Archivi giornalieri: 14 dicembre 2021

news

Se non leggi correttamente clicca qui

 

 

 

 

Mappe del potere – Ogni martedì.

 

Nomine, conflitti di interessi, porte girevoli e le relazioni fra politica, economia e burocrazia.

 

 

 

 

Le camere, i governi e il rapporto con il colle più alto

 

Tra i vari poteri che la costituzione attribuisce al presidente della repubblica, due sono particolarmente rilevanti. A seconda della situazione infatti possono incidere in modo diretto e determinante sullo scenario politico. Si tratta del potere di sciogliere le camere e del potere di nomina del presidente del consiglio.

 

Per questo tipo di competenze la dottrina parla di poteri formalmente presidenziali e sostanzialmente complessi. Da un lato infatti la carta attribuisce chiaramente questi compiti al capo dello stato. Dall’altro però la prassi costituzionale prevede che a queste decisioni concorrano anche altri organi costituzionali.

 

 

67

 

67

 

i governi italiani dalla nascita della repubblica.

 

Nel corso della storia repubblicana il capo dello stato ha generalmente assecondato le indicazioni arrivate dai partiti su queste materie. In situazioni particolari però il suo ruolo si è ampliato ed ha assunto una modalità più incisiva sulla decisione di sciogliere le camere e nella nomina dei presidenti del consiglio.

 

Il Quirinale e i governi

 

I presidenti della repubblica e il numero di presidenti del consiglio che hanno incaricato e che poi hanno ricevuto la fiducia del parlamento

 

 

 

 

 

Quirinale

 

Gli ultimi articoli:

 

Tutti gli uomini del Quirinale 2022 – Sette anni sono un tempo lungo, nel corso del quale ciascun presidente ha contribuito a un capitolo della nostra storia politica. Nel caso degli anni trascorsi da Mattarella al Quirinale però è da segnalare come il contesto politico – e non solo – sia profondamente mutato diverse volte. Leggi

 

Gli organi presieduti dal presidente della repubblica – Il capo dello stato presiede il consiglio superiore della magistratura e il consiglio supremo di difesa, due organi di rilievo costituzionale di fondamentale importanza. Leggi

 

Leggi tutti i contenuti

 

 

 

Iscriviti alle newsletter.

Riceverai articoli, dati, grafici e mappe liberamente utilizzabili per promuovere un dibattito informato.

Scegli i temi

 

 

 

Dona il tuo 5×1000
per un’informazione indipendente e senza pubblicità .
Codice fiscale: 97954040586

 

 

 

Fondazione openpolis. Via Merulana 19 – 00185 Roma – www.openpolis.it

 

Cancella la tua iscrizione

Elezione Presidente della Repubblica

martedì 14 dicembre 2021

Come avviene l’elezione del presidente della Repubblica

Foto di Ansa

Nei primi giorni di gennaio 2022 partiranno le procedure per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Il mandato di Sergio Mattarella, eletto il 31 gennaio del 2015 al quarto scrutinio con 655 voti, scadrà il 3 febbraio 2022 a sette anni dal giorno in cui, dopo la sua elezione, prestò giuramento davanti al Parlamento riunito in seduta comune. Ma come viene eletto il nuovo Capo dello Stato? Chi sono i favoriti? E sarà questa la volta di una donna al Quirinale?

Come avviene l’elezione e cosa prevede la Costituzione

Il presidente della Repubblica – secondo quanto recita l’art. 83 della Costituzione – viene eletto dal Parlamento riunito in seduta comune, all’elezione partecipano anche tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale. Il mandato di Sergio Mattarella scadrà il 3 febbraio 2022 e trenta giorni prima il Presidente della Camera, Roberto Fico, dovrà convocare in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali. Per permettere ai Consigli regionali di eleggere i propri delegati la seduta ufficiale si svolgerà circa 20 giorni dopo, si ipotizza quindi l’inizio dell’elezione intorno al 23 gennaio ma una data certa ancora non c’è. L’elezione avviene per scrutinio segreto e sono necessari i due terzi dell’assemblea, ma dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. I grandi elettori, ovvero senatori, deputati e delegati regionali votano nella segretezza dell’urna all’interno di una cabina elettorale posta nell’Aula di Montecitorio ribattezzata “catafalco” e lo spoglio viene effettuato dal presidente della Camera che legge pubblicamente i nomi dei candidati. Ricordiamo che può essere eletto presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto 50 anni d’età e goda dei diritti civili e politici.

Cossiga e Ciampi i più veloci. Il caos Dc e l’elezione di Scalfaro

Dal 1946 ad oggi sono stati 12 gli inquilini del Colle. L’elezione più lunga e complicata è stata quella di Giovanni Leone nel 1971, eletto solo al 23esimo scrutinio. Il presidente più votato nella storia repubblicana è stato Sandro Pertini nel 1978 ma anch’esso con molti scrutini, ben 16. Nel 1985 l’elezione record e con ampissima maggioranza, già al primo scrutinio, è quella di Francesco Cossiga che a soli 57 anni diventa anche il più giovane presidente della storia. Per la maggior parte del suo mandato ha ricoperto un ruolo da “notaio”, ma tra la fine degli anni ottanta e inizio anni novanta parte una fase di conflitto e di polemica politica, abbandona ogni formalismo e viene ribattezzato “il picconatore”. Riceve una procedura di impeachment dal Pds. Si dimette nel 1992 con un discorso televisivo di 45 minuti.

È il 1992 quando Francesco Cossiga lascia il Quirinale con due mesi di anticipo, un anno tormentato dall’inizio di Mani Pulite, dalle stragi di Capaci e via D’Amelio dove morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un’Italia scossa da corruzione, mafia e tritolo. Al governo c’è Giulio Andreotti mentre Bettino Craxi e Arnaldo Forlani sono alla guida di Psi e Dc, i due grandi partiti che attraverso i voti in Parlamento decideranno chi siederà al Colle. L’accordo fra i tre prevede Craxi a Palazzo Chigi e uno tra Forlani e Andreotti al Quirinale. Forlani va a trovare Andreotti nella sede del governo, scena immortalata anche nel film di Paolo Sorrentino “Il Divo”, e sembrerebbe che sia stato lo stesso Forlani a sfilarsi e a rassicurare Andreotti: sarà quest’ultimo il nuovo presidente della Repubblica. Ma nella sede dello scudocrociato c’è fibrillazione e malcontento, tanto che alla fine il candidato ufficiale è Forlani, che però alla prova dei fatti non raggiungerà mai il quorum. Capaci, 23 maggio del 1992, una bomba uccide il giudice Giovanni Falcone, la compagna Francesca Morvillo e cinque uomini della scorta. Tutto questo mette fine allo spettacolo avvilente dei partiti a Montecitorio, Marco Pannella propone il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, allora presidente della Camera, che il 25 maggio del 1992 viene eletto nuovo Capo di Stato.

Ancor più rapida di quella del picconatore è stata l’elezione di Carlo Azeglio Ciampi quando nel 1999, grazie a un accordo ampio e trasversale dei partiti presenti in Parlamento, al primo scrutinio e in meno di tre ore è diventato presidente della Repubblica. Ciampi è stato tra i Capi di Stato con un alto indice di gradimento popolare. Il suo settennato ha attraversato gli anni della nascita e dell’entrata in vigore della moneta unica europea, l’euro. È stato spesso contrapposto a Silvio Berlusconi durante i suoi governi, ma da più parti è arrivata la richiesta di un settennato bis da lui respinta.

Giorgio Napolitano il primo presidente con un bis

Bis accettato, per certi versi obbligato dal momento storico, da Giorgio Napolitano unico presidente nella storia rieletto per un secondo mandato. Alla scadenza del suo settennato Napolitano, allora 87 anni, aveva più volte ribadito l’indisponibilità a una rielezione, ma a causa di una crisi istituzionale determinata dai partiti politici incapaci di riformare il Paese e soprattutto di trovare un accordo su un nome, gli stessi dopo aver bruciato due nomi di rilievo come Franco Marini prima e Romano Prodi poi, esercitano forti pressioni al Capo di Stato uscente per accettare un secondo mandato. La vicenda dell’ex premier Romano Prodi è stata eclatante, candidato prestigioso e proposto dal Pd, suo stesso partito, allo scrutinio della quarta votazione ha avuto una defezione di ben 101 voti dai cosiddetti franchi tiratori, ovvero coloro che nel segreto dell’urna votano in dissenso dal loro gruppo parlamentare. L’accaduto ha provocato non solo un terremoto all’interno del Pd, con le dimissioni del segretario Pierluigi Bersani, ma ha portato i leader di partito a chiedere, se non implorare, Napolitano che accetta per senso di responsabilità, chiedendo però loro l’impegno a riformare le istituzioni. Il 20 aprile del 2013 Giorgio Napolitano diventa il primo presidente della Repubblica della storia rieletto per la seconda volta.

Gli accordi tra i partiti, uno tra tutti: il Patto del Nazareno

Il candidato alla presidenza della Repubblica necessita di un ampio consenso, non solo per la questione numerica (in quanto al terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta), ma soprattutto in virtù delle funzioni che esso svolge, come ad esempio la nomina del presidente del consiglio dei Ministri. Sergio Mattarella nel suo settennato ne ha nominati ben quattro: Gentiloni, Conte (due volte e con due diverse maggioranze) e Draghi. Per dirla in parole povere deve mettere d’accordo, ardua impresa, la maggioranza di partiti presenti in parlamento. Da qui nascono le infinite manovre per assicurare al Quirinale un inquilino condiviso e il più possibile super partes. Le settimane, se non i mesi, che precedono la convocazione del Parlamento sono caratterizzati da dialoghi, accordi sempre smentiti, incontri tra i leader di partito. Un accordo, rotto un anno dopo e rimasto nella storia, è il cosiddetto Patto del Nazareno, quando nel 2014 Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si incontrano alla sede del Partito democratico in largo del Nazareno (da qui il nome), per discutere delle riforme istituzionali da concordare, tra queste anche la legge elettorale, anche se di quanto c’era realmente scritto all’interno di quell’accordo ancora oggi non è dato sapere. Patto che dura un anno fino a quando si arriva all’elezione di Sergio Mattarella che scatena l’ira di Forza Italia secondo la quale il Cavaliere e Renzi avevano concordato il nome di Giuliano Amato per il Quirinale, ma alla prova dei fatti il Partito Democratico, ma soprattutto Matteo Renzi, ha tirato dritto sull’elezione di Mattarella violando, secondo Berlusconi, gli accordi presi.

Per arrivare a un nome condiviso ora servirà un dialogo che è nelle mani di una politica quanto mai litigiosa, con una legislatura che ha visto cadere due esecutivi e un terzo governo in carica composto da tecnici e da una maggioranza variegata. Trovare una personalità di alto profilo su cui convergere potrebbe essere il modo per tentare di far dimenticare il fallimento dei partiti negli ultimi anni, ma ad oggi il Pd resta con la bocca cucita e rimanda a gennaio ogni possibile nome o commento. Il Movimento 5 Stelle inizialmente aveva aperto alla possibilità di eleggere Draghi, ora auspica un dialogo con tutti i gruppi parlamentari per convergere su una persona che rappresenti l’unità nazionale con il presidente Giuseppe Conte chiude alla possibilità di votare Silvio Berlusconi, nome caldeggiato (forse) dal centrodestra anch’esso impegnato in un giro di valzer tra “Draghi si” e “Draghi meglio al governo”. Matteo Renzi nonostante i piccoli numeri di Italia Viva potrebbe essere ancora una volta l’ago della bilancia e non perde occasione per attaccare tutti gli altri leader di partito accusandoli di volere il voto anticipato. E poi ci sono loro, l’esercito del Gruppo Misto di Camera e Senato che in questi ultimi anni si è via via andando a ingrossare.

Il gioco del toto nomi. E se fosse una donna?

Anche questa volta la storia si ripete, i partiti sembrano ingarbugliarsi tra dichiarazioni e silenzi, l’ipotesi di un Mattarella bis, Mario Draghi tirato in ballo all’occorrenza, Silvio Berlusconi. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, in realtà è sempre stato considerato un successore naturale dell’attuale capo dello Stato, ma questa scelta potrebbe aprire la strada a elezioni anticipate, in quanto il mandato naturale di Draghi come presidente del Consiglio scadrebbe nel 2023. In molti sperano in un Mattarella bis con la durata di un anno, questo per permettere la fine della legislatura con il presidente del Consiglio ancora a Palazzo Chigi fino al 2023 per poi effettuare un trasloco al Quirinale. Ma Sergio Mattarella ha ripetuto più volte la sua indisponibilità. Il centrodestra punterebbe, almeno apparentemente, alla candidatura di Silvio Berlusconi, ma il nome del Cavaliere oltre ad essere divisivo, potrebbe essere bruciato ai primi scrutini e utilizzato da parte della coalizione per contare maggiormente sulla scelta di un’altra personalità che possa mettere d’accordo un’ampia maggioranza parlamentare.

Come sempre torna da più parti l’auspicio di eleggere finalmente una donna presidente della Repubblica, donne tirate in ballo a ogni elezione ma mai effettivamente prese in considerazione. Nella storia della Repubblica mai una donna è andata a Palazzo Chigi, mai una donna al Quirinale, addirittura è stato necessario attendere il 2018 per eleggere la prima presidente del Senato donna: Maria Elisabetta Alberti Casellati. Ma quali sono i nomi che circolano in queste settimane? Uno tra tutti l’attuale Guardasigilli Marta Cartabia, ma negli ultimi giorni un’altra (in questo caso ex) ministra della Giustizia, Paola Severino, vede salire le sue quotazioni. Si torna a parlare anche di due big della politica: Emma Bonino e Anna Finocchiaro. La prima, che siede ancora tra i banchi del Parlamento, è stata già tirata in ballo nel 1999 ma quell’anno sappiamo già com’è finita. Anche Finocchiaro ha un passato da possibile candidata, nel 2013 spunta il suo nome ma viene bruciata subito da Matteo Renzi. Una partita apertissima e ingarbugliata, quella per il Quirinale, che vedrà sciogliere i nodi solo a fine gennaio 2022, nel mezzo la gestione della quarta ondata da Covid-19 che sta travolgendo l’Europa, la variante Omicron, le risorse del Pnrr da mettere a terra. Tutto questo potrebbe portare a scenari imprevedibili.

 

La relazione di Grazia Deledda con la lingua sarda.

 

La relazione di Grazia Deledda con la lingua sarda.

di Francesco Casula.

 

Un docente: Deledda? Non conosceva l’Italiano! Si tratta di un giudizio da perfetto ignorante. Nel senso che ignora la Deledda e la lingua che utilizza. Infatti per comprendere bene la lingua usata dalla Deledda nei suoi scritti occorre partire da questa premessa: la lingua sarda non è un dialetto italiano – come purtroppo ancora molti affermano e pensano, in genere per ignoranza – ma una vera è propria lingua. Noi sardi dunque, siamo bilingui perché parliamo contemporaneamente il Sardo e l’Italiano. Anche la Deledda era bilingue.

Era una parlante sarda e i suoi testi in Italiano rispecchiano, quale più quale meno le strutture linguistiche del sardo, non tanto o non solo in senso tecnico quanto nei contenuti valoriali, nei giudizi, nei significati esistenziali, nelle struttura di senso magari inespresse ma presenti nel corso della narrazione. Voglio sostenere che la Deledda struttura il suo vissuto personale, la fenomenologia delle sue sensazioni e del profondo in lingua sarda ma lo riversa nella lingua italiana che risulta così semplice lingua strumentale. In tal modo opera un transfert del suo universo interiore nuorese, dell’inconscio, della fantasmatica.

Poteva non operare tale transfert e scrivere in Sardo? Certamente. Se non lo ha fatto è stato perché non vi era in quel momento storico (siamo a fine Ottocento-inizio Novecento) la cultura, la sensibilità, l’abitudine da parte degli scrittori, specie di romanzi, di utilizzare il sardo. Prima con i Savoia e poi con lo Stato unitario e ancor più con il fascismo, la lingua sarda viene infatti proibita negata criminalizzata. Con l’operazione della “nazionalizzazione-italianizzazione” dell’intera storia italiana. Non c’è quindi da meravigliarsi che, una volta negata e proibita, gli scrittori – anche per avere una maggiore visibilità e diffusione delle loro opere – scrivano in italiano: la Deledda come tanti altri.

Ma – dicevo – Deledda rimane bilingue: pensa in sardo e traduce, spesso meccanicamente in italiano, soprattutto “nel parlare dialogico” – lo sostiene il linguista Massimo Pittau e io sono d’accordo – come in :”Venuto sei? –che traduce il sardo: Bennidu ses?; o “Trovato fatto l’hai? – Accatadu fattu l’as?; o ancora “A Luigi visto l’hai? –A Luisu bidu l’as?; o “Quando è così, andiamo – Cando est gai, andamus.

Vi sono poi innumerevoli vocaboli tipicamente sardi e solamente sardi che Deledda inserisce nelle sue opere quando attengono all’ambiente sardo: pensiamo a bandiare (fare il bandito), bardana ( ), tanca (terreno di campagna chiuso da un recinto fatto in genere di sassi), socronza, usatissima in Elias Portolu (consuocera), corbula (cesta), bertula (bisaccia), tasca (tascapane), roba, leppa (coltello a serramanico), cumbessias o muristenes (stanzette tipiche delle chiese di campagna un tempo utilizzate per chi dormiva là per le novene della Madonna o di Santi), domos de janas (tombe rupestri e letteralmente “case delle fate”) Paska Devaddis, Bantine Fera, Berte Sirca, Zio Franziscu, Pride Fenu), toponimi (Funtana ‘e litumonte di Santu Janne,Marreri, Sa Serra), esclamazioni (peuh).

Pensiamo ai nomi o addirittura intere frasi in sardo come: frate meu (fratello mio), Santu Franziscu bellu (San Francesco bello), su bellu mannu (il bellissimo, letteralmente il bello grande), su cusinu mizadu (il borghese con calze), a ti paret? (ti sembra?), corfu ‘e mazza a conca (colpo di mazza in testa), ancu non ch’essas prus (che tu non ne esca più :è un’imprecazione). Qualche volta Deledda ricorre a frasi italiane storpiate in sardo o frasi sarde storpiate in italiano:Come ho ammaccato questo cristiano così ammaccherò te (…) o Avete compriso?”

Occorre però chiarire che i sardismi linguistici della Deledda, non solo lessicali ma anche sintattici, non derivano dalla sua incapacità di utilizzare correttamente la lingua italiana. Scrive a questo proposito la critica sarda Paola Pittalis: “L’uso dei “sardismi” linguistici da parte della Deledda anche nelle opere della maturità –è il caso di Elias Portolu- è consapevole e voluto. Rappresenta anzi una chiara e decisa scelta di linguaggio letterario, di canone stilistico e fa parte del suo essere “bilingue”. Ciò non significa che in questa scelta non sia stata condizionata da fenomeni letterari e culturali esterni, -come il verismo- che prevedevano la raffigurazione oggettiva della realtà da parte dello scrittore che doveva riportare fedelmente il linguaggio popolare e “dialettale” dei personaggi.

A questo proposito occorre secondo molti critici liquidare risolutamente il luogo comune della “cattiva lingua” e della “mancanza di stile” appoggiato alla valutazione di intellettuali di prestigio da Dessì (le “sgrammaticature” di Deledda) a Cecchi (la sua lingua “spampanata”). Si tratta invece –secondo Paola Pitzalis- “di forme nate dall’incontro fra dialetto e italiano nel momento di formazione delle varietà designate oggi come <italiani regionali>.

L’uso di vocaboli dialettali, sardismi sintattici e atti linguistici frequenti in Sardegna è intenzionale, tanto è vero che scompaiono quando l’interesse di Deledda si sposta dal romanzo <verista> e <regionale> al romanzo <psicologico> e <simbolico> (dopo il 1920). La sintassi prevalentemente paratattica, non equivale alla mancanza di stile; deriva dal trasferimento nella scrittura di modalità anche linguistiche di costruzione del racconto orale (è questo un percorso suggestivo sul quale da tempo lavora con esiti personali Sole). Ed è il contributo modernizzante di Deledda allo snellimento della lingua letteraria italiana costruita sul modello della frase manzoniana…” [Paola Pittalis, Il ritorno alla Deledda, <Ichnusa>, rivista della Sardegna, anno 5, n.1 Luglio-Dicembre 1986, pag.81].

Francesco Casula

Storico e saggista della cultura sarda.

Tirocinio extracurriculare: cos’è, come funziona e quando si può attivare

Tirocinio extracurriculare: cos’è, come funziona e quando si può attivare

Cosa sono i tirocini extra curriculari e quali diritti hanno i tirocinanti? Analisi completa alla luce delle ultime Linee guida

Tirocinio extracurriculare

Il tirocinio extracurriculare si sostanzia in un periodo di formazione e orientamento direttamente nei luoghi di lavoro e di durata variabile; serve quindi ad ottenere un’esperienza concreta nel mondo del lavoro. In generale i tirocini rappresentano una forma di inserimento o reinserimento temporaneo nel mondo produttivo che non configura alcun rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato.

Esistono due categorie di tirocini:

  • Curriculari: previsti nei piani di studio delle università e degli istituti scolastici come forme di alternanza scuola – lavoro;
  • Extra curriculari: finalizzati all’acquisizione di competenze professionali e all’inserimento / reinserimento lavorativo (tirocini formativi, stage, tirocinio post laurea, stage extracurriculare ecc.).

Gli stage extracurriculari si collocano pertanto al di fuori del sistema scolastico – universitario e vengono realizzate nel rispetto:

  1. della disciplina individuata dalle singole Regioni e Province autonome (secondo il rinvio operato dalla “Riforma Fornero” L. n. 92/2012)
  2. nonché delle Linee guida definite dalla Conferenza permanente Stato – Regioni con accordo del 25 maggio 2017 (ovvero in base al documento del 24 gennaio 2013 per le realtà territoriali che non le hanno ancora recepite).

Tirocinio extracurriculare: chi sono i soggetti coinvolti

A differenza di quanto avviene nel rapporto di lavoro subordinato in cui si stipula un contratto tra azienda e dipendente, nel caso del tirocinio post laurea o post diploma è necessaria la sottoscrizione di un progetto formativo individuale ed il coinvolgimento di tre soggetti:

  • Tirocinante;
  • Promotore;
  • Soggetto ospitante.

Tirocinanti

I soggetti potenzialmente coinvolti come tirocinanti sono:

  • disoccupati;
  • beneficiari di strumenti di sostegno al reddito;
  • lavoratori a rischio di disoccupazione;
  • lavoratori in cerca di nuova occupazione;
  • disabili (in base alla Legge n. 68/1999) e persone svantaggiate, tali si intendono ad esempio i soggetti individuati dalla Legge n. 381/1991, i richiedenti protezionale internazionale e titolari di status di rifugiato e di protezione sussidiaria, le vittime di violenza e di grave sfruttamento da parte delle organizzazioni criminali oltre ai soggetti titolari di permesso di soggiorno rilasciato per motivi umanitari.

Soggetti promotori dei tirocini

Il soggetto promotore è colui che dà attuazione al tirocinio, definendone il progetto e monitorando la sua esecuzione.

Le realtà che possono svolgere questo tipo di attività sono:

  • Istituzioni scolastiche (statali e non) che rilasciano titoli di studio aventi valore legale;
  • Istituti di istruzione universitaria (statali e non) abilitate al rilascio di titoli di studio accademici e dell’AFAM;
  • Fondazioni di Istruzione Tecnica Superiore (ITS);
  • Agenzie regionali per il lavoro e servizi per l’impiego;
  • Centri pubblici (o a partecipazione pubblica) in alternativa convenzionati con la regione / provincia competente ovvero accreditati per la formazione professionale e / o di orientamento;
  • Cooperative sociali (purché iscritte negli appositi albi regionali), comunità terapeutiche ed enti ausiliari;
  • Servizi di inserimento lavorativo per disabili gestiti da enti pubblici delegati dalle regioni;
  • Istituzioni formative private senza scopo di lucro con autorizzazione regionale;
  • Soggetti autorizzati all’intermediazione da parte di ANPAL ovvero accreditati ai servizi per il lavoro.

Regioni e Province autonome hanno la facoltà di modificare o integrare l’elenco dei soggetti promotori.

Soggetti ospitanti

I soggetti ospitanti sono le realtà (aziendali e non) in cui viene realizzato il tirocinio.

A tutela della genuinità del rapporto, il quale non deve essere utilizzato per aggirare i paletti imposti dalla normativa rispetto all’assunzione di lavoratori subordinati, nonché a protezione del tirocinante, le strutture ospitanti devono possedere i seguenti requisiti (comunque integrabili dalle singole Regioni / Province autonome):

  • Essere in regola con le norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
  • Osservare la normativa sul collocamento obbligatorio dei disabili;
  • Non aver fatto ricorso a licenziamenti nella stessa unità operativa e nei dodici mesi precedenti l’avvio del tirocinio;
  • Non avere in corso procedure di CIGS o CIGD per attività equivalenti a quelle del tirocinio e nella stessa unità operativa (a meno che l’accordo con le organizzazioni sindacali non preveda una deroga in tal senso);
  • Senza procedure concorsuali in corso (eccezion fatta per gli accordi sindacali che consentono comunque l’attivazione del tirocinio);
  • Non deve trattarsi di un professionista abilitato o qualificato per l’esercizio di professioni regolamentate, il quale fa ricorso al tirocinio per lo svolgimento di attività tipiche o riservate esclusivamente alla professione.

In merito ai licenziamenti, sono ostativi all’avvio di un tirocinio:

  • Licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
  • Licenziamenti collettivi;
  • e infine licenziamenti per superamento del periodo di comporto, mancato superamento del periodo di prova, per fine appalto o al termine del periodo di apprendistato.

Al contrario sono esclusi dal divieto:

  • Licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo;
  • Ipotesi previste da accordi sindacali.

Numero massimo tirocinanti

A garanzia di una corretta e profittevole realizzazione del tirocinio, le singole Regioni e Province autonome individuano il numero massimo di tirocini attivabili contemporaneamente nella singola unità operativa, comunque non superiori a:

  • 1, se i dipendenti a tempo indeterminato o a termine (esclusi gli apprendisti) sono pari o inferiori a 5;
  • 2, se il numero di lavoratori è compreso tra 6 e 20;
  • 10% dei dipendenti (esclusi gli apprendisti), per le realtà con più di 20 lavoratori a tempo indeterminato o a termine.

Sono comunque esclusi dai limiti numerici i tirocini attivati con soggetti disabili e svantaggiati.

Durata del tirocinio extra curricolare

I percorsi di tirocinio o stage extracurriculare devono rispettare una durata minima pari a 2 mesi (ridotti a 1 per i tirocini promossi dai servizi per l’impiego durante il periodo estivo) e non superiore (comprese proroghe e rinnovi) a:

  • 12 mesi nella generalità dei casi;
  • 24 mesi per i soggetti disabili.

Il tirocinante ha diritto ad una sospensione a fronte degli eventi maternità, infortunio, chiusura aziendale per almeno 15 giorni solari o malattia lunga, intendendosi come tale quella che si protrae per una durata pari o superiore a 30 giorni solari.

Leggi anche: Tirocinio extracurriculare irregolare? Chiarimenti dell’INL

Come si avvia un tirocinio

Al fine di avviare un tirocinio è necessario che:

  • promotore ed ospitante stipulino un’apposita convenzione riguardante modalità di attivazione, monitoraggio, obblighi delle parti, valutazione ed attestazione degli apprendimenti;
  • promotore, ospitante e lavoratore sottoscrivano il progetto formativo, contenente gli elementi descrittivi del tirocinio (durata e tipologia), l’indennità lorda prevista, le coperture assicurative, l’attività da affidare al tirocinante;
  • e infine che promotore od ospitante trasmettano la comunicazione di assunzione al Centro per l’impiego a mezzo modello UNILAV.

Per i tirocini in corso di esecuzione il soggetto ospitante è tenuto ad elaborare e consegnare all’interessato il cedolino o busta paga, all’atto dell’erogazione del compenso.

Retribuzione tirocinio formativo

La competenza rispetto all’indennità di partecipazione minima è riservata a Regioni e Province autonome. Tuttavia le “Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento” sviluppate dalla Conferenza permanente Stato – Regioni del 25 maggio 2017 definiscono congrua un’indennità di importo non inferiore a 300 euro lordi mensili. La somma in questione è erogata a fronte

di una partecipazione minima ai tirocini del 70% su base mensile” e non è dovuta “nel caso di tirocini in favore di lavoratori sospesi e comunque percettori di forme di sostegno al reddito in quanto fruitori di ammortizzatori sociali”.

Tassazione stage: IRPEF del compenso da tirocinio

Le somme corrisposte al tirocinante sono considerate redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente e pertanto:

  • Soggette alle normali ritenute IRPEF, al pari di lavoratori subordinati e co.co.co;
  • Considerate ai fini del conteggio del reddito complessivo ai fini fiscali del beneficiario.

Il soggetto ospitante è altresì tenuto a rilasciare copia della Certificazione unica, documento da trasmettere in via telematica all’Agenzia entrate.

Contribuzione INPS e assicurazione INAIL tirocinio

Il tirocinio non comporta alcun accredito di contributi INPS utili ai fini dell’accesso e dell’ammontare del trattamento pensionistico.

Di conseguenza, non viene effettuata alcuna trattenuta in busta paga a differenza di quanto avviene per i lavoratori subordinati o parasubordinati.

Al contrario, il promotore o (salvo diverso accordo) il soggetto ospitante, sono tenuti ad:

  • Assicurare il tirocinante presso l’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
  • Assicurare il tirocinante contro la responsabilità civile verso i terzi.

Ai fini dell’assicurazione INAIL il premio dovrà essere calcolato in relazione all’attività effettivamente svolta dal tirocinante, prendendo a riferimento i tassi definiti per i lavoratori dipendenti.

Stage extracurricolare e NASpI

Le attività svolte in regime di tirocinio extra-curriculare ed i relativi compensi sono cumulabili con l’indennità NASpI erogata dall’INPS nei confronti dei dipendenti che perdono involontariamente il posto di lavoro.

Coloro che percepiscono il sussidio e sottoscrivono un progetto di tirocinio mantengono il diritto alla prestazione senza dover inviare alcuna comunicazione all’INPS.

Tirocinio irregolare: i chiarimenti dell’INL

Le istruzioni operative sui tirocini irregolari sono state dettagliate dall’INL nella Circolare n. 8 del 18/04/2018, che individua i possibili fenomeni di elusione dei tirocini extracurriculari. Ad esempio l’eccessivo e sistematico ricorso a tale istituto da parte dei medesimi soggetti ospitanti.

Alleghiamo la circolare dell’INL per una sua completa e approfondita analisi.

Leggi anche: Tirocinio extracurriculare irregolare? Chiarimenti dell’INL

⭐️ Segui Lavoro e Diritti su Google News: clicca sulla stellina per inserirci nei preferiti.
 

Manovra 2022, novità in arrivo sui bonus edilizi. Come potrebbero cambiare

Manovra 2022, novità in arrivo sui bonus edilizi. Come potrebbero cambiare
Nella discussione sul testo della manovra, non mancano le novità legate ai bonus edilizi. Quali sono le possibili modifiche all’orizzonte?

In questi giorni che precedono la fine dell’anno, non può che continuare la discussione sulle misure previste nella Manovra 2022, anche se il tempo stringe e tra i principali argomenti sul tavolo, compaiono i bonus edilizi. Il dibattito è caratterizzato dalla richieste dei partiti, che vorrebbero una revisione dei requisiti; ma il punto è rappresentato dalle coperture per attuare l’appena citata revisione. Senza di esse, infatti, non è possibile rendere più ‘elastici’ i presupposti di accesso alle misure.

Insomma, la discussione sulla Legge di Bilancio continua, ma non mancano le asperità. In effetti su varie questioni le formazioni politiche sono tuttora divise e il margine per eventuali nuove modifiche è ridotto.

Vediamo qualche dettaglio.

Superbonus e Bonus edilizi 2022: risorse finanziarie, Isee e possibili novità

Nella finalità di affrontare con limpidezza e chiarezza di intenti, l’argomento delle risorse finanziarie disponibili, in questi giorni si stanno susseguendo le riunioni e gli incontri tra i relatori della manovra. Quest’ultima – come ogni anno – presenta vari elementi di discussione, tali da generare contrasti di visione tra le formazioni politiche. In particolare, sotto esame sono e restano, come accennato, i bonus edilizi.

L’attenzione è stata posta sul superbonus 110%, ossia una agevolazione che permette al beneficiario di detrarre dall’Irpef il 110 % delle spese sostenute per compiere interventi di efficientamento energetico o di messa in sicurezza di un edificio. Ciò che preme ricordare è che alla data di approvazione del disegno di Legge di Bilancio, l’Esecutivo aveva deciso per l’estensione del bonus citato fino a giugno 2022 anche per le case monofamiliari, ma a specifiche condizioni. Tra esse, quella per la quale il  proprietario non avesse un Isee al di sopra dei 25mila euro all’anno.

Leggi anche: Bonus mobili confermato nel 2022, ma con una novità. Ecco quale

Tuttavia, nell’ambito della discussione sulla manovra, è rapidamente emersa la disapprovazione verso una soglia considerata troppo  bassa e tale da tagliare fuori dai bonus edilizi in oggetto, una vastissima platea di possibili destinatari. Non sorprende dunque che nei giorni scorsi siano prepotentemente emerse indiscrezioni giornalistiche, per le quali la soglia Isee potrebbe salire fino a 40mila euro, al fine di far rientrare un maggior numero di nuclei familiari, nel perimetro dei beneficiari.

Bonus edilizi 2022: novità anche per il bonus facciate?

Il dibattito sulla legge di Bilancio è in fermento, tanto che nelle ultime ore è emersa una nuova proposta in tema di bonus edilizi (su  iniziativa del M5s). Quest’ultima potrebbe trovare un decisivo appoggio nelle altre forze politiche impegnate a trovare elementi di accordo sul testo finale della manovra.

In sintesi, la proposta prevede:

  • l’estensione a tutto il 2022 del citato superbonus 110% sulle case unifamiliari;
  • previsione di un solo stato avanzamento lavori al 30 giugno 2022;
  • cancellazione dell’attuale previsione di un tetto Isee, del limite della prima casa e di una data di rilascio della certificazione di inizio lavori asseverata.

Non solo. In questi giorni, si sta discutendo anche sul profilo da dare al bonus facciate, nel 2022. Ebbene, è emersa la necessità di riconsiderare la struttura del bonus facciate, ossia un beneficio che l’Esecutivo aveva scelto di rinnovare anche per l’anno prossimo, ma apponendo una sostanziale modifica al meccanismo. Infatti, la detrazione in gioco cambierebbe, scendendo dal 90% al 60%.

Le nuove idee non mancano e prevedono ad esempio una proroga di sei mesi senza taglio dell’aliquota. Si stimano però dei costi pari a circa 600 milioni di euro, per sostenere l’operazione. Altra proposta emersa recentemente è quella favorevole al taglio dell’aliquota, ma con un’estensione del bonus facciate ben oltre il 2022. D’altronde non si può non rimarcare il grande successo ottenuto finora dalla misura in oggetto.

Leggi anche: Bonus facciate anche nel 2022, ma solo con i pagamenti entro il 31 dicembre: ecco come fare

Bonus edilizi, misure anti-frode e tempistiche ridotte

Abbiamo ricordato che il dibattito sul testo della legge di Bilancio prosegue intenso, anche con riferimento ai bonus edilizi. Non ci si stupisce allora del fatto che di detti bonus si ragiona anche sul piano delle misure anti-frode. Proprio in questi giorni il notissimo quotidiano economico Il Sole 24 Ore ha spiegato che: “l’obiettivo è quello di fissare alcune soglie sotto le quali non sarebbe richiesta l’asseverazione con l’obbligo di mettere in sicurezza le procedure in corso evitando così un’applicazione retroattiva delle norme“.

Vero è che si tratta di una lotta contro il tempo. Il testo della legge di Bilancio deve essere infatti approvato dai due rami del Parlamento entro la fine di dicembre, al fine di non far scattare quello che in gergo è definito ‘esercizio provvisorio’. Quest’ultimo rappresenta in concreto una modalità di spesa pubblica che fa riferimento, circa l’ammontare, al dato storico degli anteriori esercizi finanziari. Entra in gioco in caso di non approvazione del documento di autorizzazione delle spese per l’anno successivo, vale a dire il bilancio di previsione.  Ebbene, il pericolo dell’esercizio provvisorio potrebbe essere superato dal Governo, attraverso il meccanismo della fiducia sul testo.

⭐️ Segui Lavoro e Diritti su Google News: clicca sulla stellina per inserirci nei preferiti.
 

Partita Iva in regime forfettario 2022: requisiti e novità riforma fiscale

Partita Iva in regime forfettario 2022: requisiti e novità riforma fiscale

Guida alla partita iva in regime forfettario con le regole aggiornate alla Riforma fiscale: requisiti e obbligo fattura elettronica

partita iva regime forfettario

partita iva regime forfettario

Partita Iva forfettario 2022: con la cosiddetta riforma fiscale per la quale il Consiglio dei Ministri ha già approvato il disegno di legge delega, potrebbero essere introdotte novità anche per il regime forfettario 2022. Nella relazione finale delle Commissioni parlamentari sulla riforma del fisco, che sarà anch’essa presa in considerazione, sono suggeriti degli interventi correttivi anche sui forfettari.

Ecco la guida aggiornata alla contabilità e alla tassazione della p iva in regime forfettario con le novità della riforma fiscale.

Partita Iva in regime forfettario 2022: requisiti di accesso

La norma di riferimento del regime fiscale forfettario è la  Legge n° 190/2014, Legge di bilancio 2015, commi da 54 a 89. Il regime forfettario nel tempo è stato oggetto di alcuni interventi normativi. La Legge di bilancio 2019 è intervenuta sui requisiti d’accesso e sulle cause di esclusione.

Leggi anche: Partita Iva: cos’è, a cosa serve, come aprire. Guida aggiornata

Con la circolare n° 9/2019, l’Agenzia delle entrate ha fornito specifici chiarimenti sulla legge citata.

Ad oggi, possono accedere al regime forfettario coloro che:

  • hanno conseguito ricavi o percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 65.000 euro (se si esercitano più attività, contraddistinte da codici Ateco differenti, occorre considerare la somma dei ricavi e dei compensi relativi alle diverse attività esercitate),
  • hanno sostenuto spese per un importo complessivo non superiore a 20.000 euro lordi per lavoro di terzi, compresi dipendenti e collaboratori.

I requisiti in parola devono essere rispettati sia ai fini dell’accesso che della permanenza nel regime in esame.

Le cause di esclusione dai forfettari

In merito alle cause di esclusione, non possono accedere al regime forfettario:

  • le persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini Iva o di regimi forfettari di determinazione del reddito;
  •  i non residenti, ad eccezione di coloro che risiedono in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo che assicuri un adeguato scambio di informazioni e che producono in Italia almeno il 75% del reddito complessivamente realizzato;
  •  i soggetti che effettuano, in via esclusiva o prevalente, operazioni di cessione di fabbricati o porzioni di fabbricato, di terreni edificabili o di mezzi di trasporto nuovi;
  • gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano contemporaneamente a società di persone, associazioni professionali o imprese familiari ovvero che controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte individualmente.

Nel 2022, le cause i requisiti di accesso e le cause di esclusioni dovrebbero rimanere invariati.

Partita Iva forfettario 2022: ulteriori cause di esclusione

Ancora, oltre a quanto detto sopra, non possono accedere al regime forfettario:

  • le persone fisiche la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili a tali datori di lavoro, fatta eccezione per chi inizia una nuova attività dopo aver svolto il periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni;
  •  coloro che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e/o assimilati di importo superiore a 30.000 euro, tranne nel caso in cui il rapporto di lavoro dipendente nell’anno precedente sia cessato (sempre che in quello stesso anno non sia stato percepito un reddito di pensione o un reddito di lavoro dipendente derivante da un altro rapporto di lavoro).

Regime forfettario, tassazione

L’aliquota sostitutiva applicata al regime forfettario va a sostituirsi a IRPEF, IRAP e addizionali regionali e comunali.

Si tratta di un regime fiscale agevolato in quanto le aliquote non sono quelle normali dell’IRPEF ma si applica un’unica aliquota:

  • ridotta al 5% si applica per i primi cinque anni per chi avvia una nuova attività (start up);
  • aliquota sostituiva al 15% per tutti gli altri casi.

A differenza degli altri regimi il forfettario imponibile si calcola a forfait. Questo semplifica la contabilità e consente di risparmiare sulla tassazione.

Regime previdenziale forfettari

Anche nel 2022, dovrebbe trovare applicazione il regime previdenziale di favore previsto per gli artigiani e commercianti.

Regime previdenziale in base al quale, la contribuzione sia entro il minimale sia fino al massimale reddituale è ridotta del 35%.

L’adesione dovrà essere comunicata all’INPS entro il 28 febbraio 2022. Per chi inizia una nuova attività nel 2021. Chi avvierà l’attività nel 2022, deve comunicare l’adesione in maniera tempestiva. Rispetto alla ricezione  provvedimento di iscrizione all’INPS.

Si veda la circolare INPS n° 24/2020.

La riforma fiscale: uscita ritardata se si perdono i requisiti

Con la c.d Riforma fiscale per la quale il Consiglio dei Ministri ha già approvato il disegno di legge delega, potrebbero essere introdotte novità anche per il regime forfettario. Nella relazione finale delle Commissioni parlamentari sulla riforma fiscale, che sarà anch’essa presa in considerazione, sono suggeriti degli interventi correttivi anche sul regime forfettario.

Nello specifico, nel 2022 potrebbe essere introdotte delle misure ad hoc per il contribuente in regime forfettario che perde i requisiti previsti dalla norma.

Leggi anche: Regime forfettario regole per chi entra o rimane fra i forfettari

La Commissione suggerisce l’introduzione di un sistema che permetta al contribuente di uscire dal regime forfettario con effetto ritardato.

Continuando nel regime nei due periodi d’imposta successivi alla perdita dei requisiti:

  • a condizione che in ciascuno di detti periodi di imposta il contribuente dichiari un volume d’affari incrementato di almeno il 10% rispetto a quello di ciascun anno precedente;
  • pagando un’imposta sostitutiva incrementata dal 15 al 20 e dal 5 (se in fase start-up) al 10 per cento.

La Commissione raccomanda, infine:

per questa ipotesi, di accordare in favore del contribuente quale ulteriore misura di accompagnamento, la limitazione dei poteri di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’articolo 39, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per il periodo di vigenza dell’opzione; al termine del biennio agevolato, i contribuenti che hanno esercitato l’opzione fuoriuscirebbero definitivamente dal regime forfettario.

Fatturazione elettronica partita IVA forfettari

Ad oggi, l’obbligo di fatturazione elettronica non opera nei confronti delle partite iva in regime forfetario. Tuttavia, tali contribuenti se decidono di fatturare tutte le operazioni con la fattura elettronica, possono accedere ad un regime premiale.

Nello specifico, con un fatturato costituito esclusivamente da fatture elettroniche, il termine di decadenza per l’attività di accertamento del fisco (articolo 43, dPR 600//3), è ridotto di un anno. A tal fine, sono considerate valide anche le fatture elettroniche emesse in ritardo.

Leggi anche: Fatturazione elettronica anche per i forfettari dal 2022: sì dalla Commissione UE

Anche se per quella determinata operazione il contribuente ha emesso prima una fattura cartacea e poi una fattura elettronica tardiva. A tal proposito, si veda la risposta n° 520/2021. Difatti, almeno per il 2022, sarà confermato il suddetto regime premiale.

Detto ciò, nella riforma fiscale, stando a quanto si sa oggi, non è previsto alcun obbligo di fatturazione per i contribuenti in regime forfettario.

Tuttavia, è notizia recente che l’U.E. ha dato la prima autorizzazione all’Italia per estendere l’obbligo di fatturazione elettronica anche ai forfettari.

Sarà il Consiglio UE ad avere la decisione finale. Dopodiché, sarà necessaria una norma nazionale per mettere tutto nero su bianco.

⭐️ Segui Lavoro e Diritti su Google News: clicca sulla stellina per inserirci nei preferiti.
 

San Giovanni della Croce

 

San Giovanni della Croce


Nome: San Giovanni della Croce
Titolo: Sacerdote e dottore della Chiesa
Nascita: 1542, Fontiveros, Spagna
Morte: 14 dicembre 1591, Ubeda, Spagna
Ricorrenza: 14 dicembre
Tipologia: Memoria liturgica
Protettore:misticipoeti
Collaboratore di Santa Teresa d’Avila nella fondazione dei Carmelitani Scalzi, Dottore della Chiesa, Giovanni della Croce risulta sempre più un affascinante maestro: le sue parole e il suo messaggio sanno di mistero, del mistero di Dio.

Nacque a Fontiveros in Castiglia (Spagna) nel 1542, da una famiglia poverissima. Orfano molto presto del padre; una madre laboriosa e intraprendente per far fronte alla fame. Il piccolo Juan venne subito colpito dalla durezza della vita. Provato nel fisico, ma temprato nello spirito, si diede da fare come infermiere per mantenersi agli studi cui si sentì portato.

Emerse ben presto la sua voglia di Dio e di Assoluto. A 20 anni decise di entrare nel noviziato dei Carmelitani. Arrivò al Sacerdozio a 24 anni, ma si scoprì dentro una gran voglia di una vita rigorosamente consacrata nel silenzio e nella contemplazione, una voglia che neppure i brillanti studi teologici nella prestigiosa università di Salamanca riuscirono a sopire.

Ci pensò Santa Teresa ad offrirgli una soluzione, invitandolo a partecipare alla Riforma dell’Ordine Carmelitano. Maestro dei novizi, attirò tanti giovani che desideravano condurre una vita come lui. Nello spazio di pochi anni, pieni di fatiche apostoliche sulle strade assolate o ghiacciate di Spagna, accanto a profonde sofferenze, incredibili ed esaltanti esperienze mistiche.

La sua perfezione ascetica, la sua vita d’orazione, la sua elevatezza. di spirito e d’ingegno, l’esperienza mistica personale e la conoscenza dell’ampia esperienza mistica del Carmelo Riformato, la vasta dottrina, la profonda interiorità, e soprattutto la viva fiamma d’amore che lo vivificava e lo consumava fecero di lui non solo un grande santo, ma anche un grande maestro.

Scrisse poemi e trattati che sprigionavano la sua sapienza mistica, quella che non viene dai libri e dagli studi, ma che si “sa per amore”.

Morì a Ubeda il 14 dicembre 1591, a soli 49 anni, facendo sue, in un trasporto d’amore, le parole del Cantico dei cantici: “Rompi la tela ormai al dolce incontro!”.

APPROFONDIMENTO

Il suo linguaggio: poetico e pieno di immagini e simboli, il linguaggio della passione e dell’amore. Con spirito nuovo, da umanista rinascimentale, offre un valido aiuto per il cammino cristiano dell’uomo moderno. Il cammino che propone è necessario e il risultato possibile anche se può sembrare una cosa ardua

Giovanni della Croce invita alla rinuncia, che non è negazione di sé o abdicazione da sé, ma promozione del meglio di sé. L’opera di Giovanni della Croce, se non invita ad un approccio immediato, ridesta tuttavia sempre almeno curiosità e fascino. Sono molte le persone comunque che l’hanno preso sul serio, come Teresa di Gesù Bambino, Elisabetta della Trinità, Edith Stein…, e tanti altri, ci assicurano che l’itinerario proposto da Giovanni della Croce è accessibile. La sua spiritualità non sradica e non impone un programma fisso di vita. Pur rimanendo nei nostri quotidiani impegni, ci chiede di vivere nell’attenzione amorosa, un orientamento a Dio totale e rigorosamente esclusivo.

Il suo magistero orale e scritto, illumina tutto il percorso cui l’anima è chiamata per il raggiungimento del “Monte”, dei vertici della spiritualità ove si compie il mistero amoroso dell’unione con Dio.

La Chiesa ha riconosciuto il valore universale della dottrina ascetica e mistica di S. Giovanni della Croce procamandolo Dottore Mistico della Chiesa Universale.

Quel che è certo è che tutti i pensieri, tutti i detti di S. Giovanni della Croce sono proprio articoli che regolano il modo di camminare sulle orme di Cristo. Un codice della strada, sì, della vera strada: l’imitazione di Cristo, di Colui che è Egli stesso via. Ed è altrettanto certo che il passaggio obbligato è quello della Croce.

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di san Giovanni della Croce, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani e dottore della Chiesa, che, su invito di santa Teresa di Gesù, fu il primo tra i frati ad aggregarsi alla riforma dell’Ordine, da lui sostenuta tra innumerevoli fatiche, opere e aspre tribolazioni. Come attestano i suoi scritti, ascese attraverso la notte oscura dell’anima alla montagna di Dio, cercando una vita di interiore nascondimento in Cristo e lasciandosi ardere dalla fiamma dell’amore di Dio. A Ubeda in Spagna riposò, infine, nel Signore.