Archivi giornalieri: 9 aprile 2022

News dal Fatto Quotidiano

 
9 Aprile 2.

IL PARADOSSO DEL GAS. Zelensky invoca l’embargo energetico contro la Russia mentre Kiev continua a rifornirsi da Putin. Nemmeno la guerra ha interrotto il flusso di metano da Mosca all’Ucraina. Ufficialmente gli acquisti da Gazprom si sono interrotti nel 2015, dopo l’invasione della Crimea. Da allora, infatti, Kiev acquista gas da Slovacchia, Ungheria e Polonia. Peccato che il metano fornito da quegli Stati arrivi sempre dalla Russia, ma l’Ucraina lo compra a un prezzo scontato grazie alla mediazione dei vicini europei. Sul giornale di domani seguiremo la lunga via del gas. E racconteremo l’intrigo delle compravendite energetiche tra Kiev e Mosca. Sul fronte italiano dell’energia, invece, Cingolani annuncia tempi lunghi: la prima nave per la rigassificazione del gas liquido sarà pronta per il primo semestre del 2023.

“ARMI A KIEV? RISCHIO DI GUERRA TRA USA E RUSSIA”. L’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, in un’intervista a Newsweek, lancia l’allarme sulla possibile terza guerra mondiale. Un conflitto con gli americani, infatti, coinvolgerebbe anche i Paesi dell’Alleanza atlantica. Secondo il diplomatico del Cremlino, le forniture di armi e munizioni all’Ucraina sono “pericolose e provocatorie”, al punto da portare “gli Stati Uniti e la Federazione Russa sulla via del confronto militare diretto”. Domani faremo il punto sull’arsenale ucraino: quali armi arrivano dall’Occidente e quali sono le più temute dal Cremlino? Torneremo poi sulla strage di Kramatorsk, dove sono piovuti missili sulla stazione coi civili in fuga. Su uno dei missili campeggiava una strana scritta in cirillico. Faremo chiarezza sul rimpallo di accuse tra Mosca e Kiev. Intanto, anche la Cina ha annunciato di voler potenziare il suo arsenale atomico. In caso di conflitto con Taiwan, le armi nucleari sarebbero un deterrente decisivo contro l’interventismo degli Usa. L’ambasciatore russo Antonov ha ribadito come Mosca faccia tutto il possibile per evitare vittime civili. Ma intanto sale il conto delle vittime: almeno 1.766 i civili uccisi dallo scorso 24 febbraio, sostiene l’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

GIORGIA L’AMERICANA. Sembra lontano il tempo in cui a Giorgia Meloni si chiedeva di dissipare l’ombra neofascista. Tutto è dimenticato, tutto è perdonato. L’inchiesta Lobby Nera di Fanpage, che mise in risalto i legami tra esponenti di Fratelli d’Italia e nostalgici di Mussolini, è archiviata. Oggi Giorgia appare convintamente atlantista, al fianco degli Usa e contro Putin, lontana da estremismi. Una parabola (per certi versi) simile a quella di Marine Le Pen in Francia. Un tempo Il Fronte Nazionale incarnava la minaccia fascista, ma oggi appare moderato rispetto alle sortite del reazionario Eric Zemmour. Sulle pagine di domani troverete il ritratto delle due donne di destra: Giorgia Meloni e Marine Le Pen. Proveremo a capire quali sono le reali chance del Fonte Nazionale alle prossime elezioni francesi. Mentre l’Europa tifa Macron (che nei sondaggi non sfonda).

IL VIETNAM DI DRAGHI, IL RITORNO DI B. Dal palco romano della convention L’Italia del Futuro, il forzista Antonio Tajani pone i paletti al governo Draghi sulla riforma della giustizia: separazione della carriere, stop alle porte girevoli tra politica e magistratura, riforma del Csm. Un avviso per il premier e la Guardasigilli Marta Cartabia. Forza Italia e Lega pressano Palazzo Chigi anche su altri fronti: sul tavolo della maggioranza infatti c’è la riforma del catasto e del fisco. Con le elezioni amministrative che si avvicinano, del resto, i partiti alzano il tiro col governo. Sul Fatto di domani racconteremo “il vietnam” del governo Draghi. Ma anche il gran ritorno di Silvio Berlusconi – un one man show di 40 minuti sul palco della convention forzista – e il ruolo della dama Marta Fascina.

LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Covid continuo. Secondo il report dell’Istituto superiore di sanità (Iss) aumentano le reinfezioni da Covid-19. Il rischio è che la fine della pandemia sia tutt’altro che vicina. I dati di oggi: 63.992 nuovi positivi, 112 morti.

Il film che ha previsto la guerra. Intervista a Valentyn Vasyanovych, il regista ucraino del film Atlantis. Ambientato nel 2025, racconta l’Ucraina orientale dopo l’immaginaria fine della conflitto contro la Russia. La pellicola ha vinto il premio Orizzonti per il Miglior Film alla Mostra di Venezia 2019 ed è stato candidato ai premi Oscar 2021.

Risparmiare sull’istruzione. Il Documento di economia e finanza (Def) approvato dal governo taglia la spesa per la scuola (per il triennio 2022-2025) di mezzo punto di Pil, passando dal 4 al 3.5%. Sul Fatto di domani, l’allarme dei docenti.

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Chi ha gestito lo stato di emergenza Covid-19 Mappe del potere

Chi ha gestito lo stato di emergenza Covid-19 Mappe del potere

Terminato lo stato di emergenza restano ancora molte le cose da fare, ma queste dovranno ora essere amministrate in via ordinaria. Per questo, intanto, è possibile tracciare un primo bilancio relativo proprio alla fase emergenziale.

 

La fine dello stato di emergenza Covid-19 purtroppo non sta coincidendo con la fine della pandemia. Tuttavia dopo due anni l’Italia dovrebbe aver maturato l’esperienza necessaria per gestire questo drammatico fenomeno attraverso strumenti ordinari anziché emergenziali.

Anche se in via transitoria rimarranno attivi ancora per alcuni mesi dei poteri straordinari, dal primo aprile sono cessate le attività del commissario straordinario Figliuolo, ma anche di tutte quelle task force e comitati tecnico scientifici attivati nel corso del tempo sia a livello nazionale che regionale.

La deliberazione dello stato di emergenza

Quando il 31 gennaio del 2020 il secondo governo Conte, riunito in consiglio dei ministri, ha deliberato lo stato di emergenza in relazione all’emergere dell’epidemia da Covid-19 stabilì che il provvedimento avesse una durata di 6 mesi.

Gli eventi che si sono susseguiti però hanno portato prima lo stesso governo Conte e poi il governo Draghi a prorogare lo stato di emergenza, che si è concluso solo lo scorso 31 marzo.

26 mesi la durata dello stato di emergenza per la gestione della pandemia da coronavirus.

Dopo oltre due anni dunque è finalmente finito lo stato di emergenzaUna condizione grazie alla quale sono stati attribuiti poteri straordinari, in deroga alla normativa vigente, a molti soggetti nazionali e locali. Per fronteggiare la situazione inoltre sono stati creati in via temporanea numerosi organi, a tutti i livelli.

Certo, ad oggi, il Covid-19 non ha smesso di essere un problema molto serio. È chiaro dunque che sia le istituzioni che i cittadini dovranno tenere ancora alto il livello di allerta. Ma lo stato di emergenza non è uno strumento creato semplicemente per affrontare sfide difficili. Si tratta piuttosto un provvedimento a cui fare ricorso nei casi in cui le istituzioni si trovino di fronte a problemi che non sono in grado di affrontare con mezzi ordinari.

[Lo stato di emergenza può essere attivato in caso di] emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi […] che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo […]

Dopo 26 mesi dunque si auspica che il governo e tutte le istituzioni preposte abbiano avuto il tempo di organizzarsi, in modo da poter gestire il problema, senza ricorrere allo stato di emergenza.

Un lento ritorno alla gestione ordinaria

Il ritorno alla normalità può essere complesso e proprio per questo il codice della protezione civile (articolo 26) prevede meccanismi transitori. Attraverso questa norma è dunque possibile prorogare alcune delle competenze fino a quel momento in vigore, anche se per il tempo strettamente necessario per tornare a una vera e propria gestione ordinaria.

Nello specifico il codice stabilisce che le funzioni commissariali possano essere prorogate oltre lo scadere dello stato di emergenza ma solo per la gestione degli interventi programmati e non ancora ultimati. Per un massimo di 6 mesi dalla data di conclusione dell’emergenza inoltre possono essere ancora previste deroghe ai contratti pubblici.

In effetti è proprio a queste disposizioni che fa riferimento il decreto legge 24/2022 il quale, tra le altre cose, ha istituito l’Unità per il completamento della campagna vaccinale e per l’adozione di altre misure di contrasto alla pandemia. Una struttura al cui vertice è stato posto in capo il generale Tommaso Petroni, già capo dell’area logistica operativa della struttura di supporto al commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo. Le funzioni vicarie del generale, invece, sono state attribuite a Giovanni Leonardi, attuale segretario generale del ministero della salute.

D’altronde, come dispone la legge, si tratta di una struttura provvisoria, destinata a concludere le sue funzioni entro la fine del 2022, confluendo poi in via ordinaria proprio nel ministero della salute.

Gli organi e gli incarichi censiti

Nel corso di questi anni sono stati molti gli organi e gli incarichi istituiti ad hoc per affrontare l’emergenza. A molti altri organi già esistenti invece sono stati attribuiti nuovi compiti e poteri.

Se all’inizio dell’emergenza avevamo censito poco meno di 1.500 incarichi, con il passare del tempo questi sono diventati oltre 2mila.

2.219 incarichi censiti da openpolis nel corso dell’emergenza Covid-19 in strutture nazionali e locali.

La ragione di questa crescita è legata in parte alla nascita di nuove strutture e all’attribuzione di nuovi incarichi. Nella maggior parte dei casi però si è trattato dell’alternarsi delle persone a cui è stato attribuito il compito di ricoprire questi ruoli di responsabilità.

Nella gran parte dei casi poi ci riferiamo a persone il cui lavoro non cessa con la fine dello stato di emergenzaA concludersi piuttosto sono i compiti straordinari che in quell’occasione gli sono stati attribuiti. Si tratta infatti di dirigenti ministeriali, prefetti, presidenti di regione, dirigenti delle Asl e molto altro.

A livello quantitativo la maggior parte degli incarichi censiti riguarda i vertici delle aziende sanitarie locali. Organizzazioni fondamentali per la gestione pratica dell’emergenza pandemica, ma anche in generale per l’ordinario funzionamento del sistema sanitario nazionale. Per questo negli scorsi anni ci siamo occupati più volte di questi enti, e per questo continueremo a farlo anche in futuro.

Un discorso analogo, per quanto si tratti di realtà molto diverse, riguarda gli uffici territoriali del governo e in particolare i prefetti. Questi infatti hanno avuto un ruolo molto importante, in particolare nelle fasi più dure dell’emergenza.

Ma numeri notevoli sono stati registrati anche rispetto a incarichi istituiti ad hoc per affrontare l’emergenza, sia a livello nazionale (182 incarichi) che regionale (423).

A livello nazionale si è trattato di incarichi in organi come il comitato tecnico scientifico, ma anche le varie task force istituite a vario titolo e la nomina di vari soggetti attuatori nelle forze dell’ordine, nei ministeri, nelle agenzie e negli enti pubblici.

Lo stesso ragionamento vale per le regioni e le province autonome, ma moltiplicato per ognuna di queste realtà. Anche le regioni infatti hanno istituito i propri comitati tecnico scientifici e le proprie task force. Tutti i presidenti di regione inoltre sono stati nominati soggetti attuatori dal capo della protezione civile e in alcuni casi hanno a loro volta nominato dei delegati.

Ma un ruolo fondamentale è stato svolto a maggior ragione da coloro che ricoprivano e che tutt’ora ricoprono in via ordinaria incarichi di punta nel settore sanitario e di protezione civile. Nelle regioni si tratta degli assessori e dei dirigenti regionali con deleghe su queste materie. A livello nazionale della protezione civile, del ministero della sanità ma anche di istituzioni come l’istituto superiore di sanità o il consiglio superiore di sanità.

I protagonisti dello stato di emergenza

Se sono stati numerosi coloro che hanno avuto un ruolo importante nella gestione dell’emergenza, alcuni hanno ricoperto posizioni effettivamente di spicco.

Oltre ovviamente al presidente del consiglio si tratta del ministro della sanità, del segretario generale del ministero, del capo della protezione civile e del commissario straordinario.

Speranza è l’unico tra coloro che hanno avuto maggiori responsabilità ad essere rimasto in carica per tutto il periodo dell’emergenza.

Tra tutte le persone che hanno ricoperto questi incarichi però è da notare come solo il ministro della salute Roberto Speranza sia rimasto in carica dall’inizio alla fine dell’emergenza. Negli altri casi invece, per motivi diversi, nel corso del tempo l’incarico è stato ricoperto da due persone diverse.

In seguito alla crisi di governo di inizio 2021 infatti, alla presidenza del consiglio si sono alternati Giuseppe Conte e Mario Draghi. Un cambio di esecutivo che, sebbene non abbia implicato una sostituzione del vertice politico del ministero della salute, ha comportato cambiamenti nel vertice amministrativo.

Nella prima fase dell’emergenza infatti è stato Giuseppe Ruocco a ricoprire il ruolo di segretario generale del ministero. Raggiunta l’età per andare in pensione però, con il cambio di governo Ruocco ha lasciato il proprio incarico. Una decisione su cui comunque possono aver pesato anche gli aspri contrasti che il dirigente ha avuto nel corso degli ultimi mesi di attività con alcuni importanti esponenti della maggioranza.

Come abbiamo detto però questi non sono stati gli unici cambiamenti importanti. Al vertice della protezione civile infatti il governo Draghi ha nominato Fabrizio Curcio al posto di Angelo Borrelli, mentre il generale Figliuolo è stato preferito a Domenico Arcuri come commissario straordinario.

Una scelta quest’ultima che è stata interpretata in molti modi ma che in effetti ha segnato anche il cambio di fase nella gestione dell’emergenza. Il manager Arcuri infatti era stato scelto per gestire una grande mole di contratti pubblici affidati con procedure emergenziali di cui c’era assoluta urgenza nelle prime fasi della pandemia, per reperire tutto il materiale sanitario necessario. Il generale Figliuolo è invece un esperto di logistica e il suo principale compito è stato quello di gestire il piano di vaccinazione, visto che l’acquisto dei vaccini è stato gestito in primo luogo in ambito europeo più che nazionale.

 

Foto: www.governo.it – Licenza

 

I comuni possono fare molto per il contrasto all’esclusione sociale Bilanci dei comuni

I comuni possono fare molto per il contrasto all’esclusione sociale Bilanci dei comuni

Il contrasto alla povertà è il primo degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 delle nazioni unite. Le azioni dei comuni sono fondamentali per l’assistenza e l’inclusione sociale della fascia di popolazione più fragile.

 

Nell’anno dell’inizio della pandemia, si è registrato in Italia il livello più elevato di povertà assoluta dal 2005. Per il contrasto a queste e altre situazioni a rischio di esclusione sociale, interventi diversi vengono promossi e attuati a più livelli. I comuni, in quanto enti di prossimità, possono compiere azioni mirate per il sostegno diretto delle persone più bisognose.

La povertà è un fenomeno complesso, determinato da diverse cause. Non è una condizione che riguarda esclusivamente il reddito ma si riflette anche sull’accesso alle opportunità e quindi sulla partecipazione alla vita economica e sociale del paese.

Allo scopo di promuovere l’inclusione, l’unione europea utilizza tre indicatori principali per monitorare queste situazioni: la quota di persone in condizione di povertà relativa (ovvero con un reddito inferiore al 60% del valore mediano della popolazione di riferimento), la percentuale di soggetti in situazioni di grave deprivazione materiale e l’incidenza degli individui che vivono in famiglie a intensità lavorativa molto bassa. Essere a rischio di esclusione sociale significa rientrare in almeno una di queste condizioni.

25,6% la percentuale degli italiani che vivono in una condizione a rischio di esclusione sociale (Eurostat, 2019).

Tra le zone del paese in cui l’incidenza di soggetti socialmente fragili la più ampia è la zona insulare (43,6%). A seguire il sud (41,6%) e il centro (21,4%). Nel nord-ovest (16,4%) e nel nord-est (13,2%) invece sono registrati i valori più bassi. È possibile analizzare il dato a livello regionale.

Tra le regioni italiane, quella che segna la percentuale più alta è la Campania con il 49,7% della popolazione residente a rischio esclusione sociale. Con un valore di un punto in meno c’è la Sicilia, seguita dalla Calabria (39,8%). Le tre aree con le percentuali minori sono invece la provincia autonoma di Bolzano (11,5%), il Veneto (11,1%) e la Valle d’Aosta (8,1%).

Per aiutare le persone socialmente fragili, ci sono diversi interventi che possono essere messi in atto a tutti i livelli di governo. In questo ambito, i comuni hanno un ruolo molto importante in quanto enti più prossimi alle esigenze dei cittadini.

La spesa per il sostegno alle persone socialmente svantaggiate

Nei bilanci comunali, c’è una specifica voce legata agli interventi per i soggetti socialmente fragili. Tra questi ci sono diverse categorie di persone: dagli indigenti agli individui con un reddito basso, fino ai migranti, i soggetti con dipendenze o gli ex detenuti

È questa la parte del bilancio in cui sono considerate le spese per vitto, alloggio e indennità di denaro per assistere le persone in difficoltà. Sono comprese inoltre tutte le uscite dedicate alla gestione delle strutture e dei servizi dedicati alla riabilitazione e all’inclusione di chi è a rischio di marginalizzazione.

Tra le città con più di 200mila abitanti, Bologna è quella che ha uscite maggiori con 102,51 euro pro capite. Quasi il doppio del valore riportato da Roma, la seconda in classifica, che è pari a 65,51. Seguono Venezia (58,04) e Genova (54,06). I tre comuni che spendono di meno sono Firenze (18,26 euro pro capite), Verona (16,14) e Bari (4,92).

Tutti e cinque i comuni che registrano le uscite maggiori nel 2020 riportano un andamento di crescita della spesa dal 2016 al 2020. È evidente il dato della città di Bologna che risulta negli ultimi due anni l’amministrazione tra le considerate che spende di più per gli interventi contro l’esclusione sociale. È inoltre il comune con il più ampio aumento della spesa dal 2016 (+233,40%). Dopo il capoluogo emiliano, tra quelli considerati è Torino il comune ad aver aumentato di più la spesa (+147,81%). Anche le altre tre città hanno fatto registrare più uscite in questo ambito, dal 2016 al 2020. In particolare, a Genova l’aumento è stato del 72,96%, a Venezia del 54,66% e a Roma del 14,40%.

Se si amplia l’analisi agli altri comuni del paese, le spese medie sostenute dai comuni italiani per contrastare l’esclusione sociale ammontano a 16,09 euro pro capite. Le tre regioni in cui mediamente le amministrazioni riportano le uscite più ampie sono la Sardegna (65,79 euro pro capite), la Basilicata (43,37) e la Calabria (41,51). Al contrario, spendono in media di meno i comuni piemontesi (6,54 euro pro capite), valdostani (5,84) e della provincia autonoma di Bolzano (2,41).

Il comune che ha fatto registrare le maggiori uscite in Italia, nel 2020, è Carunchio, in provincia di Chieti con 1.940,60 euro pro capite. Seguono Bellosguardo (Salerno, 1.632,99), Camini (Reggio Calabria, 1.484,28) e Villa San Pietro (Cagliari, 1.375,38). Sono sei le amministrazioni italiane le cui uscite superano i mille euro ad abitante.

Considerando i primi 40 comuni per l’entità delle uscite, solo tre non appartengono all’area del mezzogiorno, quella in cui l’incidenza delle persone socialmente deboli era più ampia.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti di questa rubrica sono realizzati a partire da openbilanci, la nostra piattaforma online sui bilanci comunali. Ogni anno i comuni inviano i propri bilanci alla Ragioneria Generale dello Stato, che mette a disposizione i dati nella Banca dati amministrazioni pubbliche (Bdap). Noi estraiamo i dati, li elaboriamo e li rendiamo disponibili sulla piattaforma. I dati possono essere liberamente navigati, scaricati e utilizzati per analisi, finalizzate al data journalism o alla consultazione. Attraverso openbilanci svolgiamo un’attività di monitoraggio civico dei dati, con l’obiettivo di verificare anche il lavoro di redazione dei bilanci da parte delle amministrazioni. Lo scopo è aumentare la conoscenza sulla gestione delle risorse pubbliche.

Foto credit: Jon Tyson – licenza

 

 

 

Gli investimenti del Pnrr per gli autobus a basse emissioni Innovazione

Gli investimenti del Pnrr per gli autobus a basse emissioni Innovazione

Il piano nazionale di ripresa e resilienza prevede un investimento pari a 1,9 miliardi di euro per il rinnovo in senso ecologico degli autobus nei grandi comuni. Ma quanti sono ad oggi gli autobus a basse emissioni e come sono distribuiti nel nostro paese?

 

Tra i vari provvedimenti per facilitare la transizione ecologica, il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha previsto anche il rifornimento da parte dei centri urbani del nostro paese di mezzi di trasporto pubblico a basse emissioni.

Come stabilito e approvato in via definitiva lo scorso dicembre nel corso della conferenza unificata, questi fondi, gestiti dal ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims), saranno assegnati ai grandi comuni per acquistare, nello specifico, autobus elettrici o a idrogeno.

Gli interventi del Pnrr per una mobilità sostenibile

Il piano nazionale di ripresa e resilienza dedica una quota molto elevata di risorse alle riforme ambientali (il 37,5% di tutte le risorse europee, per un totale di circa 72 miliardi di euro).

Circa 57 miliardi di euro da stanziare per la transizione ecologica e per la dotazione di infrastrutture sostenibili sono di competenza del Mims. Molte di queste risorse sono territorializzate, ovvero si tratta di fondi assegnati alle regioni oppure a enti locali perché sviluppino progetti di propria competenza o li assegnino a altri soggetti attuatori.

È questo il caso, ad esempio, dei fondi dedicati alla riqualificazione dei porti, al potenziamento delle linee ferroviarie regionali, agli interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana e al rafforzamento delle strutture idriche. E infine anche del rinnovo degli autobus in senso ecologico.

1,9 miliardi di euro sono i fondi stanziati dal Pnrr per l’acquisto di autobus elettrici e a idrogeno nei grandi comuni.

Al primo posto tra i destinatari di questi fondi troviamo la Lombardia, che da sola ha ricevuto oltre 310 milioni di euro per l’acquisto di autobus elettrici o a idrogeno (il 16,3% dei finanziamenti totali) e il Lazio, con 298 milioni di euro (per il 15,6%).

Seguono la Sicilia (con 223 milioni, equivalenti all’11,6% del totale), il Piemonte (196 milioni per il 10,3%) e la Campania (186 milioni per il 9,7% dei fondi totali). Mentre ad aver ricevuto la quota più bassa di fondi sono le regioni più piccole e con meno centri abitati, come la Valle d’Aosta e le province autonome del Trentino-Alto Adige.

Ma com’era la situazione dei centri abitati del nostro paese prima dell’arrivo di queste risorse?

Gli autobus a basse emissioni nelle città italiane

I mezzi di trasporto a basse emissioni sono uno strumento particolarmente importante per contrastare alcuni effetti negativi del cambiamento climatico e favorire la transizione ecologica.

Una rete di trasporto pubblico a basse emissioni è essenziale per la transizione ecologica.

Infatti, i trasporti sono uno dei settori più inquinanti (causa oltre un terzo di tutte le emissioni di ossidi di azoto), e l’inquinamento atmosferico risulta ad oggi una delle conseguenze più dannose della presenza antropica sulla Terra, sia per l’ambiente stesso che per la nostra salute. Essendo poi il trasporto pubblico di per sé molto utile per arginare il problema di un troppo elevato tasso di motorizzazione – l’Italia è il secondo paese Ue con più veicoli privati per abitante – è chiaro che garantire una rete di trasporto pubblico efficiente e ecologica è essenziale.

Questo è poi particolarmente rilevante per i grandi centri abitati, maggiormente esposti all’inquinamento atmosferico generato dal traffico veicolare.

Nel 2019, Cagliari era la città italiana con il numero più elevato di autobus a basse emissioni in rapporto alla popolazione residente: 158 ogni 100mila abitanti. La seguivano Trieste (134,2) e Firenze (125,4). Agli ultimi posti si trovavano invece due città siciliane, Messina e Palermo, con rispettivamente 30,7 e 35,4 autobus a basse emissioni ogni 100mila abitanti.

In quasi tutte le città italiane, è diminuito il numero di autobus a basse emissioni.

Cagliari è stata però anche la prima città per calo, negli ultimi anni, della disponibilità di questo tipo di mezzo. Nel 2013 infatti il capoluogo sardo disponeva di ben 185,1 mezzi a basse emissioni ogni 100mila abitanti: 27 in più rispetto al 2019. Anche Roma (-12,9) e Milano (-10,8) hanno registrato cali significativi nello stesso lasso di tempo. Sono soltanto due le città che hanno invece riportato un miglioramento in questo senso. Si tratta di Trieste, che da 133,5 è passata a 134,2 autobus (un cambiamento quindi piuttosto modesto) e Messina, che invece ha aumentato la propria disponibilità di oltre 14 unità, passando da 16,5 a 30,7 autobus a basse emissioni ogni 100mila abitanti.

Disparità territoriali nella disponibilità di autobus ecologici

Fatta eccezione per Cagliari, è evidente una divisione tra città del nord e del sud, con le prime che in media hanno una maggiore disponibilità di mezzi ecologici rispetto alle seconde.

Un divario che risulta ancora più evidente se analizziamo i dati relativi a tutti i comuni capoluogo divisi per macroarea.

Nel meridione sono infatti disponibili in media 51,9 autobus a basse emissioni ogni 100mila abitanti. Una cifra che invece sale a 81,2 al centro e a 89,1 al nord della penisola.

37,2 autobus a basse emissioni ogni 100mila abitanti in meno al sud Italia rispetto al nord (2019).

Si tratta inoltre di una forbice che si è ampliata nel passaggio dal 2018 al 2019. Mentre infatti la disponibilità è leggermente aumentata a nord (+0,9 autobus ogni 100mila abitanti) e al centro (+4,1), nel caso del sud è invece diminuita. Nel 2019 ci sono infatti 3,4 autobus in meno ogni 100mila abitanti.

 

Foto: Pere Jurado – licenza

 

I cambi di gruppo parlamentare a marzo 2022 Valzer parlamentare

I cambi di gruppo parlamentare a marzo 2022 Valzer parlamentare

L’elezione del presidente della repubblica ha portato a un nuovo picco di riposizionamenti. Ma il fenomeno è proseguito, seppur con intensità minore, anche successivamente. Protagonisti, ancora una volta, molti ex 5s.

 

Dopo le fibrillazioni dei primi mesi dell’anno dovute alle elezioni per il presidente della repubblica, il parlamento ha ripreso la propria attività dovendo affrontare questioni tutt’altro che secondarie. Come l’approvazione di norme volte alla gestione della fase finale dell’emergenza Covid e, parallelamente, l’esplosione della crisi in Ucraina che ha avuto ripercussioni anche nel nostro paese. Sia in termini di accoglienza dei profughi in fuga dalla guerra, sia in termini economici relativamente all’impennata del prezzo delle fonti energetiche.

In un contesto così complesso non si è comunque arrestato il fenomeno dei cambi di gruppo in parlamento. Nei primi tre mesi dell’anno infatti si sono registrati 34 riposizionamenti che hanno visto protagonisti 24 tra deputati e senatori. Una dinamica certamente influenzata dalle operazioni che hanno portato alla conferma di Sergio Mattarella al Quirinale. Ma, almeno in parte, anche dal fatto che ormai la legislatura sta volgendo al termine. Con l’avvicinarsi delle elezioni, sulla decisione di cambiare gruppo può quindi incidere anche una valutazione sulle possibilità di ricandidatura e di rielezione.

24 i parlamentari che hanno cambiato gruppo nel primo trimestre del 2022.

In questo contesto, emerge come moltissimi tra i parlamentari che hanno cambiato gruppo avessero iniziato la legislatura nel Movimento 5 stelle. Diversi di loro poi, una volta abbandonata questa formazione, hanno successivamente modificato la propria appartenenza anche più di una volta. Un’indicazione della difficoltà per questi parlamentari di trovare una nuova collocazione politica.

I cambi di gruppo dal 2018 a oggi

Il fenomeno dei cambi di gruppo, pur se con intensità diversa, ha caratterizzato tutta la XVIII legislatura fin dal suo inizio nel marzo del 2018. Evoluzioni nella composizione dei gruppi di camera e senato sono avvenute con cadenza quasi mensile.

Alcuni passaggi politici particolarmente rilevanti però hanno impresso una significativa accelerazione al fenomeno. Ad esempio i due cambi di governo hanno comportato dei significativi cambiamenti nella geografia parlamentare. Nel passaggio dal Conte I al Conte II infatti si sono registrati 52 cambi di gruppo, mentre tra il Conte II e il governo Draghi addirittura 82.

L’elezione del capo dello stato ha inciso sui cambi di gruppo.

Un altro passaggio molto importante è stato la recente elezione del presidente della repubblica che ha portato al rinnovo del mandato di Sergio Mattarella. In quei giorni infatti le tensioni e le difficoltà nel trovare un candidato in grado di raccogliere un ampio consenso sono state molto forti. Diversi parlamentari in questo scenario hanno scelto di cambiare collocazione. Tra dicembre 2021 e gennaio 2022 infatti si sono conteggiati 31 cambi di appartenenza. Una volta superato questo scoglio le dimensioni del fenomeno sono tornate ad attenuarsi anche se questo non si è mai del tutto arrestato. Anche a febbraio e marzo infatti si sono registrati 8 riposizionamenti. In totale quindi i cambi di gruppo avvenuti nel 2022 sono stati 34.

Dal 2018 a oggi i cambi in totale sono stati 311, per una media di circa 6,5 al mese. Alla camera i deputati coinvolti sono stati 144 per un totale di 191 cambi di gruppo. A palazzo Madama invece i riposizionamenti totali sono stati 119 e hanno visto protagonisti 72 senatori.

311 i cambi di gruppo avvenuti da inizio legislatura.

La disparità tra il numero di cambi di gruppo complessivi e quello dei parlamentari coinvolti è dovuta al fatto che un esponente politico può anche cambiare più di un gruppo durante la legislatura.

Lo stato di salute dei gruppi parlamentari

L’analisi dei cambi di gruppo nel lungo periodo evidenzia come Movimento 5 stelle, Forza Italia e Partito democratico siano le forze politiche maggiormente danneggiate dal fenomeno. Il M5s in particolare ha registrato solamente movimenti in uscita: 100 in tutto dal 2018 ad oggi.

Un caratteristica dovuta alle particolari caratteristiche di questa formazione. Il vecchio statuto del movimento infatti (recentemente cambiato) prevedeva innanzitutto che i candidati al parlamento fossero selezionati dagli iscritti (attraverso le cosiddette “parlamentarie”). Inoltre agli eletti veniva richiesta la cessione di una parte del compenso di parlamentare per finanziare la piattaforma Rousseau e altre iniziative del movimento. Inoltre i regolamenti dei gruppi prevedevano vincoli molto stringenti per quei parlamentari che avessero voluto aderire al movimento. Come la sottoscrizione del codice etico, l’essere incensurati e non essere iscritti ad altri partiti.

Elementi che, uniti evidentemente al momento di crisi attraversato da questa forza politica, hanno escluso la possibilità per i gruppi di camera e senato di accogliere nuovi esponenti tra le loro fila.

Analizzando il dato relativo agli abbandoni, possiamo osservare che il secondo gruppo che ne ha subiti di più è stato il misto (64). Questo gruppo allo stesso tempo però è anche quello che ha accolto il maggior numero di nuovi parlamentari dall’inizio della legislatura. I nuovi ingressi infatti sono stati 136, per un saldo positivo di 72 nuovi aderenti complessivi tra camera e senato. Il motivo di un ricambio così significativo nella composizione del misto deriva dalle sue caratteristiche particolari. Ogni parlamentare infatti deve necessariamente aderire a un gruppo. Molti deputati e senatori quindi, anche a legislatura in corso, scelgono di entrare a farvi parte nel caso in cui non condividano più le politiche portate avanti dal loro gruppo di appartenenza ma allo stesso tempo non vogliano entrare a far parte di altre formazioni politiche.

I gruppi rappresentano la proiezione dei partiti all’interno del parlamento. Ogni parlamentare deve aderire ad un gruppo ma può scegliere a quale senza vincoli. E può anche cambiare liberamente nel corso della legislatura. Vai a “Che cosa sono i gruppi parlamentari”

In alcuni casi però la scelta di aderire al misto è solo temporanea. Abbandonare una forza politica infatti può essere anche un passaggio difficile da gestire. Molti parlamentari quindi preferiscono effettuare prima un passaggio intermedio, aderendo al misto per un periodo più o meno lungo prima di approdare alla destinazione finale. Ciò con l’obiettivo di rendere il cambio di gruppo meno traumatico, sia agli occhi degli elettori che a quelli degli alleati (o ex alleati).

Vediamo quindi quali sono gli attuali equilibri tra le forze politiche alla luce dei cambi di gruppo avvenuti fino ad ora. Nonostante il grandissimo numero di abbandoni, il Movimento 5 stelle rimane comunque la forza politica di maggioranza relativa. I pentastellati infatti rappresentano da soli il 24% circa dell’arco parlamentare (156 deputati e 73 senatori).

Al secondo posto troviamo la Lega (133 deputati e 63 senatori), al terzo il Partito democratico (97 deputati e 39 senatori). Fratelli d’Italia, unico gruppo politico interamente all’opposizione, rappresenta circa il 6% dei seggi (37 deputati e 21 senatori).

I cambi di gruppo nel dettaglio

Come abbiamo già anticipato, i cambi di gruppo avvenuti nel primo trimestre del 2022 sono stati 34. C’è però una discrepanza tra i riposizionamenti conteggiati e i parlamentari coinvolti. Ciò è dovuto al fatto che 10 senatori si sono resi protagonisti di un’operazione politica durata solamente un giorno.

A palazzo Madama infatti alla fine di gennaio (nelle fasi più concitate delle operazioni per l’elezione del nuovo presidente della repubblica) si è costituito un nuovo gruppo denominato Costituzione, ambiente, lavoro – Italia dei valori (Cal-Idv). La nuova formazione era composta, con la sola eccezione di Rosellina Sbrana, da ex esponenti del Movimento 5 stelle. In particolare Elio LannuttiRosa Silvia AbateLuisa AngrisaniMargherita CorradoMattia CrucioliFabio Di MiccoBianca Laura GranatoBarbara Lezzi e Cataldo Mininno.

In senato il gruppo Cal-Idv è stato aperto e chiuso in poche ore.

Questa formazione era stata creata con l’obiettivo di sostenere la candidatura al Quirinale di Maria Elisabetta Alberti Casellati. Un’ipotesi che a un certo punto è apparsa molto concreta. Tanto che, al quinto scrutinio, la presidente del senato era arrivata a racimolare 382 voti. Non sufficienti però per essere eletta. Tramontata questa ipotesi il gruppo si è sciolto e i suoi iscritti sono tutti rientrati nelle componenti da cui provenivano. Di fatto quindi Cal-Idv è stato attivo solo per poche ore. Ciò nonostante questi spostamenti devono essere conteggiati come cambi di gruppo a tutti gli effetti.

Ma al di là di questo passaggio particolarmente eclatante ci sono stati altri 14 parlamentari che in questo periodo hanno cambiato gruppo. Particolarmente coinvolto dal fenomeno è stato il gruppo di Coraggio Italia alla camera. La formazione politica lanciata dal presidente della Liguria Giovanni Toti e dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro infatti tra gennaio e marzo 2022 ha registrato 2 nuovi ingressi e 3 abbandoni.

Ad aderire al gruppo sono stati Lucia Scanu e Antonio Lombardo, entrambi provenienti dal gruppo misto. Le fuoriuscite invece hanno visto protagonisti Osvaldo Napoli e Daniela Ruffino, entrambi passati alla componente del misto Azione – +Europa – Radicali Italiani. A questi si aggiunge poi Matteo Dall’Osso, tornato in Forza Italia da cui era arrivato. Un’altra formazione particolarmente interessata dai cambi di gruppo è stata proprio quella azzurra. Infatti, oltre a Dall’Osso, Fi ha “conquistato” altri due parlamentari. Si tratta dei senatori Saverio De Bonis (proveniente dal misto) e Gelsomina Vono (proveniente da Italia viva). Allo stesso tempo questa forza politica ha perso Barbara Masini (senatrice balzata al centro delle cronache per aver appoggiato apertamente l’approvazione del ddl Zan) passata alla componente Azione – +Europa del misto.

Due abbandoni poi anche tra le fila di Liberi e uguali alla camera. Si tratta di Devis Dori passato alla componente dei verdi interna al misto e di Erasmo Palazzotto approdato nel Partito democratico. Nei Dem inoltre è entrata anche Angela Ianaro proveniente dal Movimento 5 stelle.

Molti fuoriusciti dal M5s sono stati protagonisti di più di un cambio di gruppo.

Un elemento significativo che emerge dall’analisi di questi spostamenti riguarda il fatto che quasi tutti hanno visto come protagonisti ex appartenenti al Movimento 5 stelle. Alcuni hanno lasciato direttamente i gruppi pentastellati. All’onorevole Ianaro infatti si aggiungono anche Bernardo Marino (passato al misto) ed Elvira Evangelista (passata a Italia Viva). Altri invece provengono da gruppi diversi ma avevano iniziato la legislatura nel M5s. Oltre ai già citati protagonisti del gruppo Cal-Idv, gli altri sono Lucia Scanu, Matteo Dall’Osso, Devis Dori, Antonio Lombardo, Saverio De Bonis e Gelsomina Vono.

Questo dato evidenzia la difficoltà di chi è uscito dal movimento a trovare una nuova collocazione politica. Una dinamica che influisce negativamente sulla stabilità del parlamento.

Foto: Facebook – Osvaldo Napoli

 

Dove sono fuggiti i profughi ucraini nei primi 40 giorni di guerra Migranti

Dove sono fuggiti i profughi ucraini nei primi 40 giorni di guerra Migranti

Più di 100mila persone escono ogni giorno dall’Ucraina in guerra per rifugiarsi nei 7 paesi confinanti. Per questo l’Europa ha attivato una vecchia direttiva del 2001, mentre in Italia finora meno del 10% dei rifugiati è ospitato nei centri di accoglienza.

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Nei primi 40 giorni di guerra sono fuggite più di 4 milioni di persone dall’Ucraina, circa il 10% della popolazione. Grazie a una norma pensata per i conflitti nell’ex Jugoslavia, i profughi possono muoversi liberamente nell’Unione europea.

Si tratta di fatto di un nuovo approccio – seppur temporaneo – all’accoglienza degli sfollati di guerra in Europa.

4,2 milioni di persone sono fuggite dall’Ucraina dal 24 febbraio al 4 aprile 2022, secondo l’Unhcr.

Dove si recano i rifugiati

In media sono stati 116mila ogni giorno le profughe e i profughi ucraini fuggiti dal paese dal 24 febbraio, primo giorno dell’invasione da parte della Russia, fino allo scorso 4 aprile.

Si tratta per lo più di donne e minori, perché in virtù di una legge d’emergenza del governo ucraino è proibito agli uomini tra 16 e 60 anni di uscire dal paese, tranne che per alcune eccezioni.

Essendo lo spazio aereo ucraino chiuso ormai da settimane, l’unico modo per espatriare è via terra, in direzione delle nazioni confinanti.

 

Le direttrici di chi emigra dall’Ucraina (Unhcr).

 

L’Ucraina confina con 7 paesi. Gran parte dei rifugiati attraversa il paese in direzione nord-ovest, e attraverso l’importante stazione ferroviaria di Lviv (Leopoli) raggiunge la Polonia, in Unione europea. Questo è stato il doloroso percorso affrontato, finora, da 2,47 milioni di persone, pari al 58,1% del totale.

Dopo la Polonia, il paese dove sono entrati più profughi è la Romania, che accoglie il 15,3% degli sfollati. Seguono poi Moldavia, Ungheria, Federazione Russa e Slovacchia, dove l’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) ha registrato ingressi simili (tra il 7% e il 9% del totale). La Bielorussia, invece, ha visto il passaggio di poco più di 16mila persone, pari allo 0,4%.

Infine occorre segnalare che gli ingressi in Moldavia conteggiati dalle Nazioni unite non comprendono quelli che attraversano la frontiera tra l’Ucraina e la Transnistria, regione separatista che però per la comunità internazionale fa parte della stessa Moldavia, anche se dotata di governo autonomo dal 1992. Qui, secondo il governo transnistriano sarebbero ospitate 25mila persone, mentre per l’esecutivo moldavo sarebbero entrati in Transnistria 15mila ucraini. Tuttavia questi dati sono privi di riscontri da parte di organizzazioni internazionali.

GRAFICO
DA SAPERE

Il grafico mostra gli ingressi di persone provenienti dall’Ucraina dal 24 febbraio al 4 aprile 2022. Sono incluse le persone che una volta entrate nel paese lo lasciano immediatamente per approdare altrove. I dati rilasciati da Unhcr vengono comunicati dai rispettivi governi. Il dato della Federazione Russa è aggiornato al 29 marzo. Il dato della Repubblica Slovacca è aggiornato al 3 aprile.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Unhcr
(ultimo aggiornamento: lunedì 4 Aprile 2022)

 

Le famiglie che fuggono dall’Ucraina invasa seguono più o meno coerentemente l’andamento delle operazioni militari nel corso di questa drammatica guerra.

L’Ucraina è una nazione molto estesa, per questo anche la provenienza territoriale dei profughi è decisiva per le tendenze e il tracciamento dei flussi migratori. Per esempio, nei giorni peggiori dei bombardamenti nella capitale Kiev e in altre metropoli del nord (come Kharkiv), si sono registrati maggiori ingressi in paesi più raggiungibili dalle zone settentrionali attraverso lo snodo di Leopoli, come la Polonia e la Romania.

Al contrario, dovessero intensificarsi i bombardamenti nella città più importante del sud – Odessa, finora solo lambita dalle operazioni belliche più violente – probabilmente si assisterebbe a maggiori flussi in entrata verso la Moldavia, la cui frontiera sud dista poco più di 50 km da Odessa.

GRAFICO
DA SAPERE

Il grafico mostra gli ingressi di persone provenienti dall’Ucraina nei paesi con essa confinanti, dal 24 febbraio al 4 aprile 2022. Sono incluse le persone che una volta entrate nel paese di approdo lo lasciano immediatamente per recarsi altrove. Sono stati considerati i paesi confinanti con l’Ucraina: Polonia, Romania, Slovacchia, Moldavia, Federazione Russa, Ungheria e Bielorussia.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Unhcr
(ultimo aggiornamento: lunedì 4 Aprile 2022)

 

Dall’inizio della guerra, il giorno in cui si è registrato l’esodo maggiore è il 7 marzo, con 207mila ingressi nei paesi confinanti, quasi il doppio della media giornaliera del conflitto.

A partire dal 14 marzo, invece, si è verificata una discesa nei numeri delle persone che hanno scelto di lasciare il proprio paese. Fino ad arrivare ai circa 29mila rifugiati lo scorso 4 aprile.

Quale accoglienza in Europa?

A inizio marzo le istituzioni europee hanno deciso di attivare in via del tutto eccezionale una direttiva europea risalente a oltre vent’anni fa.

Si tratta della direttiva 55, pensata nell’estate del 2001, quando ci si ritrovò di fronte al massiccio numero di sfollati provenienti dai paesi balcanici, vessati da anni di guerre.

La presente direttiva ha lo scopo di istituire norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati provenienti da paesi terzi che non possono ritornare nel paese d’origine e di promuovere l’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi.

Questa disposizione non era mai stata attivata per le numerose crisi di rifugiati generati dai conflitti scoppiati nell’ultimo ventennio, soprattutto in medio oriente e Asia centrale. Parliamo dei milioni di siriani giunti in Europa in questi anni, fino ai rifugiati afghani in fuga dal paese fino alla scorsa estate. Per non parlare da chi scappa dalle guerre (civili e non) nelle nazioni dell’Africa occidentale.

In tutti questi casi, com’è noto, le autorità del vecchio continente hanno deciso di finanziare ed “esternalizzare” l’accoglienza a paesi terzi – è il caso degli accordi con la Turchia nel caso della crisi siriana – o di affidare ai paesi di approdo le procedure di asilo individuali, come accade da tempo soprattutto nelle nazioni dell’Europa meridionale, più interessate dagli sbarchi di persone proveniente dal continente africano.

Dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, invece, i ministri dell’Unione europea hanno deciso all’unanimità l’istituzione di un meccanismo di “asilo temporaneo” per rispondere all’afflusso di sfollati provenienti dall’ex repubblica sovietica.

L’articolo 6 della direttiva 55 sancisce che le persone che fuggono dal conflitto debbano godere di una protezione temporanea in Ue, uno status simile a quello del rifugiato, in qualsiasi paese dell’Ue e per un anno dall’ingresso, rinnovabile per altri due.

Lo status di rifugiato è la prima e più importante forma di protezione internazionale, e può essere riconosciuta a un richiedente asilo da uno stato membro della convenzione di Ginevra del 1951. Vai a “Che cosa si intende per migranti irregolari, richiedenti asilo o rifugiati”

La decisione di riattivare una norma messa da parte oltre vent’anni fa ha diversi obiettivi. Innanzitutto è fondamentale che, di fronte a un esodo così massiccio in così poco tempo, si debbano snellire le procedure per la protezione (seppur temporanea) degli sfollati ucraini. Attraverso la direttiva, infatti, si evita che le persone vengano sottoposte all’esame individuale delle domande di asilo, con il risultato di poter godere da subito dell’assistenza medica e sociale, del diritto al lavoro, del diritto all’istruzione per i minori, e ai contributi per il sostentamento delle famiglie stanziati dalle autorità comunitarie in queste settimane.

Inoltre viene lasciata libertà ai profughi di circolare tra le nazioni europee, senza vincoli di spostamento tra un paese e l’altro.

Infine c’è un aspetto che riguarda più che altro gli equilibri tra gli stati membri. Per quanto riguarda le persone che entrano nei circuiti dell’accoglienza organizzata dalle singole nazioni, infatti, attualmente non vi sono quote prefissate di redistribuzione tra i paesi membri.

Gli Stati membri accolgono con spirito di solidarietà comunitaria le persone ammissibili alla protezione temporanea. Essi indicano la loro capacità d’accoglienza in termini numerici o generali. […] Tali indicazioni vengono rapidamente comunicate all’UNHCR.

La presenza ucraina in Italia

Al 4 aprile erano 83.100 le persone provenienti dall’Ucraina entrate in Italia dopo il 24 febbraio. Poco più di 2mila al giorno.

Secondo quanto ha recentemente affermato alla camera la ministra dell’interno Luciana Lamorgese, al 29 marzo il 60,1% delle persone (circa 42mila) aveva fatto ingresso in Italia attraverso la frontiera con la Slovenia, il 35,7% era arrivato in aereo, e il restante 4,1% attraverso i valichi ferroviari in Friuli Venezia Giulia (quest’ultimo è un dato a decorrere dal 10 marzo).

Nei primi 40 giorni di guerra sono entrate in Italia in media 2mila persone al giorno.

Di queste, il 51,5% erano donne (42.879 persone), il 10,3% uomini (8.851) e il 38,1% minori (31.670)Secondo quanto comunica il ministero dell’interno, le città di destinazione dichiarate all’ingresso in Italia sono Milano, Roma, Napoli e Bologna.

Al momento non vengono rilasciati i dati di quanti profughi ucraini siano attualmente ospitati nel sistema di accoglienza. Inoltre, come abbiamo denunciato più volte, sul cruscotto giornaliero del ministero dell’interno vengono pubblicati quotidianamente solo i dati relativi agli sbarchi via mare, e non gli ingressi via terra, come nel caso dei migranti provenienti dalla “rotta balcanica”, o da poco più di un mese, dall’Ucraina.

Pochi ucraini ricorrono all’accoglienza

Pur mancando dati organici messi a disposizione dalle amministrazioni pubbliche, torna nuovamente utile l’audizione di Lamorgese. La ministra afferma che delle 75.115 persone arrivate in Italia al 29 marzo scorso, solo 5.600 risultano inserite nel sistema di accoglienza. Di queste 5.301 sono nei centri di accoglienza straordinaria (Cas) e 299 nel sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Meno di un profugo ucraino su 10, insomma, entra in un centro.

7,46% degli ucraini entrati in Italia dal 24 febbraio al 29 marzo 2022 hanno aderito al sistema di accoglienza.

Quindi parliamo, almeno finora, di un numero di posti occupati inferiore rispetto a quelli finanziati recentemente dal governo: 8mila, come abbiamo raccontato nei giorni scorsi.

Se in pochi hanno aderito all’accoglienza, in pochissimi hanno richiesto la protezione internazionale.

I motivi per i quali una così bassa quota di rifugiati decide di non entrare nel sistema di accoglienza sono diversi. Uno delle principali è dovuto alla presenza di una folta comunità ucraina che già viveva nel nostro paese prima del conflitto. Al 1 gennaio 2021, infatti, gli ucraini in Italia erano 255mila, e costituivano la quinta comunità straniera più popolosa, dopo quelle provenienti da Romania, Marocco, Albania e Cina.

Questo ha fatto sì che con l’invasione russa si attivassero, in Italia come in Europa, numerose reti familiari e sociali da parte degli emigrati ucraini che già vivevano fuori dal loro paese di origine.

Infine, un ultimo elemento riferito dalla ministra Lamorgese è indicativo: al 29 marzo le domande di protezione internazionale presentate erano solo 679. Si tratta di un dato che da un lato restituisce la speranza di molti di poter tornare presto in patria, e dall’altro dimostra quanto la stragrande maggioranza delle persone fuggite punti alla protezione temporanea prevista dalla direttiva 55.

Foto: frontiera moldavo-ucraina a Palanca – Andrea Mancini

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Family Act è legge, nuovi aiuti e congedi per le famiglie in arrivo

Family Act è legge, nuovi aiuti e congedi per le famiglie in arrivo

Il 6 aprile Senato ha approvato definitivamente il Family Act che diventa legge dello Stato. Ecco i punti fondamentali del disegno di legge.

Con l’approvazione definitiva del Senato il Family Act è Legge, vediamo insieme cosa prevede e quali sono le misura più importanti per le famiglie dei lavoratori. Sostenere la genitorialità e favorire l’occupazione femminile mettendo in campo strumenti che possano migliorare la distribuzione dei carichi di cura all’interno delle famiglie. È questo sostanzialmente l’intento principale che si vuole raggiungere con il “Family Act”, che prevede una serie di misure per riequilibrare il rapporto che lega lavoro e famiglia.

Il disegno di legge, si ricorda, è stato approvato in via definitiva il 6 aprile 2022 al Senato, e contiene numerosi punti, quali: la rivisitazione dei congedi parentali, la tutela della genitorialità, misure per favorire l’occupazione femminile, l’assegno unico, ecc.

Vediamo quindi in dettaglio i punti essenziali del provvedimento e come s’inseriscono le nuove norme nel nell’attuale contesto.

Congedo parentali: le novità

Uno dei pilatri del Family Act è senz’altro la rivisitazione del congedo parentale. Le modifiche, spiega il testo, dovranno essere apportate entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del Ddl. Sul punto, l’UE è molto attiva tant’è che il Governo aveva già approvato lo scorso 31 marzo uno schema di D.Lgs. che recepiva la Direttiva 2019/1158. Tale Direttiva, in particolare, favoriva la cd. “parità di genere” sia in abito lavorativa che familiare.

Ma quali sono i punti essenziali della riforma del congedo parentale? Ebbene, il disegno di legge traccia fondamentalmente alcuni punti centrali che possono essere così riassunti:

  • modalità di fruizione flessibile dei congedi parentali, sempre in linea con i CCNL di settore, con canale preferenziale per i nuclei familiari con monogenitore;
  • introduzione di almeno 5 ore di permessi retribuiti per colloqui scuola famiglia e per accompagnare le donne in stato di gravidanza alle visite mediche a tutela della maternità;
  • allargamento delle tutele sulla genitorialità anche per i lavoratori autonomi e liberi professionisti;
  • estensione dei congedi parentali ai genitori con figli di età superiore a 14 anni di età (finora il limite era posto a 12 anni d’età);
  • introduzione di 2 mesi di congedo parentale per ogni figlio e premialità in caso di distribuzione equa tra i genitori.

Congedo papà di 10 giorni: equiparazione tra privati e pubblici

Altro punto fondamentale del Family Act è il congedo di paternità (anche detto congedo papà). Al riguardo, si ricorda, che l’UE ha delineato un percorso da seguire con la menzionata direttiva. Infatti, il Governo ha introdotto nel corso degli anni numerose novità. Si rammenta che, a decorrere dal 2017 ad oggi, i lavoratori padri sono passati da 2 giorni di congedo obbligatorio a 10 giorni. Congedi che sono chiaramente retribuiti dal datore di lavoro. Ma c’è di più: grazie alla recente Legge di Bilancio 2022 (L. n. 234/2021), i 10 giorni di congedo sono divenuti strutturali. Pertanto, non c’è più bisogno che annualmente il Governo comunichi il via libera al congedo.

Ora, con il Family Act, il Governo compie un ulteriore passo in avanti. Nello specifico, le novità sono due:

  • equiparazione dei dipendenti del privato con quelli della P.A.;
  • allargamento del periodo di astensione dal lavoro fino a 90 giorni lavorativi.

Occupazione femminile: maggiore equiparazione

Nel Family Act non poteva non mancare l’equiparazione tra donna e uomo sul fronte famiglia, poiché spesso i carichi di cura di essa sono affidati alle donne.

Quindi, entro 24 mesi dall’entrata in vigore del disegno di legge, è necessario adottare uno o più decreti legislativi per:

  • il riordino ed il rafforzamento delle misure volte ad incentivare il lavoro femminile;
  • rafforzare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Ciò può avvenire sostanziale adottando due semplici misure:

  • ridistribuire i carichi di cura all’interno delle famiglie: questo punto sarà attuato mediante l’introduzione di nuove detrazioni o deduzioni, sulla base dell’ISEE, per le spese sostenute per servizi domestici o assistenza di familiari;
  • favorire la permanenza, il ritorno o l’ingresso delle donne sul mercato del lavoro. Quest’ultimo punto sarà adottato mediante agevolazioni per le imprese, come ad esempio la decontribuzione, per le sostituzioni di maternità. Ma non solo: è previsto che una quota destinata Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese riservata specificamente alle nuove imprese femminili. Inoltre, saranno finanziati corsi di formazione in materia finanziaria delle imprenditrici e alla digitalizzazione delle imprese.

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Visura catastale gratis e a pagamento: guida aggiornata dell’Agenzia Entrate

Visura catastale gratis e a pagamento: guida aggiornata dell’Agenzia Entrate

Grazie alle informazioni contenute nel sito web dell’Agenzia delle Entrate, l’interessato può agevolmente ottenere una visura catastale.

Visura catastale, gratis o a pagamento? Tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta nella vita di questo documento rilasciato dall’Agenzia delle Entrate, che include le informazioni registrate presso il catasto in rapporto a un immobile (terreno o fabbricato) localizzato nel nostro paese. I dati tipici di una visura catastale riguardano aspetti come la categoria catastale; la zona censuaria; la rendita e indicano anche elementi come le informazioni anagrafiche e il codice fiscale del proprietario o dei proprietari.

Ebbene, proprio in materia di visura catastale online e di relativa richiesta, i cittadini possono contare sui servizi ad hoc, predisposti da parte dell’Amministrazione finanziaria. Quest’ultima ha predisposto una guida specifica, con tutte le istruzioni per fare richiesta. Sono previsti sia servizi gratuiti a costo zero per l’interessato, sia servizi a pagamento, ottenibili con le modalità previste dall’AdE.

Visura catastale, cos’è

La visura catastale è il documento predisposto dall’AdE che consente la consultazione degli atti e dei documenti catastali e permette di acquisire i dati identificativi e reddituali di terreni e fabbricati, i dati anagrafici degli intestatari, la mappa catastale e tanto altro.

Come ottenere la visura catastale online

Tutti gli interessati debbono sapere che all’interno del sito web dell’Agenzia delle Entrate è incluso uno specifico servizio denominato ‘Consultazione personale online‘. Esso consente di ottenere la visura catastale in modo gratuito e limitatamente agli immobili di cui il richiedente la visura sia già titolare di diritti reali.

Nel dettaglio, grazie al citato servizio web ‘Consultazione personale online’, l’interessato e avente diritto può  conseguire:

  • la visura catastale attuale (con gli intestatari catastali) o la visura catastale storica (senza intestatari) per immobile che include i dati identificativi, di classamento, la superficie catastale, l’indirizzo, le cd. causali di aggiornamento e annotazione;
  • la planimetria dell’unità immobiliare urbana;
  • l’ispezione ipotecaria;
  • la visura della mappa con la rappresentazione della particella del catasto terreni.

Dette visure possono essere ottenute in esenzione dai tributi e in formato pdf.

Leggi anche: certificato di pensione 2022, ecco il modello ObisM online. Cos’è e come funziona

Come accedere al servizio dell’Agenzia delle Entrate

Nell’ottica della progressiva digitalizzazione dei servizi della Pubblica Amministrazione nei confronti dei cittadini, e dunque in una prospettiva di semplificazione dei rapporti, non deve sorprendere che si possa accedere al servizio – disponibile nell’area personale di Fisconline /Entratel – per il tramite di uno di questi strumenti:

  • le credenziali dell’Agenzia delle Entrate per effettuare il login a Entratel / Fisconline;
  • il Sistema Pubblico dell’Identità Digitale (SPID);
  • la Carta di Identità Elettronica (CIE);
  • la Carta Nazionale Servizi (CNS).

Visura catastale online: quali servizi offre l’AdE

Nell’ambito dei servizi di visura catastale, forniti dall’Agenzia delle Entrate, ve ne sono altri a pagamento, giacché si rivolgono a coloro che non sono titolari neanche in parte dell’immobile di riferimento.

Si tratta del servizio di ‘Visura catastale telematica‘, il quale permette l’accesso telematico alle banche dati catastali con versamento di una somma prestabilita. I documenti sono forniti in pdf e per visualizzarli non occorre effettuare la registrazione.

In particolare, sulla scorta di quanto riportato dall’Amministrazione finanziaria nel proprio sito web, l’interessato può richiedere i seguenti servizi visure:

  • attuali per soggetto, vale a dire circoscritte agli immobili sui quali il soggetto cercato sia all’attualità titolare di diritti reali (non è per il momento disposto il rilascio della visura per soggetto storica);
  • attuali o storiche, di un immobile (censito al Catasto dei Terreni o al Catasto dei Fabbricati), impostando la ricerca con gli identificativi catastali;
  • della mappa, di una particella censita al Catasto dei Terreni, impostando la ricerca con gli identificativi catastali.

Da notare che, dal punto di vista geografico, le ricerche in oggetto possono riguardare tutto il territorio nazionale, tranne le province autonome di Trento e Bolzano. I documenti sono forniti su file in formato pdf.

Leggi anche: nuovo sito ENEA, novità per invio dati online di ecobonus e bonus casa

Visura catastale telematica, quanto costa

Al fine di aver ben chiaro il quadro dei costi in gioco, non possiamo che fare riferimento a quanto indicato dall’Amministrazione finanziaria nel proprio sito web. Per ciascuna visura erogata il costo del servizio è quantificato, applicando la tariffa vigente diminuita del 10%, in quanto correlata a visure erogate per via telematica (tributi speciali catastali – pdf), e incrementata del 50%, trattandosi di visure fornite non su base convenzionale.

In particolare, nel caso di visura:

  • per soggetto, l’importo è di 1,35 euro per ogni 10 unità immobiliari, o frazione di 10;
  • attuale o storica, per immobile, l’importo è pari a 1,35 euro;
  • della mappa, l’importo è pari a 1,35 euro.

I costi sono comunque riportati in modo chiaro nel sito web dell’Agenzia, in cui peraltro all’interessato è segnalato che: “Il pagamento, contestuale alla richiesta del servizio, è effettuato attraverso il sistema pagoPA e le commissioni applicate sono variabili in base al Prestatore di Servizi di Pagamento (PSP) e allo strumento di pagamento scelto“.

Ribadiamo che al servizio di visura catastale telematica si accede senza obbligo di registrazione, semplicemente digitando il proprio codice fiscale.

Infine, l’Agenzia delle Entrate precisa che i documenti richiesti sono disponibili fino a sette giorni dal pagamento. Dopo questo tempo, all’interessato non sarà più possibile visualizzarli e prelevarli.

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Elenco spese detraibili 730 anno 2022: cosa scaricare dalle tasse

Elenco spese detraibili 730 anno 2022: cosa scaricare dalle tasse

Elenco aggiornato delle spese detraibili valide per il modello 730 2022 ordinario e precompilato. Cosa si può scaricare dalle tasse?

Quali sono le spese detraibili 730, cioè cosa si può scaricare dalle tasse? Il modello 730, la dichiarazione dei redditi per eccellenza, presenta numerosi vantaggi tra cui quello di non dover eseguire calcoli complessi e soprattutto di ottenere il rimborso delle tasse direttamente nella busta paga o nella rata di pensione. Una delle richieste più comuni relativamente ai redditi è appunto cosa si può scaricare dal 730 (tecnicamente cosa si può detrarre o dedurre).

Anche quest’anno l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione on line dal 23 maggio nella sezione ad hoc del sito, denominata “La tua dichiarazione precompilata” il modello precompilato così ribattezzato perché in esso sono già indicate una serie di informazioni e dati conosciuti al Fisco, per lo più le spese detraibili. A tal proposito è possibile leggere nostra guida aggiornata:  Scadenze 730 precompilato 2022. Vi ricordiamo comunque che per tutte le spese detraibili dal 730 bisogna avere e conservare la relativa documentazione per ogni ulteriore controllo del Fisco.

Ma ora andiamo a vedere nel dettaglio cosa si può scaricare nel 730 ovvero l’elenco completo delle spese detraibili, ma prima chiariamo qual è la differenza fra detrazione e deduzione fiscale.

Spese 730: differenza tra detrazione e deduzione fiscale

E’ nel Quadro E intitolato “Oneri e spese detraibili e oneri deducibili” che il contribuente può indicare quindi le spese che danno diritto a una detrazione d’imposta e quelle che possono essere sottratte dal reddito complessivo e che si chiamano deduzioni. Ma cos’è la detrazione e cosa la deduzione?

Alcune spese, come ad esempio quelle sostenute per l’istruzione o per gli interessi sul mutuo dell’abitazione, possono essere utilizzate per scontare l’imposta da pagare, ossia l’IRPEF. In tal caso si parla di detrazioni la cui misura varia a seconda del tipo di spesa e va dal 19% per le spese sanitarie ad esempio al 50 per cento per quelle di ristrutturazione edilizia.

Se dovesse verificarsi una situazione di incapienza invece, ossia quando l’imposta dovuta è inferiore alle detrazioni, la parte di detrazione che supera l’imposta non può essere rimborsata tranne che per le detrazioni sui canoni di locazione, per le quali invece in alcuni casi si può avere il rimborso.

La deduzione fiscale invece riguarda una serie di spese, come ad esempio le erogazioni liberali in favore degli enti non profit oppure i contributi previdenziali e assistenziali obbligatori e volontari che riducono il reddito complessivo su cui calcolare l’imposta dovuta.

Leggi anche: Detrazioni fiscali in 730: pagamenti tracciabili e limiti per i redditi più alti

Novità modello 730/2022

Fra le principali novità per il modello 730/2022 troviamo:

  • riduzione del cuneo fiscale del lavoratore dipendente: dall’anno d’imposta 2021 l’importo di trattamento integrativo e ulteriore detrazione è aumentato a 1.200 euro;
  • credito d’imposta prima casa under 36: fruizione in dichiarazione del credito d’imposta maturato dagli under 36 con ISEE non superiore a 40.000 euro per l’acquisto della prima casa assoggettato ad IVA;
  • Superbonus 110%: dall’anno d’imposta 2021, per le spese per l’abbattimento delle barriere architettoniche sostenute congiuntamente agli interventi sismabonus e ecobonus, è possibile fruire dell’aliquota maggiorata del 110%;
  • Colonnine di ricarica: previsti dei nuovi limiti di spesa per gli interventi di installazione delle colonnine di ricarica iniziati nel 2021;
  • Recupero del patrimonio edilizio: è possibile fruire della detrazione prevista per il recupero del patrimonio edilizio anche per le spese di sostituzione del gruppo elettrogeno di emergenza;
  • Bonus mobili: innalzato a 16.000 euro il limite massimo delle spese detraibili;
  • Spese veterinarie: innalzato a 550 euro il limite massimo delle spese veterinarie detraibili;
  • Spese per i conservatori: è possibile fruire della detrazione del 19% per le spese sostenute per l’iscrizione dei ragazzi ai conservatori, agli AFAM, a scuole di musica iscritte nei registri regionali nonché a cori, bande e scuole di musica riconosciuti da una PA (detrazione fino a 1000 euro per ragazzo, solo se il reddito complessivo non supera i 36.000 euro);
  • comparto sicurezza: è stato innalzato a 609,50 euro l’importo della detrazione spettante agli appartenenti al comparto sicurezza;
  • Depuratori: dichiarazione del credito d’imposta per i depuratori acqua e riduzione consumo di contenitori in plastica;
  • Locazioni brevi: dall’anno 2021 il regime delle locazioni brevi è applicabile solo ai contribuenti che destinano a locazione non più di 4 immobili.

Spese detraibili 730 anno 2022: elenco completo

Detto ciò ecco di seguito cosa si può scaricare dalle tasse, ovvero l’elenco delle spese da inserire nel modello 730 anno 2022 per cui si ha diritto alla detrazione o alla deduzione fiscale.

Spese per le quali spetta la detrazione del 19%

  • Spese sanitarie RIGO E1
  • le spese sanitarie per familiari non a carico affetti da patologie esenti RIGO E2
  • infine le spese sanitarie per persone con disabilità RIGO E3
  • Spese veicoli per persone con disabilità RIGO E4
  • Spese per l’acquisto di cani guida RIGO E5
  • Totale spese sanitarie per le quali è stata richiesta la rateizzazione nella precedente dichiarazione RIGO E6
  • Interessi per mutui ipotecari per acquisto abitazione principale RIGO E7

Rigo da E8 a E10

  • Interessi per mutui ipotecari per acquisto altri immobili; mutui contratti nel 1997 per recupero edilizio; mutui ipotecari per costruzione abitazione principale
  • Interessi per prestiti o mutui agrari
  • Spese per istruzione diverse da quelle universitarie
  • per istruzione universitaria
  • servizi funebri
  • Spese per addetti all’assistenza personale
  • Spese per attività sportive per ragazzi (palestre, piscine e altre strutture sportive)
  • per intermediazione immobiliare
  • per canoni di locazione sostenute da studenti universitari fuori sede
  • Erogazioni liberali a favore delle popolazioni colpite da calamità pubbliche o eventi straordinari
  • Erogazioni liberali alle società ed associazioni sportive dilettantistiche
  • Contributi associativi alle società di mutuo soccorso
  • Erogazioni liberali a favore della società di cultura Biennale di Venezia
  • Spese relative a beni soggetti a regime vincolistico
  • Erogazioni liberali per attività culturali ed artistiche
  • Erogazioni liberali a favore di enti operanti nello spettacolo
  • liberali a favore di fondazioni operanti nel settore musicale
  • Spese veterinarie
  • Spese sostenute per servizi di interpretariato dai soggetti riconosciuti sordi
  • Erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado
  • Spese relative ai contributi versati per il riscatto degli anni di laurea dei familiari a carico
  • Spese per asili nido
  • Erogazioni liberali al fondo per l’ammortamento di titoli di Stato
  • Premi per assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni
  • Premi per assicurazioni per tutela delle persone con disabilità grave
  • per assicurazioni per rischio di non autosufficienza
  • Spese sostenute per l’acquisto di abbonamenti ai servizi
  • Premi per assicurazioni per il rischio di eventi calamitosi
  • Spese per minori o maggiorenni con DSA
  • e infine le altre spese detraibili

Spese con detrazione del 26%

  • Erogazioni liberali a favore delle ONLUS
  • e inoltre le erogazioni liberali a favore dei partiti politici

Spese per le quali spetta la detrazione del 30 e del 35%

  • Erogazioni liberali in denaro o natura a favore delle ONLUS e APS al 30%
  • e inoltre le erogazioni liberali in denaro o natura a favore delle organizzazioni di volontariato (OV) al 35%.

Spese per le quali spetta la detrazione varia in base al Reddito

Infine vi sono le spese per le quali la detrazione varia in base al Reddito (Spese d’Istruzione, Spese Universitarie ecc.) Trovate tutto nelle istruzioni e nel modello 730 / 2022 di seguito allegati.

Modello 730/2022 + istruzioni di compilazione

Infine per informazioni più dettagliate vi rimandiamo alla lettura completa delle Istruzioni per la compilazione del 730/2022.

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Congedo matrimoniale, cos’è e come funziona: requisiti, durata e richiesta

Congedo matrimoniale, cos’è e come funziona: requisiti, durata e richiesta

Congedo matrimoniale, cos’è a chi spetta e come fare richiesta di ferie e assegno INPS per eventi a carico dell’Istituto che per i CCNL.

Il congedo matrimoniale è quel periodo di tempo (rientrante fra ferie e permessi) che la legge e i contratti collettivi prevedono per i lavoratori nel momento in cui contrae il matrimonio. Di norma, le ferie matrimoniali sono previste dalla legge con la possibilità per i contratti collettivi di prevedere condizioni di miglior favore, in particolare per quanto riguarda il limite massimo di assenze consentite. Il congedo per matrimonio è destinato quindi a riconoscere ore e giorni di assenza per i dipendenti che si sposano.

La disciplina della “licenza matrimoniale” risale al Contratto Collettivo Interconfederale del 31 maggio 1941 che prevede il trattamento a carico dell’INPS per le ore di assenza degli operai. Discorso diverso per gli impiegati, la cui regolamentazione è demandata ai contratti collettivi.

Vediamo nel dettaglio chi ha diritto al permesso o congedo matrimoniale INPS e come si fa richiesta.

Congedo matrimoniale: durata, inizio e decorrenza

Vediamo ora quant’è la durata del congedo matrimoniale. Di norma il permesso ha durata pari a 15 giorni e non può essere considerato ai fini della fruizione delle ferie, dei permessi ex festività o ROL ovvero per la decorrenza del periodo di preavviso. Va da sé inoltre che si potrà usare un solo congedo matrimoniale per ogni matrimonio (civile e religioso). A seguito delle modifiche introdotte con la Legge Cirinnà (Legge n. 76/2016) le disposizioni sul congedo si applicano anche per le unioni civili.

Congedo matrimoniale seconde nozze

Il congedo spetta in occasione del matrimonio a patto che abbia validità civile. Però si può fruire del congedo anche più volte nell’arco della vita lavorativa dell’interessato: è il caso ad esempio dei soggetti che si risposano (divorziati o vedovi). Si parla quindi di seconde nozze.

Congedo matrimoniale decorrenza

La normale decorrenza della licenza matrimoniale è il giorno del matrimonio stesso; quindi in caso si inizi prima si dovrà parlare di ferie prematrimoniali. In generale però in mancanza di specifiche disposizioni contrattuali, non è necessario che il congedo inizi dal giorno di celebrazione delle nozze, o che la celebrazione sia compresa nei 15 giorni. E’ sufficiente che non vi sia una distanza temporale eccessiva tra le nozze e il congedo. A volte, per esigenze lavorative, si può usare la licenza matrimoniale anche in un periodo diverso.

Congedo matrimoniale, quali differenze fra operai e impiegati

Il Contratto Collettivo Interconfederale del 31 maggio 1941 prevede per gli operai e agli apprendisti di aziende industriali, artigiane o cooperative l’erogazione delle ferie per matrimonio a carico dell’INPS a copertura di 8 giorni consecutivi di astensione dal lavoro, a patto che il rapporto di lavoro sussista da almeno una settimana. Il trattamento spetta se il dipendente fruisce del congedo entro 30 giorni dalla celebrazione del matrimonio

L’importo è pari a 7 quote giornaliere della normale retribuzione. Di norma i CCNL prevedono l’obbligo per l’azienda di integrare la quota INPS fino a raggiungere la retribuzione spettante all’operaio per i 15 giorni di durata del congedo. Durante il congedo maturano TFR, ferie e mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima se prevista).

Il trattamento INPS viene anticipato dall’azienda in busta paga e da questa poi recuperato sui contributi dovuti all’Istituto e pagati con modello F24.

Esempi ferie matrimoniali nei CCNL

Vediamo qui di seguito alcuni esempi per comprendere meglio come vengono regolati i congedi per matrimonio nei vari CCN

Congedo Matrimoniale Commercio

Il congedo matrimoniale nel contratto commercio è pari a 15 giorni di calendario per tutti i lavoratori (operai, impiegati, apprendisti, quadri, dirigenti) con decorrenza dal terzo giorno antecedente alla celebrazione del matrimonio.

Congedo Matrimoniale chimici

Il CCNL Chimici Farmaceutici – Industria che riconosce il diritto del dipendente alla normale retribuzione per 15 giorni consecutivi (escluse domeniche e giorni festivi).

Il trattamento retributivo spettante agli impiegati per i giorni di congedo è previsto dal CCNL di riferimento che di norma prevede la normale retribuzione per i periodi di assenza.

Congedo Matrimoniale nel Contratto Metalmeccanici Industria

Il congedo matrimoniale metalmeccanici, anche dette ferie matrimoniali, è disciplinato dall’articolo 3 sezione IV, Titolo VI, del Contratto Nazionale in questione. In caso di matrimonio spetta infatti alle lavoratrici e ai lavoratori (non in prova) del comparto un congedo specifico di 15 giorni consecutivi da richiedere, salvo casi eccezionali, almeno 6 giorni prima del suo inizio.

Congedo matrimoniale INPS: pagamento diretto

Spetta invece il pagamento diretto dell’INPS delle ferie matrimoniali ai lavoratori sospesi o disoccupati, al verificarsi delle seguenti condizioni:

  • Esistenza di un rapporto di lavoro di almeno 15 giorni nei 90 precedenti la data del matrimonio;
  • Dimissioni presentate per contrarre matrimonio;
  • Licenziamento per cessazione attività;
  • Assenze per giustificato motivo come malattia, sospensione dal lavoro o richiamo alle armi.

Il congedo a carico dell’INPS non si applica se il CCNL di riferimento prevede un trattamento di maggior favore per gli operai. Peraltro, il trattamento INPS non è cumulabile con le prestazioni maternità, malattia, Cassa Integrazione e NASPI. In questi casi spetta il congedo perché più favorevole al dipendente. Il congedo matrimoniale INPS va richiesto direttamente all’Istituto come vedremo in seguito.

Come fare richiesta

Ferie matrimonialiSono i contratti collettivi a stabilire le modalità di richiesta congedo matrimoniale e l’eventuale preavviso concesso all’azienda.

Ad esempio il CCNL Alimentari – Industria prevede che la richiesta di congedo debba essere avanzata almeno 6 giorni prima.

In assenza di previsioni contrattuali è sufficiente che il dipendente richieda il congedo con congruo anticipo presentando apposita richiesta scritta, con indicazione dei giorni di assenza.

La documentazione da presentare è disciplinata dal CCNL di riferimento. In mancanza, si ritiene opportuno consegnare il certificato di nozze, con indicazione della giornata in cui sono state celebrate ovvero dichiarazione sostitutiva.

Domanda di congedo matrimoniale all’INPS

Nei casi di pagamento diretto INPS per gli operai è necessario presentare modulo congedo matrimoniale INPS ovvero una domanda telematica sul portale dell’Istituto entro un anno dal matrimonio. In alternativa è disponibile il Contact center al 803.164 (rete fissa) o lo 06.164.164 da rete mobile. La domanda può essere inoltrata anche tramite patronati o intermediari dell’Istituto.

Al modulo di domanda dovranno essere allegati:

  • Dichiarazione sostitutiva comprovante lo status di disoccupato alla data del matrimonio;
  • Dichiarazione status di coniugato e gli estremi del matrimonio;
  • documentazione comprovante il rapporto di lavoro da operaio, di almeno 15 giorni nei 90 precedenti il matrimonio alle dipendenze di aziende industriali, artigiane e cooperative;
  • Copia dell’ultima busta paga.

licenza matrimonialeAl contrario, per chi ha un rapporto di lavoro in essere, il congedo INPS spetta se la domanda al datore viene presentata entro 60 giorni dal matrimonio. Alla richiesta si dovrà allegare il certificato di matrimonio o lo stato di famiglia con i dati essenziali delle nozze rilasciato dal comune ovvero, in alternativa, dichiarazione sostitutiva comprovante lo stato di coniugato e gli estremi del matrimonio.

Se il dipendente non è in grado di presentare i documenti richiesti nei termini, è possibile consegnare un certificato dell’autorità religiosa; ovvero una dichiarazione sostitutiva autenticata, purché in un secondo momento si consegni la documentazione richiesta.

Congedo matrimoniale in busta paga

Le ore di assenza di ferie per matrimonio dovranno essere evidenziate nel Libro unico del lavoro all’interno del calendario presenze; queste si devono indicare con un apposito giustificativo, tale da non confonderle con normali ferie, permessi o altre assenze.

Allo stesso modo vanno indicati gli importi riconosciuti a titolo di congedo (sia a carico INPS che a carico azienda).

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Spese veterinarie detraibili, limite a 550 euro nel modello 730 / 2022

Spese veterinarie detraibili, limite a 550 euro nel modello 730 / 2022

Spese veterinarie detraibili, quali sono e quanto si può scaricare dalle tasse? Nuovi limiti di spesa per le detrazioni nel 730 2022.

Spese veterinarie detraibili, il limite massimo di spesa da portare in detrazione è stato innalzato a 550. Ciò significa che a partire dal 2022, e relativamente alle spese sostenute dal 2021, si potranno scaricare dal 730 entro dei limiti più alti rispetto a quelli in precedenza in vigore. Infatti, il limite è stato portato a 550 euro, mentre nell’anno precedente era pari a 500 euro.

Le spese per la salute degli animali domestici possono essere molto costose, soprattutto in caso di operazioni e interventi. Ecco perchè chi ha la fortuna di avere un amico peloso in casa sa bene quanto recuperare parte di queste uscite sia importante per il bilancio familiare. Come anticipato in premessa nella dichiarazione dei redditi 2022 e quindi per le spese sostenute nel 2021, il limite di uscite da poter detrarre è stato innalzato, ma bisogna fare attenzione alle regole da seguire.

Ecco quali sono le spese veterinarie da portare in detrazione e in che modo devono essere indicate in dichiarazione dei redditi per poterle scaricare dalle tasse.

Spese veterinarie detraibili nel 730 / 2022

Il TUIR riconosce al contribuente la possibilità di scaricare dalle tasse le spese veterinarie sostenute nel corso dell’anno.

La detrazione spetta a colui che sostiene effettivamente la spesa anche se non è il proprietario dell’animale e in riferimento alle spese sostenute per la cura di animali legalmente detenuti a scopo di compagnia o per la pratica sportiva (Circolare 55/E del 2001 dell’Agenzia delle Entrate).

Dunque,  le spese pagate per l’acquisto di farmaci o per la visita dal veterinario ovvero per l’esecuzione di analisi specifiche o intervento chirurgici, possono essere portate in detrazione dalle tasse dovute nello stesso anno in cui le spese sono state pagate.

Leggi anche: Elenco spese detraibili 730 anno 2022: cosa scaricare dalle tasse

Quali sono le spese veterinarie detraibili

Tra le spese detraibili troviamo:

  • gli acquisiti di medicinali prescritti dal veterinario o che comunque abbiano uno scontrino che riporti il codice fiscale di chi sostiene la spesa e la natura del farmaco;
  • le prestazioni del veterinario;
  • analisi in laboratorio e gli interventi presso cliniche veterinarie;
  • farmaci venduti in strutture diverse dalle farmacie, ma autorizzate dal Ministero della Salute;
  • farmaci senza l’obbligo di prescrizione medica (es. medicinali antiparassitari).

Come indicare le spese veterinarie in dichiarazione dei redditi

In dichiarazione dei redditi, la detrazione delle spese veterinarie deve essere indicata nel quadro E nei righi da E8 a E10 (Quadro RP per il modello Redditi).

La detrazione è calcolata sulla parte che supera l’importo di 129,11 euro (detto franchigia) e il limite di spesa massimo di 550 euro.

Ad esempio, per spese veterinarie sostenute per un totale di 700 euro, andranno indicati in dichiarazione 550 euro e la detrazione del 19 per cento sarà calcolata su un importo di 421 euro ossia 550-129,11, arrotondato per eccesso.

Come vedremo in seguito, 550 euro rappresenta il nuovo limite di detrazione in essere dal periodo d’imposta 2021 in avanti, mentre il limite precedente era pari a 500 euro.

Devono essere comprese nell’importo anche le spese indicate nella CU 2021 (punti da 341 a 352) con il codice 29.

Leggi anche: Modello 730/2022: scadenza, novità e istruzioni

Detrazioni per spese veterinarie, nuovo limite massimo, ma con la vecchia franchigia

In base all’attuale formazione:

  • la detrazione, pari al 19% sulla parte di spesa eccedente i 129,11 euro e fino a 550 euro, spetta in misura piena per chi ha un reddito imponibile fino a 120.000 euro;
  • oltre questo importo, si riduce fino ad azzerarsi oltre il limite di 240.000 euro (art. 15 – comma 3-bis – del Dpr 917/1986).

La detrazione massima spettante è pari a euro 421,00 x 19 per cento = euro 80 euro.

Spese veterinarie detraibili solo con pagamenti tracciabili

Ricordiamo che dal 2020, la detrazione per le spese per animali domestici, così come previsto per le altre spese, spetta solo se pagata con strumenti tracciabili (carta di credito, bancomat, prepagata, ecc.).

Possono essere ancora pagate in contanti le spese sostenute per l’acquisto di farmaci veterinari o per le prestazioni del medico veterinario rese nell’ambito di strutture pubbliche o di strutture private accreditate al SSN.

Ricevute, scontrini e altri documenti di spesa devono essere conservati per eventuali controlli da parte del Fisco.

I chiarimenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate

Nel corso del tempo, l’Agenzia delle entrate ha fornito una serie di chiarimenti sulla detrazione delle spese veterinarie.

I più importanti chiarimenti possono essere di seguito riassunti:

  • la detrazione, non spetta per le spese sostenute per la cura di animali destinati all’allevamento, alla riproduzione o al consumo alimentare né
  • per la cura di animali di qualunque specie allevati o detenuti nell’esercizio di attività commerciali o agricole né in relazione ad animali utilizzati per attività illecite (decreto ministeriale 6 giugno 2001, n. 289).

La detrazione riguarda le spese sostenute per:

  • prestazioni professionali del medico veterinario (Circolare 16.11.2000 n. 207, risposta 1.5.3);
  • l’acquisto dei medicinali prescritti dal veterinario e definiti dall’art. 1 del decreto legislativo 6 aprile 2006, n. 193,
  • nonché per le spese per analisi di laboratorio e interventi presso cliniche veterinarie.

L’acquisto dei farmaci è agevolato anche senza che sia necessario conservare la prescrizione medica e anche se effettuato presso strutture diverse dalle farmacie ossia purché a ciò autorizzate dal Ministero della salute (come per la vendita di farmaci generici nei supermercati). In tali casi è sufficiente lo scontrino (ora documento commerciale) in cui siano riportate le apposite codifiche (natura e qualità di farmaco).

Sono agevolati anche gli acquisti effettuati on line, ma in Italia non è consentita la vendita on- line di farmaci che richiedono la prescrizione medica.

Ad ogni modo, la detrazione non riguarda l’acquisto del mangime o di integratori alimentari.

 

Modello 730/2022: scadenze, istruzioni e novità

Modello 730/2022: scadenze, istruzioni e novità

Modello 730/2022 l’agenzia delle entrate ha pubblicato modello e istruzioni di compilazione della dichiarazione dei redditi.

Modello 730/2022, l’Agenzia delle entrate ha pubblicato a inizio anno come di consueto il nuovo modello di dichiarazione dei redditi 730 anno 2022 con le relative istruzioni di compilazione. Le novità sulla dichiarazione dei redditi sono diverse e riguardano soprattutto bonus, detrazioni e agevolazioni fiscali riconosciute a lavoratori dipendenti e pensionati.

Per quanto riguarda le scadenze è confermato che il 730 dovrà essere inviato entro il prossimo 30 settembre 2022 (le altre scadenze sono disponibili di seguito).

Ma passiamo ora in rassegna le principali novità del 730 anno 2022.

Modello 730/2022 novità

Con apposito provvedimento pubblicato in data 14 gennaio, l’Agenzia delle entrate ha approvato il modello 730/2022. Insieme al modello, sono state pubblicate  anche le istruzioni di compilazione.

Il 730/2022 potrà essere inviato:

  • direttamente dal contribuente se si tratta di 730 precompilato oppure
  • tramite Caf, professionista abilitato o tramite il proprio sostituto d’imposta (se presta assistenza fiscale) sia se modello ordinario che precompilato.

Modello 730 – 2022, le novità su bonus, detrazioni e agevolazioni fiscali

Come da istruzioni di compilazione della dichiarazione dei redditi, le principali novità contenute nel modello 730/2022 sono le seguenti:

  • bonus Irpef (ex bonus Renzi): dall’anno d’imposta 2021 l’importo annuale del trattamento integrativo e dell’ulteriore detrazione è aumentato a 1.200 euro;
  • credito d’imposta prima casa: under 36, è possibile la fruizione in dichiarazione del credito d’imposta maturato dagli under 36 con ISEE non superiore a 40.000 euro per l’acquisto della prima casa assoggettato ad IVA;
  • superbonus 110: dall’anno d’imposta 2021, per le spese per l’abbattimento delle barriere architettoniche sostenute congiuntamente agli interventi sismabonus e ecobonus, è possibile fruire dell’aliquota maggiorata del 110%;
  • colonnine di ricarica veicoli elettrici: per gli interventi di installazione delle colonnine di ricarica iniziati nel 2021 sono previsti dei nuovi limiti di spesa;
  • recupero del patrimonio edilizio: è possibile fruire della detrazione del 50% prevista per il recupero del patrimonio edilizio anche per le spese di sostituzione del gruppo elettrogeno di emergenza esistente con generatori di emergenza a gas di ultima generazione;
  • bonus mobili: per il  2021 è innalzato a 16.000 euro il limite massimo delle spese per cui è possibile fruire della relativa detrazione.

Novità per le spese veterinarie e per i Conservatori

Inoltre, il modello recepisce le novità in materia di spese veterinarie e spese per la frequenza dei conservatori.

Nello specifico:

  • per le spese veterinarie detraibili è stato innalzato a 550 euro il limite massimo delle spese per cui è possibile fruire della relativa detrazione del 19%;
  • per i conservatori, è possibile fruire della detrazione del 19% per le spese sostenute per l’iscrizione dei ragazzi ai conservatori, agli AFAM, a scuole di musica iscritte nei registri regionali nonché a cori, bande e scuole di musica riconosciuti da una pubblica amministrazione, per lo studio e la pratica della musica.

Su tale ultimo punto, la detrazione è ammessa su una spesa max di 1.000 euro. Solo se il reddito complessivo non supera i 36.000 euro.

Un’ulteriore agevolazione presente nel 730/2022 è quella relativa al  credito d’imposta per i depuratori acqua e riduzione consumo di contenitori in plastica, c,d. bonus acqua potabile.

Modello 730/2022, quali sono le scadenze da ricordare

Il 730/2022 potrà essere inviato entro venerdì 30 settembre 2022.

Caf e professionisti abilitati dovranno rispettare le seguenti date per trasmettere le dichiarazioni 730 all’Agenzia delle entrate:

  • 15 giugno per le dichiarazioni presentate dal contribuente entro il 31 maggio;
  • 29 giugno per le dichiarazioni presentate dal contribuente dal 1° al 20 giugno;
  • 23 luglio  per quelle presentate dal contribuente dal 21 giugno al 15 luglio;
  • 15 settembre se presentate dal contribuente dal 16 luglio al 31 agosto;
  • 30 settembre di ciascun anno, per le dichiarazioni presentate dal contribuente dal 1° al 30 settembre.

Dunque, sono confermate le scadenze 2021. Caf e professionisti devono consegnare al contribuente, prima della trasmissione della dichiarazione: copia della dichiarazione dei redditi elaborata e il relativo prospetto di liquidazione.

Novità invece relativamente alle scadenze del 730 precompilato 2022.

Modello 730 / 2022 e istruzioni PDF

Alleghiamo infine il modello 730/2022 in formato PDF e le relative istruzioni.

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