Archivi giornalieri: 11 aprile 2022

IN musica Per il Sociale: l’omaggio a Robert Schumann

IN musica Per il Sociale: l’omaggio a Robert Schumann

Il prossimo 15 aprile, alle ore 17.00, palazzo Wedekind ospiterà il concerto omaggio a Robert Schumann. Le opere del compositore tedesco saranno eseguite dalla Roma Tre Orchestra Ensemble.

L’iniziativa si colloca nell’ambito del progetto “IN musica Per il Sociale”, realizzato grazie alla collaborazione tra INPS e Roma Tre Orchestra, che prevede, a partire dalla prossima estate, un ciclo di concerti a Roma e in altre sedi dell’Istituto in diverse regioni d’Italia.

Sarà possibile seguire il concerto collegandosi al link “IN musica Per il Sociale: omaggio a Robert Schumann”.

Insegnanti in pensione prima: perché è importante abbassare i requisiti

Insegnanti in pensione prima: perché è importante abbassare i requisiti

Calano le domande di pensione nella scuola con la fine di Quota 100. Corpo docente italiano troppo vecchio, serve una riforma seria.

Calano le domande di pensione nella scuola con la fine di Quota 100. Corpo docente italiano troppo vecchio, serve una riforma seria.

In Italia, il corpo docente va in pensione troppo tardi. L’età media degli insegnati sfiora i 54 anni ed è fra i più “vecchi” al mondo nonostante le deroghe pensionistiche di Opzione Donna, Ape Sociale e Quota 100.

Serve uno svecchiamento. Ma con la fine di Quota 100 il flusso di uscite degli insegnanti si è drasticamente ridotto. Il 30 per cento in meno rispetto al 2021, secondo i dati preliminari Inps.

Crollo delle domande di pensione

A fine febbraio 2022 hanno presentato domanda di pensione solo 24.531 docenti di tutti gli ordini e gradi. A tale cifra occorre aggiungere i docenti che andranno in pensione a settembre con quota 102 (38 anni di contributi e 64 di età). Ma si tratta di numeri marginali.

Il flusso delle uscite dal lavoro nella scuola si è quindi interrotto e Quota 102, introdotta per un anno al posto di Quota 100, non è in grado di compensare la riduzione delle uscite.

Dopo Quota 100, le alternative sono oggi rappresentate da poche vie d’uscita ristrette. Resta Opzione Donna (in pensione a 58-59 anni) ma con forte penalizzazione. Quota 102 (in pensione a 64 anni con 38 di contributi) che però riguarda solo una stretta cerchia di aventi diritto. E Ape Sociale (in pensione a 63 anni), riservata a lavoratori in condizioni di disagio sociale.

Per quanto riguarda quest’ultima opzione, da quest’anno possono accedervi anche i docenti delle scuole primarie. Con la legge di bilancio 2022 il loro lavoro è ritenuto usurante.

Importante abbassare i requisiti

Così, sul tavolo negoziale della riforma pensioni pesa anche la questione che riguarda la scuola. Il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, chiede che sia consentito ai docenti la possibilità di andare in pensione a 62 anni, come avviene in Francia.

Quanto meno si chiede che il riconoscimento del lavoro usurante sia esteso anche ai docenti delle scuole secondarie, il cui mestiere non è diverso da quello dei colleghi delle primarie. Quindi, possibilità di accesso ad Ape Sociale anche per loro. Del resto, dice Pacifico:

non si possono tenere in servizio per 40 anni delle persone a svolgere la stessa professione, mentre il burnout avanza andando a determinare disturbi per la salute”.

Pertanto, o tutti o nessuno. Non è concepibile che chi insegna alle primarie possa beneficiare di un diritto alla pensione che invece viene negato a chi fa lo stesso mestiere alle secondarie. Una scelta che discrimina e non parifica i diritti.

 

Quota 102

cedere alla pensione rimangono invariate.

Ecco perchè chi matura nel 2022 i requisiti richiesti per quota 102, può esercitare il diritto alla pensione anche successivamente.

Quota 102

Con quota 102, ex D.L. 4/2019, è possibile andare in pensione anticipata:

  • con un requisito anagrafico pari almeno a 64 anni e
  • un’anzianità contributiva minima di 38 anni.

Nello specifico, potranno andare in pensione anticipata con quota 102: gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria e alle forme esclusive e sostitutive della medesima, gestite dall’INPS, nonché alla gestione separata, che maturino nel corso dell’anno 2022 i requisiti di età anagrafica pari a 64 anni e di anzianità contributiva pari a 38 anni (c.d. “quota 102”).

In pensione con quota 102 nel 2023

Anche per andare in pensione con quota 102 valgono specifiche “finestre”.

In particolare, il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico sorge trascorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti (cosiddetta “finestra”).

La cristallizzazione dei requisiti non vale solo per quota 100 ma anche per quota 102. Difatti, c’è ancora chi può andare in pensione con la vecchia norma.

Con l’intervento della Legge n°234/2021, Legge di bilancio 2022, sono si cambiati i requisiti anagrafici per accedere al pensionamento anticipato ex D.L. 4/2019 ma le regole per accedere alla pensione rimangono invariate.

Ecco perchè, chi matura nel 2022 i requisiti per andare in pensione con quota 102, può esercitare il diritto alla pensione anche successivamente.

Infatti, l’art.14 del D.L. 14/2019, comma 1, ultimo capoverso, prevede espressamente che:

Il diritto conseguito entro il 31 dicembre 2022 puo’ essere esercitato anche successivamente alla predetta data, ferme restando le disposizioni del presente articolo.

Dunque, una volta maturati nel 2022 i requisiti anagrafici e contributivi richiesti per quota centodue, “64+38”,  il pensionamento può avvenire anche dopo il 31 dicembre 2022.

Anche per quota 102, ai fini del perfezionamento del requisito contributivo è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato, fermo restando il contestuale perfezionamento del requisito di 35 anni di contribuzione al netto dei periodi di malattia, disoccupazione e/o prestazioni equivalenti, se richiesto dalla gestione a carico della quale è liquidato il trattamento pensionistico.

E’ ammesso il cumulo gratuito. Se i contributi previdenziali versati sono riconducibili alle differenti gestioni Inps. Compresa la gestione separata.

Gian Carlo Pajetta

Gian Carlo Pajetta

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Gian Carlo Pajetta
Giancarlo Pajetta.jpg

Deputato della Repubblica Italiana
Durata mandato 25 giugno 1946 –
13 settembre 1990
Legislature ACIIIIIIIVVVIVIIVIIIIXX
Gruppo
parlamentare
Partito Comunista Italiano
Collegio Torino
Sito istituzionale

Europarlamentare
Durata mandato 17 luglio 1979 –
24 luglio 1989
Legislature III
Gruppo
parlamentare
Gruppo Comunista e Apparentati
Circoscrizione Italia nord-occidentale
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politico Partito Comunista Italiano
Professione Giornalista

Gian Carlo[1] Pajetta (Torino24 giugno 1911 – Roma13 settembre 1990) è stato un politico e partigiano italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

 

Gian Carlo Pajetta con Nicolae Ceaușescu

Famiglia e studi[modifica | modifica wikitesto]

Fratello di Giuliano, la famiglia risiedeva nel quartiere operaio San Paolo di Torino. I genitori, pur non iscritti al partito, si dichiaravano comunisti; il padre Carlo era impiegato e sindacalista presso l’Istituto San Paolo e la madre Elvira Berrini era maestra elementare. Fin da giovane, memore degli attacchi subiti dal movimento operaio torinese per mano delle squadracce fasciste durante il biennio rosso, espresse le sue idee antifasciste, e si iscrisse al Partito Comunista d’Italia quando ancora frequentava il liceo d’Azeglio di Torino. Per questo nel 1927 fu espulso per tre anni “da tutte le scuole del Regno” e condannato a due anni di reclusione, per lui, ancora minorenne, una prova durissima.

Pajetta si formò intellettualmente leggendo i classici del movimento operaio ed alcuni autori anarchici. In prigionia studiò le lingue, lesse EinaudiGaetano De SanctisGentileCroceVolpe, oltre a Verga ed ai romanzieri francesi e russi dell’Ottocento[2].

Esilio, prigionia e Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1931, a vent’anni, andò in esilio in Francia e con lo pseudonimo di “Nullo” divenne segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI), direttore di Avanguardia e rappresentante italiano nell’Internazionale Comunista.

Nel 1933 fu inviato in missione segreta a Parma con l’obiettivo di convincere alcuni membri del fascismo ad abbandonare il regime, ma fu scoperto dalla polizia fascista il 17 febbraio dello stesso anno: fu quindi condannato a ventun anni di carcere per “attività eversiva”. Dopo alcuni trasferimenti carcerari (a Roma fu detenuto con l’amico Ercole Pace), venne liberato a seguito della caduta del fascismo il 23 agosto 1943 e successivamente entrò nella Resistenza partigiana, facendo parte assieme a Luigi LongoPietro SecchiaGiorgio Amendola e Antonio Carini del Comando generale delle Brigate Garibaldi[3].

Nel 1944 fu nominato, insieme a Ferruccio Parri ed Alfredo Pizzoni, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia: da questa posizione intavolò trattative diplomatiche con gli alleati anglo-americani e con il futuro Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi. Divenne anche Capo di stato maggiore, ovvero vice-comandante nazionale, delle forze militari partigiane.

Nel Partito Comunista Italiano[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1947 fu il protagonista dell’occupazione della prefettura di Milano in seguito alla rimozione del prefetto Ettore Troilo da parte del ministro degli interni Mario Scelba. Nel 1948 entrò nella segreteria nazionale del partito, del quale fu il responsabile esteri (membro, tra l’altro, del Consiglio di Presidenza del Comitato Italia-Vietnam), e ne fece parte fino al 1986, anno in cui fu destinato all’incarico, molto più defilato, di presidente della commissione di garanzia. Nel 1956 fu inviato dal partito a Mosca insieme a Celeste Negarville.

Fu deputato al Parlamento nazionale dal 1946 fino alla morte, e al Parlamento europeo dal 1984.

 

Giancarlo Pajetta con Giorgio Napolitano alla manifestazione del PCI a piazza del Popolo a Roma contro la flotta USA in Oman 1987

Modesto nella vita privata (viveva in un piccolo appartamento di un anonimo condominio di via Monteverde), in Parlamento e sui giornali dell’epoca Pajetta era noto per la veemenza e la causticità dei suoi discorsi: fu lui che nella primavera del 1953 – durante la discussione della “legge truffa” – entrò a Montecitorio con una riga di sangue che scorreva dal capo, lamentando che un cordone di “celerini”[4] di Scelba schierato davanti alla Standa di via del Corso aveva impedito il passaggio di alcuni deputati socialisti e comunisti verso la Camera, e che alla sua esibizione del tesserino di parlamentare avevano risposto manganellandolo. Fino agli anni sessanta capitò spesso che alla Camera, nella foga della discussione, saltasse fuori dal suo banco per andare ad “invadere” le postazioni altrui ed era perciò considerato anche una figura “pittoresca” della politica italiana di allora. Grande era anche la sua capacità oratoria, che gli permetteva, con una sola battuta, di mettere in ridicolo il discorso degli avversari politici. Per questo era l’uomo di punta del PCI durante le messe in onda di Tribuna Politica, alle quali partecipò assiduamente, contribuendo a rendere celebri alcune puntate della storica trasmissione Rai.

Esponente della corrente riformista rappresentata da Giorgio Amendola prima e da Giorgio Napolitano poi, fu uomo di vivace intelligenza, di grande abilità dialettica e molto amato dai militanti (come si vide, da ultimo, nella grande partecipazione di popolo al suo funerale). Fu sempre assolutamente leale verso il partito, inteso come entità collettiva rappresentata dai suoi dirigenti, anche quando le sue opinioni personali divergevano dalla linea politica espressa dai segretari, prima Palmiro Togliatti e poi Enrico Berlinguer: di quest’ultimo tenne comunque l’orazione funebre, quando la sua morte improvvisa lasciò il partito stordito e in angoscia (i militanti erano allora milioni), proprio perché universalmente riconosciuto come l’uomo che in quel momento ne rappresentava meglio la storia e l’unità.

 

Enrico Berlinguer in primo piano; alle sue spalle Pajetta, Pietro Ingrao e Ugo Pecchioli (di profilo); in ultima fila, a sinistra Achille Occhetto, a destra Davide Lajolo, detto Ulisse

Nella sua veste di responsabile delle relazioni estere con i “partiti fratelli”, fu inviato al congresso del PCUS del 1980 a Mosca ad esprimere il dissenso del PCI dalla politica di Breznev in Afghanistan e in Polonia, e in quella circostanza la sua allocuzione fu fatta tenere non nella sala del Congresso al Cremlino bensì nella Casa del Sindacato, dinanzi ad una gelida platea che non applaudì.

Fu lui ad accogliere il segretario del MSI Giorgio Almirante a Botteghe Oscure[5], quando il leader missino volle andare a rendere omaggio alla camera ardente di Berlinguer, provocando una certa sorpresa tra l’immensa folla che attendeva di entrare.

Quattro anni dopo, alla morte di Almirante avvenuta nel 1988, fu lui stesso a rendere omaggio alla camera ardente dello storico avversario politico, suscitando anche in questo caso una certa sorpresa. Al momento della scelta del successore di Berlinguer, Pajetta era considerato ormai troppo anziano per partecipare alla successione (e inoltre egli era molto caro al popolo del PCI ma pochissimo al suo gruppo dirigente) e inutile fu la sua opposizione al progetto di Achille Occhetto, ovvero la trasformazione del PCI in Partito Democratico della Sinistra.

La firma di Pajetta era costantemente presente sulla stampa comunista – fu più volte direttore de l’Unità e, per breve tempo, del periodico politico-culturale Rinascita. Fu solo negli anni ottanta, alla fine della sua carriera politica, che, liberato (pur controvoglia) dagli impegni politici pressanti, cominciò a scrivere libri, dalla forte caratterizzazione autobiografica.

Pajetta morì all’improvviso la notte del 13 settembre 1990 nella sua casa di Roma, di ritorno da una Festa de l’Unità, prima di vedere la fine del suo partito. Volle essere sepolto nel paese di Megolo, in Valdossola, luogo caro alla storia partigiana e dove è sepolto il fratello Gaspare caduto in battaglia contro i tedeschi nel 1943. Il funerale fu accompagnato dalle note di Bella ciao, de L’Internazionale e di Bandiera Rossa e la sua bara fu seguita da gonfaloni della città di Torino e di altre città e comuni e dalle bandiere partigiane proprio come lui aveva sempre immaginato. L’orazione funebre fu tenuta da Ugo Pecchioli. Alla cerimonia parteciparono migliaia di persone raccolte nel piccolo paese sui monti dell’Ossola[6].

Miriam Mafai, giornalista e scrittrice, è stata per gran parte della sua vita sua compagna, dal 1962 fino alla morte.

Nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

Viene citato nella canzone ”I funerali di Berlinguer” de ”I Modena City Ramblers”.

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Lo scandalo dei mille miliardi in Parlamento, con Gennaro Miceli e Pietro Ingrao, Roma, Editori Riuniti, 1963.
  • Socialismo e mondo arabo. Rapporto presentato alla I commissione del Comitato centrale del PCI, febbraio 1970, Roma, Editori Riuniti, 1970.
  • I comunisti e i contadini, con Gerardo Chiaromonte, Roma, Editori Riuniti, 1970.
  • La lunga marcia dell’internazionalismo, Roma, Editori Riuniti, 1978.
  • I comunisti per la distensione e il disarmo, Roma, Editori Riuniti, 1979.
  • Le crisi che ho vissuto. Budapest, Praga, Varsavia, Roma, Editori Riuniti, 1982.
  • Il ragazzo rosso, Milano, A. Mondadori, 1983.
  • Il ragazzo rosso va alla guerra, Milano, A. Mondadori, 1986.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Talvolta riportato come Giancarlo.
  2. ^ Roberto GervasoLa mosca al naso, Interviste famose, Rizzoli Editore, Milano 1980, p.71.
  3. ^ Vedi: Luigi Longo, I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Roma, Editori Riuniti, 1973, pag. 38.
  4. ^ La “Celere”, progettata come “squadra” o “compagnia”, anche se poi cresciuta al rango di reparto, era la forza di pronto impiego per l’ordine pubblico della polizia (che allora si chiamava ancora “Pubblica Sicurezza”). Unità creata da Giuseppe Romita nel primo dopoguerra, fu dotata di mitragliatrici pesanti ed addirittura di mortai, e si distinse come un vero e proprio reparto di pronto impiego militare, idoneo a situazioni belliche, ed utilizzato soprattutto in occasione di manifestazioni politiche.
  5. ^ Al civico 5 di via delle Botteghe Oscure, vicino a Piazza Venezia, nel centro di Roma, si trovava la sede centrale del Partito comunista italiano.
  6. ^ L’ULTIMO ADDIO A NULLO DOVE FIORI’ LA RESISTENZARepubblica, 16 settembre 1990

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Direttore de l’Unità Successore L'Unita.svg
Maurizio Ferrara 27 febbraio 1969 – 19 ottobre 1970 Aldo Tortorella  
Controllo di autorità VIAF (EN208018540 · ISNI (EN0000 0001 0877 456X · SBN CFIV008265 · LCCN (ENn82159970 · GND (DE124759157 · BNF (FRcb12676707q (data) · NSK (HR000073794 · WorldCat Identities (ENlccn-n82159970

Dal manifesto

Processo Sankara, sollievo in aula. «Una pagina della storia del Burkina è stata voltata»

SENTENZA LIBERATORIA 34 ANNI DOPO. Ergastolo per l’ex presidente Compaoré e altri due imputati per l’assassinio del “Che Guevara africano”. Soddisfatta la vedova Mariam: «Con la sentenza di oggi la Terra degli uomini onesti dimostra di aver ascoltato la volontà del popolo»
<img src="data:;base64,” alt=”” />Processo Sankara, sollievo in aula. «Una pagina della storia del Burkina è stata voltata»
Ieri a Ouagadougou, di fronte al luogo in cui venne assassinato Thomas Sankara nel 1987 – Ap
 

Per l’omicidio di Thomas Sankara, conosciuto come “il Che Guevara africano”, ucciso insieme ad altri 12 persone durante il colpo di stato del 15 ottobre 1987, le tre sentenze di egastolo pronunciate ieri dalla corte di Ouagadougou sono andate oltre quanto richiesto dalla procura militare, ovvero 30 anni di carcere per l’ex presidente Blaise Compaoré e il comandante della sua guardia, Hyacinthe Kafando e altri 20 anni per Diendéré, con altri otto imputati condannati a pene che vanno da 3 a 20 anni di reclusione con l’accusa di «attacco alla sicurezza dello Stato».

Il verdetto ha suscitato forti reazioni in sala. È stato accolto con grande sollievo dalle parti civili e dai parenti delle vittime. «È una pagina della storia del Burkina che è appena stata voltata», ha confidato un ex ministro Sankara. 

Sankara voleva «decolonizzare le mentalità» nel suo paese e in Africa, dove è diventato e resta un’icona a trent’anni di distanza – lo stesso attuale presidente Damiba si è più volte ispirato nel discorso di insediamento ai suoi ideali – cosa che gli attirò le antipatie di diversi capi di stato, sia in Africa che in Occidente.  Invitò l’Africa a «non pagare il suo debito con i paesi occidentali», denunciò all’Onu le guerre «imperialiste», l’apartheid, la povertà, difese il diritto dei popoli oppressi all’autodeterminazione come in Palestina o nel Sahara Occidentale.

Le decisioni che prese furono rivoluzionarie come il suo impegno sulle riforme sociali con numerosi progetti che avevano l’obiettivo di eliminare la povertà e la fame del suo popolo e che riguardavano la costruzione di scuole, ospedali o riforme per la parità di genere e la centralità della donna nella società burkinabé.

Posizioni politiche forti che, insieme al tentativo di creare relazioni economiche tra alcuni paesi del Sahel per raggiungere «l’autosufficienza» e la «libertà da accordi commerciali con le potenze coloniali occidentali», gli attirò le antipatie di numerosi paesi: Stati Uniti e Francia in particolare.

Dopo la pronuncia del verdetto, le parti civili si sono recate al memoriale di Thomas Sankara nella capitale. Durante tutto il viaggio, una folla di persone ha seguito il corteo. 

«La sua rivoluzione resta nelle menti e nei cuori del nostro popolo e in quello di tutti gli africani», aveva detto all’inizio del processo la moglie Mariam Sankara. «Con la sentenza di oggi il Burkina Faso, la Terra degli uomini onesti (nella locale lingua Djoula, ndr), dimostra di aver ascoltato la volontà del popolo», ha dichiarato all’agenzia Afp dopo il verdetto.

Processo Open Arms: «I profughi erano stremati» dal manifesto

Processo Open Arms: «I profughi erano stremati»

IL CASO DELL’AGOSTO 2019. Nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo il racconto dei testimoni davanti all’imputato Salvini, che commenta: «Ho già vinto»
<img src=”data:;base64,” alt=”” />Processo Open Arms: «I profughi erano stremati»
Matteo Salvini davanti al carcere dell’Ucciardone di Palermo per il processo Open Arms – Ansa
 

Terrorizzati, in condizioni disastrose. E il mare era grosso, non si poteva raggiungere la Spagna in quelle condizioni. Anche quando Malta diede la disponibilità a fare sbarcare solo una parte di loro, la tensione che c’era a bordo avrebbe potuto degenerare. Pur non sapendo nuotare, alcuni minacciavano di gettarsi in mare perché all’idea di essere riportati indietro, magari in Libia dove avevano subito torture di ogni genere, preferivano la morte. A descrivere le condizioni disperate a bordo della Open Arms sono stati i testimoni ascoltati ieri all’udienza del processo a carico di Matteo Salvini, imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Una udienza lunghissima, interrotta da alcune pause, durante le quali l’imputato, parlando con i cronisti fuori dall’aula bunker del carcere Ucciardone, ne ha approfittato per sparare a zero contro il premier Draghi, accusandolo di negare un aumento delle tasse a parole perché in realtà «la delega fiscale le farà aumentare e per questo noi non la voteremo»; parole che hanno acceso lo scontro con Enrico Letta che le ha definite «balle».

SALVINI HA SEGUITO il dibattimento in aula assumendo un profilo basso, solo qualche selfie e un post sul suo profilo Fb: «Vi saluto dall’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo, quella degli storici processi alla mafia, dove oggi risponderò dell’accusa di sequestro di persona perché, da ministro e da italiano, ho difeso i confini, salvato vite e protetto l’Italia, le sue leggi e la sua dignità. A testa alta e col sorriso, vi abbraccio». Fuori dal carcere un gruppo di ragazzi del collettivo Our Voice ha accolto con urla il capo della Lega: «La memoria è un dovere, non possiamo dimenticare la palese violazione dei diritti umani di quell’agosto 2019».

A parlare dello stato dei migranti nell’agosto del 2019 a bordo della nave è stata la psicologa Cristina Camilleri, responsabile del dipartimento salute mentale di Agrigento. La sua è stata una testimonianza drammatica. Era salita a bordo con un collega su ordine di Luigi Patronaggio, all’epoca procuratore di Agrigento, che dopo una ispezione di 100 minuti, fece sbarcare tutti. I profughi erano rimasti in mare 20 giorni.

«QUANDO SALIMMO erano tutti sul ponte sotto una specie di copertura per ripararsi dal sole. C’erano solo una piccola cambusa e due bagni, non avevano sapone per lavarsi e trovammo una catasta di rifiuti», ha riferito il medico Vincenzo Asaro, sulla Open Arms assieme alla collega psicologa. «I migranti non avevano a disposizione cambi, né di vestiario, né di biancheria intima – ha aggiunto – Mancava anche il sapone, per l’igiene potevano usare solo acqua desalinizzata. Non abbiamo fatto accertamenti individuali sulle loro condizioni di salute, sarebbe stato impossibile, non c’erano spazi a sufficienza per vedere le persone una alla volta» spiegando che a decine gli si avvicinavano per mostrargli ferite, lesioni, dermatiti. I casi più gravi, ricorda, erano stati già portati a terra con i «medevac», le evacuazioni sanitarie urgenti.

Ma a bordo, rimanevano anche donne in avanzato stato di gravidanza. Il diario medico, ha sottolineato, elencava le problematiche più comuni, soprattutto scabbia e pidocchi. Tipiche del sovraffollamento. «Alcune persone si erano già buttate in mare, tentando di raggiungere le coste di Lampedusa – ha proseguito il medico – Le condizioni più preoccupanti erano di tipo psicofisico».

ERANO 147 I PROFUGHI salvati in acque Sar maltesi e libiche in tre missioni compiute dalla nave spagnola l’1, il 3 e il 9 agosto. «Se questi sono i testi dell’accusa abbiamo già vinto. Non c’è un elemento a mio carico. Fossero tutti cosi», l’unico commento di Salvini durante una pausa dell’udienza fiume. Fondamentale è stata poi la testimonianza del comandante della nave, Marc Reig Creus, che è teste e parte civile. «Malta disse no, l’Italia non rispose», ha detto davanti ai giudici. Ma la difesa di Salvini, rappresentata dall’avvocata Giulia Bongiorno, lo ha incalzato insinuando che la Open Arms, cambiando destinazione improvvisamente il 29 luglio, si sarebbe diretta verso il tratto di mare in cui l’1 agosto fu compiuto il primo intervento di soccorso. Non un salvataggio d’emergenza, dunque, ma una sorta di appuntamento con i profughi fa capire la legale. «Nessun appuntamento», ha smentito il comandante.

BONGIORNO HA CONTESTATO al teste anche la decisione di non dirigersi in Spagna l’1 agosto, visto che le condizioni del mare erano buone, sapeva che nelle acque italiane c’era il divieto di ingresso e che sarebbe incorso in sanzioni ed erano distanti dalla penisola iberica solo 60 ore. «Se mi fossi diretto in Spagna avrei violato la legge che regola i salvataggi in mare», ha replicato Creus. E ha ricordato gli ultimi giorni della lunga odissea, con l’offerta di Malta di far sbarcare 39 profughi a La Valletta e la sua decisione di dire no. «Non avremmo potuto spiegare a chi fosse rimasto sulla Open Arms perché solo alcuni potevano essere portati a terra e altri no».

Santa Gemma Galgani

 

Santa Gemma Galgani


Nome: Santa Gemma Galgani
Titolo: Vergine
Nascita: 12 marzo 1878, Camigliano di Lucca
Morte: 14 aprile 1903, Lucca
Ricorrenza: 11 aprile
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Gemma Galgani nacque a Camigliano di Lucca il 12 marzo 1878 da Enrico Galgani e da Aurelia Landi, ambedue ferventi cristiani. La buona madre sembrava che presentisse la sua vicina morte e perciò quando poteva stare con la cara bimba, le spiegava le verità della fede, i pregi dell’anima, la bruttezza del peccato, e la vanità delle cose del mondo. Più spesso, mostrandole il Crocifisso, le diceva: « Vedi, Gemma, questo caro Gesù è morto per noi in croce ». A quella vista la fanciullina profondamente commossa piangeva. Questo piissimo sentimento di amore verso Gesù appassionato fu la caratteristica della sua vita: vita di amore e di sacrificio.

Gesù difatti l’aveva prescelta e la voleva santificare attraverso vie straordinarie, facendola partecipe dei suoi dolori ed attirandola a sè mediante vincoli di amore ineffabili.

Il 17 giugno 1887, festa del Sacro Cuore di Gesù, fece la sua prima Comunione con angelico fervore, contando nove anni di età.

Non entrò in religione quantunque lo desiderasse ma guidata prodigiosamente dalla Provvidenza Divina, dopo dolorosissime prove fu ricevuta dalla famiglia Giannini nella città di Lucca, e quivi visse fino alla morte.

Non è possibile dire in poche righe tutte le meraviglie che il Signore operò in lei : Soffrire per Gesù, con Gesù, amare soltanto Gesù, era il suo altissimo ideale. « Vada, diceva, vada chi vuole sul Monte Tabor, io me ne voglio stare con Gesù sul Calvario ». E sul Calvario Gemma sbocciò come mistico fiore.

Già fin dalla fanciullezza ebbe a soffrire: la malattia e la morte della madre; una dolorosissima operazione ad un piede; lo spogliamento di tutti gli averi della famiglia Galgani per cui si trovò nell’estrema miseria, ed un’altra penosissima malattia, da cui fu miracolosamente guarita. Per tanta eroica rassegnazione, Gesù le apparve e le disse: « Figlia, alla grazia che ti ho fatta stamattina (cioè la guarigione), ne seguiranno ancora molte altre maggiori. Io sarò sempre con te, io ti farò da padre, e la mamma tua sarà l’Addolorata ».

A Lucca cominciò la lunga serie delle grazie. Gesù non si lasciò vincere in generosità. Tutti i venerdì Gemma soffriva i dolori della passione del Signore, e nel 1899, due anni dopo la sua offerta col voto di perpetua verginità, fu favorita del dono delle stimmate. Con questo, resa più partecipe dei dolori di Gesù, .raggiunse in breve il più alto grado della mistica. Diceva con S. Paolo: « Oggi non sono più in me, sono col mio Dio, tutta per lui ed egli è tutto in me e per me ».

Godette anche la confidenza del suo Angelo Custode, il quale la liberò da molte tentazioni e portò perfino la sua corrispondenza al padre Germano, suo direttore spirituale.

Il demonio la perseguitò sotto svariatissime forme, persino apparendole nella persona di Gesù appassionato. La grazia però di cui era favorita, le fece sempre discernere i moti del maligno da quelli dello spirito buono. Consumata più dalle fiamme del divino amore che dalla malattia, se ne volava al suo celeste Sposo 1’11 Aprile 1903, vigilia di Pasqua.

PRATICA. — Non stiamo mai in peccato mortale, ma purifichiamo prontamente la nostra anima.

PREGHIERA. — O Signore Gesù che nella vita della tua serva Gemma, hai mostrato come prediligi i semplici e gli umili, fa’ che imitandola possiamo attirare anche su di noi le tue benedizioni.

PREGHIERA A S. GEMMA PER CHIEDERE GRAZIE
O cara santa Gemma, che ti sei lasciata plasmare da Cristo crocifisso, ricevendone nel tuo corpo verginale i segni della sua gloriosa Passione, per la salvezza di tutti, ottienici di vivere con generosa dedizione il nostro impegno battesimale e intercedi per noi presso il Signore affinché ci conceda le grazie desiderate.

Amen

Santa Gemma Galgani, prega per noi.
Padre nostro, Ave Maria, Gloria

MARTIROLOGIO ROMANO. A Lucca, santa Gemma Galgani, vergine, che, insigne nella contemplazione della Passione del Signore e nella paziente sopportazione dei dolori, a venticinque anni nel Sabato Santo concluse la sua angelica esistenza.

ICONOGRAFIA

Nell’iconografia tradizionale, Santa Gemma Galgani è rappresentata sempre in abiti da suora passionista, spesso con un giglio in mano o intoro a se, chiaro segno della sua purezza, e soprattutto con i segni del volere di Dio sulle mani.

Santa Gemma Galgani

Altri immagini la raffigurano con un crocifisso e con un angelo che le pone la corona di spine di Cristo e sempre accompagnata da fiori di gigli.

Santa Gemma Galgani

Oppure viene raffigurata spesso come si presenta in una sua foto reale in preghiera probabilmente davanti ad un crocifisso o figura della Vergine.

Santa Gemma Galgani Foto

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