di Laura Bonelli
Effegi Edizioni pubblica un saggio di grande interesse storico, sociale e culturale.
La conquista dell’impero e le leggi razziali tra cinema e memoria, un numero monografico, coordinato da Paola Scarnati e a cura di Carlo Felice Casula, Giovanni Spagnoletti e Alessandro Triulzi propone un’analisi approfondita sul passato coloniale dell’Italia alla luce della consapevolezza del presente. Diviso in due parti si avvale del contributo di diversi autori. La prima sezione esamina i vari aspetti del colonialismo, la seconda si occupa del cinema dell’epoca. Un libro particolarmente prezioso per ripercorrere i trascorsi italiani e non dimenticare.
Tra gli interventi risulta di grande attualità il saggio Visti dal banco di scuola: colonie, razzismo imperiale e la mancata decolonizzazione della scuola italiana di Gianluca Gabrielli. L’autore è dottore di ricerca in History of Education, si occupa di Storia del razzismo e del colonialismo italiano, nonché di Storia dell’educazione. Insegna nella scuola primaria a Bologna. Ha collaborato alle mostre: “La menzogna della razza” (1994), “I problemi del fascismo” (1999/2011), “Il mito scolastico della marcia su Roma” (2012). Gli ultimi volumi pubblicati sono Il razzismo (con A. Burgio, Ediesse 2012), Il curricolo «razziale» (Eum 2015) e Educati alla guerra (Ombre corte 2016).
Razzismo e scuola: un accostamento possibile?
Nel mio saggio sono partito guardando al passato, alla storia, e in questo senso l’accostamento tra scuola e razzismo è un fatto incontrovertibile. La dimensione più conosciuta è quella del ventennio fascista, con le misure sulla scuola che presero corpo con il varo della legislazione antisemita. La scuola nella strategia razzista del fascismo fu un luogo cruciale, la persecuzione dei diritti iniziò proprio con la cacciata degli studenti e degli insegnanti ebrei e con la cancellazione di ogni traccia di ebraismo dai libri di testo.
Ma pochi sanno che parallelamente a questo razzismo antisemita il fascismo portò avanti una politica razzista contro gli africani delle colonie, imponendo dal 1937 una serie di leggi contro le unioni miste, contro i cosiddetti meticci e per la tutela del prestigio della “razza” italiana. Gli africani delle colonie italiane erano già sudditi, cioè non titolari di una cittadinanza pari a quella degli italiani (e il fondamento di tale disuguaglianza non poteva che essere una gerarchizzazione razzista), ma queste leggi furono il volano per una loro ulteriore demonizzazione della quale si vedono pesanti tracce anche nei libri scolastici utilizzati in Italia. Nel contesto della società coloniale poi dobbiamo ricordare che gli italiani non permisero mai ai sudditi africani di acquisire livelli di scolarizzazione se non minimali, nell’ottica della costruzione di un dominio basato anche sulla preclusione dell’istruzione.
D’altronde il fascismo non inventava il razzismo verso gli africani, ma lo ereditava da una lunga tradizione italiana ed europea. Nei libri di geografia scolastica di metà ‘800 già si vede la gerarchizzazione dell’umanità in razze, la descrizione svalorizzante delle popolazioni africane o asiatiche riferita alla loro asserita inferiorità “razziale”. Questo tratto culturale comune a tutto l’occidente nell’epoca del positivismo crebbe ulteriormente quando anche l’Italia sbarcò in Africa per conquistare territori: a questo punto si trattava di trasmettere al popolo italiano alle prese con la sua alfabetizzazione l’idea dell’inferiorità nelle popolazioni africane per giustificare le spedizioni di conquista con la scusa della missione civilizzatrice.
Nel suo saggio inserito nella raccolta LA CONQUISTA DELL’IMPERO E LE LEGGI RAZZIALI TRA CINEMA E MEMORIA viene raccontato il rapporto tra educazione e nuove culture attraverso i decenni. Come è cambiato?
Una prima fase, molto lunga, copre tutto l’800 e la prima metà del ‘900 e sostanzialmente si sovrappone all’epoca coloniale. Questa fase è caratterizzata da una considerazione dell’ “Altro” come inferiore, da soggiogare o da civilizzare, e termina solo negli anni Sessanta del Novecento, con la perdita dei possedimenti coloniali e l’affermarsi delle tematiche dell’antirazzismo proprie delle lotte per i diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti. Il movimento del Sessantotto costituirà un momento cardine di questo cambiamento di immagine, con la contestazione dei delle tematiche e dei materiali scolastici tradizionali. Nel mondo della scuola però queste trasformazioni hanno periodi molto lunghi, poiché inerzie culturali si replicano nel tempo e sono difficili da smantellare.
Inoltre questa decolonizzazione dell’immaginario rimase parziale, spesso solo di facciata; i conti con il razzismo non vennero fatti rispetto al passato razzista nazionale, ma attraverso la critica del razzismo nei confronti degli afroamericani negli States o dell’apartheid sudafricano.
L’ultima fase parte dagli anni ’90. Da questo momento il discorso si fa diverso poiché il cosiddetto “altro” non è più solo immaginato ma è una persona reale, è l’immigrato chi arriva in Italia e che entra a far parte della nostra società a pieno titolo. In questo contesto assistiamo spesso al riemergere di un razzismo che arriva anche nella scuola, ma soprattutto la scuola diventa lo spazio sociale in cui si prova a costruire la società interculturale del futuro, fatta di soggetti con background culturali di origine molto diversa. Una costruzione molto faticosa, anche perché ostacolata in partenza da una legge sulla cittadinanza che bolla come stranieri bambine e bambini nati e cresciuti in Italia.
Mi ha interessato la sua affermazione sul momento attuale: il razzismo non è più tra cultura italiana e quella estera, ma in qualche modo esiste un razzismo tra culture diverse, in cui l’Italia è solo il luogo in cui si manifestano…
Diciamo che oggi il dispositivo razzista non muove più da asserite diversità fisiche, come nella “razza” teorizzata nei due secoli precedenti. Ormai da decenni l’esistenza delle “razze” biologiche è stata smentita dalla scienza. Questo però non ha indebolito il razzismo, ma ne ha mutato le forme. Attualmente chi costruisce gerarchie e discrimina lo fa sulla base di presunte differenze culturali, di consuetudini, etniche, religiose. Solo che queste differenze non vengono attribuite a diverse storie e tradizioni contingenti ma vengono assolutizzate come se fossero una seconda pelle delle persone; inoltre le culture differenti vengono descritte come univoche mentre sono l’effetto dei continui intrecci e mutamenti che la globalizzazione produce senza quasi che ce ne accorgiamo. L’italiano razzista che rifiuta il migrante nigeriano perché sarebbe estraneo alla cultura italiana non si accorge di mangiare Kebab, indossare una maglietta prodotta in Vietnam e riempire il proprio discorso di termini anglosassoni. Le identità inventate a partire dalle quali i razzisti nostrani scagliano le loro invettive sono tanto fittizie quanto le presunte diverse capacità craniche lamentate dagli antropologi ottocenteschi.
Questa riduzione delle persone alle loro presunte radici identitarie è presente anche nei curricoli scolastici e nelle versioni più ingenue di didattica.
E’ possibile contrastare il razzismo nell’educazione dei bambini e dei giovani?
Oggi una didattica interculturale è certamente possibile e l’ottica interculturale è un fondamento della scuola presente e futura. Prima di tutto la scuola è il contesto egualitario di incontro e di crescita di tutte le ragazze e i ragazzi che vivono in Italia; quindi la scuola è il luogo dove si costruiscono relazioni di socialità fondate sul rispetto reciproco, sulla contestazione di ogni discriminazione e sulla decostruzione di ogni stereotipo. è la struttura stessa della scuola pubblica ad essere un dispositivo contro la crescita del razzismo.
All’interno dei curricoli esistono ancora elementi non adeguati al rapido mutamento che si è verificato nella società italiana e che dovrebbero venire affrontati a livello nazionale, per favorire una trasformazione interculturale degli approcci: basti pensare che ormai da quindici anni nella scuola primaria si studia esclusivamente la geografia dell’Italia mentre la composizione delle classi consiglierebbe di aprire fin da quell’età la conoscenza dell’Europa e del mondo. Ed esiste ancora un ritardo a fare i conti culturalmente con il passato coloniale e razzista nazionale, spesso “dimenticato” nei libri di testo.
Ma le difficoltà maggiore arrivano dall’esterno della scuola. Una legge sulla cittadinanza che considera stranieri per tutto il percorso scolastico i giovani nati in Italia e che parlano il dialetto è un ostacolo tremendo che riverbera i suoi effetti anche sul lavoro che si può fare a scuola. Ma è anche la stessa società italiana degli ultimi decenni che ha prodotto livelli di razzismo crescenti a costituire un grosso problema per la scuola stessa. Gli stereotipi, i pregiudizi e gli elementi di violenza potenziale insiti negli episodi di razzismo diffuso e istituzionale non si fermano fuori dalle mura scolastiche, la scuola deve farci i conti. é un lavoro faticoso e quotidiano che i docenti fanno per favorire il confronto: la decostruzione degli stereotipi, la critica dei pregiudizi, la costruzione di identità aperte e disponibili a mettersi in discussione. Oggi mi pare proprio che su questo tema la migliore scuola stia facendo l’impossibile per rimediare ai problemi che le arrivano dalla società.