La costruzione di nuove scuole attraverso i fondi del Pnrr#OpenPNRR

La costruzione di nuove scuole attraverso i fondi del Pnrr#OpenPNRR

Sono 216 le nuove scuole che saranno costruite attraverso il piano previsto dal Pnrr. Un investimento innalzato dagli 800 milioni iniziali a oltre 1 miliardo di euro. Risorse che, insieme agli altri progetti sull’edilizia scolastica, dovranno fare fronte a necessità e carenze di lungo periodo.

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A maggio sono state pubblicate le graduatorie delle aree in cui saranno costruite le nuove scuole previste dal Pnrr. Parliamo di 216 istituti scolastici per un importo totale stanziato superiore al miliardo di euro.

€ 1,19 mld stanziati per il piano di sostituzione delle scuole.

Utena cifra superiore rispetto agli 800 milioni indicati nel Pnrr, in seguito a un aumento di fondi che consentirà di costruire 21 nuove scuole in più rispetto alle 195 inizialmente previs.

Un incremento deciso per far fronte alle tantissime richieste pervenute. In base alle informazioni pubblicate dal ministero, le domande arrivate alla scadenza dell’avviso, a febbraio di quest’anno, sono state 543. Arrivate in misura massiccia soprattutto dagli enti locali di Campania (95), Lombardia (61), Veneto (47), Emilia-Romagna (45) e Toscana (42).

Sono stati 362 gli interventi entrati in graduatoria, per un totale di quasi 2 miliardi di euro richiesti. Di questi, 216 hanno raggiunto un punteggio che consentirà l’accesso ai fondi. Tra quelli entrati in graduatoria, restano comunque fuori dal finanziamento del bando 146 interventi, per un totale di 776,6 milioni di euro.

€ 1,97 mld gli importi totali richiesti dagli enti nella graduatoria del bando “nuove scuole”.

Per il Pnrr la sfida è riuscire a compensare ritardi e divari di lungo periodo del sistema educativo italiano.

Va specificato che non si tratta dell’unico intervento previsto dal Pnrr sull’edilizia scolastica: il più corposo è infatti rappresentato dai 3,9 miliardi destinati al piano di messa in sicurezza delle scuole. Perciò questo intervento, relativo al progetto nuove scuole, è chiamato a coprire solo una parte del fabbisogno esistente.

Basti pensare che mentre il piano “nuove scuole” interviene su 410mila metri quadri di patrimonio edilizio (le 195 scuole inizialmente stimate nel Pnrr), quello di messa in sicurezza riguarda la ristrutturazione di 2,4 milioni di metri quadri.

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Allo stesso tempo, la grande partecipazione al bando segnala quanto sia avvertito come centrale l’investimento sulle scuole italiane, a partire dal rinnovamento del patrimonio edilizio. E indica come lo stanziamento di risorse in questo ambito intervenga molto spesso su necessità e carenze esistenti da lungo periodo.

17,8% gli edifici scolastici classificati come vetusti (2018).

Approfondiamo meglio le previsioni del Pnrr sull’edilizia scolastica e, nello specifico, la destinazione delle risorse previste dal progetto delle nuove scuole, anche rispetto alla condizione del patrimonio esistente.

In cosa consiste il piano nuove scuole

Le linee di intervento previste dal Pnrr sull’edilizia scolastica sono numerose: dalla messa in sicurezza del patrimonio esistente alla costruzione di mense e palestre. Gran parte di queste, come approfondiremo nel corso dell’articolo, sono stanziate all’interno della quarta missione, dedicata a istruzione e ricerca.

Il piano per le nuove scuole riguarda la missione sulla transizione verde.

Tuttavia, la quarta missione del piano nazionale di ripresa e resilienza, specificamente mirata al comparto educativo, non esaurisce tutti gli interventi in materia di edilizia scolastica. Vi è appunto il piano per la costruzione delle nuove scuole (più propriamente, il piano di sostituzione e riqualificazione energetica degli edifici scolastici). Questo è inserito nella missione 2, denominata “rivoluzione verde e transizione ecologica”.

-50% la riduzione del consumo di energia finale prevista per le nuove scuole dal Pnrr.

Su tale linea di intervento il Pnrr prevede la demolizione e ricostruzione delle scuole. A differenza del piano di messa in sicurezza e ristrutturazione, si tratta dei casi

(…) in cui gli interventi di adeguamento sismico o di miglioramento associati ad una consistente ristrutturazione finalizzata alla riduzione dei consumi energetici non sono tecnicamente ed economicamente convenienti.

Il piano per la costruzione di nuove scuole sarà probabilmente quello più innovativo tra tutti gli interventi previsti dal Pnrr per l’edilizia scolastica. Perché consentirà di creare degli ambienti educativi all’avanguardia, in termini di qualità edilizia, di rispetto per l’ambiente, di presenza di spazi verdi e connettività.

In questa direzione, sempre nel mese di maggio, sono state presentate le linee guida per le scuole del futuro. Tale documento, redatto da un apposito gruppo di esperti, sarà la base per le future progettazioni. Con l’obiettivo di costruire luoghi di apprendimento nuovi non solo nelle forme, ma concepiti come veri e propri laboratori didattici, aperti al territorio.

Gli interventi del piano per le nuove scuole

Attraverso i dati pubblicati nelle graduatorie, possiamo ricostruire dove saranno direzionati gli interventi. Oltre il 40% delle risorse, in base alla clausola prescritta dal Pnrr, andranno al mezzogiorno.

42,4% gli importi per la costruzione di nuove scuole destinati a sud e isole.

La Campania, con 213 milioni di euro di finanziamento (quasi il 18% del totale) è la prima regione per importi finanziati dalla misura. I progetti qui previsti porteranno alla costruzione di 35 nuovi istituti scolastici. Segue l’Emilia Romagna, con 146 milioni di euro finanziati per 23 nuove scuole.

 

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’istruzione
(ultimo aggiornamento: venerdì 6 Maggio 2022)

 

I 216 interventi finanziati prevedono nella maggior parte dei casi (183, l’85% del totale) la demolizione con successiva ricostruzione nello stesso luogo. Solo il restante 15% (33 interventi) indica come modalità progettuale la demolizione e costruzione della nuova scuola in un’altra sede. Con quote comunque variabili tra le regioni: prevedono la ricostruzione delocalizzata 2/3 degli interventi in Liguria, 1/3 di quelli della Basilicata, nonché il 30% dei progetti emiliano-romagnoli.

 
 

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’istruzione
(ultimo aggiornamento: venerdì 6 Maggio 2022)

 

In 5 regioni (Molise, Piemonte, Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle D’Aosta) tutti i progetti finanziati indicano la demolizione edilizia e la successiva ricostruzione nella stessa area.

Scendendo a livello locale, i maggiori fondi convergeranno verso le scuole di due territori campani. Il casertano, dove i finanziamenti ammontano complessivamente a 82 milioni di euro per 11 interventi, e il salernitano (47,66 milioni di euro per 11 interventi).

 
 

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’istruzione
(ultimo aggiornamento: venerdì 6 Maggio 2022)

 

Seguono le aree metropolitane di Milano (44,8 milioni, 4 interventi), Roma (41,18 milioni, 9 interventi), Bari (40,15 per 6 progetti) e Napoli (37,77 milioni per 6 interventi).

1/10 dei finanziamenti Pnrr per le nuove scuole si concentra nelle province di Caserta e Salerno.

La destinazione delle risorse verso i territori campani, e in particolare nel casertano, non deve stupire. Caserta è – insieme a Napoli – la provincia italiana con la quota più elevata di residenti in età scolastica. Il 14,1% della popolazione ha tra 6 e 18 anni, contro una media nazionale attorno al 12%.

E sebbene la quota di edifici vetusti risulti – come media provinciale – inferiore al dato nazionale (8,1% contro 17,8%), nei comuni casertani interessati dall’intervento in media solo il 5% delle scuole nel 2018 risultava progettato o successivamente adeguato alla normativa tecnica di costruzione antisismica.

27 gli enti locali che riceveranno un finanziamento superiore ai 10 milioni di euro.

Il comune di Castel Volturno, in provincia di Caserta, è quello che riceverà il finanziamento più consistente per la costruzione di nuove scuole, per un totale di 29,65 milioni di euro. Seguono la città metropolitana di Milano (24 milioni di euro), la provincia di Fermo (21,7), quella di Avellino (19,6).

 
 

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’istruzione
(ultimo aggiornamento: venerdì 6 Maggio 2022)

 

Da notare come anche in questo caso emerga una ricorrenza rispetto al territorio casertano. Sono 3 gli enti locali più finanziati appartenenti a quest’area, ognuno dei quali ha ricevuto dei fondi per le scuole di competenza. Oltre al già citato comune di Castel Volturno, quello di Santa Maria a Vico (13,4 milioni) e l’ente provinciale di Caserta (11,5).

Cosa dice la grande partecipazione al bando

In totale sono state presentate 543 domande di finanziamento per il bando nuove scuole, come indicato dal ministero.

Sono 362 gli interventi entrati in graduatoria, per un ammontare di quasi 2 miliardi di euro richiesti. L’aumento dello stanziamento da 800 milioni a 1,19 miliardi consentirà di finanziarne 216. Non hanno quindi trovato finanziamento con questa linea di investimento 146 interventi per 776,6 milioni di euro, di cui 36 in Campania, 26 in Veneto, 17 in Calabria.

 
 

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’istruzione
(ultimo aggiornamento: venerdì 6 Maggio 2022)

 

La Campania, che come abbiamo visto è la regione dove convergeranno le maggiori risorse, è anche quella che aveva inviato più candidature. Nonché quella con più interventi in graduatoria ma non finanziati.

La grande partecipazione al bando perciò segnala quanto questa linea di finanziamento abbia incrociato esigenze e necessità dei territori. Ed è anche indice di come la questione della riqualificazione del patrimonio scolastico sia avvertita dagli enti locali. Una realtà che l’analisi dei dataset sull’edilizia scolastica pubblicati dal ministero dell’istruzione mostra chiaramente.

La condizione attuale delle scuole

I prossimi anni, anche in relazione all’impegno indicato dal Pnrr, vedranno una crescita degli interventi per l’edilizia scolastica statale.

Investimenti che riguardano un patrimonio di oltre 40mila gli edifici scolastici presenti. Prima della pandemia, in base ai dati relativi al 2018, quasi il 18% delle strutture era classificato come vetusto, per un totale di 7.161 edifici.

Sempre in quell’anno, quasi il 13% degli edifici (5.117) risulta progettato (o adeguato successivamente) alla normativa tecnica di costruzione antisismica. Quota che comunque sale attorno al 25% tra i comuni in zona sismica 1, quella considerata a maggior rischio. Circa 2.000 edifici, pari al 4,9% del totale, risultavano censiti in un’area soggetta a vincolo idrogeologico.

1 su 4 edifici scolastici antisismici nei comuni appartenenti alla zona sismica 1 (quella più a rischio).

Si tratta di medie che però comprimono le differenze territoriali esistenti. A fronte di una percentuale del 17,8% di edifici vetusti, ad esempio, la quota raggiunge il 43,7% in Piemonte e il 37,5% in Liguria. Mentre si attesta al di sotto del 10% in Campania (5,97%) e Toscana (5,83%). Allo stesso modo, anche la quota di edifici in aree soggette a vincolo idrogeologico supera il 10% in Umbria (12%) e Liguria (10,95%).

 
 
DA SAPERE

Un edificio scolastico è classificato come vetusto quando ha più di 50 anni. Dati non disponibili per il Trentino Alto Adige.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Miur
(ultimo aggiornamento: mercoledì 4 Marzo 2020)

 

Anche la quota di edifici con progettazione antisismica varia molto. Se si isolano solo i comuni in zona 1, ad esempio, quelli progettati o adeguati alla normativa sono quasi il 60% in Friuli-Venezia Giulia e quasi la metà in Abruzzo (49%). Quota che è più lontana dall’essere raggiunta in regioni come la Calabria e la Campania. Nei comuni calabresi e campani collocati in zona sismica 1, la percentuale di edifici scolastici con progettazione antisismica oscillava – in base ai dati 2018 – tra il 15 e il 20%.

1 su 6 edifici scolastici antisismici nei comuni calabresi appartenenti alla zona sismica 1 (quella più a rischio).

Scendendo nell’analisi a livello locale, il quadro diventa ancora più frastagliato, come emerge a colpo d’occhio dalla mappa. La quota di edifici scolastici vetusti, ad esempio, supera il 50% del totale nei territori della provincia di Alessandria, del vercellese, del triestino, del biellese e dell’area di Asti.

 
 
DA SAPERE

Un edificio scolastico è classificato come vetusto quando ha più di 50 anni. Dati non disponibili per il Trentino Alto Adige.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Miur
(ultimo aggiornamento: mercoledì 4 Marzo 2020)

 

Rispetto alla collocazione delle scuole in zone a rischio idrogeologico, l’incidenza è maggiore nelle province di La Spezia (23,9%) e Siena (21,2%), dove supera un quinto degli edifici scolastici presenti. Seguono i territori di Massa-Carrara (17%), Cuneo (16,5%), Trieste e Rieti (entrambe al 15,2%).

I dati appena visti indicano una forte variabilità della condizione scolastica tra le diverse aree del paese. La messa in sicurezza e riqualificazione di questo patrimonio è un presupposto della stessa offerta educativa presente sul territorio. Per questo – di fianco all’analisi deuovl bando “ne scuole” – nei prossimi mesi sarà importante monitorare anche tutti gli altri interventi previsti sul patrimonio edilizio delle scuole italiane. Ma quali sono e di cosa si tratta nello specifico?

Gli altri interventi del Pnrr sull’edilizia scolastica

Le risorse previste dal piano delle nuove scuole (più propriamente, il piano di sostituzione e riqualificazione energetica degli edifici scolastici) non sono le uniche che il Pnrr destina al patrimonio edilizio scolastico.

€ 30,88 mld previsti dal Pnrr per la missione 4 (istruzione e ricerca).

Per cominciare, il piano di ripresa e resilienza interviene sul comparto dell’istruzione e della ricerca con una missione dedicata, la quarta. Essa vale quasi 31 miliardi di euro, divisi in due componenti:

  • 19,44 miliardi di euro per il “potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università” (componente M4C1);
  • 11,44 miliardi di euro nel settore “dalla ricerca all’impresa” (componente M4C2).

Nello specifico i 19,44 miliardi della prima componente della missione 4 sono a loro volta suddivisi per ambito di intervento. In particolare, 10,57 miliardi andranno al “miglioramento qualitativo e ampliamento quantitativo dei servizi di istruzione e formazione”. Tra questi, le risorse per l’estensione del tempo pieno (con l’incremento del servizio mensa) e il potenziamento delle infrastrutture per lo sport a scuolaaspetti trattati in altri approfondimenti.

€ 300 mln previsti dal Pnrr per la costruzione e la ristrutturazione di palestre scolastiche e strutture sportive.

Altri fondi della missione istruzione sono meno collegati al tema edilizio. Parliamo degli 830 e 430 milioni che andranno rispettivamente al “miglioramento dei processi di reclutamento e di formazione degli insegnanti” e alla “riforma e potenziamento dei dottorati”.

Ma è soprattutto un altro ambito di intervento della missione 4 a stanziare le maggiori risorse per l’edilizia scolastica. È denominato “ampliamento delle competenze e potenziamento delle infrastrutture” e vale 7,6 miliardi. Di questi, 3,9 sono destinati al piano di messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole esistenti. Un piano che – come abbiamo già avuto modo di raccontare – avrà come obiettivo prioritario le aree svantaggiate del paese e punta a ristrutturare oltre 2 milioni di metri quadri di edifici scolastici.

2,4 mln la superficie (in mq) di edifici scolastici coinvolta nel piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica

Vanno inoltre segnalate anche altre misure come il piano scuola 4.0. Proprio come gli interventi su mense e palestre, si tratta di iniziative pensate per potenziare l’offerta didattica su vari fronti, come tempo pieno, sport ed educazione digitale. E che, per essere concretizzate, dovranno necessariamente basarsi su interventi di natura strutturale sull’edilizia scolastica.

Si tratta quindi di una mole di interventi cospicua, che sarà essenziale monitorare nei prossimi mesi e anni. Dalla capacità di investire e riqualificare l’edilizia scolastica, infatti, passano molte delle sfide del sistema educativo nazionale.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto credit: Città di Parma (Flickr) – Licenza

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Il superamento delle barriere architettoniche a scuola
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L’obiettivo di scuole accoglienti, a partire dall’accessibilità

Una scuola effettivamente inclusiva implica una serie di azioni e interventi complessi, rivolti sia alle disabilità, sia in generale a tutti i bisogni educativi speciali. Una serie di strumenti e modalità organizzative indicate nella direttiva del ministero dell’istruzione del 27 dicembre 2012, che hanno come fulcro il diritto all’autonomia e all’inclusione.

Il percorso di inclusione deve essere declinato su ciascun territorio e situazione.

Tra questi la creazione di centri territoriali di supporto, che organizzino iniziative, formazione e consulenza sui temi dell’inclusione scolastica e sul ruolo delle tecnologie nei processi di apprendimento. Attività rivolte ai docenti, al personale scolastico, agli studenti e alle famiglie. La predisposizione di piani didattici personalizzati (Pdp), sia individuali che concepiti per tutti gli alunni con Bes della classe. E, sulla base di questi ultimi, dei Pai (piani annuali per l’inclusività), con cui le scuole programmano gli interventi in base ai bisogni degli alunni con Bes presenti nella scuola.

Il report in formato pdf

Tali attività comportano un lavoro di inclusione che, come è necessario, deve essere costruito su misura per ogni singola realtà. E come tale non è generalizzabile, né si presta a facili misurazioni, perché ogni situazione è diversa e necessita di una risposta ad hoc.

11,4% degli alunni con disabilità è portatore di una disabilità motoria (a.s 2018/19).

Allo stesso tempo, nelle azioni per l’inclusione vi sono degli standard inderogabili che non si prestano a una risposta differenziata. Perché costituiscono, per molte ragazze e ragazzi, il prerequisito stesso della partecipazione scolastica. Tra questi, ad esempio, il progressivo abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici scolastici, come previsto dal Dpr 503/1996.

Gli edifici delle istituzioni prescolastiche, scolastiche, comprese le università e delle altre istituzioni di interesse sociale nel settore della scuola devono assicurare la loro utilizzazione anche da parte di studenti non deambulanti o con difficoltà di deambulazione.

La presenza di barriere architettoniche

Sono molte le barriere frapposte all’accesso per i portatori di handicap agli edifici, compresi quelli scolastici.

Tra le scuole italiane di tutti gli ordini, statali e non, l’ostacolo più frequente a una piena accessibilità è l’assenza dell’ascensore, o comunque la presenza di un impianto non adatto al trasporto delle persone con disabilità. Tale situazione riguarda oltre il 40% delle scuole non accessibili. Seguono, in circa 1/4 delle scuole non accessibili, la presenza di bagni non a norma e l’assenza di servoscala.

Mentre sembrano essere più spesso a norma le scale interne (6,1% delle scuole non accessibili), quelle esterne (5,4%) e le porte (3%).

46,4% delle scuole italiane non accessibile per la presenza di barriere fisiche.

In generale, la presenza di barriere fisiche si rileva in quasi una scuola su 2 a livello nazionale. Sono poco meno di un terzo quelle completamente accessibili per alunni con disabilità motoria (32,1%), mentre oltre una su 5 (21,5%) non ha risposto alla rilevazione condotta da Istat e Miur.

Una situazione fortemente differenziata sul territorio, a partire dalle macroaree del paese. Nel mezzogiorno risulta accessibile il 27,4% dei plessi, nel centro circa un terzo del totale (32,5%) e nel nord il 36%. Divari che comunque non invertono la tendenza di fondo: al netto dei non rispondenti, in tutte le aree del paese almeno il 40% delle scuole non è pienamente accessibile per uno studente con disabilità motorie.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 9 Dicembre 2020)

 

Con differenze ampie tra le diverse regioni. Risultano accessibili oltre il 60% delle scuole della Valle d’Aosta e circa il 40% di quelle di Marche, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Emilia-Romagna. Dati superiori alla media nazionale in termini di accessibilità fisica anche in Sardegna, provincia di Trento, Toscana, Basilicata, Abruzzo, Umbria, Veneto e Puglia.

Molto più distanti la provincia di Bolzano (12,5%, il cui dato però non è stato rilevato da Istat ma dall’istituto provinciale di statistica Astat), Campania (21,5%), Liguria (24,1%) e Calabria (24,5%).

60,2% delle scuole italiane non dispone di nessun facilitatore per il superamento delle barriere senso-percettive.

Rispetto alle barriere senso percettive, i dati raccolti nell’indagine Istat consentono di rilevare la presenza di facilitatori nelle scuole. Si tratta di ausili informativi che facilitano la mobilità autonoma delle persone con difficoltà sensoriali. Tra queste, ad esempio, segnali acustici per non vedenti, segnalazioni visive per non udenti, mappe a rilievo e percorsi tattili.

A livello nazionale, circa il 18% delle scuole ne ha almeno uno, il 60% non ne ha nessuno e il 21,5% non ha risposto alla rilevazione. In questo caso, oltre alla minore presenza generale, spicca ancora la distanza tra nord e sud. Nel mezzogiorno solo il 13,8% dei plessi ha almeno un facilitatore, quota che sale al 17,9% nel centro e al 22,5% nell’Italia settentrionale. Anche in questo caso, tuttavia, va rilevato come in tutte le macroaree, nord compreso, oltre la metà delle scuole non disponga di facilitatori.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 9 Dicembre 2020)

 

In particolare, una maggiore presenza di almeno un facilitatore si riscontra nella provincia di Bolzano (30,1% delle scuole), seguita da Emilia-Romagna
Valle d’Aosta, Veneto e Piemonte, con quote comprese tra 22 e 27%. Mentre, al netto delle scuole che non rispondono, hanno meno spesso un facilitatore le scuole in Calabria (9,9%), Sardegna, Abruzzo e Campania (tutte attorno al 13%).

I dati appena visti si possono riassumere in due tendenze. In primo luogo, l’esistenza di barriere architettoniche e senso-percettive negli edifici scolastici è una realtà che riguarda l’intero paese, almeno a livello regionale. Il secondo elemento da sottolineare sono tuttavia differenze territoriali abbastanza marcate, con una accessibilità sia fisica che sensoriale inferiore nei plessi meridionali e non solo.

Un aspetto che è importante ricostruire con maggiore profondità, per comprendere anche a livello locale quali siano le barriere fisiche più presenti sul territorio.

L’abbattimento delle barriere fisiche negli edifici scolastici

Rispetto alle barriere fisiche, abbiamo visto in precedenza come gli impedimenti più diffusi siano rappresentati dall’assenza di ascensore (o dalla presenza di un impianto non adatto al trasporto di persone con disabilità), da servizi igienici non a norma, dall’assenza di servoscala o di un accesso con rampe.

Accessi con rampe più presenti della media nel mezzogiorno.

Quest’ultimo risulta presente in circa il 47% delle scuole italiane, mentre è assente nel 35% dei plessi (il 18% non risponde).

Una media nazionale variabile sul territorio. La quota supera il 60% in alcune province pugliesi (Brindisi, Taranto, Lecce) e in quella di Matera, mentre si rileva in meno di un terzo degli istituti delle province di Fermo, Trieste, Genova e Trento.

DA SAPERE

I dati sono tratti dall’indagine sull’inserimento degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di 1° grado, statali e non statali. Dal 2019 l’indagine include anche la scuola dell’infanzia e la scuola secondaria di secondo grado.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (capitale umano)
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

 

Nel caso degli accessi con rampe, quindi, il dato del mezzogiorno appare in linea o superiore a quello della media nazionale. La quota di scuole dove sono presenti è pari al 49,4% nel sud. Più indietro le isole (46,5%), ma l’area del paese dove appaiono meno presenti è il nord-ovest (44,3%).

L’elevata quota di non rispondenti limita fortemente l’analisi.

Tuttavia, in oltre il 60% delle province meno della metà delle scuole dichiara di disporre di un accesso con rampe. Pesa inoltre l’alta quota di non rispondenti. Nelle province con meno accessi con rampe dichiarati non hanno risposto alla rilevazione il 33,6% delle scuole a Genova, il 28,9% a Trieste, il 14,7% a Fermo e il 55,1% a Trento.

Al contrario, nelle province in cima alla classifica la quota di non rispondenti è molto più contenuta: Brindisi (12,4%), Taranto (11,5%), Lecce (14,9%) e Matera (solo 6,4%).

Se come indicatore consideriamo le scuole che hanno dichiarato l’assenza di accessi con rampe, tra le province considerate, sono il 39% a Genova, 38,8% a Trieste, il 52,5% a Fermo, 18,8% a Trento. Percentuali tendenzialmente più basse a Brindisi (24,2%), Taranto (26,8%), Lecce (24,6%) e Matera (33%).

18% delle scuole italiane non ha risposto rispetto alla presenza di accessi con rampe. Quota che sale al 19,2% nel nord est.

Per quanto riguarda la presenza di un ascensore adatto per il trasporto delle persone con disabilità, il 59,9% delle scuole italiane dichiara la presenza del servizio, il 21,7% l’assenza e circa il 18% non risponde.

La quota di scuole in cui è presente il servizio sale all’85% in Valle d’Aosta, sfiora l’80% a Cremona e supera il 75% a Rieti e Bergamo. Mentre è inferiore al 50% in 11 province: Caserta, Rovigo, Foggia, Imperia, Trieste, Reggio Calabria, Napoli, Agrigento, Genova, Belluno e Trento.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (capitale umano)
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

 
Ascensori e servoscala molto meno diffusi nel mezzogiorno.

In generale, è nel mezzogiorno che gli ascensori a norma risultano presenti meno spesso (56,1% delle scuole del sud e il 58,3% nelle isole). Quota poco superiore nel nord-est (59,1%), mentre superano la media nazionale l’Italia centrale (62,1%) e il nord-ovest (63,8%).

Una tendenza che appare ancora più marcata rispetto alla presenza di servoscala o di piattaforme elevatrici. Circa il 7% delle scuole di sud e isole dichiara di disporne, con una media nazionale del 10,9%. Quota che raggiunge comunque al massimo il 12,9% nel nord-est e il 15,5% nel nord-ovest.

Confrontando le province, le quote più elevate si riscontrano in quelle di Savona (24,5%), Varese (22,9%), Monza e Brianza (19,1%), Milano (19%) e Biella (18,4%). Mentre 49 territori si attestano sotto il 10%. Nelle ultime dieci posizioni in particolare Teramo, Crotone, Caltanissetta, Reggio Calabria, Sondrio, Caserta, Isernia, Agrigento, Nuoro e Vibo Valentia.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (capitale umano)
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

 

Un ritardo del mezzogiorno si può riscontrare anche rispetto alla presenza di altri servizi per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Tra questi la presenza di servizi igienici a norma (64,2% delle scuole del sud, contro una media italiana 4 punti superiore). Mentre è meno ampio il divario rispetto alla presenza di scale a norma: 78,6% al sud e nelle isole, contro un dato nazionale del 79,3%.

L’abbattimento delle barriere senso percettive negli edifici scolastici

Nell’approfondire la presenza di dispositivi in grado di abbattere le barriere di tipo senso-percettivo, è utile analizzare la presenza negli edifici scolastici di 2 categorie di facilitatori. Da un lato, i segnali acustici (per gli alunni non vedenti) e visivi (per sordi e non udenti). Dall’altro, i percorsi tattili e le mappe a rilievo.

Ausili che facilitano la mobilità degli alunni con deficit sensoriali, e la cui presenza quindi è molto importante per l’accessibilità delle scuole. Il superamento di questo tipo di barriere appare molto più lontano rispetto alle barriere di tipo fisico. Aspetto che comporta una maggiore difficoltà per gli alunni con difficoltà sensoriali.

3,7% degli alunni con disabilità è ipovedente (a.s 2018/19). Il 2,6% ha una ipoacusia. L’1,6% è affetto da sordità grave e lo 0,6% da cecità.

Segnali acustici e/o visivi sono presenti nel 17,1% delle scuole italiane, assenti in quasi 2 su 3, mentre il 18% circa dei plessi non ha risposto all’indagine. La presenza maggiore si rileva nell’Italia settentrionale, con il nord-est al 23,2% e il nord ovest al 20,7%. Quote inferiori alla media nel centro (16,3%), ma soprattutto nel sud (12%) e nelle isole (12,9%).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (capitale umano)
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

 

Due province, Forlì-Cesena e Cremona, superano quota 30%. Altre 13 si attestano sopra il 25%: Bolzano, Alessandria, Pordenone, Savona, Biella, Terni, Ferrara, Torino, Bologna, Reggio Emilia, Trapani, Modena e Bergamo. Mentre sono 10 quelle che non raggiungono il 10%: Salerno, Pesaro e Urbino, Cosenza, Nuoro, Frosinone, Sassari, Messina, Brindisi, Reggio Calabria e Vibo Valentia.

2,8% le scuole in provincia di Vibo Valentia che dichiarano la presenza di segnali acustici/visivi. Nell’82,4% dei casi sono assenti, mentre il 14,8% dei plessi non risponde.

La presenza di mappe a rilievo e di percorsi tattili, al contrario, appare meno diffusa nel nord-ovest. A fronte di una media nazionale di 3 scuole su 100 che dichiara di disporne, l’Italia nord-occidentale si attesta sul 2,1%. Presenza maggiore nel nord-est (3,1%) e nel sud (4,1%).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (capitale umano)
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

 
Il superamento delle barriere senso-percettive è ancora lontano.

Tuttavia, spicca la bassa diffusione in generale. Ben 40 province si attestano al di sotto di quota 2%. E in particolare 16 non raggiungono l’1% di scuole che dichiarano la presenza di mappe a rilievo e/o percorsi tattili. Si tratta di Imperia, Cagliari, Savona, Varese, Barletta-Andria-Trani, Isernia, Belluno, Alessandria, Monza e Brianza, Piacenza, Sondrio, Lucca, Trieste, Aosta, Vercelli e Arezzo.

Anche le province con maggiore diffusione si attestano comunque su una quota pari al 10% o inferiore. Tra queste Crotone (10,1%), Matera (8,9%) e Gorizia (7,7%).

Foto credit: FranzPisa (Flickr) – Licenza

L’abbandono scolastico è un problema serio, al sud e non solo#conibambini

L’Italia è quarta in Ue per quota di giovani che lasciano prematuramente gli studi. L’abbandono scolastico colpisce soprattutto nel mezzogiorno, ma anche alcune province del centro-nord non ne sono immuni.

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L’abbandono scolastico è uno dei problemi più seri tra quelli che affliggono non solo il mondo della scuola, ma l’intera società italiana. I motivi per cui una ragazza o un ragazzo abbandona la scuola prima del diploma superiore possono essere diversi. Spesso incidono condizioni di marginalità sociale, che possono portare sia a una frequenza saltuaria, sia all’abbandono definitivo degli studi.

L’abbandono scolastico precoce riguarda i giovani che lasciano gli studi con la sola licenza media. Un fenomeno grave, sia per le sue cause più frequenti (disagio economico e sociale) sia per gli effetti a breve e lungo termine (difficoltà di trovare lavoro e aggravamento delle disuguaglianze). Vai a “Che cos’è l’abbandono scolastico”

All’interno dell’Unione europea, l’Italia rientra tra i paesi dove il problema degli abbandoni è più consistente.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: giovedì 11 Ottobre 2018)

 

Va detto che il fenomeno non è facile da misurare, perché richiederebbe dati in grado di tracciare il percorso scolastico del singolo studente.

La scelta metodologica adottata a livello europeo è utilizzare come indicatore indiretto la percentuale di giovani tra 18 e 24 anni che hanno solo la licenza media. Tra questi viene incluso anche chi ha conseguito una qualifica professionale regionale di primo livello con durata inferiore ai due anni.

Seguendo questo indicatore, come si nota dalla mappa, l’Italia nel 2017 è il quarto paese con più abbandoni (14%), dopo Malta, Spagna e Romania.

Perché l’abbandono scolastico è un problema sociale

Un ragazzo che abbandona la scuola è un fallimento educativo, e segnala che qualcosa non ha funzionato. Le ricerche indicano che a lasciare gli studi prima del tempo sono spesso i giovani più svantaggiati, sia dal punto di vista economico che da quello sociale. Un meccanismo molto pericoloso perché aggrava le disuguaglianze già esistenti.

Ciò produce una serie di conseguenze negative che non colpiscono solo il singolo ragazzo o la ragazza. Quando il fenomeno colpisce ampi strati della popolazione, è l’intera società che diventa complessivamente più debole, povera e insicura.

Un maggiore livello di istruzione (…) può portare una serie di risultati positivi per l’individuo così come per la società in relazione a impieghi, salari più alti, migliori condizioni di salute, minore criminalità, maggiore coesione sociale, minori costi pubblici e sociali e maggiore produttività e crescita.

Per queste ragioni, uno degli obiettivi stabiliti dall’Ue è che la quota di giovani che abbandonano prematuramente gli studi scenda sotto il 10% entro il 2020. Questo target rappresenta una media europea, ed è stato successivamente parametrato per le diverse situazioni nazionali. Ad esempio per la Francia l’obiettivo da raggiungere è il 9,5%, per la Spagna è il 15%, mentre per l’Italia è il 16%.

Italia in miglioramento, ma…

Per ridurre dispersione e abbandono scolastico, il governo italiano è intervenuto nel 2013 con un decreto, poi convertito in legge. Il provvedimento provava ad allargare l’offerta di attività didattiche, almeno in via sperimentale. A partire dagli alunni delle primarie e dalle aree a maggior rischio di evasione scolastica, l’obiettivo era tenere aperte le scuole oltre l’orario, ma anche promuovere le attività sportive.

11,4 milioni stanziati dal decreto nel 2014 per ampliare l’offerta didattica.

Successivamente, la commissione cultura e istruzione ha avviato un’indagine conoscitiva sulle strategie per ridurre la dispersione. In questa sede sono state portate all’attenzione del parlamento diverse istanze. Dalla necessità di contrastare il fenomeno a partire dalla scuola dell’infanzia, al ripensamento della stessa formazione degli insegnanti. Fino al ruolo dell’apprendimento della lingua nell’integrazione dei ragazzi di origine straniera, tra i più soggetti al fenomeno.

Nel frattempo, come sono andati gli abbandoni in Italia?

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: giovedì 11 Ottobre 2018)

 

Dal 2008 ad oggi, il dato italiano (come quello dei maggiori partner europei) è migliorato. In quell’anno i giovani tra 18 e 24 anni che avevano al massimo la licenza media e non erano inseriti in nessun percorso di formazione erano quasi il 20% del totale. Da allora questo valore è migliorato costantemente, per poi assestarsi attorno al 14% negli ultimi due anni.

Da un lato quindi l’Italia ha superato il target nazionale, dall’altro, resta ancora abbastanza lontana la soglia del 10%. È stata invece superata dalla Francia (8,9%), e pressoché raggiunta da Germania (10,1%), Regno Unito (10,6%) e Unione europea nel suo complesso.

Ma sul risultato nazionale pesano delle profonde differenze territoriali. Alcune aree del paese hanno raggiunto (o quasi) l’obiettivo europeo: nord-est (10,3% nel 2017), nord-ovest (11,9%), centro (10,7%). Nell’Italia meridionale invece gli abbandoni sono ancora al 18,5%.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 16 Ottobre 2018)

 

La maggiore difficoltà del sud del paese si può leggere anche da un altro punto di vista.

Dal 2009 al 2017, il nostro paese ha recuperato circa 5 punti percentuali, passando dal 19 al 14%. Ma lo ha fatto con velocità differenti tra le diverse aree. Il mezzogiorno già all’inizio della rilevazione mostrava una quota di abbandoni più alta (23%), però anche il nord-ovest era quasi al 20%. In 8 anni, quest’ultimo è sceso di oltre 7 punti (arrivando all’11,9%), mentre il mezzogiorno, che pure ha avuto una contrazione significativa (-4,5 punti), rimane al 18,5%.

Ancora tanti abbandoni nelle isole, in Campania e in Puglia

Il dato regione per regione mostra che nelle due isole, Sardegna e Sicilia, la quota di giovani che abbandonano prematuramente gli studi supera il 20%. Poco sotto il 20% anche Campania (19,1%) e Puglia (18,6%).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 16 Ottobre 2018)

 

Esclusa la Calabria (16%), tutte le altre regioni si trovano sotto la media italiana del 14%. Le regioni con meno abbandoni sono Abruzzo (7,4%), Umbria (9,3%) ed Emilia Romagna (9,9%). Poco sopra l’obiettivo europeo anche Marche (10,1%) e Friuli Venezia Giulia (10,3%).

Dal 2013, anno in cui il governo emanò il decreto contro la dispersione, i miglioramenti maggiori si sono registrati in Valle d’Aosta (-5,7 punti percentuali), Toscana (-5,3), Emilia Romagna (-5,2), Sicilia (-4,5) e Piemonte (-4,4).

Alcune province in controtendenza

Dai dati regionali emerge una maggiore difficoltà nel mezzogiorno, in particolare nelle isole. Nonostante negli ultimi anni il fenomeno dell’abbandono si sia ridotto in modo generalizzato, le grandi regioni del sud ancora presentano percentuali prossime al 20%.

Ma questo dato è vero in tutti i territori di quelle regioni? Possiamo verificarlo attraverso i dati sulle singole province, recentemente elaborati da Svimez a partire dai dati Istat.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Svimez e Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 11 Settembre 2018)

 

Nella regione con più abbandoni, la Sardegna, i dati per provincia fanno emergere profonde differenze territoriali. Sud Sardegna, Nuoro e Sassari confermano il valore regionale, attestandosi sopra il 20%. Anche la città metropolitana di Cagliari è poco distante da quella cifra (19,1%). Al contrario, in completa controtendenza con il dato regionale, la provincia di Oristano ha una quota di abbandoni inferiore al 10%.

8,7% la quota di giovani tra 18 e 24 anni con la sola licenza media nella provincia di Oristano.

In Sicilia, l’altra regione dove l’abbandono scolastico è più presente, Caltanissetta e Catania superano il 25%, e anche altre province mostrano valori molto alti. In particolare Ragusa (23,8%), Enna (22,9%), la città metropolitana di Palermo (20,4%) e Trapani (20,3%). Messina e Agrigento, pur mantenendosi sopra la media nazionale, presentano una quota di abbandoni più contenuta, attorno al 16%. In Campania, a fronte di un dato medio regionale del 19%, si va dal 22% di Napoli a realtà come Avellino dove i giovani con solo la licenza media sono meno dell’8% del totale.

Anche in regioni più virtuose possono convivere profonde differenze. In Toscana (dato medio regionale 10,9%), quasi tutte le province hanno una percentuale di abbandoni inferiore al 10%, ad esempio a Firenze (6,4%), Pistoia (8,3%), Pisa (8,50%) e Grosseto (8,8%). Al contrario Siena (18,5%) e soprattutto Arezzo (22%) presentano valori più simili alle province del mezzogiorno. In Liguria, analogamente, convivono Imperia (22,3%) e La Spezia, con una quota di abbandoni inferiore al 5%.

I limiti dell’indicatore attuale

Misurare gli abbandoni attraverso la quota di giovani che ha al massimo la terza media è la scelta metodologica che meglio ci consente di fare confronti, dal livello europeo a quello regionale, fino a scendere su scala locale. Ci sono però alcuni limiti che non vanno trascurati:

  1. questo metodo ci offre un punto di vista retrospettivo sugli abbandoni scolastici, ex post, ma per avere contezza del fenomeno nella sua evoluzione dovremmo monitorare il percorso scolastico del singolo studente, anno per anno;
  2. l’indicatore valuta come abbandono il mancato conseguimento di un titolo (il diploma superiore), ma gli esperti hanno sottolineato in diverse occasioni come questo criterio sia spesso insufficiente. A parità di titolo conseguito, infatti, si registrano livelli di competenza molto diversi tra gli studenti. Il raggiungimento del diploma, da solo, non necessariamente certifica che il rischio di fallimento formativo sia stato davvero evitato;
  3. per questo indicatore, che pure offre una discreta profondità locale, i dati comunali non esistono, se non risalenti al censimento. Nel contesto attuale, in cui il nostro paese sta cercando di raggiungere l’obiettivo europeo, possiamo fotografare la situazione comunale al 2011, ma non analizzare le più recenti evoluzioni sul territorio. Un limite enorme per comprendere davvero il fenomeno in un paese di profonde differenze territoriali, come l’Italia.

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. La fonte dei dati è Istat.

Il ruolo educativo e la presenza delle scuole dell’infanzia#conibambini

L’Ue indica come obiettivo che almeno il 90% dei bambini tra 3 e 5 anni frequenti le scuole dell’infanzia o strutture analoghe. L’Italia supera il traguardo, ma alcuni indicatori segnalano una tendenza al calo.

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La scuola dell’infanzia, frequentata dai bambini tra 3 e 5 anni, è il tassello tra l’asilo nido e la scuola dell’obbligo. La sua funzione educativa, spesso sottovalutata, è fondamentale per lo sviluppo del minore. Frequentarla o meno infatti può fare la differenza sull’apprendimento successivo dei ragazzi.

Le ricerche sull’argomento hanno evidenziato una correlazione positiva tra la partecipazione all’istruzione pre-primaria e i risultati scolastici successivi.

Come emerso anche dalle indagini internazionali che confrontano i diversi paesi, emerge anche con i dati nazionali che l’aver frequentato la scuola dell’infanzia ha un effetto positivo sugli apprendimenti anche tenendo conto del background socio-economico-culturale degli studenti

La scuola dell’infanzia rappresenta quindi un momento di formazione fondamentale, per tutti i bambini. E lo è ancora di più per quelli nati in famiglie in difficoltà, per ridurre il bagaglio di disuguaglianze che spesso si portano dietro. Uno svantaggio che non è solo teorico, ma è testimoniato dalle analisi sui risultati nei test Invalsi.

Anche per queste ragioni, alcuni paesi europei hanno deciso di rendere l’istruzione pre-primaria obbligatoria, anticipando l’obbligo scolastico prima dei 6 anni. Questo ovviamente non significa anticipare l’entrata nella scuola elementare, cosa che non sarebbe adeguata alle necessità di bambini così piccoli. Vuol dire piuttosto garantire a tutti i bambini l’accesso alla scuola dell’infanzia e evitare che si arrivi in prima elementare con divari troppo profondi.

Cosa dicono gli obiettivi europei

Obbligo o meno, c’è comunque un obiettivo europeo a cui tutti i paesi membri devono tendere. Nel consiglio di Barcellona del 2002, infatti, furono fissati due target in termini di offerta di servizi per i bambini in età prescolare.

Gli obiettivi europei di Barcellona riguardano la diffusione di asili nido, servizi e scuole per l’infanzia. Questi devono essere offerti almeno al 33% dei bimbi sotto i 3 anni e al 90% dei bambini tra 3 e 5 anni. Vai a “Che cosa prevedono gli obiettivi di Barcellona sugli asili nido”

Perciò esiste già un vincolo ad offrire posti nelle scuole dell’infanzia ad almeno il 90% dei bimbi tra i 3 e i 5 anni, analogo a quello del 33% sugli asili nido e servizi prima infanzia. Mentre su quest’ultimo target l’Italia è ancora indietro, rientra tra i paesi virtuosi per la cura della fascia d’età compresa tra 3 anni e la scuola dell’obbligo.

Nella classifica europea, ai primi posti spiccano Belgio (con una percentuale prossima al 99%), Svezia (96,6%) e Danimarca (95,9%). Agli ultimi posti, con il 60% o meno di bambini accolti in strutture pre-primarie, la Grecia e alcuni paesi dell’est (Polonia, Romania, Croazia). L’Italia è nona, e con il 92,6% di bambini tra 3 e 5 anni accolti in scuole d’infanzia supera pienamente il traguardo.

I segnali da non sottovalutare

Questi dati riguardano solo il 2016, ma il raggiungimento dell’obiettivo da parte dell’Italia non è episodico. Da diversi anni oltre il 90% dei bambini frequenta le scuole per l’infanzia. Allo stesso tempo però, pur in presenza di un dato ancora elevato, non mancano i segnali di un possibile arretramento. È stato rilevato nell’ultimo rapporto sul benessere equo e sostenibile, pubblicato lo scorso dicembre:

La partecipazione alla scuola dell’infanzia, nell’anno scolastico 2016/2017, si mantiene su livelli molto elevati, anche se nel contesto di una tendenza negativa avviatasi nell’a.s. 2012/2013

L’indicatore usato nel rapporto bes, a differenza di quello Eurostat (che è ovviamente il riferimento di cui tenere conto per gli obiettivi europei), calcola la percentuale di iscritti alle scuole dell’infanzia solo tra i bambini di 4 e 5 anni. Al netto di questa precisazione comunque, i due indicatori vanno nella stessa direzione: l’Italia supera il 90%.

Ma i dati rilasciati nel rapporto presentato dall’istituto di statistica in dicembre segnalano una tendenza alla contrazione dal 2012.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Bes 2018
(ultimo aggiornamento: martedì 18 Dicembre 2018)

 

Fino all’anno 2011/12, la quota di bambini iscritti oscillava attorno al 95%. Negli anni successivi questa percentuale si è progressivamente contratta, fino al 91,1% rilevabile con gli ultimi dati disponibili. Una percentuale ancora alta quindi, ma con una sensibile tendenza al calo.

Le differenze tra le aree del paese

Su questa evoluzione incidono delle differenze interne al paese. Andando a vedere il dato aggregato per macroaree, non si tratta di divari incolmabili.

DESCRIZIONE

Pur in assenza di divari incolmabili, la quota di iscritti alla scuole dell’infanzia è più elevata nel nord.

DA SAPERE

Nel rapporto bes viene indicata la percentuale di bambini 4-5 anni che frequentano la scuola dell’infanzia. Il dato Eurostat (su cui sono misurati gli obiettivi europei) calcola questo rapporto nella fascia d’età 3-5 anni.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Bes 2018
(ultimo aggiornamento: martedì 18 Dicembre 2018)

 

Le poche regioni al di sotto del 90% si avvicinano molto a quella soglia, e alcune di fatto la raggiungono, ad esempio Molise (89,7%) e Calabria (89,6%). Ma anche gap non eccessivi fanno emergere comunque una specificità del centro-sud: tutte le regioni al di sotto della media italiana (escluse Lazio e Lombardia) si trovano nel mezzogiorno. Tra le regioni annoverate da Istat nel “mezzogiorno” solo Abruzzo (93,4%) e Sardegna (93,6%) si collocano al di sopra della media nazionale.

L’andamento demografico e il numero di iscritti nelle province

Ma cosa sappiamo su queste tendenze a un livello più locale, meno aggregato? I dati rilasciati sul portale di Istat dedicato al capitale umano consentono di valutare a livello provinciale l’andamento del numero di bambini iscritti nelle scuole dell’infanzia, anche se le informazioni presenti risalgono all’anno 2014.

Nel procedere con l’analisi, va quindi tenuto presente che questi dati non danno conto degli sviluppi più recenti. Inoltre l’andamento degli iscritti è soprattutto conseguenza dell’andamento demografico.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 1 Gennaio 2014)

 

Nel periodo considerato (2010-14) il numero di bambini in età da scuola dell’infanzia è diminuito nel sud e nelle isole, mentre è aumentato nel centro-nord. Una tendenza che ovviamente si ripercuote sul numero di iscritti anche a livello provinciale.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 1 Gennaio 2014)

 

Tra 2010 e 2014, il numero di iscritti nelle scuole dell’infanzia è infatti aumentato o è rimasto stabile nella maggior parte delle province del centro-nord. Ad esempio, si sono registrati incrementi consistenti nelle province emiliane (Parma, +6,26%; Bologna, +3%; Ravenna, +3,68%, Piacenza, +3,24%), nel Lazio (Viterbo, +3,77%; Latina, +3,91%; Frosinone, +3,75), in alcune toscane (Siena +4,42%; Pisa, +4%; Grosseto +3%) e in altre realtà come Rovigo (+4,9%), Cuneo e Varese (+3%), Mantova (2,75), Monza (2,66%).

Nel mezzogiorno, si segnala la crescita di iscritti in alcune province sarde, in particolare Medio Campidano (+4,7%) e Olbia Tempio (+3%). Ma nella maggior parte delle province del sud il dato decresce in modo consistente. Così come in alcune realtà della Liguria, del Veneto e nelle province di Sondrio, Biella, Verbano-Cusio-Ossola. Sul decremento incide sicuramente il trend demografico segnalato, con la diminuzione dei bambini al sud. Un calo così localizzato da far emergere una chiara spaccatura tra centro-nord e mezzogiorno.

Purtroppo il confronto a livello locale non è su dati abbastanza recenti per poter accertare una tendenza consolidata. Ma su questi aspetti andrà tenuta alta l’attenzione, con lo scopo di mantenere l’Italia al di sopra dell’obiettivo europeo nei prossimi anni.

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. La fonte dei dati utilizzati per l’articolo è Istat.

La costruzione di nuove scuole attraverso i fondi del Pnrr#OpenPNRRultima modifica: 2022-06-02T11:07:18+02:00da vitegabry
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