La disparità di genere nelle regioni italiane Mappe del potere

La disparità di genere nelle regioni italiane Mappe del potere

Le regioni sono organi fondamentali del sistema istituzionale, a cui la costituzione attribuisce anche potestà legislativa. Per questo è importante monitorare la loro attività sotto diversi punti di vista, incluso l’equilibrio di genere.

 

La nascita del governo Meloni ha segnato un precedente importante in Italia. Per la prima volta una donna ha avuto accesso all’incarico più importante dell’esecutivo, quello di presidente del consiglio. Più di recente anche il principale partito di opposizione ha optato per una leadership femminile, quella di Elly Schlein, inaugurando così una dinamica del tutto nuova per la politica italiana.

Ma la politica non è fatta solo di leader nazionali e, per quanto importanti siano queste novità, la questione di genere va analizzata a tutti i livelli. Con l’insediamento dei nuovi consigli regionali in Lombardia e Lazio gli organi rappresentativi delle regioni italiane sono di nuovo tutti in carica. Possiamo quindi verificare come sono cambiati gli equilibri di genere da questo punto di vista.

Regioni e norme sull’equilibrio di genere in consiglio

Per analizzare la dinamica di genere all’interno delle giunte e dei consigli regionali bisogna innanzitutto tenere presente che, come stabilito dalla costituzione (art. 122), sono gli statuti e le leggi regionali a disciplinare i meccanismi di elezione del consiglio e del presidente della giunta. Questo però avviene nel quadro di una disciplina di carattere nazionale.

In materia di equilibrio di genere nel 2012 e poi nel 2016 sono state introdotte delle modifiche alla legge 165/2004. Con questi interventi si è provveduto a definire un quadro comune prevedendo 3 diversi meccanismi a seconda del tipo di legge elettorale adottato dalla regione:

  • sistema proporzionale con voto di preferenza – il genere più rappresentato non può eccedere il 60% delle candidature, inoltre devono essere previsti almeno 2 voti di preferenza distinti per genere;
  • sistema proporzionale senza voto di preferenza – oltre alla proporzione del 60% i nomi in lista devono essere in ordine alternato di genere;
  • sistema uninominale – il totale delle candidature di ciascuna lista deve rispettare il criterio del 60%.

Per le regioni a statuto speciale però il discorso è differente. Queste infatti non devono conformarsi a una norma nazionale, ma solo ai loro statuti. Pur prevedendo questi delle norme più o meno generiche sull’equilibrio di genere (legge costituzionale 2/2001) le regioni a statuto speciale sono dei casi a parte che non possono essere uniformati alla disciplina generale.

Le donne nei consigli regionali

Come abbiamo visto le leggi elettorali regionali intervengono sui candidati prevedendo in particolare che nessun genere sia rappresentato in misura inferiore al 40%. Le ragioni principali di questo approccio sono sostanzialmente due. Intanto intervenendo sui candidati piuttosto che sugli eletti si incide in maniera molto più indiretta sulla libera scelta degli elettori evitando profili di incostituzionalità. La soglia del 40% invece è solitamente accettata come margine entro il quale si può considerare sostanzialmente garantito l’equilibrio di genere.

Tuttavia quando si passa dalla proporzione di candidati a quella degli eletti le cose cambiano significativamente e da almeno il 40% di candidate si passa al 23,5% di consigliere regionali. Una differenza considerevole che porta con sé molte domande su quali siano i meccanismi politici, sociali e culturali alla base della disparità di genere.

Solo nel consiglio dell’Emilia-Romagna le donne sono almeno il 40%.

In effetti solo nel consiglio regionale dell’Emilia-Romagna le donne raggiungono il 40%. Lazio, Umbria, Veneto e Toscana seguono, superando almeno il 30% mentre in altre 8 regioni la quota di consigliere oscilla tra il 19% e il 29%. Tra queste anche la Lombardia (27,5%) che, come il Lazio, è recentemente andata alle elezioni.

In fondo alla classifica si trovano invece Puglia (13,7%), Friuli-Venezia Giulia (12,2%), Basilicata (9,5%) e Valle d’Aosta (8,6%).

Quantomeno in Puglia, nonostante il basso numero di consigliere, la presidenza dell’aula è stata affidata a una donna (Loredana Capone). Un caso quasi unico nel 2023. L’unica altra regione con una presidente del consiglio è l’Emilia-Romagna (Emma Petitti).

le donne a ricoprire il ruolo di presidente del consiglio regionale. Loredana Capone in Puglia e Emma Petitti in Emilia-Romagna.

L’andamento storico negli ultimi anni

Nonostante numeri ancora piuttosto bassi è innegabile che l’introduzione di un quadro normativo comune a livello nazionale in materia di equilibrio di genere abbia favorito la crescita del numero di donne nei consigli regionali. Dopo l’introduzione delle modifiche legislative del 2012 e del 2016 le regioni hanno iniziato a integrare le nuove regole nella propria normativa e tra il 31 dicembre 2014 e lo stesso giorno del 2020 si è assistito a un chiaro aumento della presenza femminile. Per gli anni successivi il dato ha continuato a crescere ma in maniera meno marcata.

Un percorso inverso invece è stato seguito dalle giunte regionali. Qui infatti nel 2015 la quota di donne raggiungeva il 34,3% ma nei 5 anni successivi è calata di quasi 10 punti (24,9%). Dopo il 2020 il dato è tornato a crescere ma in maniera molto contenuta. È difficile stabilire con certezza le ragioni di un calo così evidente. Si possono però rilevare 2 elementi significativi, uno di tipo normativo e l’altro politico.

Intanto è importante sottolineare come, contrariamente a quanto avviene per i consigli regionali, non esistono norme nazionali che incentivino l’equilibrio di genere in giunta. Un meccanismo che invece è previsto nei comuni delle maggiori città italiane.

La disparità di genere nelle regioni italiane Mappe del potereultima modifica: 2023-03-28T21:31:28+02:00da vitegabry
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