Archivi giornalieri: 5 settembre 2015

Pepe Mujica

Pepe Mujica, “migranti sono un problema del mondo”. L’incontro con Roberto Saviano: “I nostri politici imparino da lui”

Redazione, L’Huffington Post
Pubblicato: 29/05/2015 10:05 CEST Aggiornato: 29/05/2015 11:37 CEST
 http://www.huffingtonpost.it/2015/05/29/pepe-mujica-in-italia_n_7466684.html

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Ansa

“La migrazione non è un problema italiano, ma del mondo. Però purtroppo non esiste un governo mondiale. Non c’è nessuno che si occupa del mondo intero. Ci si preoccupa solo di chi vince le elezioni. Abbiamo generato una civiltà che non governiamo più. Ci governa il mercato. Allora le decisioni sono cieche”. José Alberto Mujica Cor­dano, per tutti “Pepe”, è cittadino onorario di Livorno. L’ex presidente dell’Uruguay ha ricevuto l’onorificenza dal sindaco M5S Filippo Nogarin per la sua capacità di affermare i principi della democrazia e dello sviluppo economico insieme all’attenzione verso i più deboli” e per il suo stile umile. Uno stile che lo ha fatto amare in patria e all’estero.

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MUJICA, I MIGRANTI E L’UE

MUJICA CITTADINO ONORARIO DI LIVORNO

Mujica ha incontrato Roberto Saviano, il quale ha affermato che da lui “abbiamo imparato che non sono gli slogan a cambiare il percorso di un Paese, ma i fatti. Le sue parole sono diventate dibattito, scelta, concretezza, passo dopo passo, errore dopo errore. Dovrebbero essere qui i rappresentanti del governo italiano ad ascoltare Mujica. Lui ha rivoluzionato per sempre la comunicazione politica, che normalmente tende a promettere e comunica promettendo, perché la comunicazione nel promettere è vincente. Lui invece ha fatto il contrario: realizzava e poi comunicava”.

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SAVIANO INCONTRA MUJICA

In un’intervista al Manifesto “Pepe” parla di Europa e di America Latina, di difficoltà finanziarie e di sviluppo economico. “I pro­blemi dell’Europa riflet­tono le con­trad­di­zioni di que­sto sistema che col­pi­sce i set­tori più deboli. C’è una crisi della domanda per­ché la gente con­ti­nua a con­su­mare una infi­nità di cose inu­tili, e al con­tempo una enorme fetta di mondo pieno di povertà che non abbiamo il corag­gio di incor­po­rare: il mondo ricco – spiega Mujica – non ha suf­fi­ciente gene­ro­sità soli­dale per incor­po­rarla nella civi­liz­za­zione. Spre­chiamo un’infinità di pre­ziose risorse per­ché il mondo ricco possa con­su­mare cose inu­tili o fri­vole. E invece non diamo acqua, scuole, case ai più poveri. E anzi respin­giamo i bar­coni che arri­vano nel Medi­ter­ra­neo, o magari pen­siamo di affon­darli, impe­diamo il pas­sag­gio dei migranti mes­si­cani alla fron­tiera nor­da­me­ri­cana. Li invi­tiamo a par­te­ci­pare a una civilizzazione che poi non gli dà il posto pro­messo. E’ come se ti dices­sero: vedi quanto è bello? Ma non è per tutti…”.

Secondo l’ex Tupamaros, “dob­biamo impa­rare a muo­verci per il governo della spe­cie e non solo in base agli inte­ressi dei paesi, dei sin­goli stati, con la con­sa­pe­vo­lezza che siamo respon­sa­bili di un pia­neta, di una bar­chetta che sta andando alla deriva nell’universo”. C’è tuttavia “una rivo­lu­zione pos­si­bile nella testa di ognuno per costruire una nuova uma­nità. Dob­biamo agire perché ognuno sia cosciente che il mer­cato ci toglie la libertà. Non cam­biamo il mondo se non cam­biamo noi stessi”.

Per quanto riguarda l’America Latina, Mujica dice che “sta cam­biando un poco, ci vuole tempo. Dob­biamo svi­lup­pare intel­li­genza nella gente, i ritorni indie­tro sono sem­pre pos­si­bili, l’interventismo esterno è sem­pre latente. Le basi mili­tari Usa sono sem­pre attive in Ame­rica latina. Obama è un pre­si­dente pri­gio­niero, ostag­gio del com­plesso militare-industriale. Non gli hanno per­messo di fare niente. I nostri amici, negli Stati Uniti, pur­troppo non si tro­vano nelle fab­bri­che, ma nelle uni­ver­sità, è così dai tempi del Viet­nam. Il meglio degli Stati Uniti si trova nel mondo intel­let­tuale, il peg­gio nelle ban­che e sui ban­chi del Par­la­mento, ma non biso­gna fare di ogni erba un fascio”.

L’Uruguay decise di accogliere alcuni pri­gio­nieri di Guan­ta­namo, perché “solo chi è stato tanto tempo in car­cere come noi può capire… Oggi invece si pensa di risol­vere i pro­blemi dell’umanità e i pro­pri costruendo più car­ceri, chie­dendo più car­cere e più bombe. Noi, un pic­colo paese, abbiamo indi­cato che si può pren­dere un’altra strada”. Negli Usa “’è gente in car­cere da 34 anni senza mai aver ver­sato una goc­cia di san­gue, solo per aver riven­di­cato l’indipendenza del pro­prio paese come il por­to­ri­cano Oscar Lopez. Ma agli Stati Uniti inte­ressa di più la libertà di un altro Lopez”, dice parlando del golpista venezuelano.

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Morti sul lavoro

Lazio – Nei primi 6 mesi del 2015 ben 30 morti sul lavoro

“Da gennaio a giugno sono 30 le vittime rilevate in occasione di lavoro nel solo Lazio (361 in tutto il Paese). Sei decessi in più rispetto al primo semestre 2014. E il Lazio è la quarta regione a livello nazionale con la Campania per numero di infortuni mortali, con un”inquietante media di 5 incidenti al mese. Un tragico bilancio del 2015 che si aggrava, poi, con le morti avvenute in itinere: sono 15 da gennaio a giugno, per un totale, quindi, di 45 vittime”.

A fornire la fotografia dell’andamento degli infortuni sul lavoro nel Lazio è l’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre che sottolinea come “la tragedia sia molto più sentita nella capitale”. “A Roma, infatti, -spiega Vega in una nota- si contano 29 lavoratori deceduti nel primo semestre 2015 (11 dei quali in itinere)”.

“Ed è ancora alla capitale che spetta indossare, purtroppo anche a livello nazionale, la maglia nera per numero di vittime registrate in occasione di lavoro (18), seguita da Milano (16) e da Palermo e Napoli (10)”, si legge nella nota.

A livello regionale invece, “Roma è seguita da Latina e Viterbo dove si contano 5 infortuni mortali, da Frosinone (4), e da Rieti (2)”, dice il Rapporto che prosegue con una mappatura dettagliata del Lazio “in cui risulta evidente come sia il settore dei trasporti e magazzinaggi quello più colpito con 6 infortuni mortali, seguito dalle attività manifatturiere e dal noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (4 vittime); da costruzioni, commercio e attività di alloggio e ristorazione (3)”.

E ancora: nel primo semestre 2015 sono 7 le donne che hanno perso la vita e 10 i lavoratori stranie

Mordersi la lingua

 
 

 Messa a Santa Marta ·

04 settembre 2015

 
 

 

Sparlare degli altri è terrorismo, è come buttare una bomba per distruggere le persone e poi darsela a gambe e mettere in salvo se stessi. Il cristiano per essere santo deve invece portare sempre «pace e riconciliazione» e per non cedere alla tentazione della chiacchiera deve arrivare anche a mordersi la lingua: sentirà male, avvertirà il gonfiore ma almeno non avrà scatenato qualche piccola o grande guerra. Sono i consigli suggeriti da Papa Francesco, insieme a un esame di coscienza, nella messa celebrata venerdì 4 settembre nella cappella della Casa Santa Marta.

Paolo, ha fatto subito notare il Papa, «nel brano della Lettera ai colossesi (1, 15-20) dà come la carta d’identità di Gesù». Insomma, domanda l’apostolo, «questo Cristo, che noi abbiamo visto che era fra noi, chi è?». E dà questa risposta: «Lui è il primo, è il primogenito di Dio, è il primogenito di tutta la creazione. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte le cose in Lui sussistono» e cioè «hanno consistenza».

Ai colossesi Paolo «presenta Gesù-Dio: Gesù è Dio, è più grande. Prima di tutto è il primo, è il Creatore. Primogenito di tutti perché sia Lui ad avere il primato su tutte le cose». E continua su questa linea tanto che, ha detto il Pontefice, «sembra un po’ esagerato, no?» quando «parla di chi è Gesù». Sì, «questo Gesù, il Padre lo ha inviato perché “per mezzo di Lui e in vista di Lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce”».

Rilanciando le affermazioni di Paolo per spiegare «qual è stata l’opera di Gesù», Francesco ha suggerito due parole chiave: riconciliare e pacificare. Gesù, ci dice Paolo, «ha riconciliato l’umanità con Dio dopo il peccato e ha pacificato, ha fatto la pace con Dio». E così «la pace è opera di Gesù, del suo sangue, del suo lavoro, di quell’abbassarsi per obbedire fino alla morte e morte di croce».

Dunque, ha proseguito Francesco, «Gesù ci ha pacificato e ci ha riconciliato». Tanto che «quando noi parliamo di pace o di riconciliazione — piccole paci, piccole riconciliazioni — dobbiamo pensare alla grande pace e alla grande riconciliazione, quella che ha fatto Gesù». Con la consapevolezza che «senza di Lui non è possibile la pace; senza di Lui non è possibile la riconciliazione». E questo discorso vale ovviamente anche per «noi che tutti i giorni sentiamo notizie di guerre, di odio». Di più, «anche nelle famiglie si litiga». E così «il nostro compito è andare su quella strada» per essere «uomini e donne di pace, uomini e donne di riconciliazione».

A questo punto il Papa ha suggerito un vero e proprio esame di coscienza: «Ci farà bene domandarci: io semino pace? Per esempio, con la mia lingua, semino pace o semino zizzania?». E ha aggiunto: «Quante volte abbiamo sentito dire di una persona che ha una lingua di serpente, perché fa sempre quello che ha fatto il serpente con Adamo ed Eva, ha distrutto la pace». Ma questo, ha messo in guardia il Pontefice, «è un male, questa è una malattia nella nostra Chiesa: seminare la divisione, seminare l’odio, non seminare la pace». Francesco ha proseguito nella sua proposta di esame di coscienza con una domanda che, ha detto, sarebbe bene porsi tutti i giorni: «Io oggi ho seminato pace o ho seminato zizzania?». E a nulla vale provare a giustificarsi dicendo «ma alle volte si devono dire le cose perché quello e quella…». In realtà, ha rimarcato, «con questo atteggiamento tu cosa semini?».

Tornando, così, al passo paolino il Papa ha ripetuto che Gesù, «il Primo, è venuto da noi per pacificare, per riconciliare». Di conseguenza, «se una persona, durante la sua vita, non fa altra cosa che riconciliare e pacificare la si può canonizzare: quella persona è santa!». Però, ha avvertito, «dobbiamo crescere in questo, dobbiamo convertirci: mai una parola che sia per dividere, mai, mai una parola che porti guerra, piccole guerre, mai le chiacchiere». E sulle chiacchiere il Papa ha voluto soffermarsi chiedendo «cosa sono» veramente. Apparentemente, ha spiegato, sono «niente»: consistono nel «dire una parolina contro un altro o dire una storia» del tipo: «Questo ha fatto…». Ma in realtà non è così. «Fare chiacchiere è terrorismo — ha affermato Francesco — perché quello che chiacchiera è come un terrorista che butta la bomba e se ne va, distrugge: con la lingua distrugge, non fa la pace. Ma è furbo, eh? Non è un terrorista suicida, no, no, lui si custodisce bene!».

Riprendendo, di nuovo, il brano della Lettera di Paolo, il Pontefice ha ricordato che in Gesù sono «riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce». Dunque «il prezzo è alto» ha affermato. E così «ogni volta che mi viene in bocca di dire una cosa che è seminare zizzania e divisione e sparlare di un altro» il consiglio giusto è «mordersi la lingua!». E ha insistito: «Io vi assicuro che se voi fate questo esercizio di mordervi la lingua invece di seminare zizzania, i primi tempi si gonfierà così la lingua, ferita, perché il diavolo ci aiuta a questo perché è il suo lavoro, è il suo mestiere: dividere!».

Prima di continuare «questo sacrificio — questo è il sacrificio di riconciliazione, qui viene il Signore e noi facciamo lo stesso che nel Calvario» — Francesco ha così pregato: «Signore tu hai dato la tua vita, dammi la grazia di pacificare, di riconciliare. Tu hai versato il tuo sangue, ma che non m’importi che si gonfi un po’ la lingua se mi mordo prima di sparlare di altri». E ha concluso invitando a ringraziare il Signore per averci riconciliato col Padre, perdonato i peccati, dandoci «la possibilità di avere pace nelle nostre anime»

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