Archivi giornalieri: 28 settembre 2015

 
L’INCHIESTA

All’ultimo congresso del Pci: «Sono per una rifondazione comunista, non si può restare in mezzo al guado»

Documenti. Il discorso al XX congresso, l’ultimo, del Partito comunista italiano


 Pietro Ingrao e Achille Occhetto

Rimini – 2 febbraio 1991

31.03.2015

31.3.2015, 0:08

23.5.2015, 16:08

Io parto dalla que­stione che mi sem­bra cen­trale nella rela­zione di Occhetto: siamo a una svolta della situa­zione mon­diale. La svolta si mate­ria­lizza nella vicenda del Golfo. Per­ché una guerra tutto som­mato con­cen­trata in un’area ristretta e finora durata poche set­ti­mane, sta assu­mendo signi­fi­cato gene­rale? La que­stione del petro­lio non basta a spie­gare tutto. E nem­meno la paz­zia di Sad­dam o la volontà di Bush di far fronte a un declino eco­no­mico ame­ri­cano. L’unica spie­ga­zione che rie­sco a tro­vare è che la vicenda squa­derna dinanzi a noi l’immagine scon­vol­gente che è o può essere la scienza della guerra moderna. Que­sto emerge da ambe­due i fronti della vicenda.

Dal lato dell’aggressore ira­cheno: vediamo un pic­colo tiranno di un paese a eco­no­mia subal­terna, di pochis­simi milioni di abi­tanti che può lan­ciare mis­sili su Israele e minac­ciare la guerra chi­mica e bat­te­rio­lo­gica. Con­tro que­sto pic­colo despota i più pos­senti paesi dell’Occidente indu­stria­liz­zato dichia­rano di non avere altri mezzi che una guerra senza pietà, con­dotta con i loro più sofi­sti­cati stru­menti di ster­mi­nio. Quanto più mi dicono che que­sta guerra è neces­sa­ria, tanto più mi spavento.

C’è un’altra strada? Io vedo qui il grande valore della scelta che sta dinanzi a que­sto con­gresso. Noi stiamo dicendo qui che per risol­vere i con­flitti tra gli Stati e bloc­care l’aggressore ci può essere un’altra via. E dinanzi all’orrore della guerra del Due­mila stiamo cer­cando, pro­vando, lot­tando per una nuova, grande strada pacifica.

La Costi­tu­zione ita­liana dichiara che l’Italia rifiuta la guerra. Invece per la prima volta in quarant’anni l’Italia è di nuovo in guerra. Que­sta è la scelta che ci sta dinanzi: se quel ripu­dio scritto nella Costi­tu­zione è solo una frase, o invece qui deve diven­tare realtà. Per­ciò la lotta per il ritiro delle navi dal Golfo non è supe­rata o mar­gi­nale o acces­so­ria. È coe­renza con ciò che diciamo: atto signi­fi­ca­tivo e neces­sa­rio di una strategia.

È pos­si­bile un’altra strada? Noi stiamo pro­po­nendo e cer­cando una lotta con­tro l’aggressione e una via per la rego­la­zione dei con­flitti che siano paci­fi­che. Oggi cer­chiamo di agire con­cre­ta­mente per met­tere in pra­tica, qui e ora dinanzi a que­sta crisi, a que­sta guerra del Due­mila, la via della pace. Non è una via rinun­cia­ta­ria. Anzi è quanto mai ambi­ziosa. Discu­tiamo tanto della nostra iden­tità. Se sce­gliamo dav­vero, se ten­tiamo dav­vero que­sta strada, que­sta è una straor­di­na­ria assun­zione di identità.

Que­sta strada chiede una forte coe­renza. Una con­fe­renza sul Medio Oriente non può essere affi­data a un impe­gno gene­rico, su un impre­ci­sato domani, come era ancora anche in quel comu­ni­cato del segre­ta­rio di Stato Usa e del mini­stro degli Esteri sovie­tico, che pure giorni fa è stato rifiu­tato da Bush. E non fer­marsi ai pale­sti­nesi e alla sicu­rezza di Israele ma deve riguar­dare anche il Libano e non solo l’indipendenza, ma la libertà del Kuwait. Cioè dob­biamo lavo­rare per­ché si affermi una auto­no­mia e libertà dei popoli arabi come coes­sen­ziale obiet­tivo della pace. Que­sta via ha impli­ca­zioni poli­ti­che subito: vuol dire che noi lot­tiamo con­tro Sad­dam, ma anche con­tro il despota siriano Assad, di cui nes­suno parla e che oggi è l’amico di Bush e di Gor­ba­ciov; e con­tro i satrapi miliar­dari degli emirati.

Ho apprez­zato che il segre­ta­rio del par­tito abbia detto che biso­gna allar­gare il Con­si­glio di sicu­rezza dell’Onu e abo­lire (ho capito bene?) il diritto di veto. Que­sto signi­fica dire oggi che 1’Onu non è un orga­ni­smo demo­cra­tico ma è con­trol­lato e mano­vrato dalle grandi potenze, sino alla cla­mo­rosa vio­la­zione del suo Sta­tuto com­piuta con la riso­lu­zione 678.

Quanto ci vorrà per rom­pere que­sta oli­gar­chia? Ci vorrà mol­tis­simo se noi già da ora non comin­ciamo ad aprire que­sto ter­reno di lotta. E su ciò, invece, in que­sti mesi abbiamo con­sen­tito una misti­fi­ca­zione. Par­lai al con­gresso di Bolo­gna degli F16. Non mi ver­go­gno di tor­nare a par­larne dopo un anno. Oggi lo vediamo: non si tratta di una base qua­lun­que. Si tratta del fianco sud del sistema mili­tare atlan­tico sul Medi­ter­ra­neo. Il mini­stro De Miche­lis dichiara let­te­ral­mente che «il peri­colo viene da Sud e non più da Est» e che è neces­sa­ria una forza mili­tare capace di inter­ve­nire non solo fuori dai con­fini nazio­nali, ma «a distanza». Gioia del Colle, Cro­tone, Taranto, Sigo­nella, sono solo l’anticipo di una stra­te­gia: apriamo final­mente una lotta reale e di massa per un Mez­zo­giorno di pace? Apriamo final­mente una con­tro­ver­sia per il rifiuto uni­la­te­rale degli F16?

Alle parole deve cor­ri­spon­dere la lotta. Tutti, più o meno, abbiamo cri­ti­cato qui il pesante defi­cit di ini­zia­tiva della Cee nel con­flitto medio­rien­tale. Ma c’è una base, o almeno un primo ter­reno reale di parti nella Cee? No. E non solo per l’egemonia finan­zia­ria tede­sca, ma per­ché ci sono nella Cee due potenze ato­mi­che: Fran­cia e Inghil­terra. Que­sto dato non è mai con­te­stato o fatto oggetto di reale nego­ziato. Su que­sto punto non è esi­stita nem­meno una lotta.

Voglio dire che la grande, enorme, scom­messa sulla pace come rego­la­trice dei con­flitti, come base di un primo germe di governo mon­diale, ha biso­gno di una rigo­rosa coe­renza. Non si può fare a spicchi.

Non si può restare in mezzo al guado. E ha biso­gno di costruire nuovi sog­getti reali. Que­sto con­gresso invece è ancora con­trad­dit­to­rio. Per un verso spinge a una scelta di pace che sem­bra allu­dere ad una nuova idea della poli­tica; e per un altro verso è monco nell’autocritica sul limite grave che la sini­stra euro­pea, ma anche noi, ha avuto nella lotta per il disarmo e per il Sud del mondo. E io stesso qui tac­cio sulla posi­zione assunta dal sindacati.

Sostengo che sce­gliere la via della pace per affron­tare que­sto con­flitto è un modo forte di assol­vere ad una fun­zione nazio­nale e inter­na­zio­nale. Il ritiro delle navi dal Golfo non è trarsi fuori, un rim­pic­cio­lirsi oppure l’Italietta che si sot­trae a un ruolo inter­na­zio­nale. È un’altra stra­te­gia. E anche la pro­po­sta di una tre­gua uni­la­te­rale riceve così una moti­va­zione di fondo, non solo tat­tica. Una simile strada sarebbe un grande atto verso il Sud del mondo: un cam­bia­mento nella sto­ria stessa dell’Occidente cattolico-cristiano. Anche per que­sto parla Woj­tyla. E io non ho per nulla in testa lo schema di una Ame­rica spo­sata alla causa o alla fun­zione di gen­darme mon­diale. Tanta Ame­rica di oggi discute più lai­ca­mente che in Ita­lia della guerra del Golfo. Noi, sini­stra euro­pea, pun­tiamo su que­sta Ame­rica o su Bush? Ecco un nodo essen­ziale su cui si misura e si costrui­sce l’alternativa. Fac­ciamo l’ipotesi che si possa comin­ciare a cam­mi­nare su que­sta strada paci­fica, io credo che man mano che avanzi una tale pra­tica di pace essa si river­be­re­rebbe su tutto il pano­rama sociale. Anche la pre­po­tenza di Romiti sarebbe più debole.

E que­sta stra­te­gia di pace sarebbe un potente anti­corpo con­tro i reami della vio­lenza e le fonti del domi­nio sociale. Sarebbe anche una rot­tura con­tro l’etica maschi­li­sta del possesso.

Io sono comu­ni­sta e sono sceso in campo per una rifon­da­zione comu­ni­sta. E vedo quale novità, e arric­chi­mento que­sto affron­tare con­cre­ta­mente la vio­lenza con la pace intro­duce anche nella tra­di­zione alta del comu­ni­smo ita­liano; e quale ter­reno straor­di­na­rio esso può aprire con altre cul­ture e civiltà. Altro che il ghetto in cui ci vede chiusi Craxi. Ma lo sa Craxi che in Fran­cia si è dimesso il mini­stro socia­li­sta della Difesa?

Se siamo coe­renti, se non arre­triamo spa­ven­tati, assume un forte signi­fi­cato che que­sto par­tito, dato per defunto, si cimenti in una tale inno­va­zione paci­fica e con que­sto tema grande e ine­dito dav­vero il peg­gio sarebbe restare in mezzo al guado.
Allora, su la schiena. E attenti al rischio della sepa­ra­zione. Voi che siete la mag­gio­ranza avete ogget­ti­va­mente il potere più forte per evitarla.

Per­ciò provo a fare un appello a me stesso. Non credo alle con­fu­sioni e ai pasticci, e forse ne ho dato qual­che prova. Credo alla fecon­dità delle dif­fe­renze che si dicono alla luce del sole. Ma se in qual­che modo siamo dav­vero al cimento di cui ho par­lato, e a que­sto punto di svolta della vita mon­diale, tutti dob­biamo par­lare in modo diverso. Tutti dob­biamo cam­biare qual­cosa fra di noi e soprat­tutto fra noi e gli altri. Spe­riamo dav­vero di farcela.

  • Atti del con­gresso pub­bli­cati su «l’Unità» del 3 feb­braio 1991. Cor­sivi nostri.

Citto Maselli: Immagini e ricordi di Ingrao

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Citto Maselli: Immagini e ricordi di Ingrao

Citto Maselli: Immagini e ricordi di Ingrao

Pubblicato il 28 set 2015

Abbiamo chiesto al compagno Citto Maselli un ricordo di Pietro Ingrao. Lo ringraziamo per la bella testimonianza umana e politica.

Nel primo dopoguerra e tutti gli anni cinquanta la redazione dell’Unità era in pieno centro a pochi passi da piazza Venezia.

Così mi veniva quasi naturale passare da lì a salutare i compagni con cui avevo fatto la Resistenza al liceo Tasso, durante i nove mesi di occupazione tedesca. Erano Luigi Pintor e Arminio e Aggeo Savioli, diventati poi giornalisti e redattori dell’Unità. Ingrao allora ne era il direttore e quando loro mi presentarono notai che mi guardava con interesse e curiosità. Poiché in quei giorni era uscito un film a episodi che si chiamava “Amore in città” e conteneva il mio debutto alla regia con “Storia di Caterina” da un’idea di Cesare Zavattini, io ritenni che sicuramente l’interesse di Ingrao significava che aveva visto il film e gli era piaciuto. Ne fui così felice che girai per giorni tutto impettito, come un pinguino. Amara fu dunque la sorpresa quando Pintor mi raccontò giorni dopo che Ingrao non aveva affatto visto il film ed era solo curioso per la mia giovanissima età: aveva evidentemente letto il mio nome in qualche critica e dato che effettivamente non avevo ancora vent’anni era solo stupito che fossi già regista.

 Non rividi più Ingrao fino all’autunno del ’56 quando scoppiò la rivolta in Ungheria e ci si trovava in tanti al nostro giornale per avere notizie. Ricordo che io litigai subito con Mario Alicata che difendeva a spada tratta Gheroe e i compagni ungheresi e l’atmosfera era tale che eravamo passati alle urla e alle accuse reciproche finché la porta della stanza in cui eravamo si aprì e apparve Ingrao. Era accigliato ma soprattutto aveva le lacrime agli occhi e piangeva. Tacemmo tutti di colpo esterrefatti e lui se ne andò. Mesi dopo o anni eravamo diventati quasi amici e ricordo che una volta gli domandai se ricordasse quella sera e quel suo inaspettato pianto. Mi rispose che ricordava benissimo quell’episodio e quanto al suo pianto ricordo che mi disse: “a Budapest la gente sparava sui nostri compagni, nella stanza accanto due compagni si insultavano a urli”. Tacque e poi aggiunse: ”Dico, non c’era da piangere?”.

Nel ’68 ero segretario dell’Anac (l’associazione storica degli autori cinematografici) e, convinto del significato positivo della carica polemica e del radicalismo degli studenti, lavorai per portare gli autori a contestare un festival con lo statuto fascista com’era quello veneziano, canalizzando però quella carica rivoltosa verso uno sbocco politico e riformatore e dunque verso una nuova legge e un nuovo statuto della Biennale. Non ricordo esattamente ma io vedevo in questa mia operazione l’applicazione concreta di quello che Pietro Ingrao definiva l’intreccio fra i movimenti e il partito, cioè il loro sbocco politico. Il discorso di Ingrao era sicuramente più complesso ma a me allora sembrava tale. Per cui ricordo che partendo per Venezia per preparare la contestazione in accordo con Golinelli segretario della federazione veneziana del Pci, mi recai a Lenola, vicino Roma, dov’era la casa natale di Ingrao e dove lui andava spesso. Ricordo che lui ascoltò la mia fervida esposizione con attenzione ma senza scaldarsi troppo. Ricordo che mi suggerì di chiedere al critico dell’Unità Ugo Casiraghi di scrivere degli articoli “posati” – questa fu la parola – sulle legittime ragioni di quella contestazione (da qui vennero cinque articoli dal titolo impegnativo “Perché contestiamo Venezia”).

Niente di più e così me ne tornai a Roma non proprio deluso ma certo frastornato. Le cose poi andarono bene: ottenemmo una legge nuova e uno statuto nuovo di quella grande istituzione culturale pubblica e malgrado le ricostruzioni qualunquistiche e negative che si fanno oggi, fu parte di quella grande stagione riformatrice che portò ai decreti delegati per la scuola, allo statuto dei lavoratori, alla legge sul divorzio, alla grande riforma della Rai sottratta finalmente al dominio governativo. Quando qualche storico indagherà seriamente su quel periodo, non potrà non individuare all’origine di tutta quell’imponente fase di sviluppo politico, sociale e culturale le intuizioni profonde e il pensiero di Pietro Ingrao.

Questo mi veniva in mente ieri sera ricordando quel mio viaggio a Lenola dove non ricevetti abbracci solidali e gli sperati applausi di Pietro ma solo la sua attenzione. Ingrao era fatto anche così.

ULTIMISSIME LAVORO – FISCALE28/09/2015

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GIURISPRUDENZA

CONSIGLIO DI STATO

SENTENZA

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA 23 SETTEMBRE 2015, N. 4469

LAVORO

Diniego rinnovo permesso di soggiorno

CONSIGLIO DI STATO – SENTENZA 23 SETTEMBRE 2015, N. 4472

LAVORO

Diniego rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato

CORTE DI CASSAZIONE

SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 23 SETTEMBRE 2015, N. 38539

FISCALE

Tributi – Imposte sui redditi – Accertamento – Fatture false – Disconoscimento dei costi fittizi esposti in contabilità – Non contestuale rideterminazione dei ricavi – Legittimità dell’accertamento – Sussiste

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 24 SETTEMBRE 2015, N. 18936

FISCALE

Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Impugnazione – Termine breve – Notifica all’ufficio che ha emesso l’accertamento

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 25 SETTEMBRE 2015, N. 19036

LAVORO

Previdenza e assistenza – Lavori di pubblica utilità – Incremento assegno per giovani del Mezzogiorno – Disciplina

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 25 SETTEMBRE 2015, N. 19037

LAVORO

Rapporto di lavoro – Nuovo assetto organizzativo e riclassificazione del personale – Accordo con le organizzazioni sindacali – Nuovo inquadramento – Svolgimento delle stesse mansioni precedenti – Violazione dell’articolo 2103 del c.c.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 25 SETTEMBRE 2015, N. 19039

LAVORO

Pubblico impiego – Trasferimento per incompatibilità ambientale – Mancato superamento del periodo di prova – Legittimo

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 25 SETTEMBRE 2015, N. 19044

LAVORO

Lavoro subordinato – Diritti ed obblighi del datore e del prestatore di lavoro – Demansionamento – Onere della prova

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 25 SETTEMBRE 2015, N. 19050

FISCALE

Tributi – Reddito d’impresa – Deducibilità della retribuzione dell’amministratore delegato come dipendente – Sussiste

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 25 SETTEMBRE 2015, N. 19052

LAVORO, FISCALE

Tributi – Controllo della dichiarazione – Art. 36-bis, del DPR n. 600/1973 – Omesso o tardivo versamento di somme a titolo di ritenute IRPEF alla fonte – Iscrizione a ruolo senza preventivo avviso di irregolarità – Cartella di pagamento – Legittimità – Sussiste

TRIBUNALE

SENTENZA

TRIBUNALE DI ROMA – SENTENZA 16 SETTEMBRE 2015, N. 7552

LAVORO

Pubblico impiego – Sospensione della contrattazione – Declaratoria di illegittimità costituzionale – Ordine avvio del procedimento senza ritardo

LEGISLAZIONE

DECRETO MINISTERIALE

MINISTERO FINANZE – DECRETO MINISTERIALE 16 SETTEMBRE 2015

FISCALE

Accertamento sintetico del reddito complessivo delle persone fisiche, per gli anni d’imposta a decorrere dal 2011

MINISTERO INFRASTRUTTURE E TRASPORTI – DECRETO MINISTERIALE 11 SETTEMBRE 2015

LAVORO, FISCALE

Modifiche al decreto 9 luglio 2013 recante: «Disposizioni di applicazione del decreto 2 agosto 2005 n. 198 in materia di autorizzazioni internazionali al trasporto di merci su strada»

MINISTERO LAVORO – DECRETO MINISTERIALE 10 SETTEMBRE 2015, N. 13

LAVORO

Rinnovo tariffe minime di facchinaggio per il biennio 2015-2016 per le province di Ascoli Piceno e Fermo

MINISTERO SVILUPPO ECONOMICO – DECRETO MINISTERIALE 03 LUGLIO 2015

LAVORO, FISCALE

Agevolazioni alle imprese per la diffusione e il rafforzamento dell’economia sociale

MINISTERO SVILUPPO ECONOMICO – DECRETO MINISTERIALE 03 LUGLIO 2015

LAVORO, FISCALE

Regime di aiuto per progetti di ricerca e sviluppo nel settore aerospaziale, ai sensi della legge 24 dicembre 1985, n. 808

PRASSI

AGENZIA DELLE ENTRATE

COMUNICATO

AGENZIA DELLE ENTRATE – COMUNICATO 25 SETTEMBRE 2015

FISCALE

Cooperazione fiscale tra Italia e Baviera – A Roma la presentazione del progetto sulle verifiche congiunte

INPS

COMUNICATO STAMPA

INPS – COMUNICATO 24 SETTEMBRE 2015

LAVORO

Sospensione delle prestazioni di invalidità civile per i soggetti assenti a visita di revisione l. 114/2014

MINISTERO AFFARI ESTERI

COMUNICATO

MINISTERO AFFARI ESTERI – COMUNICATO 25 SETTEMBRE 2015

FISCALE

Entrata in vigore dell’accordo tra la Repubblica italiana e le Isole Cayman sullo scambio di informazioni in materia fiscale, firmato a Londra il 3 dicembre 2012

Inca e Fp

Inca e Fp – Leggi bene … per non farti male (settore sanità)

Lavorare in ospedale espone a mille pericoli. Dal medico all’infermiere, fino agli addetti alle pulizie, nei nosocomi italiani le possibilità di procurarsi infortuni o malattie sono innumerevoli. A mettere in guardia tutte queste figure professionali, indicando ogni singolo fattore di rischio, ci hanno pensato l’Inca Cgil e l’Ufficio Salute e sicurezza della Cgil Modena (in collaborazione con la Funzione pubblica Cgil) con il manuale “Leggi bene… per non farti male”, indirizzato appunto alle lavoratrici e ai lavoratori del settore ospedaliero.

Obiettivo della guida, aggiornata al luglio scorso, è aiutare lavoratori e iscritti sia ad avere informazioni sulle normative che regolano la sicurezza nei luoghi di lavoro e la tutela alla salute cui hanno diritto, sia ad affrontare le eventuali situazioni di disagio che si dovessero verificare nel corso delle proprie mansioni.

“La guida fa parte di una serie di manuali che il patronato, assieme alle diverse categorie, ha realizzato negli ultimi anni, come quelle sull’igiene ambientale, sulla metalmeccanica o sull’edilizia” spiega Marco Bottazzi, coordinatore medico-legale dell’Inca Cgil nazionale: “Ma nasce anche in coincidenza di un’attività di ricerca attiva delle malattie professionali che stiamo sviluppando nell’ambito di uno specifico progetto indirizzato alle regioni del Sud Italia”. Negli ospedali, dice Bottazzi, le condizioni di lavoro “sono molto cambiate: i rischi si stanno progressivamente spostando dai dipendenti ‘puri’ alle diverse altre figure professionali che fanno parte di cooperative o hanno le più disparate forme contrattuali. Ecco quindi che questa guida, frutto di incontri con Rls di numerose strutture italiane, quindi realizzata verificando sul campo i rischi reali, si rivolge anche a tutti questi lavoratori meno tutelati”.

Nella prima parte del testo vengono riassunti, anzitutto, le fonti legislative vigenti, i diritti e i doveri degli Rls, i ruoli e le funzioni degli altri soggetti che presiedono alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (come il medico competente. Trovano spazio, poi, informazioni sulla sorveglianza sanitaria, sull’obbligo della formazione e dell’addestramento, sul ruolo del Patronato, oltre a tutta una serie di consigli pratici su cosa fare in caso di infortunio o malattia. Una particolare attenzione, inoltre, viene dedicata all’inidoneità alla mansione che attualmente nei luoghi di lavoro, sia per il peggioramento delle condizioni, legate a ritmi e turni intensi, sia per la permanenza a un’età sempre più avanzata del personale, dovuta all’innalzamento dei requisiti alla pensione, crea forte preoccupazione, soprattutto se è messo in relazione al rischio della perdita del posto di lavoro.

La seconda parte, invece, indaga le possibili malattie professionali in ambito ospedaliero, mettendo in relazione le diverse patologie con i fattori di rischio presenti in ciascuna area o reparto, indicando anche il personale che maggiormente è interessato. Le patologie indicate sono 15: da quelle del rachide (dovute alla movimentazione di pazienti o di carichi pesanti, a vibrazioni oppure a posture incongrue) alle tumorali, dalle cutanee a quelle degli arti superiori, dai disturbi della sfera psichica alle patologie dell’apparato cardiovascolare. Di ogni patologia si indicano anche le cause che possono provocarle, le casistiche più frequenti, le situazioni in cui il danno si può accentuare.

M.Togna su Rassegna.it

Cassazione

Comporto, infortuni e licenziamento

È illegittimo il licenziamento al superamento del periodo di comporto nel caso in cui venga riconosciuto l’infortunio. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 13667/2015. La non legittimità scatta qualora una malattia viene poi riconosciuta come infortunio sul lavoro, fatto che rende inapplicabili le disposizioni contrattuali previste per la conservazione del posto per eventi morbosi.

Già in passato, con la sentenza n. 26307/2014 la Suprema Corte di Cassazione aveva ribadito l’orientamento maggioritario in materia di rapporto tra malattia professionale e comporto, ritenendo che nel calcolo di tale periodo non rientrino i giorni di assenza derivanti da malattia professionale causata dalla violazione da parte del datore di lavoro del principio di cui all’articolo 2087 del codice civile.

Ricordiamo inoltre che con la sentenza n. 22538/2013 la Corte di Cassazione aveva affermato che non devono essere inserite nel calcolo del periodo di comporto neanche le assenze del lavoratore derivanti da casi di mobbing da parte del datore di lavoro.

Per periodo di comporto si intende il tempo durante il quale il lavoratore assente dal lavoro per malattia, infortunio, gravidanza, puerperio, richiamo alle armi o chiamata per obblighi di leva, ha diritto a non esser licenziato per un intervallo di tempo definito dalla legge o dal CCNL. L’eventuale licenziamento intimato durante il periodo di comporto è inefficace, sussistendo in tal caso una situazione che non consente la prosecuzione del rapporto, neanche in via temporanea, a meno che non si tratti di:

•licenziamento per giusta causa;
•licenziamento per giustificato motivo oggettivo dovuto a sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa;
•licenziamento per cessazione totale dell’attività di impresa;
•se lo stato di malattia non dipende dalla violazione di misure di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro del datore.

In generale il superamento del periodo di comporto consente al datore di intimare il licenziamento per sopravvenuta impossibilità del prestatore di adempiere all’obbligazione di lavoro.

Pmi.it

Sentenza UE

Inca e Cgil Marche su sentenza UE su permesso di soggiorno

Cgil e Inca ottengono dalla Corte di Giustizia europea un’importante sentenza contro la discriminazione verso gli stranieri. Una sentenza che, nelle Marche, interessa una platea molto vasta. Nel 2014, infatti, i cittadini stranieri che hanno ottenuto il permesso di soggiorno nella regione con scadenza sono 46.869, quelli che hanno ottenuto il permesso a scadenza di lungo periodo sono 79.727.

La sentenza coinvolge dunque 126.596 cittadini stranieri soggiornanti nelle Marche.  Con questo atto dell’organismo europeo, questi cittadini stranieri dovranno essere rimborsati della tassa pagata.  Il Governo, a questo punto, dovrebbe prendere atto di questo risultato e provvedere a sanare quanto prima quella che, di fatto, e’ una situazione oggi priva di base giuridica. 

“Comunque – dice Gabriele Paolucci, coordinatore  regionale Inca Marche –  in attesa che ciò accada, le sedi CGIL e gli uffici del Patronato INCA  sono a disposizione per fornire informazioni e per raccogliere la richiesta di restituzione delle somme che  questi cittadini stranieri hanno versato dal 2012 ad oggi a titolo di contributo aggiuntivo per il rilascio e rinnovo del titolo di soggiorno“.

Nelle Marche, la provincia che ha il maggior numero di permessi di soggiorno rilasciati è Ancona con 39.717, seguono Macerata con 34.455, Ascoli Piceno e Fermo con 26.840 e Pesaro e Urbino con 25.584. Sui 126.596 cittadini stranieri che hanno richiesto il permesso di soggiorno nel 2014, i più numerosi sono quelli nella fascia di età da 0 a 17 anni pari a 32.212, poi ci sono quelli tra i 35 e i 39 anni pari a 14.656.

“Il provvedimento della Corte europea rende giustizia rispetto ad una tassa sullo ‘straniero’ che, come Cgil, sin dal 2011, abbiamo definito intollerabile e ingiustificata – dichiara Giuseppe Santarelli, segretario regionale Cgil –  poiché va a colpire una delle fasce più deboli della popolazione. Nelle Marche, la platea è particolarmente ampia e, nonostante la crisi economica, rappresenta più del 10% della popolazione totale della regione”. 

dal blog di Pietro Spataro

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Il blog di Pietro Spataro

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Ingrao, i giovani e l’invenzione dell’Unità

“Dimmi, dimmi quanti libri leggi. Dimmi quanti libri leggete voi giornalisti dell’Unità…”. Pietro Ingrao era fatto così, sempre diretto. Senza giri di parole. Pensava che per cambiare il mondo bisognasse conoscerlo. Per conoscerlo bisognasse stare nel gorgo. E poi studiare. Fare il giornalista per lui non è mai stata una passeggiata, e voleva che anche per quelli venuti dopo di lui nel giornale fondato da Gramsci fosse così: conoscenza e studio. Ora che se ne è andato con il carico di una storia grande, ritornano in mente i mille aneddoti di un rapporto con l’Unità che è stato forte, pieno di passione, in alcuni momenti anche conflittuale. Ma solo perchè voleva bene al giornale, voleva che fosse serio e popolare, rigoroso e curioso. Un po’ come era stato quando lui, giovanissimo, lo prese in mano dopo la guerra e lo fece diventare un grande giornale.

Ingrao diventa direttore l’11 febbraio del 1947 e il quotidiano è tutto da fare e da inventare. In quei giorni disordinati c’è una sola cosa chiara: fare un vero giornale. Che sia, come spiega a quei giovani Palmiro Togliatti, il “Corriere della sera della classe operaia”. Insieme con Ingrao arrivano in redazione altri ragazzi tra i quali Alfredo Reichlin, Luigi Pintor, Arminio Savioli, Paolo Spriano, Maurizio Ferrara, Luciano Barca, Davide Lajolo. Hanno fatto buoni studi e buone letture. Gli intellettuali, li chiamano. L’impresa è entusiasmante e loro la affrontano con grande passione e con uno sconfinato spirito di sacrificio. A una parete della redazione in via Quattro Novembre qualcuno ha appeso un cartello che ricorda a tutti di spegnere la luce quando si va via perché i “soldi sono degli operai”. Spesso la sera i giornalisti restano in redazione a parlare. O vanno a “confessarsi” con il direttore per gli amori bruciati. Ma non è tutto rose e fiori. Ci vuole, infatti, l’autorità di Togliatti per imporre al gruppo dirigente del Pci quel giovane intellettuale che ama le poesie di Montale. “Compagni, ma come si fa? Non è nemmeno membro del Comitato centrale”, protesta la vecchia guardia. Ma il Migliore non sente ragioni. E Ingrao si mette al lavoro e inventa tutto da zero: di fatto rifonda il giornale. Il profilo nazionale e popolare del quotidiano è subito chiaro. C’è molta politica, certo. Ma anche la cronaca, l’informazione sindacale, le inchieste sociali , gli spettacoli. C’è lo sport con le “cronache dal giro d’Italia” firmate dal poeta Alfonso Gatto. Quel collettivo guidato da Ingrao si misura con il giornalismo in modo “irruento e sfacciato”. I titoli sono aggressivi, gli articoli partigiani, vengono inventate rubriche cattive e corsivi che tolgono la pelle agli avversari.

Ma è la cultura il vero motore di questo nuovo giornale. La “cultura larga”, che si sporca le mani con la realtà: i migliori intellettuali si mettono al lavoro per raccontare il mondo con parole nuove. Solo per citarne alcuni: Umberto Barbaro, Giacomo Debenedetti, Bruno Barilli. Appaiono sull’Unità i reportage e le inchieste di Vittorini e Quasimodo, di Bontempelli e Calvino. Gianni Rodari cura una bella pagina domenicale per i ragazzi, Sibilla Aleramo si occupa delle donne. Pavese porta su quelle pagine i grandi scrittori americani. Per comprendere meglio questo “capolavoro” di Ingrao non si deve dimenticare il clima di duro scontro dopo le elezioni del ’48 e la sconfitta dei social-comunisti. C’è una cappa sul Paese. L’Unità di Ingrao si conquista così – prima che arrivi il gelo togliattiano – una vera e propria “funzione liberale” contro l’oscurantismo democristiano. La stessa fermezza mette, quel giornale, anche nella battaglia in difesa della democrazia e della Costituzione: negli archivi è conservata una foto di Ingrao con la testa insanguinata dopo essere stato picchiato dalla polizia a una manifestazione contro la “legge truffa” nel ’53.

Era il tempo feroce dei nemici. Della polizia che picchia e che spara contro gli operai, contro i contadini. Per questo il lavoro è l’altro motore che dà velocità all’Unità di Ingrao. Oggi può apparire una ovvietà, ma in quegli anni è un caso editoriale nel panorama di una stampa che aveva lo sguardo da un’altra parte. L’Unità decide che quel pezzo di paese dimenticato è il suo target. E per segnalare il senso profondo di questa scelta, si muove anche il direttore da grande inviato, raccontando le condizioni dei braccianti. Ma sulla condizione operaia si cimentano anche scrittori e registi, interviene Cesare Zavattini, parte Alberto Jacoviello per un lungo “viaggio nell’Italia dei diseredati”. Questa linea d’attacco dà presto i suoi risultati: il quotidiano cresce, nascono le prime associazioni Amici dell’Unità. La diffusione diventa capillare e presto si vendono oltre 400 mila copie. Poi arrivano le feste dell’Unità che saranno la “grande piazza” del giornale. Dalla sua stanza di Botteghe Oscure Togliatti vigila su quelle redazioni. Spesso bacchetta i giornalisti. A volte li esorta. I famosi bigliettini scritti con l’inchiostro verde fanno le pulci quasi ogni giorno. Ma Togliatti non è solo il censore feroce. E’ anche il difensore di Ingrao e della sua redazione. Lo fa nelle riunioni della Direzione, quando l’Unità viene crocifissa perché parla poco del partito e della Russia. E difende il giornale anche dalle pressioni esterne del Cominform.

Poi, però, arrivano le bufere. “Le parole ci cadono sulla testa come chicchi di grandine”: è il 5 giugno del 1956, il New York Times ha appena pubblicato il rapporto segreto di Krusciov su Stalin e nella redazione di Milano Rodari lo legge ad alta voce tra lo sconcerto. A Roma Ingrao aspetta che torni Togliatti da Mosca per saperne di più. Nessuna risposta. In questo strano silenzio Ingrao, però, decide di intervenire il 21 marzo con un editoriale dal titolo significativo: “Nuove vie aperte”. E’ un articolo importante perché rivendica il coraggio di discutere degli errori compiuti perfino da “una grande figura del movimento operaio qual è quella del compagno Stalin”. E centra il punto politico che poi infiammerà il dibattito del Pci: è possibile la “trasformazione del regime sociale seguendo un’altra via”? La sua risposta è sì: è la “via italiana al socialismo”. E’ forse il primo indizio di una riflessione critica sul regime sovietico e sul ruolo del Pci. Ma quel barlume si spegne presto e la reticenza si impone sulla voglia di aria nuova. E infatti quando la bomba Stalin esplode con un fragore assordante, l’Unità tace. Soltanto il 13 giugno compare in prima pagina un comunicato dell’ufficio stampa del Pci con il quale si annuncia un’intervista che Togliatti ha concesso alla rivista Nuovi argomenti. Ogni paese, dice il leader del Pci, deve seguire la sua via al socialismo, non esiste più un paese-modello. Sembra una svolta. Che Ingrao infatti decide di cavalcare sostenendo che bisogna liberarsi da “ogni ipoteca”.

Ma quel 1956 è un anno tremendo che sembra non finire mai. Proprio nei giorni in cui, molto faticosamente, si riesce a parare il colpo del rapporto segreto, dall’est arriva un’altra tegola. A fine giugno scoppia la rivolta di Poznan. Gli operai della fabbrica polacca Zispo protestano per le paghe ridotte e i turni massacranti. La polizia spara: trentotto morti, centinaia di feriti. La versione polacca è netta: sono stati i provocatori imperialisti. Vito Sansone è il primo giornalista occidentale ad arrivare a Poznan e racconta sull’Unità la rabbia degli operai, l’indignazione per il comportamento della polizia, i dubbi. Ma solo qualche giorno dopo su quelle domande cala la mannaia di un editoriale di Togliatti intitolato, non a caso, “La presenza del nemico”.

Il vento, però, non si può fermare con le mani. Ingrao tenta in tutti i modi di insinuarsi negli spiragli di riflessione aperti da quel dramma che viene da est. Ci prova a settembre inviando Alfredo Reichlin e Luciano Barca in Unione Sovietica: andate e raccontate, dice loro. Al ritorno i due giornalisti scrivono un lungo reportage a puntate. L’impressione che ricavano è problematica: “La visione di scorcio che abbiamo avuto della società sovietica è stata tale da modificare profondamente gli schemi politici e sentimentali che avevamo nella testa”. Ma proprio ora che questi primi, anche se timidi, segnali di dubbio si affacciano, arriva una nuova mazzata che cambierà la storia e soffocherà ogni pensiero critico. Il 23 ottobre una manifestazione di studenti sfocia in una rivolta contro il governo e il partito a Budapest. Anche in questo caso è la “presenza del nemico” a spiegare tutto. “Scontri nelle vie di Budapest provocati da gruppi armati di contro-rivoluzionari”, è infatti il titolo dell’Unità. Il giorno dopo Ingrao scrive quell’editoriale non firmato che lo perseguiterà a lungo e sul quale farà una spietata autocritica: “Da una parte della barricata a difesa del socialismo”.

Un’occasione mancata i cui effetti saranno pesanti: la redazione è in subbuglio e molti scrittori sono sul piede di guerra e abbandonano. Quel trambusto spinge Ingrao a reagire: decide di mandare a Budapest uno dei suoi inviati di punta, Alberto Jacoviello. Il suo primo reportage esce il 13 novembre, quando ormai l’invasione è compiuta. Ma quell’articolo apre un altro squarcio di verità: “Eppure non si può dire che tutti coloro che hanno preso le armi in Ungheria siano fascisti o banditi. Errore sarebbe dimenticare che al movimento hanno partecipato anche i lavoratori”, scrive Jacoviello. Ma il tempo sembra scaduto e la ferita del ’56 non si può rimarginare. E’ il tempo dei sogni che muoiono. E’ il tempo della Bonaccia delle Antille, come scriverà più tardi Italo Calvino: “Il capitano aveva spiegato che la vera battaglia navale era quello star lì fermi guardandoci, tenendoci pronti, ristudiando i piani delle grandi battaglie navali…”.

Quando lascia la direzione dell’Unità, Pietro Ingrao si porta sulle spalle questo decennio di ferro e di fuoco. Le sue speranze, i suoi sogni e i suoi errori. Entra nella segreteria del Pci. Ma prima di andare via chiede e ottiene che alla guida del giornale ci siano, l’uno a Roma e l’altro a Milano, due giovani brillanti: Alfredo Reichlin e Aldo Tortorella. Ingrao vuole difendere l’Unità moderna cresciuta, nonostante gli sbagli, dentro quelle bufere. E se un futuro c’è stato gran parte del merito lo si deve a lui. A un uomo che, navigando in mare aperto, ha inventato un grande giornale di popolo. Oggi che gli diciamo addio, è giusto ricordare anche quel pezzo di storia che ha segnato la vita dell’Unità e di tanti uomini e donne che al giornale hanno dedicato le loro grandi passioni.