Il furbo il Traditore e l’ingenuo

Torna in libreria la «Vita di san Francesco d’Assisi» di Paul Sabatier

La Vie de saint François d’Assise di Paul Sabatier apparve nel novembre 1893 con la data del 1894 ed ebbe subito una straordinaria fortuna. Negli anni successivi si sarebbero succedute più di una quarantina fra edizioni o ristampe. Un’edizione in qualche parte riveduta apparve nel 1918 (è la cosiddetta édition de guerre) e fu riprodotta in sette ristampe fino alla pubblicazione postuma (Sabatier era morto nel marzo 1928) della édition définitive nel 1931, mentre si moltiplicavano le traduzioni nelle diverse lingue (quella in russo fu promossa da Lev Tolstoj). Quale il segreto di questo successo che, nonostante gli anni, non sembra spegnersi (è in questi giorni in libreria una nuova presentazione, nella versione di Giuseppe Zanichelli: Paul Sabatier, Vita di san Francesco d’Assisi, prefazioni di André Vauchez e Grado Giovanni Merlo, Roma, Castelvecchi, 2015, pagine 366, euro 25)?

Anonimo, «Francesco riceve le stimmate» (tra il 1480 e il 1485)

L’opera inaugura veramente la storiografia francescana moderna. Con pagine bellissime, in cui la solida preparazione erudita (l’Etude critique des sources, che accompagnava l’originale, non fu però mai ripresa nelle traduzioni italiane) nulla detrae alla liricità delle rievocazioni dei primitivi “luoghi” e romitori fra Umbria, Toscana e Marche, dei profili dei primi compagni del santo, delle descrizioni di città, comuni, paesaggi medievali. Il tono, non agiografico ma umano e accessibile, è appassionato, quasi commosso, perché l’autore è evidentemente preso da un amore profondo per il protagonista e per il soggetto. Un libro splendido, davvero un classico, però anche sottilmente fazioso, con la sua pregiudiziale svalutazione dei biografi “ufficiali” (Tommaso da Celano, Bonaventura) a favore di un manipolo di testi ritenuti più schietti e genuini (in primis lo Speculum perfectionis, che Sabatier riconduceva al fedele compagno di Francesco, frate Leone, mentre le successive ricerche lo hanno retrodatato agli inizi del Trecento e collegato a tendenze rigoriste e “spirituali”). Quella che a molti apparve una provvidenziale risurrezione di Francesco, riproposto al mondo positivista e scientista di fine Ottocento, finì così anche per essere, come è stato scritto, «una gravissima e sostanziale deformazione morale e religiosa di colui che l’antica liturgia aveva salutato vir catholicus et totus apostolicus».
Il complesso anti-romano del pastore calvinista, che aveva intrapreso gli studi francescani su suggerimento di Ernest Renan, si tradusse soprattutto nella ricostruzione dei rapporti di Francesco con i papi e con la Chiesa del suo tempo. «Per Sabatier, Francesco è per eccellenza il teodidatta, il profeta che non deve nulla della sua formazione mistica alla Chiesa e alla scuola; in perpetua lotta quindi per la libertà contro l’autorità, per l’ispirazione contro la tradizione, per i diritti dello Spirito contro le pretese della Legge. In questo dissidio il profeta resta vinto dal sacerdote, che si appropria della sua eredità. Così Francesco, nella concezione del Sabatier, libero e ispirato riformatore, propugna un radicale rinnovamento religioso secondo il Vangelo, in antagonismo con la Chiesa del suo tempo, la quale alfine riesce tuttavia a spegnere i germi di libertà e indipendenza da lui gettati, costringendo il moto francescano nel proprio alveo». Insomma, un’alterazione sostanziale. Come ha scritto Jacques Dalarun, per certi versi il libro di Sabatier potrebbe intitolarsi, riprendendo le formule dei film di Sergio Leone di qualche decennio fa, «Il furbo [Ugolino d’Ostia, poi Gregorio IX], il traditore [frate Elia] e l’ingenuo». Nell’ultima pagina si rimarcava l’«indicibile malinconia» promanante dal contrasto fra la «meravigliosa basilica» costruita da Elia su suggerimento di Gregorio ix, piantata nel suolo «quasi con imperiosa voluttà e volontà di dominio e di possesso», e alcune parole di Francesco; e senza mezzi termini si invitavano i lettori: «Scendete alla Porziuncola, passate a San Damiano, correte alle Carceri, e capirete l’abisso che separa l’ideale di Francesco da quello del pontefice che lo glorificava». A ben vedere, una clamorosa forzatura, che in fondo banalizzava l’autentica ma anche consapevole sofferenza di Francesco nel vedere la sua fraternitas divenire progressivamente una religio; una spogliazione estrema ma accettata e accolta perché quella creatura, incredibilmente cresciuta rispetto ai primordi, non era sua ma di Dio.
La reazione cattolica fu ampia e diversificata, rispecchiando diverse anime e tendenze. Vauchez ricorda che il volume fu prontamente messo all’Indice con decreto dell’8 giugno 1894 e bombardato dalle confutazioni di Michele Faloci Pulignani. Ma i novatori più aperti, da Antonio Fogazzaro a Giovanni Semeria, a Tommaso Gallarati Scotti, ne apprezzarono molti tratti, mentre critiche di carattere scientifico vennero mosse dalle recensioni degli «Analecta Bollandiana» e della «Civiltà Cattolica», entrambe anonime ma riconducibili rispettivamente ai gesuiti François van Ortroy , amico e corrispondente di Achille Ratti e Giovanni Mercati, e Angelo De Santi, che in seguito si sarebbe distinto per il ruolo svolto nel movimento ceciliano per la ripresa della musica sacra. Da quel momento la vita del pastore calvinista si intrecciò profondamente con il movimento religioso italiano fra i due secoli, come testimoniano i rapporti di Sabatier con Geremia Bonomelli e Antonietta Giacomelli, ma anche con inquieti dissidenti come il pastore valdese Ugo Janni e con il politico e uomo di cultura ebreo Luigi Luzzatti.
Pochi però ricordano — e non lo fa neanche Vauchez — un’altra reazione cattolica, di carattere singolare. Giulio Salvadori, tornato cristiano ad Ascoli Piceno nel 1885, lesse quasi subito l’opera e ne rimase, al tempo stesso, attratto e deluso. Lo espresse a modo suo. Nella Nuova antologia del febbraio 1895, in due puntate, ripercorse e puntualmente quasi riscrisse l’opera di Sabatier. Iniziando, Salvadori notò che essa «non solo è utile, ma in molte parti assai bella». La figura di Francesco vi «riappare in luce in modo che si sente vicina. Non direi però che si sente presente», perché vi manca qualcosa di essenziale. Per tale motivo Salvadori provò a «riassumere questa gran vita», prendendo per guida lo storico francese, ma modificandone sostanzialmente, nell’uso delle fonti e nella ricostruzione, la visione complessiva (aveva un’ottima formazione universitaria, alla scuola di Ernesto Monaci). Fu un’opera davvero francescana, nel contenuto e nelle modalità, di fine analisi storica e spirituale, aliena dall’aspra critica, con lo scrupolo di non spegnere il lucignolo fumigante, di non spezzare la canna incrinata (cfr. Isaia, 42, 3; Matteo, 12, 20). Ne derivò una lunga e feconda amicizia fra il pastore calvinista e lo storico e letterato cattolico che scomparvero dalla scena di questo mondo a pochi mesi di distanza, nel 1928 (Sabatier il 4 marzo, Salvadori il 7 ottobre), dopo una vita da entrambi spesa sotto il segno del povero di Assisi. La speranza e l’auspicio sono dunque che la ripresentazione dell’opera di Sabatier spinga qualcuno a prendere in mano anche quella di Salvadori (l’ultima edizione è del 1962 e il volumetto non va cercato in libreria ma, ahimè, in biblioteca).

 

Il furbo il Traditore e l’ingenuoultima modifica: 2015-10-24T17:42:17+02:00da vitegabry
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