Archivi giornalieri: 15 settembre 2015

Osservatore Romano

150 milioni di giovani vivono in strada

 

· ​In Vaticano i lavori del simposio promosso dal dicastero per i migranti ·

15 settembre 2015

 
 

 

Ogni anno 1,2 milioni di ragazzi sono vittime della tratta a scopo di sfruttamento lavorativo o sessuale. E la popolazione mondiale dei ragazzi di strada è pari a 150 milioni, il 40 per cento dei quali sono senza tetto, mentre il rimanente 60 per cento lavorano in strada per sostenere le famiglie. E trenta milioni sono quelli abbandonati. I Paesi più colpiti da questo fenomeno in America latina e Africa centrale, con cifre elevate anche nell’Europa orientale. Sono i dati forniti dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, all’apertura il simposio internazionale sulla pastorale della strada, in corso in Vaticano, dal 13 al 17 settembre.

Il porporato ha ricordato come Papa Francesco abbia più volte “denunciato con forza le tragiche situazioni in cui sono costretti a vivere i bambini poveri”, incoraggiando “a compiere ogni sforzo per aiutare uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di piacere, spesso torturati e tristemente mutilati” ed esortando i responsabili dei governi e le autorità civili “ad adoperarsi con decisione per rimuovere le cause di questa ‘piaga vergognosa’”.

Da parte sua il cardinale ha riproposti gli Orientamenti per la pastorale della strada, con cui il dicastero nel 2007 ha affrontato in maniera approfondita l’argomento. Si tratta, ha detto, di “un fenomeno globale che in alcuni paesi e regioni ha assunto proporzioni crescenti, aggravato da una serie di cause quali la povertà e le migrazioni, la disgregazione della famiglia, l’abuso, la violenza familiare, l’abbandono, il maltrattamento e il disagio sociale”. Di conseguenza i ragazzi di strada “sono vulnerabili e cadono spesso vittime di abusi sessuali e di prostituzione, traffico, criminalità, droga e violenza delle gang”.

Inoltre la pastorale della strada riguarda un’ampia gamma di persone costrette a vivere fuori dai confini di una vita familiare normale e di una cura pastorale ordinaria. Le loro situazioni particolari richiedono quindi approcci specifici e anche grande flessibilità. Il riferimento è alla “questione delle donne e ragazze coinvolte nel circolo vizioso della prostituzione” e alla “loro liberazione”, una realtà complessa con la quale la Chiesa deve confrontarsi. Infatti, ha fatto notare il porporato, “crescenti squilibri socio-economici, reti criminali organizzate, pratiche culturali malsane, discriminazione e violenza sono solo alcuni dei principali fattori” che vi contribuiscono.

Il cardinale ha poi sottolineato come situazioni sociali e tendenze politiche corrotte “sono una sfida. Spesso egoistiche e orientate al profitto, sembrano essere più forti della nostra buona volontà e dei nostri sforzi”. Concludendo, il porporato ha ricordato che per la Chiesa i poveri e gli emarginati “occupano un posto molto speciale nella sua missione evangelizzatrice e pastorale. Non può ignorarlo né può rimanere in silenzio di fronte a qualsiasi minaccia alla loro dignità e ai loro diritti”. Per questo, ha concluso, “auspico che ciascuno di voi si impegni ad essere la voce delle donne e dei ragazzi di strada, abbandonati, sfruttati e umiliati nella loro dignità”.

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UE

Lavoro: Corte UE, spostamenti lavoratori costituiscono orario di lavoro

Gli spostamenti effettuati dai lavoratori senza luogo di lavoro fisso o abituale tra i loro domicilio e il primo o l’ultimo cliente della giornata costituiscono orario di lavoro. Pertanto, escludere tali spostamenti dall’orario di lavoro sarebbe contrario all’obiettivo della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori perseguito dal diritto dell’Unione. Lo ha stabilito la Corte Ue in una sentenza relativa alla causa tra la Federación de Servicios Privados del sindacato Comisiones obreras e le società Tyco (Tyco Integrated Security e Tyco Integrated Fire & Security Corporation Servicios).

I giudici della Corte europea ricordano che “una direttiva dell’Unione definisce l’orario di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni o prassi nazionali”. Le società Tyco, scrivono i magistrati nella sentenza, “svolgono, nella maggior parte delle province spagnole, attività di installazione e manutenzione di sistemi di sicurezza antifurto. 

Nel 2011, la Tyco ha chiuso i suoi uffici regionali e ha assegnato tutti i suoi dipendenti all’ufficio centrale di Madrid (Spagna)”.

I tecnici dipendenti della Tyco “si occupano dell’installazione e della manutenzione degli impianti di sicurezza nelle abitazioni e nei locali industriali e commerciali siti nella zona territoriale di loro competenza, sebbene non abbiano un luogo di lavoro fisso”. 

La distanza tra il domicilio dei lavoratori e i luoghi “dove essi devono  effettuare un intervento, sottolinea la Corte Ue, “può variare considerevolmente e, a volte, superare i 100 chilometri e durare sino a tre ore”. La Tyco “considera il tempo di spostamento “domicilio-clienti” non come orario di lavoro, ma come periodo di riposo”.

La Tyco, si legge ancora nella sentenza, “calcola la durata quotidiana del lavoro conteggiando il tempo trascorso tra l’ora di arrivo dei suoi dipendenti sul luogo in cui si trova il primo cliente e l’ora in cui i dipendenti partono dal luogo in cui si trova l’ultimo cliente; sono pertanto presi in considerazione unicamente i tempi degli interventi”. 

“Prima della chiusura degli uffici regionali, la Tyco conteggiava tuttavia l’orario di lavoro quotidiano dei dipendenti a partire dall’ora di arrivo nell’ufficio, quando i dipendenti prendevano possesso del veicolo messo a loro disposizione, dell’elenco dei clienti da cui recarsi e della tabella di viaggio, sino all’ora del loro rientro, la sera, nell’ufficio, quando i dipendenti vi lasciavano il veicolo”, aggiunge ancora la sentenza.

L’Audiencia Nacional (Corte nazionale, Spagna), adita nel procedimento principale,”chiede se il tempo che i lavoratori impiegano per spostarsi ad inizio e a fine giornata debba essere considerato come orario di lavoro ai sensi della direttiva” e la Corte di giustizia, “con la sentenza, dichiara che, nel caso in cui dei lavoratori, come quelli nella situazione in oggetto, non abbiano un luogo di lavoro fisso o abituale, il tempo di spostamento tra la sede di lavoro e il primo o l’ultimo cliente costituisce orario di lavoro ai sensi della direttiva”. 

La Corte sottolinea che “i lavoratori che si trovano in tale situazione stiano esercitando le loro attività o le loro funzioni durante l’intera durata di tali spostamenti”.

Esodati

Per Cgil, Cisl, Uil, serve soluzione definitiva su esodati

Una soluzione “definitiva e strutturale” per gli esodati non è più rinviabile. E’ quanto sostengono Cgil, Cisl e Uil che, questa mattina, sono scesi in piazza, con un presidio davanti al ministero dell’Economia, per chiedere la settima misura di salvaguardia per i lavoratori/trici rimasti senza lavoro e senza pensione a seguito della riforma Monti-Fornero.

Al Tesoro, i sindacati chiedono di tornare indietro sulla decisione di sottrarre i risparmi del Fondo per la salvaguardia degli esodati, pari a 3 miliardi di euro. “Non è accettabile che i risparmi delle sei salvaguardie del Fondo esodati – afferma il segretario confederale della Cgil Vera Lamonica – vengano utilizzati per altri fini. Sarebbe uno scandalo”.

“Siamo costretti a mobilitarci ancora per evitare ulteriori problemi sociali e per difendere diritti già riconosciuti da norme vigenti, che oggi vengono rimesse in discussione”, aggiunge il segretario confederale della Cisl Maurizio Petriccioli. Occorre inoltre, conclude il segretario confederale della Uil Domenico Proietti, reintrodurre “una vera flessibilità di accesso alla pensione che è l’unico modo sia per ridurre le eccesive rigidità  introdotte dalla legge Monti-Fornero sia per riattivare un positivo turn over nel mercato del lavoro a beneficio dei giovani”.

Unitariamente, i sindacati considerano l’incontro di questa mattina con il sottosegretario al Tesoro, Pier Paolo Baretta “del tutto insoddisfacente” e avvertono che “la mobilitazione continua”. Beretta ha anche proposto ai sindacati di incontrarsi nuovamente tra due settimane.

Al presidio di Cgil, Cisl e Uil è intervenuto il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, che ha annunciato di voler chiedere al governo una soluzione “entro la legge di stabilità”.

Secondo Damiano, si deve “fare tutto il possibile per ripristinare il fondo esodati. I risparmi non possono essere inglobati dal debito generale, e stupisce la diversa interpretazione dei tecnici del Mef”. 

Il presidente della commissione Lavoro incontrerà all’una di oggi alla Camera una delegazione dei sindacati per discutere della settima misura di salvaguardia e dell’Opzione donna, per la quale ritiene che si possano usare i risparmi del fondo esodati.

Lavoratori distaccati

Lavoratori distaccati. Otto Stati membri dicono no a qualsiasi revisione delle norme

Con una lettera congiunta alla Commissaria per l’Occupazione, gli affari sociali e la mobilità del lavoro, la belga Marianne Thyssen, i Ministri del Lavoro di Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia Romania e Repubblica slovacca, chiedono alla Commissione europea di bloccare ogni revisione delle direttive sul distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi, prevista dal programma di lavoro della Commissione europea per il 2015.

Secondo i Ministri del lavoro degli otto paesi UE, “la libera prestazione dei servizi costituisce uno dei principi fondamentali del mercato interno dell’UE e contribuisce allo sviluppo economico degli Stati membri e alla competitività di tutta l’Unione europea”. Secondo loro, infatti, le norme attualmente in vigore (ossia la Direttiva 96/71 relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi e la successiva Direttiva 2014/67, concernente la cooperazione amministrativa e l’applicazione della suddetta direttiva 96/71/CE) “prevedono già garanzie molto chiare per la tutela dei diritti sociali dei lavoratori distaccati”.

“E non vi sono prove – aggiungono gli otto Ministri – che potenziali punti di debolezza possano minare le regole base del distacco. Anzi, visto come è stato difficile raggiungere un accordo sulla direttiva del 2014, una revisione ulteriore in questa fase  può soltanto generare divisioni. Vi è il rischio cioè che una revisione delle regole sul distacco possa essere utilizzata per minare un fondamentale principio dell’UE, quale la libera prestazione dei servizii”.

I Ministri in questione si oppongono soprattutto a due ipotesi di revisione delle norme, richieste invece a gran voce dai sindacati europei allo scopo di arginare il fenomeno crescente del dumping sociale: il principio della parità di retribuzione per pari lavoro nello stesso luogo e il principio cosiddetto del “lex loci laboris”.

In pratica, se il principio della parità di retribuzione venisse applicato ai lavoratori distaccati in un altro Stato membro, questi avrebbero finalmente diritto a percepire le stesse retribuzioni in vigore nel paese di effettiva occupazione (Stato membro di stabilimento). Inoltre, se il principio cosiddetto del “lex loci laboris” venisse ugualmente applicato a questa categoria di lavoratori mobili, anche per quanto riguarda la previdenza sociale verrebbero riconosciuti loro i medesimi diritti degli altri lavoratori impiegati nel paese di effettiva occupazione.

I Ministri degli otto Stati membri dell’Europa dell’est ritengono invece “qualsiasi riferimento alla parità di retribuzione per pari lavoro nello stesso luogo sbagliato e incompatibile con un vero e proprio mercato unico, in cui lo sviluppo economico sostenibile sia guidato da imprese efficienti, innovative e competitive in un mercato sostenuti da robuste disposizioni regolamentari”.

Secondo i Ministri firmatari della lettera, “le differenze di retribuzione esistenti tra gli Stati non costituiscono una concorrenza sleale”.

E facendo appello alle “differenze oggettivamente esistenti tra gli Stati membri, derivanti da diversi livelli di sviluppo economico, regimi fiscali, norme di diritto del lavoro e di previdenza sociale”, i Ministri concludono la loro lettera affermando che “la piena attuazione del “lex loci laboris” significherebbe la fine del distacco nell’UE”.

Per saperne di più http://www.osservatorioinca.org/index.php?p=text&cmd=details&tbl=sezioni_record&cat_id=12&id=969

Gratuito patrocinio: adeguamento soglie reddituali

 

In attuazione del dispositivo contenuto nell’art. 77 del D.P.R 115/02, con Decreto ministeriale del 7 maggio scorso, è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 186 del 12 agosto scorso, l’adeguamento della nuova soglia reddituale per l’ ammissione al gratuito patrocinio, prevista dall’art. 76 del succitato D.P.R. 115/02. Tale soglia passa quindi da € 11.369,24 a € 11.528,41.

Per effetto di tale adeguamento vengono altresì rideterminati anche i redditi presi a riferimento per l’esenzione delle spese di soccombenza nei giudizi in materia previdenziale e assistenziale che passano da 22.738,48 a € 23.056,82 e quelli per l’esonero del pagamento del contributo unificato che passano da € 34.107,72 a € 34.585,23.

Lavoro nero: nuove maxi sanzioni 2015

Il Jobs Act rimodula le maxi sanzioni sul lavoro nero, cambiando il meccanismo in base al quale vengono applicate: non conta più la giornata lavorativa, ma il periodo durante il quale il lavoratore è impiegato irregolarmente. 

Le novità sulla lotta al lavoro nero sono contenute nel decreto semplificazioni, approvato in via definitiva dal consiglio dei ministri dello scorso 4 settembre. Si tratta del provvedimento che modifica anche le sanzioni per irregolarità nella gestione delle pratiche del rapporto di lavoro (registrazione dati, stipendio, busta paga).

In particolare, l’articolo 22 del provvedimento attuativo della Riforma Lavoro, modificando l’articolo 3 del Dl 12/2002, prevede che la multa scatti in caso di «impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico».

Le maxi sanzioni sono le seguenti:
•da 1500 a 9mila euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego per un periodo fino a 30 giorni effettivi di lavoro;
•da 3mila a 8mila euro per ciascun lavoratore, in caso di impiego fra i 30 e i 60 giorni;
•da 6mila a 36mila euro, in caso di impiego oltre i 60 giorni.

Prima di questo provvedimento, la multa andava da 1.950 a 15.600 euro per ciascun lavoratore irregolare, più 195 euro per ogni giornata di lavoro effettivo. Se l’irregolarità persisteva, si applicava una nuova sanzione da 1.300 a 10.400 euro, più 30 euro per ciascuna giornata successiva. 

Come si vede possono anche esserci casi in cui le nuove sanzioni sono meno pesanti delle precedenti, anche se tendenzialmente risultano inasprite. La novità fondamentale è il meccanismo, per fasce e non più per singola giornata lavorativa, che di fatto segna un tetto massimo a quota 36mila euro (prima, in teoria, in caso di lavoro nero per periodo molto lunghi le maxisanzioni potevano invece salire molto di più, perché scattava una maggiorazione per ogni singolo giorno lavorato). Le sanzioni sono aumentate del 20% nel caso in cui il lavoratore sia straniero, oppure sia minorenne.

Un’altra novità è rappresentata dalla reintroduzione della diffida (articolo 13, Dlgs 124/2004), in base alla quale il personale ispettivo invita il datore di lavoro alla regolarizzazione, e può anche applicare uno sconto sulle sanzioni. In base alla nuova norma, la diffida prevede la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, anche a tempo parziale, con una riduzione di orario non superiore al 50%, oppure un contratto a tempo determinato, a tempo pieno, per un periodo non inferiore a tre anni. Il lavoratore non può essere licenziato prima di tre mesi. Entro 120 giorni dalla notifica del verbale, vanno provate l’avvenuta regolarizzazione e il pagamento delle sanzioni.

Infine, c’è una rimodulazione anche delle sanzioni previste per evitare la sospensione dell’attività imprenditoriale, che in base all’articolo 14 del Dlgs 81/2008 scatta se i lavoratori in nero sono superiori al 20% della forza lavoro, o in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela e sicurezza sul lavoro. 

Resta condizione necessaria, per la revoca del provvedimento, la regolarizzazione dei lavoratori. In più, bisogna pagare la sanzione che, nel caso del lavoro nero, sale da 1.950 a 2mila euro, mentre nel caso delle altre violazioni scende da 3.250 a 3.200 euro. E’ anche stata introdotta una regola che va a rafforzare l’istituto premiale, per cui su istanza di parte la revoca della sospensione dell’attività imprenditoriale è possibile davanti al pagamento del 25% della somma dovuta, a condizione che l’importo residuo sia versato entro sei mesi, maggiorato del 5%.

da Pmi.it, fonte: decreto semplificazioni Jobs Act.

Migranti: In Italia è straniero un lavoratore su 10

 

In Italia oltre il 10% della forza lavoro, economia sommersa e nero esclusi, è straniera. Una percentuale ben oltre la media Ue (7,07%) e superiore a quella delle altre potenze del vecchio continente, a cominciare da Regno Unito (9,7%), Germania (9,3%) e Francia (5,30%). E’quanto emerge dai dati elaborati da Openpolis nel mini dossier “Immigrazione, il giorno dopo”, pubblicato oggi, che analizza l’integrazione degli stranieri nel Belpaese.

Nel rapporto si legge che “in soli 10 anni la percentuale di lavoratori non italiani sul totale della forza lavoro è più che raddoppiata, con un dato iniziale nel 2004 che superava di poco il 4%. Anche in questo caso sono molte le differenze a livello regionale, con una percentuale media che passa dal 5,3% del Mezzogiorno al 13% di Nord-Est e Centro”.

Ma in alcune zone del paese i numeri sono molto più bassi. “Nel Mezzogiorno – si legge ancora nel mini dossier Openpolis – gli stranieri sono il 5,26% della forza lavoro, la metà della media nazionale. 

Numeri record si registrano al Centro, dove si supera il dato medio di ben tre punti percentuali, raggiungendo il 13,67%. Al Nord la percentuale è del 12,83%, con il Nord-est che batte di poco il Nord-ovest: 12,99% contro 12,71%”

Pensione lavori usuranti: niente cumulo benefici

I benefici per la pensione anticipata in caso di lavori usuranti non sono cumulabili con quelli per lavoratori invalidi: lo chiarisce il Ministero del Lavoro, rispondendo a specifico quesito. Il punto riguarda la compatibilità del Dlgs 67/2011, in base al quale coloro che effettuano lavori usuranti possono andare in pensione con cinque anni di anticipo, con la legge 388/2000, che a sua volta prevede benefici pensionistici per persone con invalidità superiore al 74% (due mesi di contribuzione figurativa per ogni anno di lavoro, fino a un massimo contributo pari a cinque anni).

Il beneficio per i lavoratori usuranti è riconosciuto a coloro che svolgono mansioni particolarmente faticose e pesanti per almeno sette anni negli ultimi dieci anni di attività. I lavori pesanti sono definiti dall‘articolo 2 del decreto del ministero del Lavoro del 19 maggio 1999 (lavori in miniera, cava, galleria, palombari, esposizione all’amianto), e dalla stessa legge 67/2011 (addetti alla catena di montaggio, conducenti di veicoli adibiti a spazio pubblico collettivo. Come detto, l’agevolazione consiste in cinque anni di anticipo rispetto al conseguimento della pensione di vecchiaia, con il possesso dei seguenti requisiti: 35 anni di contributi e almeno 61 anni e tre mesi di età.

L’agevolazione riguarda anche i lavoratori notturni, per i quali però sono diversi i requisiti necessari, che cambiano a seconda del numero di notti lavorate: ci vogliono sempre 35 anni di contributi, mentre l’età minima è pari a 61 anni e tre mesi in caso di lavoro notturno per almeno 78 giorni all’anno, 62 anni e tre mesi se le notti sono comprese fra 72 e 77, 63 anni e tre mesi per lavoro notturno fra 64 e 71 notti.

Il ministero precisa che per tutti questi lavoratori resta valida l’opzione di ritirarsi con cinque anni di anticipo. Ma il beneficio non può cumularsi con quello previsti dall’articolo 80, comma 2, della legge 388/2000, che in base al meccanismo sopra spiegato di fatto consente alle persone con invalidità di ritirarsi con cinque anni di anticipo.

L’unica cumulabilità consentita riguarda i lavoratori esposti all’amianto, che possono applicare oltre al beneficio dei cinque anni di anticipo quello previsto dalla legge 413/1984, che regolamenta l’accesso alla pensione per i lavori marittimi.

Pmi.it

Agricoltura: il bollettino della morte 2014

 

“I dati non lasciano dubbi sulla gravità del problema delle morti in agricoltura – dice il presidente dell’Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering di Mestre -. Le fonti ufficiali, infatti, fanno sapere che nel 2014 i decessi nel settore sono stati 189 e ben 238 i feriti gravi.Questo è quanto emerge dalla prima istantanea scattata dell’Osservatorio INAIL sugli Infortuni nel Settore Agricolo e Forestale. Un’indagine dettagliata che mostra chiaramente quanto sia sempre più indispensabile occuparsi dell’emergenza”.

“Un appello che dovrebbe essere corale ed unire i lavoratori, le associazioni di categoria, gli esperti di sicurezza insieme ai sindacati per arrivare davvero alla diffusione della cultura della sicurezza nel settore agricolo. Un’alleanza – prosegue il comunicato -per raggiungere con forza la politica affinché possa rispondere con voce alta e programmi concreti, che contemplino incentivi e finanziamenti sufficienti a consentire un sostegno nel rinnovamento del parco ‘‘trattori’’ in Italia. Progetti mirati, insomma, ad impedire che i mezzi agricoli continuino ad essere la prima causa di morte nei campi. Sui 189 infortuni mortali descritti nel 2014 dall’INAIL, infatti, ben 121 sono avvenuti con il trattore. E il mezzo ha anche portato ad un bilancio di 118 feriti gravi sui 238 complessivi”.

“Come esperti in sicurezza sul lavoro – sottolinea il presidente di Vega Engineering  – invochiamo a gran voce gli enti di controllo affinché compiano il loro dovere in modo più diffuso e capillare. E affinché le sanzioni per gli evasori della sicurezza vengano applicate con severità. Siamo convinti, infatti, che colpire “economicamente” e con regolarità chi non rispetta le normative sulla sicurezza possa tradursi in un messaggio forte di sensibilizzazione per tutti coloro che continuano a fare i furbi diventando potenziali killer per se stessi e per i propri dipendenti, oltre che essere sleali concorrenti delle imprese che rispettano leggi e lavoratori”.

“Intanto il maggior numero di lutti nei campi, secondo l’Osservatorio INAIL, viene rilevato in Emilia Romagna con 25 vittime registrate nel 2014. Ed è seguita dalla Toscana (22) e dal Veneto con il Trentino Alto Adige (20 decessi). Un dato quest’ultimo – si legge nel comunicato – che fa del Nordest e del Veneto in particolare un’area fortemente coinvolta dall’emergenza. Ed anche il numero dei feriti gravi aiuta a comprendere il dramma che si consuma quotidianamente nei campi. Nel corso del 2014 secondo l’INAIL sono stati 238. In Lombardia il numero più elevato di infortuni gravi (35), seguita dall’Emilia Romagna (30), dall’Abruzzo (29) e dal Veneto (26)”.

“Serve, dunque, una riflessione collettiva che parta dalla politica e passi attraverso gli organi di sorveglianza affinché i controlli e le ispezioni vengano intensificati e gli evasori della sicurezza sanzionati – conclude -. Ci auguriamo che il Governo “Renzi” voglia finalmente dare una risposta a questi appelli e che la morte dei lavoratori in agricoltura non rimanga un problema latente, ma un’emergenza da risolvere tempestivamente”.

PMI.it

PMI.it martedì 15 Settembre 2015
 
Artigiancassa

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