Archivi giornalieri: 27 aprile 2022

Tassazione TFS, Anche per i dipendenti pubblici c’è la clausola di salvaguardia

Tassazione TFS, Anche per i dipendenti pubblici c’è la clausola di salvaguardia

Anche l’erogazione del trattamento di fine servizio per i dipendenti pubblici beneficia, al pari dei lavoratori in regime di TFR, della tassazione fiscale più favorevole perchè calcolata sulla base dei precedenti scaglioni Irpef.
Ancora oggi i lavoratori del pubblico impiego possono beneficiare della tassazione del TFS nella misura più favorevole prevista prima dell’introduzione dei nuovi scaglioni irpef in vigore dal 1° gennaio 2007. L’articolo 1, co. 9 della legge 296/2006 riconosce, infatti, anche nei confronti del personale del pubblico impiego in regime di TFS (cioè il personale a tempo indeterminato assunto entro il 31 dicembre 2000 ed il personale non contrattualizzato come i militari, la magistratura, i professori universitari) una clausola di salvaguardia consistente nella possibilità di mantenere in vigore il vecchio e più favorevole criterio di tassazione vigente al 31 dicembre 2006 anche con riferimento alla buonuscita maturata successivamente alla predetta data. Nonostante diversi tentativi maldestri di abrogarla la clausola di salvaguardia è riuscita a giungere sino ai giorni nostri.Come si intuisce la clausola consente di tassare il Tfs con le aliquote e gli scaglioni in vigore nel 2006 se più favorevoli rispetto a quelli in vigore nell’anno di maturazione del diritto alla percezione del Tfs stesso. La norma si traduce, pertanto, in un vantaggio fiscale per i redditi più bassi, perché fino al 31 dicembre 2006 i redditi fino a 26mila euro erano sottoposti ad un prelievo fiscale del 23 per cento. Dal 1° gennaio 2007, invece, il prelievo del 23% è stato mantenuto sui redditi fino a 15mila euro mentre su quelli superiori alla predetta cifra e sino a 28mila il prelievo è schizzato al 27 per cento.

Anche il raffronto con gli scaglioni successivi è diverso. Se sino al 2006 i redditi compresi tra 26mila euro e 33.500 euro pagavano un’aliquota fiscale del 33%, del 39% per la quota superiore a 33.500 e sino a 100 mila e del 41% per quella superiore a 100mila la normativa oggi in vigore prevede un’aliquota del 38% per la fascia di reddito superiore ai 28mila e sino a 55mila euro che passa al 41% per la quota che splafona i 55mila e sino a 75mila e del 43% per quella eccedente i 75mila euro.

In definitiva la clausola consente un risparmio fiscale praticamente per tutti i dipendenti pubblici in regime di TFS in proporzione però superiore per i redditi che si collocano tra i 15 e i 26 mila euro annui. L’agevolazione è stimolata anche dal fatto che il regime del TFS prevede una serie di abbattimenti e riduzioni dell’imponibile fiscale che tengono il reddito di riferimento, cioè quel reddito “virtuale” sul quale si applica la tassazione per scaglioni, spesso su importi inferiori a 26mila euro. Si comprende, pertanto, come per molti dipendenti pubblici la norma consente un risparmio anche di migliaia di euro rispetto ad una tassazione con le aliquote vigenti.

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Cassa Geometri dice addio alla pensione di anzianita’
cassa-geometri-dice-addio-alla-pensione-di-anzianitaLa Cassa Geometri dice addio alla pensione di anzianita’. Con l’approvazione, il 14 aprile, da parte dei ministeri vigilanti (Lavoro ed Economia) della delibera del 24 novembre scorso del Comitato dei Delegati dell’Ente dal 1° gennaio 2022 la prestazione non sarà riconosciuta (spettava al compimento di 60 anni di età e 40 anni di contribuzione). Al suo posto la possibilità di anticipare la decorrenza della pensione di vecchiaia (rispetto all’età anagrafica di 67 anni) accettando una decurtazione delle quote retributive della pensione. Lo rende noto la Cassa Geometri in un comunicato stampa.   

In base alle nuove previsioni, a far data dal 1° gennaio 2022, l’iscritto, anziché richiedere il trattamento di anzianità non più previsto dall’ordinamento della Cassa, può accedere al trattamento pensionistico di cui all’art. 34, c. 6, del Regolamento per l’attuazione delle attività di previdenza ed assistenza a favore degli iscritti e dei loro familiari (c.d. pensione di vecchiaia anticipata), a partire dal compimento dei 60 anni e con almeno 40 anni di regolare contribuzione, seppure con una riduzione della quota calcolata con il sistema reddituale (cioè sulle anzianità maturate presso la Cassa sino al 2009).  Detta riduzione è pari all’1% per ogni mese di anticipo rispetto al requisito anagrafico di 67 anni di età e, in ogni caso, non inferiore al 12%.

La norma prevede che in ogni caso l’importo della pensione così determinato non possa essere inferiore a quello risultante dall’applicazione del calcolo contributivo e comunque l’accesso al trattamento è consentito a condizione che la pensione non risulti essere inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale di cui all’art. 3, c. 6, della legge n. 335/1995 (cioè circa 700€ lordi mensili).

Secondo il Comitato dei Delegati che ha dato impulso alla delibera la Riforma consentirà di eliminare un «privilegio» per i vecchi iscritti aiutando l’equità generazionale e, soprattutto, i conti dell’Ente. A regime, infatti, si stima un risparmio di circa un miliardo di euro.


L’Assegno Unico dimentica gli italiani all’estero
l-assegno-unico-dimentica-gli-italiani-all-esteroL’Assegno sarà anche Unico, ma è controverso che sia effettivamente Universale. A questa conclusione si può facilmente giungere dopo la svista del Legislatore che impedisce l’erogazione del beneficio economico ai cittadini italiani residenti all’estero, rientrando tra i requisiti necessari al suo ottenimento il vincolo della residenza e del domicilio in Italia. Cittadini che peraltro non possono più usufruire nemmeno del precedente, ANF, l’Assegno al nucleo familiare o delle detrazioni per figli a carico.

A mettere in luce questa contraddizione dell’Assegno Unico e Universale è stato un Ordine del Giorno (9/03522/068) presentato alla Camera dalla deputata Angela Schirò lo scorso 23 marzo in cui denuncia che «sono attualmente migliaia i cittadini italiani residenti all’estero aventi diritto – in virtù di norme nazionali e anche di accordi internazionali – alle detrazioni per figli a carico e/o all’Anf per figli i quali però a partire dal 1° marzo 2022 hanno perso improvvisamente il diritto a tali agevolazioni fiscali, e i quali inoltre a causa della residenza all’estero non potranno tuttavia – in compensazione – avere diritto all’Assegno unico».

AUU sempre più deludente: non vale per gli italiani all’estero

L’AUU negli ultimi tempi sta riservando più di una delusioneai cittadini italiani nel confronto con il precedente ANF: ora si aggiunge anche l’evidenza che dato il requisito della residenza e del domicilio sul territorio nazionale la misura non può estendersi a chi risiede all’estero, ancorché sia iscritto all’AIRE, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero.

Una conferma indiretta arriva anche dalla Circ. Inps 23/2022 che affrontando il tema al punto 3.3 riporta: «La valutazione in merito alla eventuale applicabilità alla nuova misura di accordi bilaterali e multilaterali stipulati dall’Italia in tema di sicurezza sociale, nonché delle regole dettate dal regolamento (CE) n. 883/2004 sono attualmente oggetto di un approfondimento specifico e, pertanto, la disciplina del nuovo assegno unico e universale al momento trova applicazione limitatamente ai richiedenti residenti in Italia per i figli che fanno parte del nucleo ISEE».

Tuttavia, sinora non si registra alcun passo avanti e la questione, pertanto, è giunta in Parlamento. Nell’OdG si richiede al Governo di programmare interventi legislativi per introdurre strumenti di salvaguardia in favore in particolare del personale a contratto delle ambasciate e dei consolati.

AUU e italiani all’estero, a chi servirebbe?

Gli italiani all’estero che godevano fino al 1° marzo di quest’anno dell’Assegno al nucleo familiare e delle detrazioni per i figli a carico sono migliaia, individuabili tra il personale dipendente di consolati e ambasciate sopra citato e di enti pubblici, i militari all’estero, il personale docente e non docente in servizio presso le istituzioni culturali, i dipendenti di aziende private operanti al di fuori dei confini nazionali con rapporti di lavoro disciplinati dalla legge italiana, lavoratori autonomi che pagano le tasse in Italia, pensionati temporaneamente o permanentemente all’estero.

Tutte persone danneggiate dal vincolo di residenza e domicilio per l’erogazione dell’AUU. Svista che peraltro diviene ancor meno comprensibile dato che nell’OdG presentato alla Camera si ricorda come la Commissione Affari Sociali di Montecitorio avesse suggerito al Governo di modificare il Dlgs n. 230/2021 che ha istituito l’AUU per salvaguardare la posizione fiscale previdenziale dei cittadini italiani residenti all’estero.


Pensioni, Niente sanzioni per l’avvocato che non si è iscritto all’Inps
pensioni-niente-sanzioni-per-l-avvocato-che-non-si-e-iscritto-all-inpsAvvocati salvi dalle sanzioni civili per il mancato versamento dei contributi presso la gestione separata dell’Inps per i periodi temporali anteriori al 2011. Nei loro confronti va, infatti, tutelato il principio del «legittimo affidamento» circa l’insussistenza dell’obbligo di contribuzione avvalorato dall’orientamento della giurisprudenza dell’epoca poi ribaltato con la norma di interpretazione autentica contenuta nell’articolo 18, co. 2 del dl n. 98/2011.

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 104/2022 depositata ieri.

La questione

Riguarda i professionisti la cui attività risulta regolata dall’iscrizione ad albi e/o collegi e che, per il possesso di un reddito professionale inferiore ad una certa soglia o per lo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata, sono esentati dall’iscrizione alla relativa cassa di previdenza obbligatoria (e quindi non tenuti al versamento del relativo contributivo soggettivo destinato al finanziamento delle tutele IVS). In questa situazione si trovavano, in particolare, gli avvocati con redditi «sotto soglia» sino alla riforma della cassa forense del 2012 che, come noto, ha collegato l’iscrizione alla Cassa all’iscrizione all’albo professionale.

In mancanza dell’iscrizione alla Cassa l’Inps aveva chiesto l’assolvimento degli obblighi IVS presso la gestione dei lavoratori parasubordinati di cui all’articolo 2, co. 26 della legge n. 335/1995 sulla base della considerazione che l’obiettivo di tale gestione era garantire una copertura previdenziale anche «nell’area non coperta dal regime della cassa categoriale allorché vi sia l’esercizio dell’attività professionale con carattere di abitualità».

La giurisprudenza di legittimità aveva sconfessato però la posizione dell’INPS indicando che l’obbligo di iscrizione alla gestione separata non avrebbe trovato applicazione nel caso di attività professionale forense, sussistendo già una specifica cassa di previdenza con una relativa regolamentazione speciale. Contro questo orientamento il legislatore è corso ai ripari con norma di interpretazione autentica contenuta nell’articolo 18, co. 2 del dl n. 98/2011, quindi con portata retroattiva.

La disposizione da ultimo richiamata ha riaffermato l’iscrivibilità alla gestione dei parasubordinati anche dei soggetti che svolgono attività il cui esercizio sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali e che, per determinate ragioni, non siano tenuti al versamento dei contributi soggettivi presso la rispettiva cassa categoriale. Avvalorando, pertanto, la posizione originaria dell’Inps e ribaltando, quindi, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità precedente.

La decisione

Nella lunghissima disamina che ripercorre l’intera disciplina previdenziale, la Corte sostiene che l’interpretazione estensiva della norma non fa altro che assecondare la progressiva eliminazione delle lacune rappresentate da residui vuoti di copertura assicurativa.

L’obbligo di iscrizione alla gestione separata da parte dei professionisti non tenuti all’adesione alla Cassa, pertanto, non introduce elementi di irrazionalità, incoerenza e illogicità nel sistema giuridico previdenziale ma, al contrario, assume una «funzione di chiusura del sistema ponendosi in posizione di complementarietà (e non di alternatività) rispetto alla disciplina della cassa previdenziale professionale e senza incidere sulla graduazione degli obblighi previdenziali del professionista». In tal senso, pertanto, la gestione separata ha una funzione elastica, complementare, in dipendenza della concreta potestà regolamentare delle casse professionali.

Non c’è omissione contributiva

La Consulta ritiene invece fondata, seppur parzialmente, la questione sulla portata retroattiva della norma di interpretazione autentica. Questo perché, nel formulare l’art. 18, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, il Legislatore avrebbe dovuto considerare la copiosa giurisprudenza di legittimità precedente che, come detto, dava ragione ai professionisti e non all’INPS, un orientamento giurisprudenziale che ha, di fatto, generato un legittimo affidamento. «Nell’esercizio della legittima funzione di interpretazione autentica, spiega la Corte, il legislatore era sì libero di scegliere, tra le plausibili varianti di senso della disposizione interpretata, anche quella disattesa dalla giurisprudenza di legittimità dell’epoca; ma avrebbe dovuto farsi carico, al contempo, di tutelare l’affidamento che ormai era maturato in costanza di tale giurisprudenza».

Per far ciò il legislatore avrebbe dovuto prevedere l’esonero dalle sanzioni civili per la mancata iscrizione alla Gestione separata INPS relativamente al periodo precedente l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica (cioè prima del 2011). «In tal modo – conclude la Corte – è soddisfatta l’esigenza di tutela dell’affidamento scusabile, ossia con l’esclusione della possibilità per l’ente previdenziale di pretendere dai professionisti interessati, oltre all’adempimento dell’obbligo di iscriversi alla Gestione separata e di versare i relativi contributi, anche il pagamento delle sanzioni civili dovute per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo intercorrente tra l’entrata in vigore della norma interpretata e quella della norma interpretativa».

Pertanto la Corte ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui all’art. 22 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione dei parasubordinati costituita presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore».


 

TFR netto: calcolo e tassazione separata

TFR netto: calcolo e tassazione separata

TFR netto: calcolo e modalità di tassazione separata, come fare? Facciamo il punto sulle istruzioni da seguire per calcolare il trattamento di fine servizio partendo dal lordo.

2 febbraio 2022TFR netto: calcolo e tassazione separata
 

Per il calcolo del TFR netto è importante conoscere le regole relative alla tassazione separata.

Di seguito ci soffermeremo sulle istruzioni per calcolare il TFR a partire dall’importo lordo, ossia per determinare la quota del trattamento di fine servizio che verrà erogata dopo l’applicazione delle imposte dovute.

Il calcolo del TFR netto viene effettuato dall’Agenzia delle Entrate, considerando che le regole e la procedura per l’applicazione della tassazione separata sono di gran lunga differenti rispetto alle modalità ordinarie di determinazione dell’IRPEF.

Per il calcolo dell’importo netto del trattamento di fine rapporto (TFR o buona uscita) bisogna far riferimento alle regole previste dall’articolo 17 del TUIR e dall’articolo 2120 del Codice Civile.

 

Di seguito vedremo come calcolare il TFR netto che, così come anticipato e secondo il principio dell’equità dell’imposizione fiscale, è sottoposto a tassazione separata calcolata dall’Agenzia delle Entrate.

Pertanto, sarà necessario non solo prendere come riferimento l’importo del trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore ma anche le aliquote IRPEF degli anni di riferimento.

Vediamo di seguito come effettuare il calcolo del TFR netto in pratica, con un esempio numerico partendo dall’importo lordo e quali sono le regole per la tassazione separata e l’aliquota applicata alla liquidazione o buona uscita.

TFR netto: calcolo e tassazione separata

Nel caso in cui il lavoratore avesse scelto di lasciare il TFR in azienda, alla fine del rapporto di lavoro verrà erogata la cosiddetta buona uscita o liquidazione che, come abbiamo accennato in precedenza, non verrà tassata secondo le ordinarie aliquote IRPEF ma con una tassazione separata.

Per calcolare il TFR netto partendo dal lordo bisogna avere innanzitutto a disposizione i seguenti elementi:

  • numero di anni e frazioni di anni di anzianità di servizio;
  • aliquote IRPEF relative agli anni oggetto di calcolo.

In base alle regole previste per la tassazione separata del TFR, il calcolo del netto partendo dall’importo lordo potrebbe determinare un’imposta IRPEF inferiore a quanto invece risulterebbe applicando l’aliquota ordinaria relativa al momento dell’incasso del TFR stesso.

L’aliquota applicata ai fini del calcolo del TFR netto è ricalcolata dall’Agenzia delle Entrate prendendo a riferimento l’aliquota IRPEF media degli ultimi 5 anni di attività lavorativa e qualora l’ammontare dell’imposta applicata alla buona uscita fosse superiore a quanto già versato sarà obbligatorio versare la differenza.

Ecco alcune informazioni utili ed alcuni esempi numerici per capire come calcolare l’aliquota da applicare e determinare l’importo del trattamento di fine rapporto (TFR) netto che sarà erogato al lavoratore.

TFR netto: calcolo ed istruzioni

Riferimento normativo utile al fine del calcolo del TFR è l’art. 2120 del Codice Civile, il lettore potrà leggere alla fine dell’articolo.

Per il calcolo del TFR lordo è bene ricordare che la somma accantonata annualmente dal lavoratore è soggetta a rivalutazione su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.

Sulla base dell’importo del TFR lordo sarà il datore di lavoro a dover effettuare il calcolo necessario per determinare l’importo del TFR netto.

A tale fine, il sostituto d’imposta, ovvero il datore di lavoro, dovrà seguire i seguenti passaggi:

  • determinare la base imponibile come somma dei TFR accantonati nel corso degli anni e rivalutati;
  • determinare il reddito di riferimento;
  • determinare l’aliquota media di tassazione;
  • calcolare l’imposta IRPEF.

Non è finita qui: l’Agenzia delle Entrate ricalcolerà l’imposta con riferimento all’aliquota media risultante dalle dichiarazioni fiscali degli ultimi 5 anni.

TFR netto: calcolo e tassazione separata, ecco un esempio

Per cercare di chiarire la procedura necessaria a calcolare il TFR netto è bene mettere in pratica le indicazioni che abbiamo fornito.

Il primo passaggio necessario per il calcolo del TFR netto è ricavare la base imponibile, ovvero calcolare l’importo di riferimento al fine dell’applicazione dell’aliquota di tassazione separata.

Per il calcolo del TFR netto è necessario moltiplicare il lordo per 12 (parametro fisso) e suddividerlo per il totale degli anni di lavoro, ovvero:

“40.000 euro (TFR lordo) * 12/30 (anni di servizio) = 16.000 euro (TFR netto)”

A questo punto bisogna calcolare l’aliquota IRPEF prevista dalla tassazione ordinaria per aliquote e scaglioni.

L’aliquota IRPEF di 16.000 euro ai fini del calcolo della tassazione separata dovrà essere calcolata con riferimento alle aliquote che si sono succedute negli anni di lavoro.

Se, in questo caso, l’aliquota IRPEF media è pari al 27 per cento, bisognerà procedere come di seguito

“16.000 euro *27 per cento = 4.320 euro”

Per passare dal TFR lordo al TFR netto si dovrà sottrarre dal primo l’IRPEF calcolata, ovvero:

“40.000 euro – 4.320 euro = 35.680 euro”

A questo punto sarà anche possibile determinare l’aliquota media della tassazione separata applicata al nostro TFR, procedendo nel seguente modo:

“4.320/40.000*100 = 10,80 per cento”

L’ultima procedura, che non coinvolge direttamente il datore di lavoro ma che è effettuata dall’Agenzia delle Entrate, prevede il ricalcolo dell’imposta prendendo a riferimento le aliquote medie e i redditi delle dichiarazioni fiscali degli ultimi 5 anni.

Nel caso in cui l’imposta dovuta sarà superiore bisognerà corrispondere il saldo (che verrà comunicato da apposita lettera inviata al lavoratore dall’Agenzia delle Entrate).

TFR netto: articolo 2120 del Codice Civile

La modalità di calcolo del TFR netto è disciplinata dal Codice Civile. L’articolo 2120 dispone infatti che:

In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.

Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.

In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell’anno per una delle cause di cui all’art. 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.

Il trattamento di cui al precedente primo comma, con esclusione della quota maturata nell’anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.

Ai fini della applicazione del tasso di rivalutazione di cui al comma precedente per frazioni di anno, l’incremento dell’indice ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell’anno precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.

Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta.

Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10 per cento degli aventi titolo, di cui al precedente comma, e comunque del 4 per cento del numero totale dei dipendenti.

La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:

a) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;

b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile.

L’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti dal trattamento di fine rapporto.

Nell’ipotesi di cui all’articolo 2122 la stessa anticipazione è detratta dall’indennità prevista dalla norma medesima.

Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali. I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l’accoglimento delle richieste di anticipazione”.

 

pzione donna, con la reversibilità conviene

Opzione donna, con la reversibilità conviene

Opzione donna, per chi riceve la pensione di reversibilità potrebbe rivelarsi più conveniente di Quota 100 o della pensione di vecchiaia. Un esempio per dimostrare la validità anche economica di questa uscita anticipata (fino a 9 anni). Si accorciano anche i tempi per ricevere il trattamento di fine servizio.

Opzione donna, con la reversibilità conviene: chi riceve il trattamento ai superstiti potrebbe mantenere l’importo pieno. (scopri le ultime notizie e poi leggi su Telegram tutte le news sulle pensioni e sulla previdenza. Ricevi ogni giorno sul cellulare gli ultimi aggiornamenti su bonus, lavoro e finanza personale: entra nel gruppo WhatsApp, nel gruppo Telegram e nel gruppo Facebook. Scrivi su Instagram tutte le tue domande. Guarda le video guide gratuite sui bonus sul canale Youtube. Per continuare a leggere l’articolo da telefonino tocca su «Continua a leggere» dopo l’immagine di seguito).

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Non è una questione da poco per le lavoratrici che si trovano in questa condizione, perché fornisce ulteriori motivazioni a considerare questa uscita anticipata dal lavoro. Infatti uno dei limiti di questo trattamento pensionistico anticipato è nell’importo, che viene calcolato interamente con il sistema contributivo. Sistema che comporta la riduzione, rispetto ad esempio a Quota 100, del 25, 30% sull’assegno.

La perdita sarà ovviamente maggiore per le lavoratrici che hanno un bel po’ di contributi versati entro il 31 dicembre del 1995, che sono calcolati con il più conveniente sistema retributivo.

Pensione anticipata Opzione donna: si può lavorare ancora?

Opzione donna: come funziona

Ma come vedremo quando si percepisce la pensione ai superstitiOpzione donna può invece rivelarsi una scelta molto più saggia. Non solo consente di uscire prima dal lavoro (fino a 9 anni di anticipo), ma potrebbe anche non perderci un euro.

Riportiamo un esempio citato su PensioniOggi. Una donna che opera nel settore pubblico e riceve anche la pensione di reversibilità da quando è scomparso il coniuge.

requisiti per andare in pensione con Opzione donna sono questi:

  • 58 anni di età (59 se lavoratrice autonoma);
  • 35 anni di contributi.

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Un taglio conveniente

Se la dipendente in questione andasse in pensione con Opzione donna subirebbe un taglio dell’importo notevole rispetto a Quota 100 o Quota 102. Invece di 25mila euro l’anno ne percepirebbe 20.000. Molto, un quinto della somma complessiva.

Ma se riceve nel frattempo anche la pensione di reversibilità questo taglio potrebbe rivelarsi vantaggioso. Il motivo? Ve lo spieghiamo.

La donna riceve la pensione di reversibilità ridotta del 25% per la presenza di altri redditi.

Vi ricordiamo brevemente come funziona la pensione di reversibilità e quali sono i tagli disposti dall’Inps in funzione del reddito:

  • taglio del 25% se chi la riceve ha redditi (esclusa la reversibilità) superiori tre volte il trattamento minimo (6.809,79 x 3);
  • taglio del 40% se chi la riceve ha redditi (esclusa la reversibilità) superiori quattro volte il trattamento minimo (6.809,79 x 4);
  • taglio del 50% se chi la riceve ha redditi (esclusa la reversibilità) superiori cinque volte il trattamento minimo (6.809 x 5).

Pensione anticipata Opzione donna, via alle domande

Reversibilità intatta

È dunque chiaro che se la donna del nostro esempio percepisse una pensione più elevata avrebbe una riduzione più consistente della reversibilità. Se invece con Opzione donne ricevesse un importo pensionistico intorno a 20.000 euro l’anno potrebbe continuare a cumulare senza ulteriori riduzioni anche l’assegno di reversibilità.

Pensione anticipata Opzione donna, quando conviene

In questo modo sarebbe compensata la perdita dovuta al calcolo contributivo (che è la caratteristica di Opzione donna) e potrebbe comunque accedere in anticipo all’uscita dal lavoro.

Certo bisogna effettuare dei calcoli preventivi prima di prendere una decisione, ma in linea di massima la soluzione potrebbe avere dei vantaggi in gran parte dei casi.

Trattamento di fine servizio

C’è infine un altro aspetto che potrebbe spingere, chi rientra in questo esempio, a scegliere l’Opzione donna, in particolare per chi ha un impiego pubblico. Con quota 100 (o quota 102) per ottenere il trattamento di fine servizio l’attesa potrebbe raggiungere anche i sei anni. Con Opzione donna quei tempi si riducono in modo sostanzioso: 24 mesi più 90 giorni dalle dimissioni dal servizio. Tempi ridotti di più della metà. E anche questo non è poco.

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Pensione di reversibilità: cos’è, a chi spetta, calcolo, importo, requisiti e novità

Pensione di reversibilità: cos’è, a chi spetta, calcolo, importo, requisiti e novità

La pensione ai superstiti è un assegno riconosciuto a favore di coniuge (anche separato) o figli di un lavoratore o pensionato Inps deceduto.

Pensione di reversibilità: si tratta di un importante trattamento pensionistico previsto per i familiari superstiti in caso di morte del pensionato iscritto ad una delle gestioni assicurative dell’Inps. E’ un diritto alla pensione previsto per legge nel caso in cui si verifichino alcune precise condizioni di legge come età o reddito.

Questo assegno mensile ai superstiti spetta al coniuge anche in caso di separazione o divorzio. Per i figli, invece, bisogna verificare l’età, la frequenza di una scuola o di una università (con diritto alla pensione fino ai 21 o ai 26 anni) e dell’assenza di un lavoro.

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Aggiornamento: per la Corte Costituzionale per la pensione di reversibilità ai figli non vi può essere differenziazione fra i figli nati all’interno del matrimonio e i figli nati al di fuori del matrimonio. Testo della sentenza reperibile nel successivo paragrafo “A chi spetta la pensione ai superstiti”.

Ecco una guida completa e aggiornata su cos’è e come funziona, al calcolo, agli importi riconosciuti e i requisiti per ottenerla. Con calcolatore pensione reversibilità a fondo pagina.

Pensione di reversibilità: cos’è

Due sono le principali condizioni che maturano il diritto alla pensione ai superstiti indiretta o di reversibilità. Sul sito ufficiale dell’Inps, sono presenti le principali casistiche riferite alle due categorie ora citate, ossia:

  • Pensione reversibilità. E’ dovuta nel caso in cui il titolare di diritto deceduto, percepiva una pensione diretta o è in corso la sua liquidazione. In questo caso, il diritto alla pensione passa ai superstiti.
  • Pensione indiretta. E’ dovuta nel caso in cui il titolare di diritto deceduto, aveva maturato almeno 15 anni di assicurazione e di contribuzione o almeno cinque anni di assicurazione e contribuzione al periodo precedente al decesso.

La pensione ai superstiti in uno dei due casi citati, decorre dal primo giorno del mese successivo al decesso del pensionato e prevede il calcolo di aliquote di reversibilità ai parenti secondo tre casistiche. Nel caso in cui il coniuge non ha figli, tale aliquota è del 60%, mentre nel caso in cui sia presente un figlio, l’aliquota passa all’80%. Le aliquote di reversibilità della pensione ai superstiti, sono riconosciute al 100%, invece, nel caso in cui il coniuge abbia due o più figli.

 Leggi tutte le nostre guide nella rubrica ABC Pensioni

A chi spetta la pensione ai superstiti

La pensione di reversibilità, spetta principalmente al coniuge e ai figli ed equiparati, che alla data della morte del pensionato o dell’assicurato alla gestione Inps, non siano diventati maggiorenni. Per questi ultimi, infatti, il requisito anagrafico, è essenziale per poter accedere a tale prestazione. E’ poi necessario, che rientrino in una di queste categorie:

  • Per i figli adottivi e affiliati, riconosciuti o giudizialmente dichiarati del lavoratore deceduto.
  • Nel caso di figli non riconosciuti e per i quali era in atto un mantenimento da parte del lavoratore deceduto.
  • Sui figli non riconosciuti dal deceduto ma che in fase di successione hanno ottenuto il diritto all’assegno vitalizio.
  • Per i figli nati dal precedente matrimonio o riconosciuti dal coniuge del deceduto.

Ammessi nella categoria dei figli ed equiparati del lavoratore deceduto, anche i minori regolarmente affidati dagli organi di legge, i nipoti minori eventualmente a carico e i figli postumi se nati entro il 13° giorno dalla data del decesso.

Le pensioni reversibilità figli, possono essere riconosciute anche nei confronti di coloro che superano la maggiore età, laddove si tratta di studenti. In questi casi, è da verificare l’assenza di un lavoro retribuito e nell’essere a carico del genitore al momento del suo decesso.

In particolare, il limite di età passa dai 18 anni ai 21 anni, nel caso in cui lo studente frequenti una scuola media o professionale. Dai 18 anni ai 26 anni, invece, nel caso in cui lo studente frequenti l’Università. Nessun limite di età per il riconoscimento al diritto alla pensione, per i figli inabili al lavoro e a carico del genitore deceduto.

Pensione di reversibilità anche al figlio nato al di fuori del matrimonio

La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 100 pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 20 aprile 2022 ha rilevato che il trattamento di reversibilità che spetta al figlio minorenne nato fuori dal matrimonio non può essere diverso da quello che spetta al figlio orfano dei genitori.

Pensione reversibilità, quanto spetta: calcolo e importi aggiornati

Pensione di reversibilità coniugeL’ammontare dell’assegno di pensione può essere più o meno alto in base ad alcuni fattori legati agli anni di lavoro e al tipo di lavoro svolto dal defunto, ma anche in base al reddito del beneficiario. Ovviamente per quanto riguarda gli anni di lavoro e la lavorazione svolta questa influisce sull’assegno in quanto varierà anche l’ammontare dei contributi versati. Quindi più questo montante è alto e più alto sarà l’assegno spettante.

Altro fattore comunque che influisce sull’importo è il reddito del superstite. Inoltre bisogna precisare che la pensione di reversibilità viene riconosciuta immediatamente nel caso in cu il soggetto defunto è già pensionato, mentre è diverso il discorso quando il coniuge defunto è ancora in età lavorativa. In quest’ultimo caso si parla di pensione di reversibilità indiretta e il lavoratore defunto deve aver maturato almeno uno dei seguenti requisiti:

  1. almeno 15 anni di contribuzione già versati, ovvero 780 contributi settimanali nel caso di lavoratore autonomo;
  2. 5 anni di contribuzione e assicurazione o 260 contributi settimanali per i liberi professionisti. Gli ultimi tre anni di contributi devono essere stati versati nei cinque anni di lavoro prima della morte.

Pensione reversibilità coniuge separato o divorziato

Pensione reversibilità coniuge: la pensione di reversibilità al coniuge spetta nel caso in cui si presentino specifiche condizioni di legge. In particolare, maturano il diritto alla pensione di reversibilità il coniuge, anche se separato legalmente o divorziato e titolare di un assegno periodico divorzile. Bisogna verificare, tuttavia, che non siano state stipulate delle nuove nozze, poiché in tali casi, il coniuge perde il diritto alla pensione ai superstiti.

A seguito della recente entrata in vigore della Legge Cirinnà Legge 76/2016, concorre alla pensione di reversibilità al coniuge, anche un componente superstite di una unione civile.

Come fare domanda di pensione ai superstiti

La reversibilità della pensione, in presenza dei requisiti di legge, può essere richiesta dai superstiti mediante la presentazione di una domanda online. In merito, l’Inps ha predisposto un servizio dedicato da cui poter accedere collegandosi al sito ufficiale dell’Ente previdenziale alla sezione Prestazione e servizi. Per la corretta presentazione della domanda, occorrerà essere muniti anche di Pin personale e indicare un codice fiscale, laddove si tratta di accesso diretto.

E’ infatti possibile, anche rivolgersi a enti di patronato o intermediari per la presentazione telematica della domanda.  Attivo, anche un contact center gratuito in alternativa al servizio online dell’Inps per esercitare il proprio diritto alla pensione.

Sul sito ufficiale dell’Inps, inoltre, sono presenti delle sezioni informative su cosa sono le pensioni reversibilità, a chi spetta e in che misura, oltre che l’accesso diretto alla procedura telematica per una corretta presentazione della domanda.

Leggi anche: Calcolo della Pensione di reversibilità, chiarimenti dell’Inps

Pensione superstiti: casistiche più frequenti

La pensione ai superstiti consiste in un assegno versato agli eredi del pensionato o dell’assicurato in misura diretta a coniuge e figli. La materia, tuttavia, è molto ampia e ne prevede l’applicazione sotto diversi punti di vista.

In particolare, ecco le casistiche più frequenti:

  • Coniuge separato. La pensione di reversibilità spetta anche in questo caso, laddove l’iscrizione all’Inps da parte del lavoratore o del pensionato avviene prima della emissione della sentenza con separazione legale. Il diritto alla pensione, spetta anche nel caso in cui il titolare deceduto era tenuto ad un assegno di mantenimento al coniuge.
  • Coniuge divorziato. Le pensioni reversibilità spettano anche in questo particolare caso, ossia quando il coniuge in vita è titolare di un assegno di mantenimento e non ha ancora contratto un nuovo matrimonio.
  • Unione civile. Nelle pensioni di reversibilità novità importanti per tali categorie e che, in base ad una recente legge del 2016, hanno diritto a tale assegno al pari di un coniuge.
  • Figli minori. Se la persona deceduta aveva dei figli minori a carico, questi ultimi fino al compimento della maggiore età maturano il diritto alla pensione.
  • Figli studenti. Il diritto alla pensione permane, anche nel caso in cui gli stessi erano a carico del genitore deceduto. L’assegno, spetta fino al compimento dei 21 anni, se studenti di scuola media superiore e non oltre i 26 anni, se studenti universitari.
  • Figli inabili. Confermato il requisito di essere a carico del genitore deceduto e con una inabilità del lavoro, in questo caso non è previsto una età massima per mantenere il diritto all’assegno.

Pensioni di reversibilità, eccezioni al diritto all’assegno

Le pensioni di reversibilità, infine, possono essere riconosciute anche nei confronti di genitori e fratelli del lavoratore o pensionato deceduto. Per il primo caso, il diritto alla pensione scatta per coloro che presentano almeno 65 anni di età, non titolari di pensione diretta o indiretta e a carico del deceduto. E’ necessario, anche l’assenza di un coniuge o di figli e nipoti a carico della persona deceduta.

Per i fratelli o le sorelle, invece, deve essere accertata l’inabilità al lavoro e dell’essere a carico del lavoratore deceduto. La pensione di reversibilità, però, potrà essere riconosciuta, solo nel caso in cui non siano presenti altri parenti diretti come coniuge, figli, nipoti o genitori.

Calcolo pensione reversibilità

Per terminare vi riportiamo questo utile strumento di calcolo della pensione di reversibilità (a cura del sito www.avvocatoandreani.it) che aiuta a sapere in anticipo l’importo dell’assegno di pensione ai superstiti spettante in base ai requisiti.

 

Concorso ASMEL Enti Locali: proroga scadenza al 12 maggio. I dettagli

Concorso ASMEL Enti Locali: proroga scadenza al 12 maggio. I dettagli

Concorso ASMEL Enti Locali 2022, disposta la proroga del termine di scadenza per la presentazione delle domande: c’è tempo fino al 12 maggio

In un periodo sicuramente denso di concorsi pubblici e di opportunità di inserimento lavorativo stabile per laureati e non, che superino le procedure di selezione, spicca altresì il bando di concorso ASMEL enti locali.

Sul sito ufficiale dell’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali è stato pubblicato l’avviso che indica la proroga del termine di scadenza per domanda di candidatura, per tutti i profili di cui al bando del concorso ASMEL per le assunzioni presso 150 comuni italiani. Il nuovo termine ultimo per inviare le domande di partecipazione è stato così rimandato alle ore 18 del 12 maggio 2022; la precedente data era il 27 aprile.

Appare opportuno parlare di seguito del concorso ASMEL, in considerazione del fatto che la selezione in oggetto prevede centinaia di assunzioni per diplomati e laureati. Facciamo allora una panoramica sui profili ricercati nel bando, i requisiti per partecipare e le materie da studiare. Qui le FAQ per i candidati al Concorso a cura di ASMEL.

Leggi anche: concorsi pubblici in uscita, previsti nuovi bandi per oltre 11mila assunzioni

Concorso ASMEL Enti Locali, come fare domanda

La selezione è di rilievo in quanto prevede l’individuazione di profili sia laureati che diplomati, al fine dell’assunzione in uno dei tantissimi enti locali che hanno aderito alla procedura unificata.

In particolare, l’avviso di selezione unica indica che i candidati potranno far pervenire la propria domanda di partecipazione, tramite la piattaforma telematica www.asmelab.it. Ma attenzione: occorre obbligatoriamente essere muniti di SPID. Come sopra accennato, è operativa la proroga del termine di scadenza per la presentazione delle domande.

La procedura di selezione si caratterizza per brevità e snellezza, in quanto è prevista una sola prova scritta.  Coloro che risulteranno idonei andranno a far parte di una graduatoria, da cui i vari enti locali coinvolti nel piano di assunzione potranno attingere i candidati da porre sotto contratto.

Un dettaglio non di poco conto è il seguente: il bando prossimo alla scadenza dispone per i vincitori la facoltà di rispondere agli interpelli dei Comuni, accettando quelli che considerano più adatti alle loro esigenze – e al contempo conservando l’idoneità all’assunzione per un triennio o fino ad una assunzione a tempo indeterminato. Si tratta di oggettivi vantaggi: sarà infatti il candidato a valutare, anche in base alla propria residenza, se rendersi disponibile.

Quali sono i requisiti per partecipare al Concorso ASMEL

Specifichiamo che, al fine di partecipare al concorso pubblico in oggetto, i candidati devono essere in possesso dei requisiti che seguono:

  • cittadinanza italiana;
  • età pari ad almeno 18 anni;
  • pieno godimento dei diritti civili e politici;
  • possesso di idoneo titolo di studio;
  • idoneità fisica all’impiego ed alle mansioni proprie del profilo professionale;
  • non avere riportato condanne penali e non avere procedimenti penali pendenti;
  • non essere stato destituito, dispensato dall’impiego presso una PA per persistente insufficiente rendimento, ovvero non essere stato dichiarato decaduto da un impiego statale;
  • e infine non essere stato interdetto o sottoposto a misure che per legge escludono l’accesso agli impieghi presso le Pubbliche Amministrazioni.

Concorso ASMEL 2022 Enti Locali: obblighi di leva, titoli di studio, profili ricercati

Inoltre, come di consueto per la generalità dei concorsi pubblici, ai soli concorrenti di sesso maschile è richiesto di essere in posizione regolare verso gli obblighi di leva e del servizio militare.

Per quanto riguarda il titolo di studio del candidato ed alla luce delle regole di cui al bando di concorso ASMEL, specifichiamo quanto segue:

  • per i profili in Categoria C, è richiesto il possesso di diploma di scuola secondaria superiore di secondo grado (per alcuni profili è richiesto un titolo specifico);
  • profili in Categoria D, tranne specifici profili, il titolo di studio richiesto è la laurea triennale.

I profili ricercati nella categoria C sono quelli di istruttore amministrativo, amministrativo-contabile, di vigilanza, informatico e tecnico-geometra. Nell’ambito della stessa categoria ricercati anche educatori asilo nido. Per quanto riguarda invece la categoria D, la selezione intende individuare nuovi istruttori direttivi ed esperti rendicontazione.

Leggi anche: decreto Energia e Bollette è legge. Ecco le misure più importanti

Quali sono le materie da studiare per la prova scritta

In precedenza abbiamo accennato al fatto che la selezione non è articolata in più fasi, essendo prevista una sola prova scritta. Si tratta di un quiz a risposta multipla formato da 60 domande. Mediamente un minuto di tempo a domanda, giacché il tempo effettivo a disposizione del candidato è pari a 60 minuti.

In base alle disposizioni del bando di concorso ASMEL Enti Locali, non vi sono dubbi sui candidati considerati ‘idonei’ e dunque in condizione di poter essere assunti. Ebbene, saranno inseriti nell’elenco ad hoc a disposizione dei Comuni, i candidati che superano la prova selettiva con un punteggio minimo di 7/10.

Benché sia prevista una sola prova, le materie da studiare non sono poche. Le elenchiamo di seguito:

  • Diritto pubblico;
  • Disciplina dei contratti pubblici;
  • Disciplina del Pubblico Impiego;
  • Diritto degli Enti locali;
  • Disciplina in materia di trasparenza e anticorruzione;
  • Diritto di accesso;
  • Nozioni di diritto penale / Reati contro la Pubblica Amministrazione;
  • Nozioni di diritto dell’Unione europea;
  • Informatica;
  • contabilità pubblica;
  • tutela della privacy;
  • Lingua Inglese.

Da notare infine che nel bando sono indicate ulteriori materie, variabili in base al profilo professionale.

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Incentivi per investimenti sostenibili di Invitalia: domanda online dal 4 maggio

Incentivi per investimenti sostenibili di Invitalia: domanda online dal 4 maggio

A partire dal 4 maggio, le imprese potranno richiedere incentivi per realizzare investimenti innovativi legati a tecnologie 4.0

A partire dal 4 maggio le imprese italiane potranno richiedere incentivi per realizzare investimenti sostenibili e innovativi legati a tecnologie 4.0, economia circolare e risparmio energetico. La domanda una compilata potrà essere inviata a partire dal prossimo 18 maggio. Gli incentivi mirano a favorire la trasformazione digitale e sostenibile di attività manifatturiere ma anche di alcune attività di servizi.

A renderlo noto è il Ministero dello sviluppo economico con un decreto direttoriale dello scorso 12 aprile 2022. La procedura per richiedere gli incentivi sarà gestita da Invitalia.

Di seguito tutti i dettagli.

Gli incentivi per gli investimenti sostenibili

Il decreto Mise del 12 febbraio 2022, ha previsto una serie di incentivi in favore degli investimenti innovativi 4.0 e sostenibili delle micro, piccole e medie imprese.

Gli investimenti ai quali è assegnata una specifica priorità sono quelli che offrono un particolare contributo agli obiettivi di sostenibilità definiti dall’Unione europea:

  • favorire la transizione dell’impresa verso il paradigma dell’economia circolare;
  • migliorare la sostenibilità energetica dell’impresa.

In particolare, è agevolato l’acquisto di nuove immobilizzazioni materiali e immateriali. Da qui, possono essere oggetto di agevolazione:  macchinari, impianti e attrezzature; opere murarie (nei limiti del 40% del totale dei costi ammissibili); programmi informatici e licenze correlati all’utilizzo dei beni materiali agevolati; acquisizione di certificazioni ambientali.

Tutti i dettagli su cosa si può fare nella pagina dedicata sul sito di Invitalia.

A chi spetta l’agevolazione?

L’agevolazione in parola opera quale contributo in conto impianti nelle seguenti misure percentuali rispetto alle spese sostenute:

  • Regioni Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, il contributo massimo è pari al 60% delle spese ammissibili per le imprese di micro e piccola dimensione e al 50% per le imprese di media dimensione;
  • regioni Basilicata, Molise e Sardegna, il contributo massimo è pari al 50% delle spese ammissibili per le imprese di micro e piccola dimensione e al 40% per le imprese di media dimensione.

Infine, per i programmi di investimento da realizzare nelle altre Regioni del Centro-Nord, il contributo massimo è pari:

  • al 35% per le imprese di micro e piccola dimensione
  • 25% delle spese ammissibili per le imprese di media dimensione.

Quali sono i requisiti per accedere all’agevolazione

Le agevolazioni sono concesse alle imprese che alla data di presentazione della domanda devono:

  • essere regolarmente costituite, iscritte e «attive» nel registro delle imprese;
  • essere nel pieno e libero esercizio dei propri diritti,
  • non essere in liquidazione volontaria e non essere sottoposte a procedure concorsuali;
  • non essere già in difficoltà al 31 dicembre 2019, fatte salve le deroghe previste per le micro e piccole imprese dalla disciplina in materia di aiuti di riferimento;
  • trovarsi in regime di contabilità ordinaria e disporre di almeno due bilanci approvati e depositati presso il registro delle imprese ovvero aver presentato, nel caso di imprese individuali e società di persone, almeno due dichiarazioni dei redditi;
  • essere in regola con le disposizioni vigenti in materia di normativa edilizia e urbanistica, del lavoro, della prevenzione degli infortuni e della salvaguardia dell’ambiente ed essere in regola in relazione agli obblighi contributivi;
  • ecc.

Come fare domanda

Le agevolazioni sono concesse sulla base di una procedura valutativa con procedimento a sportello. Le domande di agevolazione devono essere presentate, esclusivamente per via telematica.

Attenzione, la procedura telematica sarà messa a disposizione sul portale Invitalia.

Con decreto direttoriale 12 aprile 2022 sono stati disciplinati termini e modalità di presentazione delle domande.

Nello specifico:

  • a partire dalle ore 10.00 del 4 maggio 2022 è possibile procedere alla compilazione della domanda;
  • dalle ore 10.00 del 18 maggio 2022 le domande compilate potranno essere inviate.

E’ previsto quindi un vero e proprio click day.

 

Santa Zita

 

 

Santa Zita


Nome: Santa Zita
Titolo: Vergine
Nascita: 1218, Toscana
Morte: 7 aprile 1272, Lucca
Ricorrenza: 27 aprile
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Nel linguaggio medievale, « zita » equivaleva a quella che, nei dialetti toscani, è ancora detta « cita » o « citta ». Voleva dire cioè « ragazza », e il diminutivo di quel termine esiste ancora nel vocabolario italiano: « zitella », cioè non maritata.

Santa Zita è dunque la santa ragazza, ed è l’unica Santa di questo nome che ancora viene ripetuto in Toscana, e specialmente in Lucchesia. Santa Zita, infatti, è la Santa di Lucca, e già Dante, per indicare i magistrati della città di Lucca, parlava degli « anziani di Santa Zita ».

Zita era nata vicino a Lucca, a Monsagrati, nel 1218, in una famiglia contadina. Non ebbe nessuna particolare istruzione, ma fin da bambina si dette una regola di condotta religiosa chiedendosi semplicemente: « Questo piace al Signore? Questo dispiace a Gesù? ». Con questa linea di condotta crebbe devota e utile, aiutando i genitori a vendere in città i prodotti dei loro campi. A 18 anni entrò a servizio, a Lucca, nella casa dei Fatinelli, anzi nel palazzo di quella famiglia, che era una delle più ricche della città.

Le tentazioni della città avrebbero potuto aver facile presa nell’anima della semplice campagnola, ma la linea di condotta impostasi dalla fanciulla, pur nella sua ingenuità, non consentiva né errori né distrazioni. « Questo piace a Gesù? E questo gli dispiace? ».

E piaceva a Gesù che ogni mattina, con il permesso della padrona, Zita si recasse in chiesa, mentre tutti gli altri ancora dormivano. E poi accudisse puntualmente, prima di tutti e meglio di tutti, alle pesanti incombenze casalinghe, alle quali si dedicavano le donne di quei tempi. Ma fu soprattutto la straordinaria generosità verso i poveri che costituì il più delicato profumo della santità della servetta. Ogni venerdì, ella, la più fidata tra le domestiche, aveva il compito di distribuire le elemosine ai poveri. E trovava sempre il modo di aggiungervi qualcosa di suo, risparmiato sul magro cibo, sullo scarso salario e sul modestissimo vestiario. Presto il padrone sospettò che Zita donasse ai poveri più di quanto egli aveva disposto. Era vero, ma quel di più non apparteneva a lui. Rappresentava il superfluo della sua serva incredibilmente sobria.

Un giorno, incontrando Zita con il grembiule gonfio di alimenti, le chiese severamente che cosa portasse. « Fiori e fronde », rispose la ragazza. Disciolto il grembiule. ne caddero davvero fiori e fronde, miracolosi simboli della carità e della generosità, impersonata da Santa Zita. Sempre più amata, rispettata e venerata, visse nella casa dei Fatinelli fin verso i sessant’anni, considerandosi nient’altro che un’umile, obbediente e devota serva. Soltanto dopo la sua morte i cittadini di Lucca le tributarono onori come a una grande Santa, e gli stessi magistrati della città non disdegnarono di essere indicati come « gli anziani di Santa Zita », senza che facesse velo al loro orgoglio l’umile condizione della Santa servetta, delicato fiore della città gentile.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Lucca, santa Zita, vergine, che, di umili natali, fu per dodici anni domestica in casa della famiglia Fatinelli e in questo servizio perseverò con straordinaria pazienza fino alla morte.