordini, si sbandò, così come la quasi totalità dell’Esercito Regio, sciogliendosi. Sempre a seguito dell’armistizio, il Raggruppamento Granatieri in Corsica si batté con successo nelle operazioni intraprese dai comandi e dalle truppe italiane in quell’isola per scacciarne i tedeschi a ZonzaQuenzaLevie e Porto Vecchio e nei combattimenti ingaggiati per ostacolare lo spostamento dei reparti corazzati tedeschi che, lasciata la Sardegna, raggiungevano Bastia per imbarcarsi alla volta di Livorno. in ottobre il raggruppamento fu trasferito nel nord della Sardegna e successivamente a Iglesias.

Il 3º Reggimento Granatieri alla data dell’armistizio era dislocato in un’ampia zona della Grecia, con comando nella zona di Atene, attivo in servizi di vigilanza, di presidio e costieri. Su decisione degli alti Comandi fu decisa la resa, a seguito della quale tutti i militari vennero deportati nel campo di prigionia di Wietzendorf, in Germania. Il 15 maggio 1944 la Divisione venne ricostituita in Sardegna, quale Divisione Granatieri, per trasformazione del Raggruppamento Granatieri, formata da 1º e 2º Reggimento Granatieri, dal 32° e 132º Reggimento fanteria carrista, dal 553º e 548º Reggimento Artiglieria (quest’ultimo sostituito il successivo 14 luglio dal 507º Reggimento, formato per trasformazione del 7º Reggimento di C.A.), dalla 205ª compagnia mista del genio e da elementi dei servizi. Nella prima decade di agosto i due reggimenti granatieri inviati sul continente passarono alle dipendenze del Gruppo di Combattimento “Friuli”. Con il personale della divisione, sciolta in data 31 agosto dello stesso 1944, vennero formati il 1º e 2º Reggimento Guardie mentre aliquote di personale qualificato furono cedute alla Divisione “Cremona”.

Dal febbraio 1944 hanno costituito l’ultima guardia alla residenza del re Vittorio Emanuele III di Savoia presso Ravello[6].

Divisione fanteria “Granatieri di Sardegna”[modifica | modifica wikitesto]

Nel dopoguerra la grande unità viene ricostituita il 1º aprile 1948 a Roma quale Divisione di fanteria “Granatieri di Sardegna” con il 1º Reggimento Granatieri, unico reggimento granatieri, il 17º Reggimento Fanteria “Acqui”, il 13º Reggimento Artiglieria da Campagna.

 

Castel Goffredo, monumento ai Granatieri di Sardegna

All’inizio delle ricostituzione l’organico della Divisione Fanteria “Granatieri di Sardegna” con sede a Civitavecchia in provincia di Roma era il seguente:

All’organico iniziale nel 1951 si aggiunse un reggimento di artiglieria da campagna la 8ª Compagnia Genio Artieri elevata a livello di battaglione Genio pionieri e il gruppo esplorante divisionale elevato a livello reggimentale, mentre la 8ª Compagnia Genio Collegamenti divenne 8ª Compagnia Trasmissioni.

Nel 1954 l’organico della Divisione Fanteria “Granatieri di Sardegna” era il seguente:

Nel 1959 in seguito allo scioglimento della Divisione corazzata “Pozzuolo del Friuli” venne acquisito il 1º Reggimento bersaglieri corazzato che viene poi ceduto nel 1963 alla Divisione corazzata “Centauro”, la 8ª Compagnia trasmissioni elevata a livello di battaglione e il 18º Reggimento artiglieria da campagna trasformato in reggimento di artiglieria contraerea e ceduto al Comando Artiglieria Controaerei di Padova. Sempre nel 1963 è entrato a far parte della Divisione Fanteria “Granatieri di Sardegna” il ricostituito 3º Reggimento fanteria corazzato articolato su LXVII Battaglione bersaglieri su VTT M113 e su XXXI Battaglione carri su carri medi M47 Patton e su una Compagnia Bersaglieri controcarri; tale reggimento ereditava le tradizioni e la bandiera di guerra del 3º Reggimento fanteria carrista sciolto nel 1943. La divisione perdeva anche il Reggimento “Lancieri di Montebello” (8º) che passava alla dipendenze dell’VIII Comando militare territoriale di Roma, mantenendo un Battaglione Esplorante Divisionale e il 46º Reggimento fanteria “Reggio” passato alle dipendenze del Comando militare territoriale della Sicilia, mentre la Divisione si trasformava in Divisione motorizzata e inquadrava anche una sezione aerei leggeri su velivoli L 21 A.

Il 1º ottobre 1964 venne costituito nella sede di Persano il XIV Squadrone esplorante “Cavalleggeri di Alessandria”, che venne inquadrato nell’organico della Divisione ed ereditava lo Stendardo e le tradizioni del 14º Reggimento “Cavalleggeri di Alessandria”, sciolto nel settembre 1943 in seguito alle vicende armistiziali.

Nel 1964 l’organico della Divisione fanteria motorizzata “Granatieri di Sardegna” era il seguente:

L’8 maggio 1966 le decorazioni al Valor Militare delle Bandiere di Guerra del  e del 3º Reggimento Granatieri vennero appuntate al drappo del 1º Reggimento “Granatieri di Sardegna”, l’unico ricostituito nel 1946, per riassumere nei simboli l’essenza unitaria dei tre secoli di tradizioni militari comuni dei Granatieri.

Alla vigilia della grande ristrutturazione dell’Esercito Italiano del 1975 l’organico della Divisione fanteria motorizzata “Granatieri di Sardegna” era il seguente:

Brigata meccanizzata “Granatieri di Sardegna”[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Brigata meccanizzata “Granatieri di Sardegna”.

 

Alamari da camicia, dei Granatieri di Sardegna.-

Nel 1976 in conseguenza della profonda ristrutturazione dell’Esercito Italiano si è avuta una riorganizzazione dell’Esercito con l’abolizione del livello reggimentale e la costituzione di battaglioni autonomi in seno alle brigate: la Divisione “Granatieri di Sardegna” veniva sciolta, insieme al 1º Reggimento “Granatieri di Sardegna”; nasceva invece la Brigata meccanizzata “Granatieri di Sardegna”, erede del 1º, del 2º e del 3º Reggimento “Granatieri di Sardegna”, articolata su tre battaglioni meccanizzati (1º “Assietta”2º “Cengio” e 3º “Guardie” (quest’ultimo, basato a Orvieto, che svolgeva funzione di Battaglione Addestramento Reclute di Granatieri), uno meccanizzato di Bersaglieri (1º “Lamarmora”), uno di carristi (6º Battaglione Carri “M.O. Scapuzzi”) e una compagnia controcarri “Granatieri di Sardegna”, reparti basati presso Borgata Aurelia a Civitavecchia e infine, il 13º Gruppo artiglieria da campagna “Magliana”, basato a Civitavecchia insieme con il Battaglione logistico “Granatieri di Sardegna” e una compagnia genio.

Dopo l’ulteriore riorganizzazione della fine anni Ottanta del secolo scorso, il 4 ottobre 1993 il Reparto Comando e Trasmissioni diviene Reparto Comando e Supporti Tattici nel quale confluisce la Compagnia Genio Guastatori.

Dal 21 dicembre 1995 riceve il 7º reggimento artiglieria da campagna semovente “Cremona” in vece del 13° che viene sciolto. Dal 15 maggio 1996 il 7° viene sostituito dal 33° “Acqui”. Successivamente, anche il Reggimento “Lancieri di Montebello” (8°) entra nell’organico della Brigata.

Oggi fanno parte della Brigata meccanizzata “Granatieri di Sardegna” il Reparto Comando e Supporti Tattici “Granatieri di Sardegna”, il 1º Reggimento “Granatieri di Sardegna”, il 2º Battaglione “Granatieri di Sardegna” e l’8º Reggimento “Lancieri di Montebello”.

Campagne di guerra[modifica | modifica wikitesto]

Guerre napoleoniche (1796-1815)
1796: Cosseria
Prima guerra d’indipendenza (1848)
1848: PastrengoSanta LuciaGoitoCustoza
Seconda guerra d’indipendenza (1859)
Madonna della Scoperta
Campagna in Italia centrale e meridionale (1860-1970)
1860-1861: PerugiaAnconaMola di Gaeta
1861-1870: Brigantaggio, zone di Itri, Fondi e Sperlonga
Terza guerra d’indipendenza (1866)
1866 Custoza
Eritrea (1895-1897)
Libia (1911-12)
Prima guerra mondiale (1915-1918)
1915: Monfalcone (giugno-luglio), M. Sabotino, Oslavia (novembre)
1916: Oslavia (marzo), M. Cengio (giugno), M. S. Michele – Nad Logen (agosto), S.Grado di Merna
1917: Regione Fornaza (maggio-giugno), Stariokwa-Selo (agosto), Bertiolo-Flambro (ottobre)
1918: Capo Sile (gennaio), delta del Piave (luglio), battaglia di Vittorio Veneto
Seconda guerra mondiale (1940-1943)
1940: Battaglia delle Alpi Occidentali
1941-1942: dal maggio 1941 al novembre 1942 assolve compiti di presidio in Jugoslavia
1942-1943: territorio nazionale
Guerra di Liberazione (1943-1945)
1943: dal 8 al 10 settembre prende parte con tutte le unità dipendenti alla difesa di Roma
1944-1945: territorio nazionale

Missioni[modifica | modifica wikitesto]

  • 1993: reparti della Brigata partecipano alla missione di pace “IBIS” in Somalia
  • 1992-1997: “Vespri Siciliani
  • 1997: un reparto della Brigata partecipa alla missione “SFOR” in Bosnia-Erzegovina nella città di Sarajevo
  • 2000: il 2º Reggimento “Granatieri di Sardegna” partecipa ad un’esercitazione NATO nella Repubblica di Bulgaria
  • 2001: Missione “Joint Guardian”, nella Repubblica d’Albania (Ure-i-Limutit, Pukë)
  • 2002: Missione “Joint Guardian”, nella Repubblica d’Albania (Durazzo, Comando COMM-ZW, fino al 17 giugno, e dal giorno successivo: NHQT)
  • 2005: Missione in Kosovo
  • 2008-2009: Libano, “Leonte V” (2ª Cp. del 1º Reggimento “Granatieri di Sardegna”)
  • 2010-2011: Kosovo, KFOR (1ª Cp. “Staffarda” del 1º Reggimento “Granatieri di Sardegna”)
  • 2010-2011: “Operazione Strade Sicure” (Italia) (33º Reggimento Artiglieria Terrestre (semovente) “Acqui”)
  • 2013: Afghanistan, ISAF XXI (2ª Cp. del 1º Reggimento “Granatieri di Sardegna”)
  • 2013-2014: Libano, “Leonte XV” (Shama)
  • 2015-2016: “Operazione strade sicure” (Italia) impegnati quali unità specializzate presso Ambasciate straniere e siti sensibili
  • 2017-2018: “Operazione strade sicure” (Italia) impegnati quali unità specializzate presso Ambasciate straniere e siti sensibili

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Al Corpo dei Granatieri[modifica | modifica wikitesto]

Ai Reggimenti e reparti del Corpo dei Granatieri sono state conferite nel corso della loro storia, complessivamente, le seguenti onorificenze[7]:

Cavaliere BAR.svg 3 Croci di Cavaliere dell’Ordine militare d’Italia (tutte già dell’Ordine militare di Savoia)

Valor militare gold medal BAR.svg 4 Medaglie d’oro al valor militare

Valor militare silver medal BAR.svg 8 Medaglie d’argento al valor militare

Valor militare bronze medal BAR.svg 3 Medaglie di bronzo al valor militare

Valor dell'esercito bronze medal BAR.svg 1 Medaglia di bronzo al valore dell’Esercito

BenemerenzaSiculo1908.png 1 Medaglia d’oro di benemerenza per il terremoto calabro-siculo (1908)

Alla bandiera di Guerra della Brigata Meccanizzata “Granatieri di Sardegna”[modifica | modifica wikitesto]

Valor militare silver medal BAR.svg 1 Medaglia d’argento al valor militare

Individuali[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere BAR.svg 3 Croci dell’Ordine militare d’Italia (tutte già dell’Ordine militare di Savoia, tutte le classi)

Valor militare gold medal BAR.svg 4 Medaglie d’oro al valor militare

Valor militare silver medal BAR.svg 7 Medaglie d’argento al valor militare

Valor militare bronze medal BAR.svg 2 Medaglie di bronzo al valor militare

Comandanti[modifica | modifica wikitesto]

Brigata “guardie” (1831-50)[modifica | modifica wikitesto]

  • Magg. Gen. Bonifacio Michele Negri di S.Front
  • Magg. Gen. Federico Milliet D’Arvillars
  • Magg. Gen. Carlo Biscaretti di Ruffia

Brigata “granatieri” (1850-52)[modifica | modifica wikitesto]

  • Magg. Gen. Carlo Biscaretti di Ruffia

Brigata “granatieri di Sardegna” (1852-71)[modifica | modifica wikitesto]

  • Magg. Gen. Marcello Gianotti
  • Magg. Gen. Luigi Scozia di Calliano
  • Magg. Gen. Carlo Camerana
  • Magg. Gen. Alessandro Gozani di Treville
  • Magg. Gen. Carlo Felice Nicolis di Robilant
  • Magg. Gen. Vittorio Federici

Brigata “granatieri di Sardegna” (1881-1926)[modifica | modifica wikitesto]

  • Magg. Gen. Francesco Chiron
  • Magg. Gen. Giuseppe Accusani di Retorto
  • Magg. Gen. Francesco Carenzi
  • Magg. Gen. Pietro Morelli di Popolo
  • Magg. Gen. Enrico Giardini
  • Magg. Gen. Luigi Vacquer Paderi
  • Magg. Gen. Vittorio Camerana
  • Magg. Gen. Giulio Tassoni
  • Magg. Gen. Giuseppe Amari
  • Magg. Gen. Ettore Negri
  • Gen. B. Renato Piola Caselli

Brigata “granatieri di Sardegna” (xxi) (1926-34)[modifica | modifica wikitesto]

Divisione di fanteria “granatieri di Sardegna” (21^) (1934-43)[modifica | modifica wikitesto]

Divisione granatieri (1944)[modifica | modifica wikitesto]

  • Gen. B. Gian Carlo Ticchioni

Divisione di fanteria “granatieri di Sardegna” (1948-76)[modifica | modifica wikitesto]

  • Gen. D. Lorenzo Caratti
  • Gen. B. Pietro Riccardi (ad interim)
  • Gen. D. Alberto Roda
  • Gen. D. Italo Giglio
  • Gen. D. Giorgio Liuzzi
  • Gen. D. Luigi Morosini
  • Gen. D. Carlo Cigliana
  • Gen. D. Bruno Lucini
  • Gen. D. Luigi Lombardi
  • Gen. D. Pietro Mellano
  • Gen. D. Guido Vedovato
  • Gen. D. Arturo Simonetti
  • Gen. D. Giuseppe Guillet
  • Gen. D. Raffaele Caccavale
  • Gen. D. Domenico Reale
  • Gen. D. G.Battista Calogero
  • Gen. D. Crescenzo Mari
  • Gen. D. Giuseppe Fenoglio
  • Gen. D. Giovanni Buttiglione
  • Gen. D. Ugo Scotto Lavina
  • Gen. D. Ferdinando di Lauro
  • Gen. D. Pietro Tolomeo
  • Gen. D. Arnaldo Giacalone
  • Gen. D. Antonino Anzà
  • Gen. D. Luigi Salatiello
  • Gen. D. Luigi Giannangeli
  • Gen. D. Vittorio Santini
  • Gen. D. Gianadelio Maletti
  • Gen. D. Umberto Nardini

Brigata meccanizzata “granatieri di Sardegna” (1976)[modifica | modifica wikitesto]

  • Gen. B. Massimo Tantillo
  • Gen. B. Pietro Tagliarini
  • Gen. B. Gianfranco Amisano
  • Gen. B. Antonio Viesti
  • Gen. B. Mauro Riva
  • Gen. B. Mario Buscemi
  • Gen. B. Roberto Altina
  • Gen. B. Rolando Mosca Moschini
  • Gen. B. Armando Jones
  • Gen. B. Duilio Benvenuti
  • Gen. B. Donato Berardi
  • Gen. B. Renato Petean
  • Gen. B. Michele Corrado
  • Gen. B. Emilio Marzo
  • Gen. B. Giorgio Ruggieri
  • Gen. B. Antonello Falconi
  • Brig. Gen. Giuseppe Maggi
  • Brig. Gen. Domenico Rossi
  • Brig. Gen. Umberto Caparro
  • Brig. Gen. Giovanni Garassino
  • Gen. B. Massimiliano Del Casale
  • Gen. B. Antonio Venci
  • Gen. B. Giovanni Armentani
  • Gen. B. Filippo Ferrandu
  • Gen. B. Cesare Marinelli
  • Gen. B. Massimo Scala
  • Gen. B. Maurizio Riccò
  • Gen. B. Gaetano Lunardo
  • Gen. B. Francesco Olla
  • Gen. B. Paolo Raudino
  • Gen. B. Diego Fulco

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ [1]
  2. ^ Salta a:a b c d e Treccani, su treccani.it. URL consultato il 14 dicembre 2017 (archiviato dall’url originale il 15 dicembre 2017).
  3. ^ Ministero della guerra – Comando del Corpo di Stato Maggiore – Ufficio Storico – Riassunti storici dei corpi e comandi nella guerra 1915-1918 – Brigate di Fanteria.
  4. ^ Copia archiviata (PDF), su granatieridisardegna.it. URL consultato il 29 novembre 2012 (archiviato dall’url originale il 30 aprile 2014)..
  5. ^ A. Vagnini, Il conflitto cino-giapponese a Shanghai. Le vicende del I battaglione Granatieri di Savoia, in Alessandro Vagnini – Sun Gyun Cho, La memoria della Cina in Italia, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008.
  6. ^ Paolo Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, Bologna, Il Mulino, 1993, ISBN 9788815041319, p.205
  7. ^ Rispettivamente, alla Brigata meccanizzata “Granatieri di Sardegna”: 1 Medaglia d’argento al valor militare; al 1º Reggimento: 1 Croce di Cavaliere dell’Ordine militare d’Italia (già di Savoia), 2 Medaglie d’oro al valor militare, 3 Medaglie d’argento al valor militare, 1 Medaglia di bronzo al valor militare, 1 Medaglia d’argento di benemerenza per il terremoto calabro-siculo (1908); al 2* Reggimento (sciolto): 1 Croce di Cavaliere dell’Ordine militare d’Italia (già di Savoia), 1 Medaglia d’oro al valor militare, 3 Medaglie d’argento al valor militare, 1 Medaglia di bronzo al valor militare, 1 Medaglia di bronzo al valore dell’Esercito (al 2º Battaglione Granatieri Meccanizzato “Cengio”); al 3º Reggimento poi “Guardie” (sciolto): 1 Croce di Cavaliere dell’Ordine militare d’Italia (già di Savoia), 1 Medaglia d’oro al valor militare (come 3º Reggimento “Granatieri di Sardegna e d’Albania”). A queste si aggiungono: 1 Medaglia d’argento e 1 Medaglia di bronzo al valor militare concessi al 3º Reggimento “Granatieri di Lombardia” (poi reggimento di fanteria).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Domenico GuerriniLa Brigata dei Granatieri di Sardegna, Tipografia Roux e Viarengo, Torino, 1902 [1]. Queste memorie storiche sono basate sul manoscritto originale di Vittorio Amedeo Vialardi di Verrone, maggior generale Comandante le Guardie dal 1820 al 1827.
  • Gioacchino Solinas, I granatieri di Sardegna nella difesa di Roma, Gallizzi, Sassari, 1968.
  • Renato Castagnoli, I Granatieri di Sardegna – tre secoli di storia, Stato Maggiore dell’Esercito – Reparto Affari Generali – Ufficio Risorse Organizzative e Comunicazione, Roma, 2003.
  • Lanfranco Sanna, Il reggimento fanteria d’ordinanza “di Sardegna” (1744-1852), arsmilitaris

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Brigata Sassari, la leggenda dei “Dimonios” nacque da una rissa furiosa

Brigata Sassari, la leggenda dei “Dimonios” nacque da una rissa furiosa

Un piccolo gruppo di artiglieri sardi a Genova si ribellò a violenze e angherie. Un generale incredulo: «Una brigata di questa gente può vincere qualsiasi guerra»

Non sempre la storia è quella raccontata nei libri o registrata negli archivi. La storia infatti cammina anche seguendo percorsi che restano oscuri, dei quali si conoscono magari gli effetti e le conseguenze, ma non l’origine. Rimangono cioè nell’ombra uomini e donne che, con le loro vite e le loro scelte, hanno determinato eventi che hanno poi lasciato il segno. Questi protagonisti della storia, senza nome e senza volto, sono destinati a essere inghiottiti dall’oblio. Ma ci sono rari casi in cui ricordi remoti o testimonianze apparentemente insignificanti possono, dopo moltissimi anni, riaffiorare dalle nebbie del tempo e ricomporsi, annodando il filo sottile di vite sconosciute al grande rocchetto della storia.

È il caso della nascita della Brigata Sassari. Gli archivi dell’Esercito documentano la sua costituzione il primo marzo del 1915 con due reggimenti, uno a Sinnai e l’altro a Tempio. Ma non dicono nulla sul perché e sul come lo Stato maggiore dell’esercito del regno d’Italia decise di creare questa unità, composta solo da sardi, che diventò leggenda nella Grande guerra. Ma che fu anche un importante laboratorio politico perché, come scrisse Emilio Lussu, «fu il deposito rivoluzionario della Sardegna del dopoguerra». Nelle trincee – tra la sofferenza, la paura, la furia e l’odore acre della morte – maturò infatti tra i contadini e i pastori in divisa e i loro ufficiali una coscienza nuova della propria identità regionale, anzi nazionalregionale.

Le testimonianze. A fornire una versione molto credibile di come nacque la Brigata è oggi Daniele Lostia Falchi, detto Lelle, di Orotelli. Il suo racconto, che colma un vuoto storico, è il frutto di un lavoro lungo e paziente di ricucitura di testimonianze raccolte negli anni. Ed è un racconto ricco di passione e di emozioni perché è anche la storia di suo padre: Andrea Lostia di Orotelli, classe 1894, figlio di Giovanni Battista e di Antonietta Marteddu.

«All’origine della Brigata Sassari – dice Lelle Lostia – c’è la storia poco conosciuta di un gruppo di artiglieri sardi che, nel 1914, si ribellò alla boria e agli abusi dei commilitoni continentali. Tra di loro c’era anche mio padre».

«Era un uomo molto energico e deciso – continua Lostia –. Fu chiamato alle armi nel 1912, all’età di 18 anni, e destinato al reggimento di artiglieria Fortezza da Costa a Genova. Si distinse fin da recluta quando riuscì a far sparare il gigantesco cannone da 420 millimetri, allora in fase di collaudo. Per questo ottenne come riconoscimento una medaglia».

Ma Andrea Lostia era anche un uomo molto riservato e avaro di parole. Della sua esperienza militare parlò raramente in famiglia. Così il figlio Lelle conobbe la storia del padre attraverso il racconto delle persone che l’avevano conosciuto in quegli anni difficili e che con lui avevano condiviso molte esperienze.

«A Buenos Aires, per esempio, – dice Lelle Lostia –, incontrai anni fa un certo Gianmario Lunesu che mi raccontò come mio padre aveva aiutato lui e molti altri sardi a Genova, dove erano in attesa di imbarcarsi per l’Argentina, la terra promessa».

Ma fu soprattutto un certo Borianu Sanna di Bitti, ex commilitone di Andrea Lostia, a parlare di quella tremenda rissa che poi condizionerà la storia. «Lo incontrai quando aveva 82 anni – dice Lelle – e doveva essere uno dei pochi ex commilitoni di mio padre ancora in vita. Fu lui che mi disse: “Tutte le volte che ci trovavamo in fila per il rancio o per lavarci, noi sardi venivamo ributtati indietro a gomitate. I continentali si credevano superiori ed erano molto più numerosi di noi. Ma dal giorno che gli abbiamo dato quella batosta con tuo padre Andrea le cose sono cambiate e noi sardi passavamo avanti ai continentali nelle file».

«Ci fanno filare come bestie». In quel 1914 cominciavano a soffiare i primi venti di guerra. Il conflitto era imminente e nell’Esercito tutti i congedi erano stati sospesi. Nei reparti si respirava un’aria pesante e la tensione era altissima. Anche nel reggimento Fortezza da Costa di Genova.

«Mio padre era diventato attendente del capitano – continua il racconto di Lelle Lostia –. Una sera tornò in caserma e trovò i suoi amici sardi silenziosi e avviliti. Uno di loro gli disse: «E non bides, Andrì, chi no sunu piccande a truba, e non intendes cussu romanu a punzoso serradoso e brazzoso arzadoso abbochinande chi pro isse bi cherete totta sa Sardigna (non vedi Andrea che ci fanno filare come bestie, e non senti quel romano che a pugni serrati e a braccia alzate urla che per stendere lui ci vuole tutta la Sardegna)”. La risposta di mio padre fu come una frustata: E boisi itte sezzisi ispettanne a l’istrubbare a susu chin corazu e animu determinadu chenza los timere, poi li damus a bidere chi no bi cheret totta sa Sardigna pro los crepare e los isperdere? (e voi cosa state aspettando a saltargli addosso con coraggio e con determinazione senza temerli, poi gli facciamo vedere che non ci vuole tutta la Sardegna per dargli una lezione e farli scappare)».

Orgoglio e rabbia. Fu la scintilla che scatenò una rissa cruenta e furiosa nella quale un pugno di sardi diede una severa lezione a tutto il reggimento di artiglieria Fortezza da Costa. Un sergente maggiore finì addirittura in ospedale per una coltellata in pancia. Le autorità militari pensarono subito a una rivolta contro lo Stato, sospettando infiltrazioni angioine repubblicane tra i sardi. Andrea Lostia fu indicato come il capo di quella ribellione e arrestato. Poi, fu trasferito a Piacenza in attesa del processo.

«Di alcuni protagonisti di quella terribile rissa – dice Lelle Lostia – sono riuscito a conoscere i nomi: Giorgio Satta Puliga di Buddusò, Burianu Sanna di Bitti, Daniele Mulas di Fonni, Domenico Curreli ed Emanuele Soro di Olzai, Salvatore Nieddu di Nuoro e Giovanni Maria Masala di Nule. Mio padre escogitò uno stratagemma per non far sapere ai familiari che si trovava in carcere. Scriveva cioè una lettera per la madre a Orotelli e poi la infilava in una busta più grande indirizzata a Genova al suo amico Daniele Mulas, il quale sfilava la prima busta e la spediva ai Lostia a Orotelli. Ma due cugini di mio padre seppero per caso a Sarule, da un soldato in licenza, che mio padre era finito nei guai e non era più al reggimento. Mio zio agronomo e un suo cugino medico partirono allora per Genova dove seppero che mio padre era in carcere a Piacenza, in attesa di essere giudicato per ribellione contro le istituzioni».

I Lostia presentarono allora al comandante del reggimento le loro credenziali di appartenenti a una famiglia nobile e fedele alla casa reale, tanto che un loro zio, Giovanni Battista, nel 1808, era stato posto da re Vittorio Emanuele a capo della reale Governazione di Sassari e nominato anche comandante della Giurisprudenza.

Lo stupore degli ufficiali. Il colonnello, anche grazie alla testimonianza del capitano di cui Andrea Lostia era attendente, capì che non esisteva alcun complotto e non c’era stata una rivolta, ma solo una furiosa rissa tra sardi e continentali. Il suo rapporto convinse anche il generale che dispose l’immediata scarcerazione dell’artigliere Lostia.

«Mi fu raccontato – prosegue Lelle Lostia – che il generale, del quale non conosco però il nome, rimase profondamente colpito da quella rissa e si chiedeva come fosse stato possibile che un gruppo esiguo di sardi avesse potuto sbaragliare un intero reggimento. “Non è possibile, non è possibile” ripeteva incredulo. Dopo alcune ore convocò i suoi ufficiali e disse: “Se è vero, come è vero, che un gruppo di sardi riesce a sbaragliare un reggimento al completo, allora se riusciamo a formare una brigata di soli sardi potremmo vincere qualsiasi guerra”».

L’idea piacque allo Stato maggiore: erano nati i diavoli rossi, i Dimonios.

«Onestamente non posso essere più preciso e riferire date certe. E sfuggono alcuni nomi – conclude Lelle Lostia –. Ma questa è la storia come io l’ho appresa da una serie di testimonianze, alcune anche dirette. E con le mie parole voglio onorare la memoria di mio padre e il valore e la balentia dei sardi che hanno partecipato alla Grande guerra sugli altipiani del Carso».

 

La costruzione di nuove scuole attraverso i fondi del Pnrr#OpenPNRR

La costruzione di nuove scuole attraverso i fondi del Pnrr#OpenPNRR

Sono 216 le nuove scuole che saranno costruite attraverso il piano previsto dal Pnrr. Un investimento innalzato dagli 800 milioni iniziali a oltre 1 miliardo di euro. Risorse che, insieme agli altri progetti sull’edilizia scolastica, dovranno fare fronte a necessità e carenze di lungo periodo.

 | 

A maggio sono state pubblicate le graduatorie delle aree in cui saranno costruite le nuove scuole previste dal Pnrr. Parliamo di 216 istituti scolastici per un importo totale stanziato superiore al miliardo di euro.

€ 1,19 mld stanziati per il piano di sostituzione delle scuole.

Utena cifra superiore rispetto agli 800 milioni indicati nel Pnrr, in seguito a un aumento di fondi che consentirà di costruire 21 nuove scuole in più rispetto alle 195 inizialmente previs.

Un incremento deciso per far fronte alle tantissime richieste pervenute. In base alle informazioni pubblicate dal ministero, le domande arrivate alla scadenza dell’avviso, a febbraio di quest’anno, sono state 543. Arrivate in misura massiccia soprattutto dagli enti locali di Campania (95), Lombardia (61), Veneto (47), Emilia-Romagna (45) e Toscana (42).

Sono stati 362 gli interventi entrati in graduatoria, per un totale di quasi 2 miliardi di euro richiesti. Di questi, 216 hanno raggiunto un punteggio che consentirà l’accesso ai fondi. Tra quelli entrati in graduatoria, restano comunque fuori dal finanziamento del bando 146 interventi, per un totale di 776,6 milioni di euro.

€ 1,97 mld gli importi totali richiesti dagli enti nella graduatoria del bando “nuove scuole”.

Per il Pnrr la sfida è riuscire a compensare ritardi e divari di lungo periodo del sistema educativo italiano.

Va specificato che non si tratta dell’unico intervento previsto dal Pnrr sull’edilizia scolastica: il più corposo è infatti rappresentato dai 3,9 miliardi destinati al piano di messa in sicurezza delle scuole. Perciò questo intervento, relativo al progetto nuove scuole, è chiamato a coprire solo una parte del fabbisogno esistente.

Basti pensare che mentre il piano “nuove scuole” interviene su 410mila metri quadri di patrimonio edilizio (le 195 scuole inizialmente stimate nel Pnrr), quello di messa in sicurezza riguarda la ristrutturazione di 2,4 milioni di metri quadri.

Trasparenza, informazione, monitoraggio e
valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato
al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Accedi e monitora

Allo stesso tempo, la grande partecipazione al bando segnala quanto sia avvertito come centrale l’investimento sulle scuole italiane, a partire dal rinnovamento del patrimonio edilizio. E indica come lo stanziamento di risorse in questo ambito intervenga molto spesso su necessità e carenze esistenti da lungo periodo.

17,8% gli edifici scolastici classificati come vetusti (2018).

Approfondiamo meglio le previsioni del Pnrr sull’edilizia scolastica e, nello specifico, la destinazione delle risorse previste dal progetto delle nuove scuole, anche rispetto alla condizione del patrimonio esistente.

In cosa consiste il piano nuove scuole

Le linee di intervento previste dal Pnrr sull’edilizia scolastica sono numerose: dalla messa in sicurezza del patrimonio esistente alla costruzione di mense e palestre. Gran parte di queste, come approfondiremo nel corso dell’articolo, sono stanziate all’interno della quarta missione, dedicata a istruzione e ricerca.

Il piano per le nuove scuole riguarda la missione sulla transizione verde.

Tuttavia, la quarta missione del piano nazionale di ripresa e resilienza, specificamente mirata al comparto educativo, non esaurisce tutti gli interventi in materia di edilizia scolastica. Vi è appunto il piano per la costruzione delle nuove scuole (più propriamente, il piano di sostituzione e riqualificazione energetica degli edifici scolastici). Questo è inserito nella missione 2, denominata “rivoluzione verde e transizione ecologica”.

-50% la riduzione del consumo di energia finale prevista per le nuove scuole dal Pnrr.

Su tale linea di intervento il Pnrr prevede la demolizione e ricostruzione delle scuole. A differenza del piano di messa in sicurezza e ristrutturazione, si tratta dei casi

(…) in cui gli interventi di adeguamento sismico o di miglioramento associati ad una consistente ristrutturazione finalizzata alla riduzione dei consumi energetici non sono tecnicamente ed economicamente convenienti.

Il piano per la costruzione di nuove scuole sarà probabilmente quello più innovativo tra tutti gli interventi previsti dal Pnrr per l’edilizia scolastica. Perché consentirà di creare degli ambienti educativi all’avanguardia, in termini di qualità edilizia, di rispetto per l’ambiente, di presenza di spazi verdi e connettività.

In questa direzione, sempre nel mese di maggio, sono state presentate le linee guida per le scuole del futuro. Tale documento, redatto da un apposito gruppo di esperti, sarà la base per le future progettazioni. Con l’obiettivo di costruire luoghi di apprendimento nuovi non solo nelle forme, ma concepiti come veri e propri laboratori didattici, aperti al territorio.

Gli interventi del piano per le nuove scuole

Attraverso i dati pubblicati nelle graduatorie, possiamo ricostruire dove saranno direzionati gli interventi. Oltre il 40% delle risorse, in base alla clausola prescritta dal Pnrr, andranno al mezzogiorno.

42,4% gli importi per la costruzione di nuove scuole destinati a sud e isole.

La Campania, con 213 milioni di euro di finanziamento (quasi il 18% del totale) è la prima regione per importi finanziati dalla misura. I progetti qui previsti porteranno alla costruzione di 35 nuovi istituti scolastici. Segue l’Emilia Romagna, con 146 milioni di euro finanziati per 23 nuove scuole.

 

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’istruzione
(ultimo aggiornamento: venerdì 6 Maggio 2022)

 

I 216 interventi finanziati prevedono nella maggior parte dei casi (183, l’85% del totale) la demolizione con successiva ricostruzione nello stesso luogo. Solo il restante 15% (33 interventi) indica come modalità progettuale la demolizione e costruzione della nuova scuola in un’altra sede. Con quote comunque variabili tra le regioni: prevedono la ricostruzione delocalizzata 2/3 degli interventi in Liguria, 1/3 di quelli della Basilicata, nonché il 30% dei progetti emiliano-romagnoli.

 
 

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’istruzione
(ultimo aggiornamento: venerdì 6 Maggio 2022)

 

In 5 regioni (Molise, Piemonte, Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle D’Aosta) tutti i progetti finanziati indicano la demolizione edilizia e la successiva ricostruzione nella stessa area.

Scendendo a livello locale, i maggiori fondi convergeranno verso le scuole di due territori campani. Il casertano, dove i finanziamenti ammontano complessivamente a 82 milioni di euro per 11 interventi, e il salernitano (47,66 milioni di euro per 11 interventi).

 
 

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’istruzione
(ultimo aggiornamento: venerdì 6 Maggio 2022)

 

Seguono le aree metropolitane di Milano (44,8 milioni, 4 interventi), Roma (41,18 milioni, 9 interventi), Bari (40,15 per 6 progetti) e Napoli (37,77 milioni per 6 interventi).

1/10 dei finanziamenti Pnrr per le nuove scuole si concentra nelle province di Caserta e Salerno.

La destinazione delle risorse verso i territori campani, e in particolare nel casertano, non deve stupire. Caserta è – insieme a Napoli – la provincia italiana con la quota più elevata di residenti in età scolastica. Il 14,1% della popolazione ha tra 6 e 18 anni, contro una media nazionale attorno al 12%.

E sebbene la quota di edifici vetusti risulti – come media provinciale – inferiore al dato nazionale (8,1% contro 17,8%), nei comuni casertani interessati dall’intervento in media solo il 5% delle scuole nel 2018 risultava progettato o successivamente adeguato alla normativa tecnica di costruzione antisismica.

27 gli enti locali che riceveranno un finanziamento superiore ai 10 milioni di euro.

Il comune di Castel Volturno, in provincia di Caserta, è quello che riceverà il finanziamento più consistente per la costruzione di nuove scuole, per un totale di 29,65 milioni di euro. Seguono la città metropolitana di Milano (24 milioni di euro), la provincia di Fermo (21,7), quella di Avellino (19,6).

 
 

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’istruzione
(ultimo aggiornamento: venerdì 6 Maggio 2022)

 

Da notare come anche in questo caso emerga una ricorrenza rispetto al territorio casertano. Sono 3 gli enti locali più finanziati appartenenti a quest’area, ognuno dei quali ha ricevuto dei fondi per le scuole di competenza. Oltre al già citato comune di Castel Volturno, quello di Santa Maria a Vico (13,4 milioni) e l’ente provinciale di Caserta (11,5).

Cosa dice la grande partecipazione al bando

In totale sono state presentate 543 domande di finanziamento per il bando nuove scuole, come indicato dal ministero.

Sono 362 gli interventi entrati in graduatoria, per un ammontare di quasi 2 miliardi di euro richiesti. L’aumento dello stanziamento da 800 milioni a 1,19 miliardi consentirà di finanziarne 216. Non hanno quindi trovato finanziamento con questa linea di investimento 146 interventi per 776,6 milioni di euro, di cui 36 in Campania, 26 in Veneto, 17 in Calabria.

 
 

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’istruzione
(ultimo aggiornamento: venerdì 6 Maggio 2022)

 

La Campania, che come abbiamo visto è la regione dove convergeranno le maggiori risorse, è anche quella che aveva inviato più candidature. Nonché quella con più interventi in graduatoria ma non finanziati.

La grande partecipazione al bando perciò segnala quanto questa linea di finanziamento abbia incrociato esigenze e necessità dei territori. Ed è anche indice di come la questione della riqualificazione del patrimonio scolastico sia avvertita dagli enti locali. Una realtà che l’analisi dei dataset sull’edilizia scolastica pubblicati dal ministero dell’istruzione mostra chiaramente.

La condizione attuale delle scuole

I prossimi anni, anche in relazione all’impegno indicato dal Pnrr, vedranno una crescita degli interventi per l’edilizia scolastica statale.

Investimenti che riguardano un patrimonio di oltre 40mila gli edifici scolastici presenti. Prima della pandemia, in base ai dati relativi al 2018, quasi il 18% delle strutture era classificato come vetusto, per un totale di 7.161 edifici.

Sempre in quell’anno, quasi il 13% degli edifici (5.117) risulta progettato (o adeguato successivamente) alla normativa tecnica di costruzione antisismica. Quota che comunque sale attorno al 25% tra i comuni in zona sismica 1, quella considerata a maggior rischio. Circa 2.000 edifici, pari al 4,9% del totale, risultavano censiti in un’area soggetta a vincolo idrogeologico.

1 su 4 edifici scolastici antisismici nei comuni appartenenti alla zona sismica 1 (quella più a rischio).

Si tratta di medie che però comprimono le differenze territoriali esistenti. A fronte di una percentuale del 17,8% di edifici vetusti, ad esempio, la quota raggiunge il 43,7% in Piemonte e il 37,5% in Liguria. Mentre si attesta al di sotto del 10% in Campania (5,97%) e Toscana (5,83%). Allo stesso modo, anche la quota di edifici in aree soggette a vincolo idrogeologico supera il 10% in Umbria (12%) e Liguria (10,95%).

 
 
DA SAPERE

Un edificio scolastico è classificato come vetusto quando ha più di 50 anni. Dati non disponibili per il Trentino Alto Adige.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Miur
(ultimo aggiornamento: mercoledì 4 Marzo 2020)

 

Anche la quota di edifici con progettazione antisismica varia molto. Se si isolano solo i comuni in zona 1, ad esempio, quelli progettati o adeguati alla normativa sono quasi il 60% in Friuli-Venezia Giulia e quasi la metà in Abruzzo (49%). Quota che è più lontana dall’essere raggiunta in regioni come la Calabria e la Campania. Nei comuni calabresi e campani collocati in zona sismica 1, la percentuale di edifici scolastici con progettazione antisismica oscillava – in base ai dati 2018 – tra il 15 e il 20%.

1 su 6 edifici scolastici antisismici nei comuni calabresi appartenenti alla zona sismica 1 (quella più a rischio).

Scendendo nell’analisi a livello locale, il quadro diventa ancora più frastagliato, come emerge a colpo d’occhio dalla mappa. La quota di edifici scolastici vetusti, ad esempio, supera il 50% del totale nei territori della provincia di Alessandria, del vercellese, del triestino, del biellese e dell’area di Asti.

 
 
DA SAPERE

Un edificio scolastico è classificato come vetusto quando ha più di 50 anni. Dati non disponibili per il Trentino Alto Adige.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Miur
(ultimo aggiornamento: mercoledì 4 Marzo 2020)

 

Rispetto alla collocazione delle scuole in zone a rischio idrogeologico, l’incidenza è maggiore nelle province di La Spezia (23,9%) e Siena (21,2%), dove supera un quinto degli edifici scolastici presenti. Seguono i territori di Massa-Carrara (17%), Cuneo (16,5%), Trieste e Rieti (entrambe al 15,2%).

I dati appena visti indicano una forte variabilità della condizione scolastica tra le diverse aree del paese. La messa in sicurezza e riqualificazione di questo patrimonio è un presupposto della stessa offerta educativa presente sul territorio. Per questo – di fianco all’analisi deuovl bando “ne scuole” – nei prossimi mesi sarà importante monitorare anche tutti gli altri interventi previsti sul patrimonio edilizio delle scuole italiane. Ma quali sono e di cosa si tratta nello specifico?

Gli altri interventi del Pnrr sull’edilizia scolastica

Le risorse previste dal piano delle nuove scuole (più propriamente, il piano di sostituzione e riqualificazione energetica degli edifici scolastici) non sono le uniche che il Pnrr destina al patrimonio edilizio scolastico.

€ 30,88 mld previsti dal Pnrr per la missione 4 (istruzione e ricerca).

Per cominciare, il piano di ripresa e resilienza interviene sul comparto dell’istruzione e della ricerca con una missione dedicata, la quarta. Essa vale quasi 31 miliardi di euro, divisi in due componenti:

  • 19,44 miliardi di euro per il “potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università” (componente M4C1);
  • 11,44 miliardi di euro nel settore “dalla ricerca all’impresa” (componente M4C2).

Nello specifico i 19,44 miliardi della prima componente della missione 4 sono a loro volta suddivisi per ambito di intervento. In particolare, 10,57 miliardi andranno al “miglioramento qualitativo e ampliamento quantitativo dei servizi di istruzione e formazione”. Tra questi, le risorse per l’estensione del tempo pieno (con l’incremento del servizio mensa) e il potenziamento delle infrastrutture per lo sport a scuolaaspetti trattati in altri approfondimenti.

€ 300 mln previsti dal Pnrr per la costruzione e la ristrutturazione di palestre scolastiche e strutture sportive.

Altri fondi della missione istruzione sono meno collegati al tema edilizio. Parliamo degli 830 e 430 milioni che andranno rispettivamente al “miglioramento dei processi di reclutamento e di formazione degli insegnanti” e alla “riforma e potenziamento dei dottorati”.

Ma è soprattutto un altro ambito di intervento della missione 4 a stanziare le maggiori risorse per l’edilizia scolastica. È denominato “ampliamento delle competenze e potenziamento delle infrastrutture” e vale 7,6 miliardi. Di questi, 3,9 sono destinati al piano di messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole esistenti. Un piano che – come abbiamo già avuto modo di raccontare – avrà come obiettivo prioritario le aree svantaggiate del paese e punta a ristrutturare oltre 2 milioni di metri quadri di edifici scolastici.

2,4 mln la superficie (in mq) di edifici scolastici coinvolta nel piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica

Vanno inoltre segnalate anche altre misure come il piano scuola 4.0. Proprio come gli interventi su mense e palestre, si tratta di iniziative pensate per potenziare l’offerta didattica su vari fronti, come tempo pieno, sport ed educazione digitale. E che, per essere concretizzate, dovranno necessariamente basarsi su interventi di natura strutturale sull’edilizia scolastica.

Si tratta quindi di una mole di interventi cospicua, che sarà essenziale monitorare nei prossimi mesi e anni. Dalla capacità di investire e riqualificare l’edilizia scolastica, infatti, passano molte delle sfide del sistema educativo nazionale.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto credit: Città di Parma (Flickr) – Licenza

PROSSIMO POST
 
Il superamento delle barriere architettoniche a scuola
Partner


L’obiettivo di scuole accoglienti, a partire dall’accessibilità

Una scuola effettivamente inclusiva implica una serie di azioni e interventi complessi, rivolti sia alle disabilità, sia in generale a tutti i bisogni educativi speciali. Una serie di strumenti e modalità organizzative indicate nella direttiva del ministero dell’istruzione del 27 dicembre 2012, che hanno come fulcro il diritto all’autonomia e all’inclusione.

Il percorso di inclusione deve essere declinato su ciascun territorio e situazione.

Tra questi la creazione di centri territoriali di supporto, che organizzino iniziative, formazione e consulenza sui temi dell’inclusione scolastica e sul ruolo delle tecnologie nei processi di apprendimento. Attività rivolte ai docenti, al personale scolastico, agli studenti e alle famiglie. La predisposizione di piani didattici personalizzati (Pdp), sia individuali che concepiti per tutti gli alunni con Bes della classe. E, sulla base di questi ultimi, dei Pai (piani annuali per l’inclusività), con cui le scuole programmano gli interventi in base ai bisogni degli alunni con Bes presenti nella scuola.

Il report in formato pdf

Tali attività comportano un lavoro di inclusione che, come è necessario, deve essere costruito su misura per ogni singola realtà. E come tale non è generalizzabile, né si presta a facili misurazioni, perché ogni situazione è diversa e necessita di una risposta ad hoc.

11,4% degli alunni con disabilità è portatore di una disabilità motoria (a.s 2018/19).

Allo stesso tempo, nelle azioni per l’inclusione vi sono degli standard inderogabili che non si prestano a una risposta differenziata. Perché costituiscono, per molte ragazze e ragazzi, il prerequisito stesso della partecipazione scolastica. Tra questi, ad esempio, il progressivo abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici scolastici, come previsto dal Dpr 503/1996.

Gli edifici delle istituzioni prescolastiche, scolastiche, comprese le università e delle altre istituzioni di interesse sociale nel settore della scuola devono assicurare la loro utilizzazione anche da parte di studenti non deambulanti o con difficoltà di deambulazione.

La presenza di barriere architettoniche

Sono molte le barriere frapposte all’accesso per i portatori di handicap agli edifici, compresi quelli scolastici.

Tra le scuole italiane di tutti gli ordini, statali e non, l’ostacolo più frequente a una piena accessibilità è l’assenza dell’ascensore, o comunque la presenza di un impianto non adatto al trasporto delle persone con disabilità. Tale situazione riguarda oltre il 40% delle scuole non accessibili. Seguono, in circa 1/4 delle scuole non accessibili, la presenza di bagni non a norma e l’assenza di servoscala.

Mentre sembrano essere più spesso a norma le scale interne (6,1% delle scuole non accessibili), quelle esterne (5,4%) e le porte (3%).

46,4% delle scuole italiane non accessibile per la presenza di barriere fisiche.

In generale, la presenza di barriere fisiche si rileva in quasi una scuola su 2 a livello nazionale. Sono poco meno di un terzo quelle completamente accessibili per alunni con disabilità motoria (32,1%), mentre oltre una su 5 (21,5%) non ha risposto alla rilevazione condotta da Istat e Miur.

Una situazione fortemente differenziata sul territorio, a partire dalle macroaree del paese. Nel mezzogiorno risulta accessibile il 27,4% dei plessi, nel centro circa un terzo del totale (32,5%) e nel nord il 36%. Divari che comunque non invertono la tendenza di fondo: al netto dei non rispondenti, in tutte le aree del paese almeno il 40% delle scuole non è pienamente accessibile per uno studente con disabilità motorie.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 9 Dicembre 2020)

 

Con differenze ampie tra le diverse regioni. Risultano accessibili oltre il 60% delle scuole della Valle d’Aosta e circa il 40% di quelle di Marche, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Emilia-Romagna. Dati superiori alla media nazionale in termini di accessibilità fisica anche in Sardegna, provincia di Trento, Toscana, Basilicata, Abruzzo, Umbria, Veneto e Puglia.

Molto più distanti la provincia di Bolzano (12,5%, il cui dato però non è stato rilevato da Istat ma dall’istituto provinciale di statistica Astat), Campania (21,5%), Liguria (24,1%) e Calabria (24,5%).

60,2% delle scuole italiane non dispone di nessun facilitatore per il superamento delle barriere senso-percettive.

Rispetto alle barriere senso percettive, i dati raccolti nell’indagine Istat consentono di rilevare la presenza di facilitatori nelle scuole. Si tratta di ausili informativi che facilitano la mobilità autonoma delle persone con difficoltà sensoriali. Tra queste, ad esempio, segnali acustici per non vedenti, segnalazioni visive per non udenti, mappe a rilievo e percorsi tattili.

A livello nazionale, circa il 18% delle scuole ne ha almeno uno, il 60% non ne ha nessuno e il 21,5% non ha risposto alla rilevazione. In questo caso, oltre alla minore presenza generale, spicca ancora la distanza tra nord e sud. Nel mezzogiorno solo il 13,8% dei plessi ha almeno un facilitatore, quota che sale al 17,9% nel centro e al 22,5% nell’Italia settentrionale. Anche in questo caso, tuttavia, va rilevato come in tutte le macroaree, nord compreso, oltre la metà delle scuole non disponga di facilitatori.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 9 Dicembre 2020)

 

In particolare, una maggiore presenza di almeno un facilitatore si riscontra nella provincia di Bolzano (30,1% delle scuole), seguita da Emilia-Romagna
Valle d’Aosta, Veneto e Piemonte, con quote comprese tra 22 e 27%. Mentre, al netto delle scuole che non rispondono, hanno meno spesso un facilitatore le scuole in Calabria (9,9%), Sardegna, Abruzzo e Campania (tutte attorno al 13%).

I dati appena visti si possono riassumere in due tendenze. In primo luogo, l’esistenza di barriere architettoniche e senso-percettive negli edifici scolastici è una realtà che riguarda l’intero paese, almeno a livello regionale. Il secondo elemento da sottolineare sono tuttavia differenze territoriali abbastanza marcate, con una accessibilità sia fisica che sensoriale inferiore nei plessi meridionali e non solo.

Un aspetto che è importante ricostruire con maggiore profondità, per comprendere anche a livello locale quali siano le barriere fisiche più presenti sul territorio.

L’abbattimento delle barriere fisiche negli edifici scolastici

Rispetto alle barriere fisiche, abbiamo visto in precedenza come gli impedimenti più diffusi siano rappresentati dall’assenza di ascensore (o dalla presenza di un impianto non adatto al trasporto di persone con disabilità), da servizi igienici non a norma, dall’assenza di servoscala o di un accesso con rampe.

Accessi con rampe più presenti della media nel mezzogiorno.

Quest’ultimo risulta presente in circa il 47% delle scuole italiane, mentre è assente nel 35% dei plessi (il 18% non risponde).

Una media nazionale variabile sul territorio. La quota supera il 60% in alcune province pugliesi (Brindisi, Taranto, Lecce) e in quella di Matera, mentre si rileva in meno di un terzo degli istituti delle province di Fermo, Trieste, Genova e Trento.

DA SAPERE

I dati sono tratti dall’indagine sull’inserimento degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di 1° grado, statali e non statali. Dal 2019 l’indagine include anche la scuola dell’infanzia e la scuola secondaria di secondo grado.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (capitale umano)
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

 

Nel caso degli accessi con rampe, quindi, il dato del mezzogiorno appare in linea o superiore a quello della media nazionale. La quota di scuole dove sono presenti è pari al 49,4% nel sud. Più indietro le isole (46,5%), ma l’area del paese dove appaiono meno presenti è il nord-ovest (44,3%).

L’elevata quota di non rispondenti limita fortemente l’analisi.

Tuttavia, in oltre il 60% delle province meno della metà delle scuole dichiara di disporre di un accesso con rampe. Pesa inoltre l’alta quota di non rispondenti. Nelle province con meno accessi con rampe dichiarati non hanno risposto alla rilevazione il 33,6% delle scuole a Genova, il 28,9% a Trieste, il 14,7% a Fermo e il 55,1% a Trento.

Al contrario, nelle province in cima alla classifica la quota di non rispondenti è molto più contenuta: Brindisi (12,4%), Taranto (11,5%), Lecce (14,9%) e Matera (solo 6,4%).

Se come indicatore consideriamo le scuole che hanno dichiarato l’assenza di accessi con rampe, tra le province considerate, sono il 39% a Genova, 38,8% a Trieste, il 52,5% a Fermo, 18,8% a Trento. Percentuali tendenzialmente più basse a Brindisi (24,2%), Taranto (26,8%), Lecce (24,6%) e Matera (33%).

18% delle scuole italiane non ha risposto rispetto alla presenza di accessi con rampe. Quota che sale al 19,2% nel nord est.

Per quanto riguarda la presenza di un ascensore adatto per il trasporto delle persone con disabilità, il 59,9% delle scuole italiane dichiara la presenza del servizio, il 21,7% l’assenza e circa il 18% non risponde.

La quota di scuole in cui è presente il servizio sale all’85% in Valle d’Aosta, sfiora l’80% a Cremona e supera il 75% a Rieti e Bergamo. Mentre è inferiore al 50% in 11 province: Caserta, Rovigo, Foggia, Imperia, Trieste, Reggio Calabria, Napoli, Agrigento, Genova, Belluno e Trento.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (capitale umano)
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

 
Ascensori e servoscala molto meno diffusi nel mezzogiorno.

In generale, è nel mezzogiorno che gli ascensori a norma risultano presenti meno spesso (56,1% delle scuole del sud e il 58,3% nelle isole). Quota poco superiore nel nord-est (59,1%), mentre superano la media nazionale l’Italia centrale (62,1%) e il nord-ovest (63,8%).

Una tendenza che appare ancora più marcata rispetto alla presenza di servoscala o di piattaforme elevatrici. Circa il 7% delle scuole di sud e isole dichiara di disporne, con una media nazionale del 10,9%. Quota che raggiunge comunque al massimo il 12,9% nel nord-est e il 15,5% nel nord-ovest.

Confrontando le province, le quote più elevate si riscontrano in quelle di Savona (24,5%), Varese (22,9%), Monza e Brianza (19,1%), Milano (19%) e Biella (18,4%). Mentre 49 territori si attestano sotto il 10%. Nelle ultime dieci posizioni in particolare Teramo, Crotone, Caltanissetta, Reggio Calabria, Sondrio, Caserta, Isernia, Agrigento, Nuoro e Vibo Valentia.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (capitale umano)
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

 

Un ritardo del mezzogiorno si può riscontrare anche rispetto alla presenza di altri servizi per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Tra questi la presenza di servizi igienici a norma (64,2% delle scuole del sud, contro una media italiana 4 punti superiore). Mentre è meno ampio il divario rispetto alla presenza di scale a norma: 78,6% al sud e nelle isole, contro un dato nazionale del 79,3%.

L’abbattimento delle barriere senso percettive negli edifici scolastici

Nell’approfondire la presenza di dispositivi in grado di abbattere le barriere di tipo senso-percettivo, è utile analizzare la presenza negli edifici scolastici di 2 categorie di facilitatori. Da un lato, i segnali acustici (per gli alunni non vedenti) e visivi (per sordi e non udenti). Dall’altro, i percorsi tattili e le mappe a rilievo.

Ausili che facilitano la mobilità degli alunni con deficit sensoriali, e la cui presenza quindi è molto importante per l’accessibilità delle scuole. Il superamento di questo tipo di barriere appare molto più lontano rispetto alle barriere di tipo fisico. Aspetto che comporta una maggiore difficoltà per gli alunni con difficoltà sensoriali.

3,7% degli alunni con disabilità è ipovedente (a.s 2018/19). Il 2,6% ha una ipoacusia. L’1,6% è affetto da sordità grave e lo 0,6% da cecità.

Segnali acustici e/o visivi sono presenti nel 17,1% delle scuole italiane, assenti in quasi 2 su 3, mentre il 18% circa dei plessi non ha risposto all’indagine. La presenza maggiore si rileva nell’Italia settentrionale, con il nord-est al 23,2% e il nord ovest al 20,7%. Quote inferiori alla media nel centro (16,3%), ma soprattutto nel sud (12%) e nelle isole (12,9%).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (capitale umano)
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

 

Due province, Forlì-Cesena e Cremona, superano quota 30%. Altre 13 si attestano sopra il 25%: Bolzano, Alessandria, Pordenone, Savona, Biella, Terni, Ferrara, Torino, Bologna, Reggio Emilia, Trapani, Modena e Bergamo. Mentre sono 10 quelle che non raggiungono il 10%: Salerno, Pesaro e Urbino, Cosenza, Nuoro, Frosinone, Sassari, Messina, Brindisi, Reggio Calabria e Vibo Valentia.

2,8% le scuole in provincia di Vibo Valentia che dichiarano la presenza di segnali acustici/visivi. Nell’82,4% dei casi sono assenti, mentre il 14,8% dei plessi non risponde.

La presenza di mappe a rilievo e di percorsi tattili, al contrario, appare meno diffusa nel nord-ovest. A fronte di una media nazionale di 3 scuole su 100 che dichiara di disporne, l’Italia nord-occidentale si attesta sul 2,1%. Presenza maggiore nel nord-est (3,1%) e nel sud (4,1%).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (capitale umano)
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

 
Il superamento delle barriere senso-percettive è ancora lontano.

Tuttavia, spicca la bassa diffusione in generale. Ben 40 province si attestano al di sotto di quota 2%. E in particolare 16 non raggiungono l’1% di scuole che dichiarano la presenza di mappe a rilievo e/o percorsi tattili. Si tratta di Imperia, Cagliari, Savona, Varese, Barletta-Andria-Trani, Isernia, Belluno, Alessandria, Monza e Brianza, Piacenza, Sondrio, Lucca, Trieste, Aosta, Vercelli e Arezzo.

Anche le province con maggiore diffusione si attestano comunque su una quota pari al 10% o inferiore. Tra queste Crotone (10,1%), Matera (8,9%) e Gorizia (7,7%).

Foto credit: FranzPisa (Flickr) – Licenza

L’abbandono scolastico è un problema serio, al sud e non solo#conibambini

L’Italia è quarta in Ue per quota di giovani che lasciano prematuramente gli studi. L’abbandono scolastico colpisce soprattutto nel mezzogiorno, ma anche alcune province del centro-nord non ne sono immuni.

 | 

Partner


L’abbandono scolastico è uno dei problemi più seri tra quelli che affliggono non solo il mondo della scuola, ma l’intera società italiana. I motivi per cui una ragazza o un ragazzo abbandona la scuola prima del diploma superiore possono essere diversi. Spesso incidono condizioni di marginalità sociale, che possono portare sia a una frequenza saltuaria, sia all’abbandono definitivo degli studi.

L’abbandono scolastico precoce riguarda i giovani che lasciano gli studi con la sola licenza media. Un fenomeno grave, sia per le sue cause più frequenti (disagio economico e sociale) sia per gli effetti a breve e lungo termine (difficoltà di trovare lavoro e aggravamento delle disuguaglianze). Vai a “Che cos’è l’abbandono scolastico”

All’interno dell’Unione europea, l’Italia rientra tra i paesi dove il problema degli abbandoni è più consistente.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: giovedì 11 Ottobre 2018)

 

Va detto che il fenomeno non è facile da misurare, perché richiederebbe dati in grado di tracciare il percorso scolastico del singolo studente.

La scelta metodologica adottata a livello europeo è utilizzare come indicatore indiretto la percentuale di giovani tra 18 e 24 anni che hanno solo la licenza media. Tra questi viene incluso anche chi ha conseguito una qualifica professionale regionale di primo livello con durata inferiore ai due anni.

Seguendo questo indicatore, come si nota dalla mappa, l’Italia nel 2017 è il quarto paese con più abbandoni (14%), dopo Malta, Spagna e Romania.

Perché l’abbandono scolastico è un problema sociale

Un ragazzo che abbandona la scuola è un fallimento educativo, e segnala che qualcosa non ha funzionato. Le ricerche indicano che a lasciare gli studi prima del tempo sono spesso i giovani più svantaggiati, sia dal punto di vista economico che da quello sociale. Un meccanismo molto pericoloso perché aggrava le disuguaglianze già esistenti.

Ciò produce una serie di conseguenze negative che non colpiscono solo il singolo ragazzo o la ragazza. Quando il fenomeno colpisce ampi strati della popolazione, è l’intera società che diventa complessivamente più debole, povera e insicura.

Un maggiore livello di istruzione (…) può portare una serie di risultati positivi per l’individuo così come per la società in relazione a impieghi, salari più alti, migliori condizioni di salute, minore criminalità, maggiore coesione sociale, minori costi pubblici e sociali e maggiore produttività e crescita.

Per queste ragioni, uno degli obiettivi stabiliti dall’Ue è che la quota di giovani che abbandonano prematuramente gli studi scenda sotto il 10% entro il 2020. Questo target rappresenta una media europea, ed è stato successivamente parametrato per le diverse situazioni nazionali. Ad esempio per la Francia l’obiettivo da raggiungere è il 9,5%, per la Spagna è il 15%, mentre per l’Italia è il 16%.

Italia in miglioramento, ma…

Per ridurre dispersione e abbandono scolastico, il governo italiano è intervenuto nel 2013 con un decreto, poi convertito in legge. Il provvedimento provava ad allargare l’offerta di attività didattiche, almeno in via sperimentale. A partire dagli alunni delle primarie e dalle aree a maggior rischio di evasione scolastica, l’obiettivo era tenere aperte le scuole oltre l’orario, ma anche promuovere le attività sportive.

11,4 milioni stanziati dal decreto nel 2014 per ampliare l’offerta didattica.

Successivamente, la commissione cultura e istruzione ha avviato un’indagine conoscitiva sulle strategie per ridurre la dispersione. In questa sede sono state portate all’attenzione del parlamento diverse istanze. Dalla necessità di contrastare il fenomeno a partire dalla scuola dell’infanzia, al ripensamento della stessa formazione degli insegnanti. Fino al ruolo dell’apprendimento della lingua nell’integrazione dei ragazzi di origine straniera, tra i più soggetti al fenomeno.

Nel frattempo, come sono andati gli abbandoni in Italia?

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: giovedì 11 Ottobre 2018)

 

Dal 2008 ad oggi, il dato italiano (come quello dei maggiori partner europei) è migliorato. In quell’anno i giovani tra 18 e 24 anni che avevano al massimo la licenza media e non erano inseriti in nessun percorso di formazione erano quasi il 20% del totale. Da allora questo valore è migliorato costantemente, per poi assestarsi attorno al 14% negli ultimi due anni.

Da un lato quindi l’Italia ha superato il target nazionale, dall’altro, resta ancora abbastanza lontana la soglia del 10%. È stata invece superata dalla Francia (8,9%), e pressoché raggiunta da Germania (10,1%), Regno Unito (10,6%) e Unione europea nel suo complesso.

Ma sul risultato nazionale pesano delle profonde differenze territoriali. Alcune aree del paese hanno raggiunto (o quasi) l’obiettivo europeo: nord-est (10,3% nel 2017), nord-ovest (11,9%), centro (10,7%). Nell’Italia meridionale invece gli abbandoni sono ancora al 18,5%.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 16 Ottobre 2018)

 

La maggiore difficoltà del sud del paese si può leggere anche da un altro punto di vista.

Dal 2009 al 2017, il nostro paese ha recuperato circa 5 punti percentuali, passando dal 19 al 14%. Ma lo ha fatto con velocità differenti tra le diverse aree. Il mezzogiorno già all’inizio della rilevazione mostrava una quota di abbandoni più alta (23%), però anche il nord-ovest era quasi al 20%. In 8 anni, quest’ultimo è sceso di oltre 7 punti (arrivando all’11,9%), mentre il mezzogiorno, che pure ha avuto una contrazione significativa (-4,5 punti), rimane al 18,5%.

Ancora tanti abbandoni nelle isole, in Campania e in Puglia

Il dato regione per regione mostra che nelle due isole, Sardegna e Sicilia, la quota di giovani che abbandonano prematuramente gli studi supera il 20%. Poco sotto il 20% anche Campania (19,1%) e Puglia (18,6%).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 16 Ottobre 2018)

 

Esclusa la Calabria (16%), tutte le altre regioni si trovano sotto la media italiana del 14%. Le regioni con meno abbandoni sono Abruzzo (7,4%), Umbria (9,3%) ed Emilia Romagna (9,9%). Poco sopra l’obiettivo europeo anche Marche (10,1%) e Friuli Venezia Giulia (10,3%).

Dal 2013, anno in cui il governo emanò il decreto contro la dispersione, i miglioramenti maggiori si sono registrati in Valle d’Aosta (-5,7 punti percentuali), Toscana (-5,3), Emilia Romagna (-5,2), Sicilia (-4,5) e Piemonte (-4,4).

Alcune province in controtendenza

Dai dati regionali emerge una maggiore difficoltà nel mezzogiorno, in particolare nelle isole. Nonostante negli ultimi anni il fenomeno dell’abbandono si sia ridotto in modo generalizzato, le grandi regioni del sud ancora presentano percentuali prossime al 20%.

Ma questo dato è vero in tutti i territori di quelle regioni? Possiamo verificarlo attraverso i dati sulle singole province, recentemente elaborati da Svimez a partire dai dati Istat.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Svimez e Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 11 Settembre 2018)

 

Nella regione con più abbandoni, la Sardegna, i dati per provincia fanno emergere profonde differenze territoriali. Sud Sardegna, Nuoro e Sassari confermano il valore regionale, attestandosi sopra il 20%. Anche la città metropolitana di Cagliari è poco distante da quella cifra (19,1%). Al contrario, in completa controtendenza con il dato regionale, la provincia di Oristano ha una quota di abbandoni inferiore al 10%.

8,7% la quota di giovani tra 18 e 24 anni con la sola licenza media nella provincia di Oristano.

In Sicilia, l’altra regione dove l’abbandono scolastico è più presente, Caltanissetta e Catania superano il 25%, e anche altre province mostrano valori molto alti. In particolare Ragusa (23,8%), Enna (22,9%), la città metropolitana di Palermo (20,4%) e Trapani (20,3%). Messina e Agrigento, pur mantenendosi sopra la media nazionale, presentano una quota di abbandoni più contenuta, attorno al 16%. In Campania, a fronte di un dato medio regionale del 19%, si va dal 22% di Napoli a realtà come Avellino dove i giovani con solo la licenza media sono meno dell’8% del totale.

Anche in regioni più virtuose possono convivere profonde differenze. In Toscana (dato medio regionale 10,9%), quasi tutte le province hanno una percentuale di abbandoni inferiore al 10%, ad esempio a Firenze (6,4%), Pistoia (8,3%), Pisa (8,50%) e Grosseto (8,8%). Al contrario Siena (18,5%) e soprattutto Arezzo (22%) presentano valori più simili alle province del mezzogiorno. In Liguria, analogamente, convivono Imperia (22,3%) e La Spezia, con una quota di abbandoni inferiore al 5%.

I limiti dell’indicatore attuale

Misurare gli abbandoni attraverso la quota di giovani che ha al massimo la terza media è la scelta metodologica che meglio ci consente di fare confronti, dal livello europeo a quello regionale, fino a scendere su scala locale. Ci sono però alcuni limiti che non vanno trascurati:

  1. questo metodo ci offre un punto di vista retrospettivo sugli abbandoni scolastici, ex post, ma per avere contezza del fenomeno nella sua evoluzione dovremmo monitorare il percorso scolastico del singolo studente, anno per anno;
  2. l’indicatore valuta come abbandono il mancato conseguimento di un titolo (il diploma superiore), ma gli esperti hanno sottolineato in diverse occasioni come questo criterio sia spesso insufficiente. A parità di titolo conseguito, infatti, si registrano livelli di competenza molto diversi tra gli studenti. Il raggiungimento del diploma, da solo, non necessariamente certifica che il rischio di fallimento formativo sia stato davvero evitato;
  3. per questo indicatore, che pure offre una discreta profondità locale, i dati comunali non esistono, se non risalenti al censimento. Nel contesto attuale, in cui il nostro paese sta cercando di raggiungere l’obiettivo europeo, possiamo fotografare la situazione comunale al 2011, ma non analizzare le più recenti evoluzioni sul territorio. Un limite enorme per comprendere davvero il fenomeno in un paese di profonde differenze territoriali, come l’Italia.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. La fonte dei dati è Istat.

Il ruolo educativo e la presenza delle scuole dell’infanzia#conibambini

L’Ue indica come obiettivo che almeno il 90% dei bambini tra 3 e 5 anni frequenti le scuole dell’infanzia o strutture analoghe. L’Italia supera il traguardo, ma alcuni indicatori segnalano una tendenza al calo.

 | 

Partner


La scuola dell’infanzia, frequentata dai bambini tra 3 e 5 anni, è il tassello tra l’asilo nido e la scuola dell’obbligo. La sua funzione educativa, spesso sottovalutata, è fondamentale per lo sviluppo del minore. Frequentarla o meno infatti può fare la differenza sull’apprendimento successivo dei ragazzi.

Le ricerche sull’argomento hanno evidenziato una correlazione positiva tra la partecipazione all’istruzione pre-primaria e i risultati scolastici successivi.

Come emerso anche dalle indagini internazionali che confrontano i diversi paesi, emerge anche con i dati nazionali che l’aver frequentato la scuola dell’infanzia ha un effetto positivo sugli apprendimenti anche tenendo conto del background socio-economico-culturale degli studenti

La scuola dell’infanzia rappresenta quindi un momento di formazione fondamentale, per tutti i bambini. E lo è ancora di più per quelli nati in famiglie in difficoltà, per ridurre il bagaglio di disuguaglianze che spesso si portano dietro. Uno svantaggio che non è solo teorico, ma è testimoniato dalle analisi sui risultati nei test Invalsi.

Anche per queste ragioni, alcuni paesi europei hanno deciso di rendere l’istruzione pre-primaria obbligatoria, anticipando l’obbligo scolastico prima dei 6 anni. Questo ovviamente non significa anticipare l’entrata nella scuola elementare, cosa che non sarebbe adeguata alle necessità di bambini così piccoli. Vuol dire piuttosto garantire a tutti i bambini l’accesso alla scuola dell’infanzia e evitare che si arrivi in prima elementare con divari troppo profondi.

Cosa dicono gli obiettivi europei

Obbligo o meno, c’è comunque un obiettivo europeo a cui tutti i paesi membri devono tendere. Nel consiglio di Barcellona del 2002, infatti, furono fissati due target in termini di offerta di servizi per i bambini in età prescolare.

Gli obiettivi europei di Barcellona riguardano la diffusione di asili nido, servizi e scuole per l’infanzia. Questi devono essere offerti almeno al 33% dei bimbi sotto i 3 anni e al 90% dei bambini tra 3 e 5 anni. Vai a “Che cosa prevedono gli obiettivi di Barcellona sugli asili nido”

Perciò esiste già un vincolo ad offrire posti nelle scuole dell’infanzia ad almeno il 90% dei bimbi tra i 3 e i 5 anni, analogo a quello del 33% sugli asili nido e servizi prima infanzia. Mentre su quest’ultimo target l’Italia è ancora indietro, rientra tra i paesi virtuosi per la cura della fascia d’età compresa tra 3 anni e la scuola dell’obbligo.

Nella classifica europea, ai primi posti spiccano Belgio (con una percentuale prossima al 99%), Svezia (96,6%) e Danimarca (95,9%). Agli ultimi posti, con il 60% o meno di bambini accolti in strutture pre-primarie, la Grecia e alcuni paesi dell’est (Polonia, Romania, Croazia). L’Italia è nona, e con il 92,6% di bambini tra 3 e 5 anni accolti in scuole d’infanzia supera pienamente il traguardo.

I segnali da non sottovalutare

Questi dati riguardano solo il 2016, ma il raggiungimento dell’obiettivo da parte dell’Italia non è episodico. Da diversi anni oltre il 90% dei bambini frequenta le scuole per l’infanzia. Allo stesso tempo però, pur in presenza di un dato ancora elevato, non mancano i segnali di un possibile arretramento. È stato rilevato nell’ultimo rapporto sul benessere equo e sostenibile, pubblicato lo scorso dicembre:

La partecipazione alla scuola dell’infanzia, nell’anno scolastico 2016/2017, si mantiene su livelli molto elevati, anche se nel contesto di una tendenza negativa avviatasi nell’a.s. 2012/2013

L’indicatore usato nel rapporto bes, a differenza di quello Eurostat (che è ovviamente il riferimento di cui tenere conto per gli obiettivi europei), calcola la percentuale di iscritti alle scuole dell’infanzia solo tra i bambini di 4 e 5 anni. Al netto di questa precisazione comunque, i due indicatori vanno nella stessa direzione: l’Italia supera il 90%.

Ma i dati rilasciati nel rapporto presentato dall’istituto di statistica in dicembre segnalano una tendenza alla contrazione dal 2012.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Bes 2018
(ultimo aggiornamento: martedì 18 Dicembre 2018)

 

Fino all’anno 2011/12, la quota di bambini iscritti oscillava attorno al 95%. Negli anni successivi questa percentuale si è progressivamente contratta, fino al 91,1% rilevabile con gli ultimi dati disponibili. Una percentuale ancora alta quindi, ma con una sensibile tendenza al calo.

Le differenze tra le aree del paese

Su questa evoluzione incidono delle differenze interne al paese. Andando a vedere il dato aggregato per macroaree, non si tratta di divari incolmabili.

DESCRIZIONE

Pur in assenza di divari incolmabili, la quota di iscritti alla scuole dell’infanzia è più elevata nel nord.

DA SAPERE

Nel rapporto bes viene indicata la percentuale di bambini 4-5 anni che frequentano la scuola dell’infanzia. Il dato Eurostat (su cui sono misurati gli obiettivi europei) calcola questo rapporto nella fascia d’età 3-5 anni.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Bes 2018
(ultimo aggiornamento: martedì 18 Dicembre 2018)

 

Le poche regioni al di sotto del 90% si avvicinano molto a quella soglia, e alcune di fatto la raggiungono, ad esempio Molise (89,7%) e Calabria (89,6%). Ma anche gap non eccessivi fanno emergere comunque una specificità del centro-sud: tutte le regioni al di sotto della media italiana (escluse Lazio e Lombardia) si trovano nel mezzogiorno. Tra le regioni annoverate da Istat nel “mezzogiorno” solo Abruzzo (93,4%) e Sardegna (93,6%) si collocano al di sopra della media nazionale.

L’andamento demografico e il numero di iscritti nelle province

Ma cosa sappiamo su queste tendenze a un livello più locale, meno aggregato? I dati rilasciati sul portale di Istat dedicato al capitale umano consentono di valutare a livello provinciale l’andamento del numero di bambini iscritti nelle scuole dell’infanzia, anche se le informazioni presenti risalgono all’anno 2014.

Nel procedere con l’analisi, va quindi tenuto presente che questi dati non danno conto degli sviluppi più recenti. Inoltre l’andamento degli iscritti è soprattutto conseguenza dell’andamento demografico.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 1 Gennaio 2014)

 

Nel periodo considerato (2010-14) il numero di bambini in età da scuola dell’infanzia è diminuito nel sud e nelle isole, mentre è aumentato nel centro-nord. Una tendenza che ovviamente si ripercuote sul numero di iscritti anche a livello provinciale.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 1 Gennaio 2014)

 

Tra 2010 e 2014, il numero di iscritti nelle scuole dell’infanzia è infatti aumentato o è rimasto stabile nella maggior parte delle province del centro-nord. Ad esempio, si sono registrati incrementi consistenti nelle province emiliane (Parma, +6,26%; Bologna, +3%; Ravenna, +3,68%, Piacenza, +3,24%), nel Lazio (Viterbo, +3,77%; Latina, +3,91%; Frosinone, +3,75), in alcune toscane (Siena +4,42%; Pisa, +4%; Grosseto +3%) e in altre realtà come Rovigo (+4,9%), Cuneo e Varese (+3%), Mantova (2,75), Monza (2,66%).

Nel mezzogiorno, si segnala la crescita di iscritti in alcune province sarde, in particolare Medio Campidano (+4,7%) e Olbia Tempio (+3%). Ma nella maggior parte delle province del sud il dato decresce in modo consistente. Così come in alcune realtà della Liguria, del Veneto e nelle province di Sondrio, Biella, Verbano-Cusio-Ossola. Sul decremento incide sicuramente il trend demografico segnalato, con la diminuzione dei bambini al sud. Un calo così localizzato da far emergere una chiara spaccatura tra centro-nord e mezzogiorno.

Purtroppo il confronto a livello locale non è su dati abbastanza recenti per poter accertare una tendenza consolidata. Ma su questi aspetti andrà tenuta alta l’attenzione, con lo scopo di mantenere l’Italia al di sopra dell’obiettivo europeo nei prossimi anni.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. La fonte dei dati utilizzati per l’articolo è Istat.

La costruzione di nuove scuole attraverso i fondi del Pnrr #OpenPNRR

La costruzione di nuove scuole attraverso i fondi del Pnrr #OpenPNRR

Sono 216 le nuove scuole che saranno costruite attraverso il piano previsto dal Pnrr. Un investimento innalzato dagli 800 milioni iniziali a oltre 1 miliardo di euro. Risorse che, insieme agli altri progetti sull’edilizia scolastica, dovranno fare fronte a necessità e carenze di lungo periodo.

 | 

 

A maggio sono state pubblicate le graduatorie delle aree in cui saranno costruite le nuove scuole previste dal Pnrr. Parliamo di 216 istituti scolastici per un importo totale stanziato superiore al miliardo di euro.

€ 1,19 mld stanziati per il piano di sostituzione delle scuole.

Una cifra superiore rispetto agli 800 milioni indicati nel Pnrr, in seguito a un aumento di fondi che consentirà di costruire 21 nuove scuole in più rispetto alle 195 inizialmente previste.

Un incremento deciso per far fronte alle tantissime richieste pervenute. In base alle informazioni pubblicate dal ministero, le domande arrivate alla scadenza dell’avviso, a febbraio di quest’anno, sono state 543. Arrivate in misura massiccia soprattutto dagli enti locali di Campania (95), Lombardia (61), Veneto (47), Emilia-Romagna (45) e Toscana (42).

Sono stati 362 gli interventi entrati in graduatoria, per un totale di quasi 2 miliardi di euro richiesti. Di questi, 216 hanno raggiunto un punteggio che consentirà l’accesso ai fondi. Tra quelli entrati in graduatoria, restano comunque fuori dal finanziamento del bando 146 interventi, per un totale di 776,6 milioni di euro.

€ 1,97 mld gli importi totali richiesti dagli enti nella graduatoria del bando “nuove scuole”.
Per il Pnrr la sfida è riuscire a compensare ritardi e divari di lungo periodo del sistema educativo italiano.

Va specificato che non si tratta dell’unico intervento previsto dal Pnrr sull’edilizia scolastica: il più corposo è infatti rappresentato dai 3,9 miliardi destinati al piano di messa in sicurezza delle scuole. Perciò questo intervento, relativo al progetto nuove scuole, è chiamato a coprire solo una parte del fabbisogno esistente.

Basti pensare che mentre il piano “nuove scuole” interviene su 410mila metri quadri di patrimonio edilizio (le 195 scuole inizialmente stimate nel Pnrr), quello di messa in sicurezza riguarda la ristrutturazione di 2,4 milioni di metri quadri.

Trasparenza, informazione, monitoraggio e
valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato
al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Accedi e monitora

 

Trasparenza, informazione, monitoraggio e
valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato
al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Accedi e monitora

 

Allo stesso tempo, la grande partecipazione al bando segnala quanto sia avvertito come centrale l’investimento sulle scuole italiane, a partire dal rinnovamento del patrimonio edilizio. E indica come lo stanziamento di risorse in questo ambito intervenga molto spesso su necessità e carenze esistenti da lungo periodo.

17,8% gli edifici scolastici classificati come vetusti (2018).

Approfondiamo meglio le previsioni del Pnrr sull’edilizia scolastica e, nello specifico, la destinazione delle risorse previste dal progetto delle nuove scuole, anche rispetto alla condizione del patrimonio esistente.

In cosa consiste il piano nuove scuole

Le linee di intervento previste dal Pnrr sull’edilizia scolastica sono numerose: dalla messa in sicurezza del patrimonio esistente alla costruzione di mense e palestre. Gran parte di queste, come approfondiremo nel corso dell’articolo, sono stanziate all’interno della quarta missione, dedicata a istruzione e ricerca.

Il piano per le nuove scuole riguarda la missione sulla transizione verde.

Tuttavia, la quarta missione del piano nazionale di ripresa e resilienza, specificamente mirata al comparto educativo, non esaurisce tutti gli interventi in materia di edilizia scolastica. Vi è appunto il piano per la costruzione delle nuove scuole (più propriamente, il piano di sostituzione e riqualificazione energetica degli edifici scolastici). Questo è inserito nella missione 2, denominata “rivoluzione verde e transizione ecologica”.

-50% la riduzione del consumo di energia finale prevista per le nuove scuole dal Pnrr.

Su tale linea di intervento il Pnrr prevede la demolizione e ricostruzione delle scuole. A differenza del piano di messa in sicurezza e ristrutturazione, si tratta dei casi

(…) in cui gli interventi di adeguamento sismico o di miglioramento associati ad una consistente ristrutturazione finalizzata alla riduzione dei consumi energetici non sono tecnicamente ed economicamente convenienti.

Il piano per la costruzione di nuove scuole sarà probabilmente quello più innovativo tra tutti gli interventi previsti dal Pnrr per l’edilizia scolastica. Perché consentirà di creare degli ambienti educativi all’avanguardia, in termini di qualità edilizia, di rispetto per l’ambiente, di presenza di spazi verdi e connettività.

In questa direzione, sempre nel mese di maggio, sono state presentate le linee guida per le scuole del futuro. Tale documento, redatto da un apposito gruppo di esperti, sarà la base per le future progettazioni. Con l’obiettivo di costruire luoghi di apprendimento nuovi non solo nelle forme, ma concepiti come veri e propri laboratori didattici, aperti al territorio.

Gli interventi del piano per le nuove scuole

Attraverso i dati pubblicati nelle graduatorie, possiamo ricostruire dove saranno direzionati gli interventi. Oltre il 40% delle risorse, in base alla clausola prescritta dal Pnrr, andranno al mezzogiorno.

42,4% gli importi per la costruzione di nuove scuole destinati a sud e isole.

La Campania, con 213 milioni di euro di finanziamento (quasi il 18% del totale) è la prima regione per importi finanziati dalla misura. I progetti qui previsti porteranno alla costruzione di 35 nuovi istituti scolastici. Segue l’Emilia Romagna, con 146 milioni di euro finanziati per 23 nuove scuole.

I 216 interventi finanziati prevedono nella maggior parte dei casi (183, l’85% del totale) la demolizione con successiva ricostruzione nello stesso luogo. Solo il restante 15% (33 interventi) indica come modalità progettuale la demolizione e costruzione della nuova scuola in un’altra sede. Con quote comunque variabili tra le regioni: prevedono la ricostruzione delocalizzata 2/3 degli interventi in Liguria, 1/3 di quelli della Basilicata, nonché il 30% dei progetti emiliano-romagnoli.

In 5 regioni (Molise, Piemonte, Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle D’Aosta) tutti i progetti finanziati indicano la demolizione edilizia e la successiva ricostruzione nella stessa area.

Scendendo a livello locale, i maggiori fondi convergeranno verso le scuole di due territori campani. Il casertano, dove i finanziamenti ammontano complessivamente a 82 milioni di euro per 11 interventi, e il salernitano (47,66 milioni di euro per 11 interventi).

Seguono le aree metropolitane di Milano (44,8 milioni, 4 interventi), Roma (41,18 milioni, 9 interventi), Bari (40,15 per 6 progetti) e Napoli (37,77 milioni per 6 interventi).

1/10 dei finanziamenti Pnrr per le nuove scuole si concentra nelle province di Caserta e Salerno.

La destinazione delle risorse verso i territori campani, e in particolare nel casertano, non deve stupire. Caserta è – insieme a Napoli – la provincia italiana con la quota più elevata di residenti in età scolastica. Il 14,1% della popolazione ha tra 6 e 18 anni, contro una media nazionale attorno al 12%.

E sebbene la quota di edifici vetusti risulti – come media provinciale – inferiore al dato nazionale (8,1% contro 17,8%), nei comuni casertani interessati dall’intervento in media solo il 5% delle scuole nel 2018 risultava progettato o successivamente adeguato alla normativa tecnica di costruzione antisismica.

27 gli enti locali che riceveranno un finanziamento superiore ai 10 milioni di euro.

Il comune di Castel Volturno, in provincia di Caserta, è quello che riceverà il finanziamento più consistente per la costruzione di nuove scuole, per un totale di 29,65 milioni di euro. Seguono la città metropolitana di Milano (24 milioni di euro), la provincia di Fermo (21,7), quella di Avellino (19,6).

Da notare come anche in questo caso emerga una ricorrenza rispetto al territorio casertano. Sono 3 gli enti locali più finanziati appartenenti a quest’area, ognuno dei quali ha ricevuto dei fondi per le scuole di competenza. Oltre al già citato comune di Castel Volturno, quello di Santa Maria a Vico (13,4 milioni) e l’ente provinciale di Caserta (11,5).

Cosa dice la grande partecipazione al bando

In totale sono state presentate 543 domande di finanziamento per il bando nuove scuole, come indicato dal ministero.

Sono 362 gli interventi entrati in graduatoria, per un ammontare di quasi 2 miliardi di euro richiesti. L’aumento dello stanziamento da 800 milioni a 1,19 miliardi consentirà di finanziarne 216. Non hanno quindi trovato finanziamento con questa linea di investimento 146 interventi per 776,6 milioni di euro, di cui 36 in Campania, 26 in Veneto, 17 in Calabria.

La Campania, che come abbiamo visto è la regione dove convergeranno le maggiori risorse, è anche quella che aveva inviato più candidature. Nonché quella con più interventi in graduatoria ma non finanziati.

La grande partecipazione al bando perciò segnala quanto questa linea di finanziamento abbia incrociato esigenze e necessità dei territori. Ed è anche indice di come la questione della riqualificazione del patrimonio scolastico sia avvertita dagli enti locali. Una realtà che l’analisi dei dataset sull’edilizia scolastica pubblicati dal ministero dell’istruzione mostra chiaramente.

La condizione attuale delle scuole

I prossimi anni, anche in relazione all’impegno indicato dal Pnrr, vedranno una crescita degli interventi per l’edilizia scolastica statale.

Investimenti che riguardano un patrimonio di oltre 40mila gli edifici scolastici presenti. Prima della pandemia, in base ai dati relativi al 2018, quasi il 18% delle strutture era classificato come vetusto, per un totale di 7.161 edifici.

Sempre in quell’anno, quasi il 13% degli edifici (5.117) risulta progettato (o adeguato successivamente) alla normativa tecnica di costruzione antisismica. Quota che comunque sale attorno al 25% tra i comuni in zona sismica 1, quella considerata a maggior rischio. Circa 2.000 edifici, pari al 4,9% del totale, risultavano censiti in un’area soggetta a vincolo idrogeologico.

1 su 4 edifici scolastici antisismici nei comuni appartenenti alla zona sismica 1 (quella più a rischio).

Si tratta di medie che però comprimono le differenze territoriali esistenti. A fronte di una percentuale del 17,8% di edifici vetusti, ad esempio, la quota raggiunge il 43,7% in Piemonte e il 37,5% in Liguria. Mentre si attesta al di sotto del 10% in Campania (5,97%) e Toscana (5,83%). Allo stesso modo, anche la quota di edifici in aree soggette a vincolo idrogeologico supera il 10% in Umbria (12%) e Liguria (10,95%).

GRAFICO
DA SAPERE

Un edificio scolastico è classificato come vetusto quando ha più di 50 anni. Dati non disponibili per il Trentino Alto Adige.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Miur
(ultimo aggiornamento: mercoledì 4 Marzo 2020)

 

Anche la quota di edifici con progettazione antisismica varia molto. Se si isolano solo i comuni in zona 1, ad esempio, quelli progettati o adeguati alla normativa sono quasi il 60% in Friuli-Venezia Giulia e quasi la metà in Abruzzo (49%). Quota che è più lontana dall’essere raggiunta in regioni come la Calabria e la Campania. Nei comuni calabresi e campani collocati in zona sismica 1, la percentuale di edifici scolastici con progettazione antisismica oscillava – in base ai dati 2018 – tra il 15 e il 20%.

1 su 6 edifici scolastici antisismici nei comuni calabresi appartenenti alla zona sismica 1 (quella più a rischio).

Scendendo nell’analisi a livello locale, il quadro diventa ancora più frastagliato, come emerge a colpo d’occhio dalla mappa. La quota di edifici scolastici vetusti, ad esempio, supera il 50% del totale nei territori della provincia di Alessandria, del vercellese, del triestino, del biellese e dell’area di Asti.

GRAFICO
DA SAPERE

Un edificio scolastico è classificato come vetusto quando ha più di 50 anni. Dati non disponibili per il Trentino Alto Adige.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Miur
(ultimo aggiornamento: mercoledì 4 Marzo 2020)

 

Rispetto alla collocazione delle scuole in zone a rischio idrogeologico, l’incidenza è maggiore nelle province di La Spezia (23,9%) e Siena (21,2%), dove supera un quinto degli edifici scolastici presenti. Seguono i territori di Massa-Carrara (17%), Cuneo (16,5%), Trieste e Rieti (entrambe al 15,2%).

I dati appena visti indicano una forte variabilità della condizione scolastica tra le diverse aree del paese. La messa in sicurezza e riqualificazione di questo patrimonio è un presupposto della stessa offerta educativa presente sul territorio. Per questo – di fianco all’analisi del bando “nuove scuole” – nei prossimi mesi sarà importante monitorare anche tutti gli altri interventi previsti sul patrimonio edilizio delle scuole italiane. Ma quali sono e di cosa si tratta nello specifico?

Gli altri interventi del Pnrr sull’edilizia scolastica

Le risorse previste dal piano delle nuove scuole (più propriamente, il piano di sostituzione e riqualificazione energetica degli edifici scolastici) non sono le uniche che il Pnrr destina al patrimonio edilizio scolastico.

€ 30,88 mld previsti dal Pnrr per la missione 4 (istruzione e ricerca).

Per cominciare, il piano di ripresa e resilienza interviene sul comparto dell’istruzione e della ricerca con una missione dedicata, la quarta. Essa vale quasi 31 miliardi di euro, divisi in due componenti:

  • 19,44 miliardi di euro per il “potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università” (componente M4C1);
  • 11,44 miliardi di euro nel settore “dalla ricerca all’impresa” (componente M4C2).

Nello specifico i 19,44 miliardi della prima componente della missione 4 sono a loro volta suddivisi per ambito di intervento. In particolare, 10,57 miliardi andranno al “miglioramento qualitativo e ampliamento quantitativo dei servizi di istruzione e formazione”. Tra questi, le risorse per l’estensione del tempo pieno (con l’incremento del servizio mensa) e il potenziamento delle infrastrutture per lo sport a scuolaaspetti trattati in altri approfondimenti.

€ 300 mln previsti dal Pnrr per la costruzione e la ristrutturazione di palestre scolastiche e strutture sportive.

Altri fondi della missione istruzione sono meno collegati al tema edilizio. Parliamo degli 830 e 430 milioni che andranno rispettivamente al “miglioramento dei processi di reclutamento e di formazione degli insegnanti” e alla “riforma e potenziamento dei dottorati”.

Ma è soprattutto un altro ambito di intervento della missione 4 a stanziare le maggiori risorse per l’edilizia scolastica. È denominato “ampliamento delle competenze e potenziamento delle infrastrutture” e vale 7,6 miliardi. Di questi, 3,9 sono destinati al piano di messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole esistenti. Un piano che – come abbiamo già avuto modo di raccontare – avrà come obiettivo prioritario le aree svantaggiate del paese e punta a ristrutturare oltre 2 milioni di metri quadri di edifici scolastici.

2,4 mln la superficie (in mq) di edifici scolastici coinvolta nel piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica

Vanno inoltre segnalate anche altre misure come il piano scuola 4.0. Proprio come gli interventi su mense e palestre, si tratta di iniziative pensate per potenziare l’offerta didattica su vari fronti, come tempo pieno, sport ed educazione digitale. E che, per essere concretizzate, dovranno necessariamente basarsi su interventi di natura strutturale sull’edilizia scolastica.

Si tratta quindi di una mole di interventi cospicua, che sarà essenziale monitorare nei prossimi mesi e anni. Dalla capacità di investire e riqualificare l’edilizia scolastica, infatti, passano molte delle sfide del sistema educativo nazionale.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto credit: Città di Parma (Flickr) – Licenza

PROSSIMO POST
Il superamento delle barriere architettoniche a scuola
Informativa
Questo sito utilizza solo cookie tecnici. È possibile leggere l’informativa cliccando qui.
 

Poesie Sarde

POESIA SARDA

Cun bonu sensu e cun bella manera
chelzo tottu sos sardos invitare
s’isola nostra cherene isfruttare
sa zente de sa terra istraniera
in sos campos e in sa miniera
est terra nostra po la tribagliare
han pagu drittu sos istranieris
como su sardu sos ogios aberis.

Trattamos de sa vida de su pastore
medas famiglias restadas in luttu
ca su latte est a prezziu minore
a pius chi han te tu pagu fruttu
tantas annadas ma as han distruttu
pasculos, cereale e laore
si mancan custos ruttos de natura
beni s’Isola Sard in sepultura.

Deo avverto a dogni tribagliante
de coltivare sa terra is lana
cun bona volontade e bona gana –
però chi sia fidele e co tante
e lassade de faghe su b cciante
chestuna vida misera e zzana
s’Isola nostra es ricca des bistada
solu chi l’hamos tottu abbandonada.

“27 Maggio 1885