Archivi giornalieri: 22 aprile 2022

Interpretazione delle disposizioni dettate in materia di mobilità volontaria dei dipendenti pubblici dagli art. 30 del dlgs 165/2001 e del d.l. 80/2021 convertito con modificazioni dalla L. 113/2021 – Nota Circolare del 7 febbraio 2022

Stampa PDF

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

Il Dipartimento della funzione pubblica si esprime in ordine alle modalità di applicazione della normativa vigente in materia di “mobilità volontaria o concordata, in particolare chiarisce come si supera l’apparente antinomia tra le previsioni vigenti in materia, in particolare, tra la possibilità offerta al dipendente, con almeno tre anni di servizio di utilizzare tale istituto prescindendo dall’assenso dell’amministrazione di appartenenza per il passaggio diretto ad altra amministrazione (ad eccezione di enti locali con meno di 100 dipendenti o aziende o enti del servizio sanitario nazionale), e l’obbligo riaffermato per i dipendenti degli enti locali di permanenza minima di cinque anni in caso di prima assegnazione. Il Dipartimento afferma che l’antinomia è solo apparente in quanto le disposizioni operano su piani distinti in quanto: “l’eliminazione dell’assenso dell’amministrazione di appartenenza costituisce , in coerenza con gli accordi europei, una forma di semplificazione e di incentivazione dei trasferimenti di personale in mobilità, mentre l’obbligo quinquennale di permanenza nella sede di prima destinazione che vige nell’ordinamento generale del lavoro pubblico e anche in quello degli enti locali, assicura che l’allocazione dei neo assunti sia effettivamente rispondente alle esigenze delle amministrazioni che hanno determinato la rilevazione del fabbisogno professionale da parte dell’amministrazione; ciò comunque, non osta a una diversa allocazione e distribuzione del personale, rispondente alle esigenze organizzative e funzionali proprie dell’amministrazione medesima, in questo senso la norma dispone che “in ogni caso la cessione del personale può essere differita a discrezione dell’amministrazione cedente, fino all’effettiva assunzione del personale cedente fino all’assunzione del personale assunto… comunque per un periodo non superiore a trenta giorni successivi a tale assunzione, ove sia necessario un periodo di affiancamento”.

Pensione sociale – Assegno Sociale

Pensione sociale – Assegno Sociale

SCHEDE
QUESITI
NORMATIVA

LA VALORIZZAZIONE DELLA LINGUA SARDA

 

di Irene Bosu

 

Francesco Casula nasce a Ollolai (NU). Dopo gli studi medi-superiori fatti dai Gesuiti, -frequenta il Liceo Sociale di Torino, dove studiò Cesare Pavese – a Roma nel 1970 si laurea in Storia e Filosofia. È stato docente di Storia, Filosofia e Italiano negli Istituti Superiori. È giornalista pubblicista dal 1989. Attualmente è Direttore Responsabile e redattore di “Liberatzione sarda“, periodico bilingue e “Madiapolis” periodico degli studenti universitari di Cagliari. Negli anni passati è stato direttore responsabile de “Il Solco” il prestigioso giornale del PSD’AZ e di Emilio Lussu e del periodico bilingue della Confederazione sindacale sarda “Tempus de Sardinnia“. Ha complessivamente scritto circa mille articoli su riviste, periodici e quotidiani sardi e italiani; ha scritto e pubblicato numerosissimi saggi e novelle; sono sue le undici monografie in lingua sarda per la collana “Omines e feminas de gabbale”; ha composto numerose prefazioni a saggi e romanzi legati alla Sardegna. Ha scritto “Letteratura e civiltà della Sardegna”: un’opera antologica che raccoglie le opere di scrittori e poeti bilingui, scrittori e poeti in lingua italiana, scrittori e poeti in lingua sarda. Inoltre è stato consulente-esperto in materia di Lingua e Storia della Sardegna, dell’Assessorato della Pubblica istruzione, Beni culturali, Informazione, spettacolo e sport della Regione autonoma della Sardegna. Eletto dal Consiglio Regionale della Sardegna, nel Gennaio 2000, è stato membro dell’Osservatorio Regionale della Lingua e della Cultura sarda, istituito per la gestione della Legge regionale 26/97 su “ Promozione e valorizzazione della cultura e della Lingua della Sardegna”. Tiene spesso conferenze, in qualità di relatore presenta libri, saggi e romanzi.

Dal punto di vista professionale si dedica soprattutto alla diffusione e valorizzazione della cultura, della storia e della lingua sarda. Domanda a bruciapelo: si può essere sardi senza conoscere il sardo? La lingua sarda, essendo la più forte ed essenziale componente del patrimonio ricchissimo di tradizioni e di memorie popolari, sta a fondamento – per usare l’espressione dell’archeologo Giovanni Lilliu – dell’Identità della Sardegna e del diritto ad esistere dei Sardi, come nazionalità e come popolo, che affonda le sue radici nel senso profondo della sua storia, atipica e dissonante rispetto alla coeva storia e cultura mediterranea ed europea. Se questo è vero, certo che si può essere Sardi anche senza conoscere la lingua, ma Sardi dimezzati, sradicati, deprivati di un intero universo di suoni e di saperi. Dunque senza storia, senza memoria, senza identità. Persino quasi afasici. Soprattutto i giovani. Qualche studioso sostiene infatti la tesi dei giovani sardi oggi “semiparlanti”: non conoscono più la lingua sarda e parlano (e scrivono) un italiano frammentario, disorganizzato, improprio, gergale; la cui parola dice di sé solo le accezioni selezionate dal Piccolo Palazzi: senza metafore, senza natura,senza storia, senza vita. Che sarebbero tutte incorporate proprio nella lingua materna (nadìa). Quella lingua cioè che è soprattutto valore simbolico di autocoscienza storica e di forza unificante, il segno più evidente dell’appartenenza e delle radici che dominatori di ogni risma e zenia hanno cercato di recidere.

Chi sono i nemici della lingua sarda? Gli apparati e le articolazioni dello Stato. I Partiti politici e i grandi Sindacati italiani. Ma soprattutto la Scuola italiana in Sardegna. Che fin dall’Unità d’Italia – per non risalire ancora più indietro – ha sempre espunto dai programmi qualunque elemento “locale”, in primis la lingua sarda. Tesa com’era a un processo e progetto di omogeneizzazione culturale e linguistica. Tale concezione la ritroviamo pari pari nelle Leggi sull’istruzione elementare obbligatoria nell’Italia post unitaria.. I cui programmi scolastici sono impostati secondo una logica rigidamente nazional-statale o statalista che di si voglia e italo centrica e sono finalizzati a creare una coscienza “ unitaria “, uno spirito “nazionale“, capace di superare i limiti – così si pensava – di una realtà politico-sociale estremamente composita sul piano storico, linguistico e culturale. Questo paradigma fu enfatizzato nel periodo fascista, con l’operazione della “nazionalizzazione” dell’intera storia italiana. L’idiosincrasia – uso volutamente un termine eufemistico – nei confronti di tutto ciò che è Sardo, e in modo particolare della lingua, continuerà comunque anche nel dopoguerra. Nel 1955,nei programmi elementari elaborati dalla Commissione Medici si introduce l’esplicito divieto per i maestri di rivolgersi agli scolari in “dialetto”. E in tempi a noi più vicini, con una nota riservata del Ministero – regnante Malfatti – del 13-2-1976 si sollecitano Presidi e Direttori Didattici a “ controllare eventuali attività didattiche- culturali riguardanti l’introduzione della lingua sarda nelle scuole”. Una precedente nota riservata dello stesso anno del 23-1 della Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva addirittura invitato i capi d’Istituto a “ schedare “ gli insegnanti. E non si tratta di “pregiudizi“ presenti solo negli apparati statali e ministeriali romani: il segretario provinciale di un Partito politico, allora ferocemente centralistico, sia pure di un “centralismo democratico“, invitava, con una circolare spedita a tutte le sezioni, di non aderire, anzi di boicottare la raccolta di firme per la Proposta di legge di iniziativa popolare sul Bilinguismo perché “ separatista “ e attentatrice all’Unità della Nazione!  Oggi qualcosa inizia a cambiare: anche a livello giuridico e istituzionale. Per esempio con l’approvazione della Legge regionale n. 26 del 15 Ottobre 1997 su Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna, della Legge nazionale n. 482 del 15- Dicembre1999 sulle Minoranze linguistiche e della a Carta Europea per le Lingue Regionali e Minoritarie. Ma siamo ancora agli inizi.

La “Lingua sarda comuna” è sempre sotto processo, accusata di essere una lingua artificiale. Cosa ne pensa? A questa domanda risponderò in sardo e argomentando diffusamente. Deo penso chi chie cheret su “Bilinguismu perfetu”, est a nàrrere sa parificatzione giurìdica e pràtica de su Sardu cun s’Italianu non podet èssere contra a unu istandard, comente est sa LSC. Ca, sena istandard, non bi podet èssere peruna ufitzializatzione e sena ufitzializatzione sa limba sarda est destinada a si nche mòrrere o a èssere cunfinada in carchi furrungone, in carchi festa de bidda pro cantare batorinas e noitolas. O impreada pro nàrrere brullas, carchi paristòria o, si nono, paràulas malas, e frastimos. Deo so cumbintu chi oe, subra de s’istandardizatzione, pro lu nàrrere a sa latina: ”non est discutendum”. Ca ischimus bene chi sena s’unificatzione de s’iscritura, peruna limba si podet imparare in sas iscolas, si podet impreare in sos ufìtzios, in sos giornales, in sas televisiones, in sas retes informàticas, in sa publicidade, in sa toponomastica. Sena ufitzializatzione, pro nàrrere, in sos litzeos o in sas Universidades sardas, “cale Sardu” imparamus? E in sos giornales e in sas televisiones, chi allegant a totu sos Sardos, ite impreamus? Calincunu narat: faghimus duos istandard: unu pro su logudoresu e unu pro su campidanesu. Ite machine e tontesa est custu? Semus giai male unidos e cherimus galu ateras divisiones? E, in prus,: pro ite duos e non tres, bator, deghe, 365, cantas sunt sas biddas sardas e su “dialetto” issoro? E in ue agabbat su campidanesu e in ue cumintzat su logudoresu? E esistit unu campidanesu e unu logudoresu o bi nd’at medas? Sa LSC no andat bene? La curregimus, la megioramus, la irrichimus: ma dae issa depimus mòere. Ca est s’istandard chi tenimus, a pustis de trinta annos de brias e de cuntierras subra de custa chistione. E sos “dialetos locales”? Chi sunt una richesa manna, non b’at perìgulu chi si nche mòrgiant? Est a s’imbesse: cun una limba ”istandardizada”, una Limba chi siat una “cobertura” pro totus, est prus fatzile chi sigant a campare; sena limba istandart si nche morint peri issos. Sa LSC est artifuitziale? Deo pesso chi nono.

Lei è membro della Giuria di vari Premi letterari prestigiosi: il più longevo fra tutti, quello di Ozieri, istituito nel lontano 1956, il premio letterario e di poesia bilingue “Antonio Gramsci” di Ales; premio di poesia sarda di Iglesias; premio letterario di poesia sarda di Uta e nel 2006 è stato Presidente della Giuria del Premio di poesia di Escalaplano. Quali sono gli ingredienti che danno valore a un componimento letterario? A mio parere un componimento letterario deve basarsi sul vissuto storico, (personale e collettivo). Senza ignorare – sia ben inteso – la fictio presente in ogni discorso letterario. Voglio dire che un componimento letterario (sia poetico che in prosa) pur non staccato dall’attrito della storia e pur nutrendosi di dati personali, pur intridendosi delle esperienze di vita dell’Autore e dunque esprimendo la storia dell’anima (s’istoria de s’anima) non deve però limitarsi a rappresentarle e per così dire a filmarle, le esperienze: ma deve velarle e fasciarle. Travestendole allegoricamente e assegnando loro i segni di una condizione umana più universale, trasformando sentimenti ed emozioni in una occasione di epifania rispetto alla pura realtà, scarnificando e ottundendo la condizione storica precisa ed evaporando la dimensione temporale e spaziale. Ma non basta: occorre personale valentia letterario-poetica ma anche un lungo tirocinio tecnico- stilistico e di esercitazione scrittoria in cui ha sottoporre la composizione a un processo di affinamento e di alleggerimento, per così dire a un duro sforzo ascensionale. E nel contempo occorre che l’Autore “governi” la parola e, dunque la lingua: intesa non come flatus vocis, pura forma, orpello o decorazione, musica o immagine ridondante, semplice prodotto estetico o luccicore sontuoso. Le parole sono infatti conchiglie: che sembrano vuote ma dentro ci puoi sentire il mare. E con le parole devono far ressa nel circuito compositivo – specie in quello poetico – silenzi e pause, cromatismi, ossimori e sinestesie, contrazioni sintattiche, brachilogie, metafore e di immagini, suoni e i ritmi, onomatopee e assonanze.

I dati statistici e i sondaggi denunciano un disamore generalizzato verso la lettura. In particolare, la fascia più consistente di non lettori è costituita da ragazzi tra i 6 e i 17 anni. Lei ha insegnato Italiano e Storia negli Istituti superiori. Quali sono, a suo parere, le cause di questo divorzio ragazzi-lettura? Ci sono responsabilità della scuola?Le cause sono plurime ma la responsabilità maggiore la attribuisco alla scuola e ai docenti. Questi infatti – o la maggioranza di essi – mentre pretendono (giustamente) che si studi un capitolo di storia o un Autore (magari con dati e date) sulla cui conoscenza viene attribuita una valutazione e un voto, non vi è la stessa “pretesa” in merito alla lettura di un romanzo, di una commedia, di un saggio. La lettura è considerata un optional…lasciata alla libera scelta dello studente. Occorre cambiare rotta (io in 40 anni di insegnamento l’ho sempre fatto!): la lettura di romanzi e opere letterarie in genere, (accompagnata da schede riassuntive, valutazioni, giudizi personali dello studente) deve organicamente far parte essenziale (e obbligatoria) della didattica. Occorre educare i giovani alla lettura:facendoli leggere! E’ anche l’unico metodo per imparare la lingua!

Durante il suo periodo cagliaritano, ha conosciuto lo scrittore Salvatore Cambosu. Che opinione si è fatto di lui? Può abbozzarne un breve ritratto e regalarci una qualche inedita chicca? La mia conoscenza è stata molto fugace: ero molto giovane e ricordo solo che frequentava soprattutto Cicitu Masala, il nostro più grande poeta etnico che poi avrei conosciuto bene dopo il mio trasferimento definitivo a Cagliari a metà degli anni 70. Cambosu si presentava in modo dimesso e modesto, spesso era silenzioso. Masala lo stimava molto: apprezzava soprattutto il suo capolavoro Miele Amaro, per il tono ora saggistico ora lirico, fabulatorio e persino onirico. Io apprezzerò l’opera di Cambosu solo molto dopo quegli anni, quando la leggerò e la studierò a fondo per poter inserire l’intellettuale di Orotelli nella mia “Letteratura e civiltà della Sardegna” (2 volumi, Edizioni Grafica del Parteolla, Dolianoca 2011/2013). Nel secondo volume gli ho dedicato ben 10 pagine in cui sostengo che Miele Amaro“può essere definito come un almanacco, un’antologia, un catalogo generale dell’identità sarda, della sua storia e della sua civiltà, che Cambosu ora come etnologo e antropologo, ora come demologo e storico, ma soprattutto come narratore e poeta, racconta dall’interno, dal sottosuolo, facendosi portavoce del popolo. O, se vogliamo possiamo considerarlo un romanzo antropologico sulla Sardegna, sospesa allora fra arcaicità e modernizzazione, tradizione e innovazione, difesa e valorizzazione dell’identità e apertura all’innovazione. Il romanzo propone comunque una sardità non mitizzante ma ancorata alla realtà”.

La sua prima esperienza politica, dopo gli anni del ’68 che ha vissuto a Roma, risale al 1972 quando si candida alle elezioni politiche a soli 26 anni. Quali sono le maggiori differenze socio-culturali che nota tra la Sardegna di oggi e quelle di quegli anni? E’ cambiato tutto. Quando nel ’69 iniziai a insegnare c’era nella scuola come nella società un clima effervescente: di partecipazione, di protagonismo sociale, di progetti e speranze. Di cambiamento. Persino di “rivoluzione”. Volevamo cambiare il mondo. Abbiamo trovato un muro di gomma. Invalicabile. Da parte dei Partiti, ad iniziare dal PCI di allora. Da parte delle Istituzioni: ad iniziare dalla Regione sarda. Insensibili alle proposte e alle richieste che provenivano dal basso. Molti protagonisti di quella fase – intellettuali soprattutto – non potendo cambiare lo stato delle cose, hanno cambiato se stessi. “Adeguandosi”. Rientrando nell’alveo del potere e dei piccoli e grandi privilegi della/delle casta/caste politico partitiche/sindacali/istituzionali/professionali. Un’intera generazione di giovanotti ormai sdraiata nei salotti del potere un tempo criticato, contestato e aborrito, a rigirare fra le dita cartacce o scartoffie e/o a mistificare storia e storie elucubrando l’ideologia del pentimento. Assistiamo così a un pauroso “riflusso”. Alla delega. Al ritiro nel privato. La crisi di oggi è anche un risultato di quel “deporre le armi” da parte di molti, troppi, che avrebbero invece dovuto dare “l’assalto al cielo”: come programmaticamente recitava un famoso apoftegma del Movimento studentesco del ’68.

Nel suo libro “Uomini e Donne di Sardegna – Le controstorie” sono presenti 15 monografie di personaggi sardi illustri, “de gabbale”, che hanno rappresentato magistramente la nostra terra: da Amsicora a Giommaria Angioy, da Sigismondo Arquer a Montanaru, dalla Deledda a Gramsci, da Lilliu a Grazia Dore. Se dovesse rinascere, in quale di queste figure vorrebbe reincarnarsi e perchè? Non ho alcun dubbio: in Sigismondo Arquer. Intellettuale e scrittore di livello europeo e plurilingue (conosceva il latino, l’italiano, il castigliano, il catalano e il sardo). Orgogliosamente Sardo: dopo essere stato arrestato, durante il processo a Toledo (Spagna) rispondendo alla deposizione di un compagno di carcere che riportava voci sulla presunta provenienza dei suoi dalla Germania affermava con forza: sono sardo, nato in Sardegna, nella città di Cagliari, dove abitano i miei genitori. Mio padre è aragonese di origine (de naciòn Aragonés) e mia madre è sarda.  Conosce la lingua sarda e in Sardo ci ha lasciato il Patre noster (Babu nostru). Trascorrerà quasi un quarto della sua esistenza nelle carceri di Toledo fra torture indicibili. Nato a Cagliari nel 1530 sarà incarcerato dall’Inquisizione nel 1562 e morirà il 4 Giugno del 1571 a Toledo, dopo sette anni e otto mesi di detenzione. Durante il terribile “auto da fé” (l’espressione deriva dal portoghese e significa atto della fede), ossia la proclamazione pubblica della sentenza, lo si metterà alla sbarra prima che venisse addossato al palo, ed i carnefici vedendo che non solo non si pentiva ma che anzi esaltava il suo martirio, lo trafiggeranno con le lance e lo getteranno poi nel rogo degli eretici. La colpa? Essere eretico. Ovvero aver difeso in modo intransigente fino all’ultimo respiro la libertà di coscienza e di pensiero. Il suo reato più grande? Aver scritto che ““Sacerdotes indoctissimi sunt, ut rarus inter eos, sicut et apud monachos, inveniatur, qui latinam intelligat linguam. Habent suas concunbinas, maioremque dant operam procreandis filiis quam legendis libris » (I Sacerdoti sono ignorantissimi al punto che è raro trovarne fra essi, come tra i monaci, uno che conosca il latino. Vivono con le loro concubine e di danno con più impegno a mettere al mondo figli che a dedicarsi alla lettura). Dimenticato e interrato dalla cultura italiana. Una cultura codina e bigotta. Tutta prona nei confronti della Controriforma. Subalterna al clericalismo, per non dire, all’oscurantismo.  Ma la colpa maggiore è dei Sardi: in primis dell’Università e della Scuola. Sardi auto colonizzati, che hanno dimenticato un grande, sfortunato e tragico intellettuale ed eroico martire sardo: uno degli uomini de gabale (di valore) che ci ha fatto conoscere fin dal 1500 in tutta l’Europa. Ricordo infatti che la sua Sardiniae brevis historia et descriptio (in assoluto la prima storia della Sardegna) – cui era allegata una carta dell’isola e una veduta di Cagliari (Tabula corographica insulae ac metropolis illustrata) – , verrà inserita nella Cosmografia scritta da Sebastian Münster, famosissimo geografo e cartografo tedesco..

La studio della civiltà nuragica nelle scuole – regionali e nazionali – è praticamente assente. In relazione alla recente ri-scoperta dei Giganti di Monte Prama non pensa sia opportuno rivalutare i programmi scolastici delle scuole dell’obbligo per informare al meglio i nuovi studenti? Come, secondo lei si potrebbe fare lo stesso passaggio a livello nazionale? La Biblioteca del Quotidiano Repubblica, nel 2005 ha pubblicato e diffuso a migliaia di copie un volume di 800 pagine sulla preistoria nel quale nuraghi e Sardegna non vengono citati, neppure per errore. Un’occasione mancata per la cultura italiana che pur pretende, – e con quale spocchia- di dominare sull’Isola. Per contro, uno dei redattori più influenti del quotidiano romano, Sergio Frau, da tempo sostiene, producendo una grande messe di indizi e di prove, che al tempo dei nuraghi la Sardegna altro non era se non Atlantide. La tesi, se verificata fino in fondo, sconvolgerebbe la storia del Mediterraneo così come la conosciamo; anche per questo è avversata con veemenza da accademici, sovrintendenti, geologi e antropologi (soprattutto sardi), poco disposti a mettere in discussione se stessi e le certezze su cui hanno fondato carriere e fortune. E’ la stessa veemenza usata nel passato contro il dilettante scopritore di Troia, anch’essa come Atlantide considerata un semplice “mito”. Se il Quotidiano “La Repubblica” ha compiuto un semplice peccato di omissione, qualcuno ha fatto di peggio: certo Gustavo Jourdan, uomo d‘affari francese, deluso per non essere riuscito dopo un anno di soggiorno in Sardegna, a coltivare gli asfodeli per ottenerne alcool, in “l’Ile de Sardaigne” (1861) parla della Sardegna rimasta ribelle alla legge del progresso, terra di barbarie in seno alla civiltà che non ha assimilato dai suoi dominatori altro che i loro vizi. L’inglese Donald Harden, archeologo, filologo e storiografo di fama, dopo aver visitato molte contrade della Sardegna, agli inizi del Novecento, tra gli anni ’20 e ‘30, espresse giudizi poco lusinghieri sulla tradizionale cultura del popolo sardo che lo aveva ospitato e in una sua opera “The Fhoenician” parlerà della Sardegna come regione sempre retrograda. Ma tant’è: accecati dall’eurocentrismo, evidentemente costoro dimenticano che quella nuragica è stata la più grande civiltà della storia di tutto il mediterraneo centro-occidentale del secondo millennio avanti Cristo. Con migliaia di nuraghi (8.000 secondo le fonti ufficiali: l’Istituto geografico militare, che però li censisce secondo modalità militari e non archeologiche; 20.000 secondo Sergio Salvi e 25–30.000 secondo altre fonti non ufficiali) costruzioni megalitiche tronco-coniche dalle volte ogivali con scale elicoidali; pozzi sacri, betili mammellari, terrazze pensili, androni ad arco acuto, innumerevoli dolmens e menhir, migliaia di statuette e di navicelle di bronzo. Con un’economia dell’abbondanza: di carne, pesce, frutti naturali. Che produce oro, argento, rame, formaggi, sale, stoffe, vini. Ma anche la musica delle launeddas. Quella Sardegna, (per Omero la Scherìa, la terra dei Feaci, abitanti di un’Isola su tutte felice), posta a Occidente nel mezzo del Mediterraneo, aperta al mondo, che combatte, alleata con i Popoli del mare contro i potenti eserciti dei Faraoni e dei re di Atti che tiranneggiano e opprimono i popoli. La Sardegna, l’Isola sacra in fondo al mare di Esiodo, l’Isola dalle vene d’argento (Argyròflebs) di Platone poi Ichnusa Sandalia ecc. oltre che Isola “felice” è infatti Isola libera, indipendente e senza stato. Organizzata in una confederazione di comunità nuragiche mentre altrove dominano monarchi e faraoni, tiranni e oligarchi. E dunque schiavitù. Non a caso le comunità nuragiche costruiscono nuraghi, monumenti alla libertà, all’egualitarismo e all’autonomia; mentre centinaia di migliaia di schiavi, sotto il controllo e la frusta delle guardie, sono costretti a erigere decine di piramidi, vere e proprie tombe di cadaveri di faraoni divinizzati. Questa storia occorre iniziarla a insegnarla nelle scuole sarde: ma non solo. Bisogna varcare il mare. Soprattutto di fronte a scoperte come quelle dei Giganti di Monte ‘e Prama. Prima o poi infatti gli archeologi come gli storici e gli storici dell’arte in primis, dovranno decidersi a riscrivere la storia dell’arte, iniziando a mettere in discussione il primato della Grecia nella statuaria del Mediterraneo: dai “Giganti” emerge infatti con chiarezza e nettezza che non alla Grecia ma alla Sardegna spetta l’inaugurazione e il primato della grande statuaria. E bel 400 anni prima della Grecia!

Che consiglio darebbe a un giovane che vuole impegnarsi nella promozione della cultura e della lingua sarda? Primo consiglio: studiare molto per conoscere la cultura sarda. E la lingua, parlandola e scrivendola. Per quanto poi attiene alla storia sarda si tratta non solo di studiarla ma di “riscriverla”. Nei testi scolastici o, in genere, nella storia “ufficiale” quella sarda è stata falsificata e compressa quando non abrasa, cancellata, manipolata. “La storia – scrive Francesco Masala – di necessità è storia dei vincitori, i vinti non hanno storia…gli storici insomma scrivono la storia con la complicità degli archivi (sos papiros) lasciati dai vincitori: i vinti non possono lasciare mai nulla negli archivi”. Ebbene i “vinti ma non convinti” – anche questa espressione è di Masala – devono riscrivere la storia sarda. Dal loro punto di vista. Anche utilizzando sos papiros, ma non per celebrare Cesare bensì per seppellirlo.

* focusardegna.com

 

Questo articolo è stato pubblicato il Mercoledì, Maggio 27th, 2015 alle 14:18 e archiviato in Personaggi della Sardegna. Puoi seguire i commenti a questo articolo utilizzando RSS 2.0 feed. Puoi lasciare un commento, o un trackback dal tuo sito.

3 Commenti to “LA VALORIZZAZIONE DELLA LINGUA SARDA: FRANCESCO CASULA, SCRITTORE CHE HA PUBBLICATO NUMEROSISSIMI SAGGI E NOVELLE”

  1.   Mario Sanna Says:
    28 Maggio 2015 at 07:38FACCIO GLI AUGURI DEI PREMI RICEVUTTI IN VARIE PARTI D* ITALIA UNA PERSONA LAUREATA CON VARI PREMI ALLA SULLA LINGUA COMPLIMENTI —
  2.   Luigi Deidda Says:
    28 Maggio 2015 at 07:39Bellissima intervista a uno dei più preparati studiosi della storia e della lingua Sarda,bravissimo scrittore e uno dei pochi docenti che riesce a trasmettere l’amore delle proprie conoscenze a chi lo ascolta….è il più bravo dei nostri docenti dell’UNI3 del Monreale.Bravissima Irene ….
  3.   Antonio Erre Says:
    19 Luglio 2015 at 11:44Francesco è forse il più indicato e anche il più vocato a diffondere ed esaltare la lingua Sarda come espressione di un Popolo.
    Io che pensavo di essere orgogliosamente un Ollolaese, mi ritrovo ad orgogliosarmi di essere Sardo. Maiuscolo.
    Ok Francesco. Anche se quando parli Italiano si capisce che lo “possiedi” totalmente.

ARAN

Sezione giurisdizionale Umbria sentenza n. 12/2022 Concorso Pubblico – Danno erariale

Stampa PDF

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

I giudici contabili hanno condannato per danno erariale il componente di una commissione di esami, di un concorso pubblico, per la sua condotta antigiuridica evidenziatasi attraverso i contatti avuti con partecipanti alla selezione per l’anticipazione degli elaborati oggetto delle prove selettive. Secondo il Collegio la condotta messa in atto dal soggetto convenuto, viola i principi generali dell’azione amministrativa, in particolare oltre la violazione del principio di discriminazione e trasparenza “si è verificata una gestione inefficiente opaca e criminosa della procedura di concorso pubblico, procurando un palese danno da disservizio poiché sono stati frustrati, tra l’altro, l’obiettivo di interesse pubblico di selezionare nel rispetto della parità di trattamento i candidati migliori, nonché la finalità istituzionale dell’amministrazione volta ad una gestione delle procedure selettive secondo criteri di legalità”.

Interpretazione delle disposizioni dettate in materia di mobilità volontaria dei dipendenti pubblici dagli art. 30 del dlgs 165/2001 e del d.l. 80/2021 convertito con modificazioni dalla L. 113/2021 – Nota Circolare del 7 febbraio 2022

Interpretazione delle disposizioni dettate in materia di mobilità volontaria dei dipendenti pubblici dagli art. 30 del dlgs 165/2001 e del d.l. 80/2021 convertito con modificazioni dalla L. 113/2021 – Nota Circolare del 7 febbraio 2022

Stampa PDF

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

Il Dipartimento della funzione pubblica si esprime in ordine alle modalità di applicazione della normativa vigente in materia di “mobilità volontaria o concordata, in particolare chiarisce come si supera l’apparente antinomia tra le previsioni vigenti in materia, in particolare, tra la possibilità offerta al dipendente, con almeno tre anni di servizio di utilizzare tale istituto prescindendo dall’assenso dell’amministrazione di appartenenza per il passaggio diretto ad altra amministrazione (ad eccezione di enti locali con meno di 100 dipendenti o aziende o enti del servizio sanitario nazionale), e l’obbligo riaffermato per i dipendenti degli enti locali di permanenza minima di cinque anni in caso di prima assegnazione. Il Dipartimento afferma che l’antinomia è solo apparente in quanto le disposizioni operano su piani distinti in quanto: “l’eliminazione dell’assenso dell’amministrazione di appartenenza costituisce , in coerenza con gli accordi europei, una forma di semplificazione e di incentivazione dei trasferimenti di personale in mobilità, mentre l’obbligo quinquennale di permanenza nella sede di prima destinazione che vige nell’ordinamento generale del lavoro pubblico e anche in quello degli enti locali, assicura che l’allocazione dei neo assunti sia effettivamente rispondente alle esigenze delle amministrazioni che hanno determinato la rilevazione del fabbisogno professionale da parte dell’amministrazione; ciò comunque, non osta a una diversa allocazione e distribuzione del personale, rispondente alle esigenze organizzative e funzionali proprie dell’amministrazione medesima, in questo senso la norma dispone che “in ogni caso la cessione del personale può essere differita a discrezione dell’amministrazione cedente, fino all’effettiva assunzione del personale cedente fino all’assunzione del personale assunto… comunque per un periodo non superiore a trenta giorni successivi a tale assunzione, ove sia necessario un periodo di affiancamento”.

Sentenza n. 12268 del 14/4/2022 Impiego pubblico – comparto sanità – determinazione compensi incentivanti – accoglimento ricorso

Sentenza n. 12268 del 14/4/2022 Impiego pubblico – comparto sanità – determinazione compensi incentivanti – accoglimento ricorso

Stampa PDF
Allegati:
Scarica questo file (cass 12268_2022.pdf)cass 12268_2022.pdf   3675 Kb

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale

La Corte di Cassazione ritiene fondato il ricorso proposto da una Azienda Sanitaria avverso la sentenza del giudice di merito che ha interpretato le disposizioni dei Contratti Collettivi Nazionali del comparto sanità (artt. 46 e 47 CCNL 1.9.1995; articoli 4 e 38 CCNL 7.4.1999; articolo 13 CCNL 10.4.2008; articolo 5 CCNL 2009) nel senso che, la delega alla contrattazione integrativa aziendale per la determinazione dei compensi incentivanti può consentire la previsione di un compenso legato alla mera presenza in servizio, non essendo stata toccata dalla evoluzione normativa sulla erogazione dei trattamenti accessori. Gli Ermellini osservano che la determinazione del trattamento economico, fondamentale ed accessorio, è stata delegata alla contrattazione collettiva che ne stabilisce i criteri oggettivi, ma anche prima dell’intervento del legislatore del 2009, il sistema della produttività collettiva del Comparto Sanità, fissato dal CCNL 1 settembre 1995, art. 47, era finalizzato alla realizzazione degli obiettivi generali della azienda, subordinato al riscontro del raggiungimento dell’obiettivo e non era distribuito «a pioggia» ma in misura differenziata in relazione all’effettivo apporto di ciascun dipendente. Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, e anche come sostenuto nella memoria depositata dall’ARAN, gli artt. 46 e 47 del CCNL 1 settembre 1995 e gli artt. 4 e 38 del CCNL 7 aprile 1999 per il personale del Comparto Sanità si interpretano nel senso di non consentire la erogazione di compensi legati esclusivamente alla verifica della presenza in servizio. La Corte, inoltre, ritiene che i contratti integrativi del Comparto Sanità stipulati in epoca successiva alla entrata in vigore del D.Lgs n. 150/2009 avrebbero dovuto comunque autonomamente adeguarsi alle disposizioni del titolo III del suddetto decreto, che all’articolo 18, vieta la distribuzione in maniera indifferenziata o sulla base di automatismi di incentivi e premi collegati alla performance.

 

Public Employment and Management

Public Employment and Management

Stampa PDF
 

Segnalazione da Direzione Contrattazione 1

“Public Employment and Management” è una nuova pubblicazione annuale che raccoglie studi e articoli relativi alla gestione dei dipendenti pubblici nei paesi dell’OCSE. Questo primo rapporto presenta i possibili cambiamenti che dovranno essere affrontati in materia di gestione del personale nel prossimo futuro per migliorare e modernizzare le prestazioni dei servizi pubblici. Il rapporto presenta degli strumenti utili per avviare un servizio pubblico in grado di attrarre, trattenere e sviluppare talenti che sappiano utilizzare le nuove tecnologie. Questo permetterebbe al servizio pubblico di innovarsi e poter rispondere rapidamente alle necessità dettate da un mondo del lavoro in rapida evoluzione. Sebbene questo studio sia iniziato prima della pandemia, la crisi economico-sanitaria ha rafforzato l’importanza di queste tematiche sottolineando la forte necessità di cambiamento nel modo di lavorare dei dipendenti pubblici cosi da fornire un servizio pubblico che sia lungimirante, flessibile e soddisfacente. La pubblica amministrazione dovrebbe, quindi, anticipare le competenze necessarie nel prossimo futuro formando lavoratori qualificati che siano pronti ad essere impiegati lì dove necessario. La crisi di Covid-19 ha acceso i riflettori sulla necessità di pianificare l’incertezza e sostenere la resilienza dei servizi pubblici. Oltre alle competenze tecniche, è fondamentale provvedere ad un servizio pubblico flessibile che possa spostare le persone e le competenze in modo rapido e gestibile in un contesto lavorativo in continua evoluzione. Inoltre, un servizio pubblico soddisfacente attirerà una forza lavoro più qualificata e diversificata in termini di competenze, background professionali, esperienze e problem solving. Bisogna, tuttavia, lavorare su una gestione del personale che sia più inclusiva e mirata ad una progettazione del lavoro che porti a maggior autonomia e senso di realizzazione. In ultimo, la maggior parte dei governi dell’OCSE ha difficoltà a reclutare candidati con competenze specifiche in campo scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico. Nel loro insieme, questi capitoli raccomandano che i governi dei paesi dell’OCSE adottino misure attive per progettare il futuro dei loro servizi pubblici. I governi sceglieranno quali compiti automatizzare, dove investire nelle competenze necessarie e come sviluppare una forza lavoro responsabile, flessibile e diversificata. Dovranno, inoltre, assumere un ruolo attivo nel definire questa trasformazione e investire efficacemente non solo nella tecnologia necessaria, ma anche in una forza lavoro qualificata ed in una leadership resiliente che possa diffondere innovazione e guidare i cambiamenti richiesti dal contesto esterno.

Indennità di accompagnamento – Legge, importo, requisiti e domanda

Indennità di accompagnamento – Legge, importo, requisiti e domanda

Quali sono i requisiti per ottenere l’indennità di accompagnamento? A quanto ammonta l’assegno di accompagno e cosa cambia rispetto alla 104.

L’indennità di accompagnamento consiste in un assegno mensile erogato dall’INPS, è stata introdotta nell’ordinamento italiano dalla Legge 18/1980 e spetta agli invalidi civili totalmente inabili residenti in forma stabile in Italia, a prescindere dall’età e dal reddito personale. Previo riconoscimento dell’impossibilità di deambulare o di compiere gli atti quotidiani della vita, l’INPS provvede ad erogare mensilmente un assegno esente dalle trattenute fiscali a titolo di Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF).

L’ammontare dell’indennità di accompagnamento agli invalidi civili è aggiornato annualmente con apposita circolare dell’Istituto ed è esente IRPEF. L’accompagnamento (anche detto accompagno) non dev’essere confuso con la Legge numero 104/1992, quest’ultima introdotta con lo scopo di favorire l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti dei soggetti portatori di handicap.

Vuoi una Consulenza Previdenziale? Usa i nostri servizi online

RICHIEDI

* Costo del servizio € 48,80
Risparmia un ulteriore 10% con il Codice Sconto “lavoroediritti”

Il riconoscimento dell’handicap è infatti cosa ben diversa rispetto al giudizio della Commissione medico – legale dell’ASL, con cui si attesta la necessità del soggetto ad un accompagnamento costante e totale, nella deambulazione o nei gesti della vita quotidiana. Non è quindi automatico che l’accesso ai benefici della Legge numero 104 comporti anche il diritto all’indennità di accompagno.

Fatta questa doverosa premessa, analizziamo in dettaglio a chi spetta, a quanto ammonta e come ottenere l’assegno di accompagnamento 2022.

A chi spetta l’indennità di accompagnamento

Hanno diritto all’accompagnamento coloro che possiedono una serie di requisiti anagrafici e sanitari.

In particolare, il beneficiario residente stabile ed abituale sul territorio nazionale dev’essere, in alternativa:

  • Cittadino italiano;
  • Cittadini comunitari, iscritti all’anagrafe del comune di residenza;
  • Cittadini extra-UE in possesso del permesso di soggiorno di almeno un anno.

Dal punto di vista sanitario è richiesto il riconoscimento di uno stato di inabilità totale e permanente (100%), oltre all’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore ovvero l’incapacità di compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita in mancanza di un’assistenza continua.

Qual è l’importo dell’assegno di accompagnamento

L’indennità di accompagnamento è pari, per il 2022, a 525,17 euro mensili. L’importo è stato comunicato dall’INPS con la Circolare del 23 dicembre 2021 numero 197, allegato numero 2.

La somma è corrisposta per dodici mensilità a decorrere dal primo giorno del mese successivo quello di presentazione della domanda. Eccezionalmente, la decorrenza può coincidere con la data riportata dalla commissione sanitaria in sede di rilascio del versamento di riconoscimento dell’invalidità civile.

In caso di ricovero totale a carico dello Stato, per un periodo superiore a 29 giorni, l’INPS sospende l’erogazione dell’assegno.

L’assegno, riconosciuto al titolare della minorazione, è esente da IRPEF e non concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini fiscali del beneficiario.

Come si ottiene l’accompagnamento

Per ottenere l’assegno è necessario per prima cosa ottenere il cosiddetto certificato medico introduttivo e fare domanda di riconoscimento dell’invalidità civile.

Certificato medico introduttivo

Per ottenere l’assegno è necessario che lo stato di invalidità sia riconosciuto dalla Commissione medico – legale competente.

L’interessato dovrà pertanto recarsi da un medico certificatore per il rilascio del “certificato medico introduttivo”, contenente:

  • Dati anagrafici;
  • Codice fiscale;
  • Natura delle patologie invalidanti;
  • Diagnosi.

Il medico compilerà il certificato e lo inoltrerà in via telematica all’INPS, oltre a stampare una ricevuta completa del numero identificativo univoco.

Domanda di riconoscimento dell’invalidità civile

Grazie all’invio del certificato (la cui validità è pari a 90 giorni) l’interessato potrà presentare la domanda per il riconoscimento dell’invalidità civile, cecità civile, sordità, disabilità ed handicap:

  • Online, collegandosi al portale “it – Prestazioni e Servizi – Prestazioni – Accertamento sanitario” munito delle credenziali SPID, CIE o CNS;
  • In alternativa, tramite un patronato o l’associazione di categoria dei disabili (ANMIC, ENS, UIC, ANFASS).

Nella domanda di avvio del procedimento dovranno essere inseriti una serie di dati socioeconomici, quali eventuali ricoveri, svolgimento di attività lavorativa, indicazione delle modalità di pagamento e delega alla riscossione di un terzo ovvero in favore delle associazioni.

Una volta trasmessa la domanda, l’istante riceverà la convocazione da parte della Commissione medico – legale competente presso l’ASL, integrata da un medico dell’INPS.

Alla visita l’interessato potrà farsi assistere da un medico di sua fiducia.

Il verbale di visita sarà redatto dalla Commissione in formato elettronico, oltre ad essere trasmesso all’interessato in duplice copia, una con i dati sanitari sensibili, l’altra con il solo giudizio finale.

Quali prestazioni sono compatibili con l’accompagnamento

Esiste un regime di incompatibilità dell’assegno con le prestazioni simili riconosciute per invalidità contratte per causa di guerra, di lavoro o di servizio. E’ fatta salva la possibilità per l’interessato di scegliere il trattamento più favorevole.

Al contrario, l’accompagnamento è compatibile con:

  • Svolgimento di attività lavorativa, dipendente o autonoma, oltre che con la titolarità di una patente speciale;
  • Indennità di comunicazione ed indennità di accompagnamento per il cieco assoluto, a patto che siano state concesse per distinte minorazioni, ognuna relativamente a differenti status di invalidità (è il caso dei soggetti pluriminorati).

Quali differenze con l’accompagnamento per ciechi assoluti

Al pari della Legge numero 104/1992, di cui si parlava in premessa, l’indennità di accompagno non dev’essere confusa con l’analoga prestazione riconosciuta, sempre dall’INPS, a coloro che:

  • Residenti in maniera stabile e abituale sul territorio nazionale;
  • Cittadini italiani, comunitari (iscritti all’anagrafe del comune di residenza), extra-comunitari in possesso di permesso di soggiorno di almeno un anno;

gli è stata riconosciuta una cecità civile assoluta oltre all’impossibilità di:

  • Deambulare autonomamente senza l’aiuto permanente di un accompagnatore;
  • In alternativa, compiere gli atti quotidiani della vita senza un’assistenza continua.

Al pari dell’accompagnamento sopra citato, la prestazione per i ciechi civili assoluti non è legata a requisiti di reddito ed età e spetta a conclusione dell’accertamento sanitario prima e del procedimento di riconoscimento della condizione di invalidità poi.

L’importo erogato dall’INPS in dodici mensilità è pari, per il 2022, a 946,80 euro mensili (importo reso noto dall’Istituto con la Circolare 23 dicembre 2021 numero 197.

La somma, peraltro, è esente da IRPEF e non concorre alla formazione del reddito complessivo ai fini fiscali del beneficiario.