Archivi giornalieri: 2 marzo 2023

La cooperazione e la lotta alla pandemia

La cooperazione e la lotta alla pandemia

La classifica dei 10 paesi Ocse Dac che hanno destinato maggiori risorse dell’aiuto pubblico allo sviluppo alla lotta alla pandemia nel 2021

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A livello di singolo paese, sia direttamente (canale bilaterale) che tramite le organizzazioni internazionali finanziate (canale multilaterale), sono gli Stati Uniti a fornire l’apporto più significativo, con oltre 5 miliardi di dollari. La maggior parte di questi fondi sono stati destinati da Washington all’acquisto di vaccini, mentre il rimanente a politiche comunque legate all’aspetto più strettamente sanitario. Al secondo posto il Giappone con 3,8 miliardi di dollari destinati alla lotta al Covid-19. Diversamente dagli Usa però la maggior parte di queste risorse sono andate a finanziare progetti che, pur avendo come obiettivo la lotta alla pandemia, non riguardano strettamente l’ambito sanitario. Solo una parte minoritaria di questi fondi poi è stato utilizzato per i vaccini. Discorso simile per la Germania, al terzo posto con 3 miliardi. In questo caso la quota di risorse destinate all’ambito sanitario e in particolare ai vaccini è stata più consistente. Seguono Canada (1,5 miliardi), Francia (1 miliardo), Regno Unito (756 milioni) e poi Italia che con 668 milioni di dollari rappresenta comunque il settimo donatore tra i paesi Dac per contributi erogati per la lotta al Covid in valori assoluti.

DA SAPERE

Gli importi sono calcolati con il metodo “net disbursements” e sono espressi in dollari a prezzi correnti. I valori relativi al totale dell’Aps destinato alla lotta alla pandemia è suddiviso tra aiuti a carattere non strettamente sanitario, aiuti a carattere sanitario diversi dai vaccini e donazione di vaccini.

 

La spesa per la cooperazione internazionale in Italia

La spesa per la cooperazione internazionale in Italia

Il rapporto aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) e reddito nazionale lordo (Rnl) tra 2014 e 2021

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Negli ultimi anni il rapporto Aps/Rnl italiano ha subito continue oscillazioni invece che seguire un costante andamento di crescita nella direzione di arrivare allo 0,70% Aps/Rnl entro il 2030. Nel 2017 l’Italia ha raggiunto il suo massimo storico (0,30%) per poi calare drammaticamente nel 2019 e 2020 (0,22%). Il 2021 ha segnato di nuovo un aumento e il punto adesso è verificare se questa crescita proseguirà nel tempo oppure se vedremo nuove riduzioni nelle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo.

DA SAPERE

Il rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) e reddito nazionale lordo (Rnl) indicato per gli anni 2014-2017 è ricavato utilizzando il metodo di calcolo dell’Aps noto come “net disbursement“. Per gli anni successivi invece Ocse riporta i dati con il metodo “grant equivalent“.

Torna a crescere il volume dell’aiuto allo sviluppo

Torna a crescere il volume dell’aiuto allo sviluppo

Dopo 4 anni di stagnazione dal 2020 è tornato ad aumentare il valore complessivo dell’Aps dei paesi Ocse Dac.

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Dopo 4 anni di sostanziale stagnazione, a partire dal 2020 l’Aps complessivo dei paesi Ocse Dac è tornato a crescere arrivando a sfiorare nel 2021 i 186 miliardi di dollari (a prezzi correnti). Ovvero lo 0,33% del reddito nazionale lordo complessivo dei paesi donatori. Si tratta complessivamente di una crescita dell’8,5% in termini reali (ovvero a prezzi costanti). Una crescita di oltre 23 miliardi (a prezzi correnti) che tuttavia non è scontato che resti stabile o cresca ulteriormente nei prossimi anni.

DA SAPERE

Il valore complessivo dell’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) dei paesi Ocse Dac è indicato per gli anni 2016-2017 utilizzando il metodo di calcolo noto come “net disbursement“. Per gli anni successivi invece Ocse riporta i dati con il metodo “grant equivalent“. I prezzi sono espressi in milioni di dollari nella prima scheda a prezzi costanti (2020), nella seconda a prezzi correnti.

 

Sacro e profano nella cultura e nella tradizione popolare sarda

Sacro e profano nella cultura e nella tradizione popolare sarda

2 Marzo 2023

[Francesco Casula]

Nei giorni scorsi a Quartu Sant’Elena l’Associazione culturale Femminas ha organizzato una conferenza sul tema “Sacro e profano”. Pubblichiamo l’intervento di Francesco Casula.

Sacro e profano nella cultura e nella tradizione popolare sarda rappresentano un binomio inscindibile che s’incarna e s’incardina in tutta la nostra storia, passata e presente.

Entro subito in medias res con un esempio tratto dalla letteratura sarda, un passo dell’opera di Sigismondo Arquer “Sardiniae brevis historia”: Quando i contadini celebrano qualche festa, dopo la Messa, per tutto il resto della giornata e della notte ballano – uomini e donne – dentro la chiesa del Santo, cantando canzoni profane; inoltre uccidono maiali, montoni e buoi e mangiano allegramente di queste carni in onore del Santo. Vi sono anche di quelli che ingrassano qualche maiale in onore di un santo, per poterlo poi mangiare durante la festa, spesso in una chiesina costruita fra i boschi. E se la famiglia non è tanto numerosa da poter consumare tutta quella carne, perché non ne avanzi, invitano altre persone al banchetto che si fa dentro la chiesa stessa. E siamo nel 1550!

Ma a parte questo chiarissimo esempio di connubio e di ibridazione fra sacro e profano in realtà questo è presente in tutta la cultura popolare sarda come nelle tradizioni e le Feste: che sono nello stesso tempo religiose e profane. Alcuni studiosi fanno risalire alcune feste popolari e religiose addirittura al periodo prenuragico o comunque a quello nuragico in cui le comunità sarde periodicamente si ritrovavano e si riunivano nei “santuari” di allora: a Santa Cristina di Paulilatino come a Santa Vittoria di Serri.

L’intelligenza e la flessibilità della Chiesa cattolica è stata nel sopprimere ma nello stesso tempo di recuperare e mediare quel senso di segno magico-pagano e profano, quell’universo mitico di estrazione folclorico-rurale, proveniente da antichissime abitudini precristiane, mai completamente sradicate, nell’ambito sacro del Cristianesimo e delle sue feste.

Tanto che oggi non esiste scadenza liturgica importante che non presenti innesti di tipo pagano-profano, che la Chiesa comunque renderà compatibili con la simbologia cristiana, riplasmandoli in questo modo dal Natale alla Pasqua, dalla Quaresima alla Festa dei morti, dalla festa di San Giovanni a quella di Sant’Efisio, un’ampia gamma di soluzioni sincretistiche punteggerà in modo discreto ma persistente lo sviluppo dell’intero anno liturgico, per non parlare della loro presenza nel ciclo esistenziale di ciascun individuo: dalla culla alla bara.

Dicevo della Pasqua (in sardo sa Pasca manna per distinguerla dae sa Paschixedda). Ebbene nelle Feste pasquali, nella Settimana Santa, nel ricordo rituale e drammatizzato della Passione di Cristo, l’elemento sacro e religioso si coniuga e si unisce a quello profano, riferibile al cosiddetto ciclo dell’anno e a rituali magico propiziatori legati, soprattutto in ambito rurale, alla rigenerazione primaverile della natura. Cosicché nell’elemento che accomuna la liturgia ufficiale della Chiesa e gli usi locali, le cosiddette paraliturgie, vi è la consapevolezza di vivere in quei giorni, una fase di passaggio e di rinnovamento interiore, di transito da una condizione di negatività a una, auspicata e propiziata, di benessere e prosperità di nuova vita.

Abbiamo così due tipologie di rituali: quelli propriamente liturgici, con i riti del  sacro oggetto della liturgia di Santa romana chiesa (fino a non molto tempo fa celebrati in latino) e quelli paraliturgici, in genere tramandati dalle Confraternite, dalla gente comune che spesso riprendono e riadattano a uso del popolo, i cerimoniali ufficiali, altre volte si sovrappongono ad essi introducendo, sincreticamente, usi e credenze di origine precristiana. Due tipologie di rituali insomma che a volte convergono a volte sembrano configgere fra loro e, per questo motivo hanno subito talvolta nel corso dei secoli e persino oggi, l’ostracismo e l’opposizione delle autorità ecclesiastiche.

Persino oggi il rapporto fra parroci e sodalizi confraternali, vere e proprie macchine collaudate per trasmettere le paraliturgie, non sempre è stato o tuttora è idilliaco: ma a scontrarsi più che il sacro con il profano spesso è la tradizione sostenuta dalle comunità locali dei credenti con la linea ufficiale della Chiesa. Finché i due binari quello dell’ufficialità e quello della località scorrono paralleli e in rapporto di buon vicinato, non si verifica alcun problema. Le difficoltà emergono invece quando vi sono dei reali o presunti sconfinamenti di campo.

Persino nelle cronache giornalistiche assistiamo a contrasti e brias fra Parroci e Confraternite e Pro Loco. O prendiamo la Festa di San Giovanni del 24 giugno. Ebbene fin dal primo Cristianesimo, di età patristica, la Chiesa ha fatto confluire in un tema della liturgia (Il giorno natale del Battista) quel che rimaneva allora del culto solstiziale di un’antica visione urano- agraria legata al momento del raccolto e ricco di valenze propiziatorie (della terra e della donna). Il culto si è imposto alla Chiesa come qualcosa che sarebbe stato difficile sradicare tanto che ancora oggi sopravvivono elementi precristiani: i falò (su fogaroni), la raccolta delle erbe da destinare a chi verrà scelto come compare. Is cannas friscas.

Proprio il Comparatico di S. Giovanni colpirà l’interesse di un illustre viaggiatore italiano in Sardegna. Alberto Ferrero della Marmora, torinese, scrittore, geografo e militare che visiterà la Sardegna, la prima volta nel 1819 e in seguito vi soggiornerà più volte. Egli infatti soggiornò nell’Isola, sebbene non stabilmente, per un arco di quasi quattro decenni, dal 1819 al 1857. Scriverà Itinerarie de l’île de Sardaigne (1860) ma soprattutto quei monumenti che sono i quattro volumi di Voyage en Sardaigne, ou description statitique, phisique e politique de cette ile, avec des recherches sus ses produtions naturelles et ses antiquités (1826).

In quest’opera scriverà a proposito della Festa di San Giovanni: Oltre al comparatico per un bambino tenuto al battesimo o alla cresima, ve n’è un terzo detto di S. Giovanni, che è in uso solo fra i campagnuoli.

Due persone di sesso diverso, ed in generale coniugate, si scelgono reciprocamente come compare e comare di San Giovanni: l’accordo si conclude presso a poco due mesi prima. Alla fine del mese di Maggio, la futura comare prende un pezzo grande di cor­teccia di sughero, lo arrotola facendone un vaso, lo riempie di terra e vi semina un pizzico di grano della qualità migliore. S’innaffia, di tanto in tanto la terra con cura e il grano germina rapidamente, sì che in capo ad una ventina di giorni si vede un bel ciuffo detto erme o nènneri.

Il giorno di S. Giovanni il compare e la comare prendono que­sto vaso e, accompagnati da un corteo numeroso, s’incamminano verso una chiesetta dei dintorni. Giunti là, uno dei due getta il vaso contro la porta; poi tutti insieme mangiano una frittata colle erbe: infine ciascuno, mettendo le mani su quelle del suo vicino o della vicina, ripete ad alta voce ed a più riprese, queste parole: compare e comare di S. Gíovanni; si balla per parecchie ore e la festa è fi­nita.

Parlando di Feste popolari e religiose in cui il binomio sacro-profano è corposamente presente e difficilmente separabile non si può sottacere quella di Sant’Efisio a Cagliari. Si celebra da secoli (i656) il primo maggio, ininterrottamente (a parte l’interruzione per il Covid) e rientra all’interno di quelle Feste che si celebrano numerose ogni anno per assolvere l’impegno di un voto fatto dalla cittadinanza in seguito alla diffusione della peste, che si credette risolta con un intervento miracoloso del santo. Fu scelto proprio il mese di maggio poiché simbolo di rigenerazione della natura. Anche questa Festa, storicamente ed ancora oggi è presente insieme, una forte dimensione religiosa e devozionale ma anche ampi tratti profano- folcloristici, ludici e spettacolari e, viepiù consumistici e di mercato.

Occorre infatti affermare con nettezza ed essere consapevoli, pur senza moralismi  predicatori, che molte feste popolari e religiose – soprattutto quelle ad alta intensità di partecipazione di vere e proprie folle (a Cagliari Sant’Efisio, a Sassari I candelieri e a Nuoro Il Redentore) a poco a poco e progressivamente si stanno trasformando in una celebrazione meramente consumistica, in larga parte gestite secondo modelli elargiti a piene mani dall’industria culturale-mediatica dell’immagine e del mercato. In cui rischia di scomparire non solo la dimensione religiosa ma anche quella profana della tradizione culturale e simbolica del nostro passato.

La festa rischia infatti di entrare solo nell’economia dei consumi, come semplice momento ludico ed edonistico, cui si assiste ma non si partecipa. E magari è fatta – penso soprattutto alle grandi Feste come San’Efisio – più per i turisti che per i sardi.

Occorrerà una battaglia per restituire alla Festa, popolare e religiosa, la sua dimensione e funzione autentica, di strumento prezioso di incontro e autoconsapevolezza di sé e delle proprie radici, di conoscenza delle nostre tradizioni e della nostra civiltà oltre che della propria fede religiosa.

Una Festa, come simbolo sacro della propria identità, della propria appartenenza e sodalità di paesani, soprattutto a fronte della omologazione crescente, culturale prima ancora che economica.

Dobbiamo infatti considerare e vivere la Festa religiosa popolare tradizionale come un nostro bene culturale identitario, un nostro rito collettivo comunitario di sarditudine, irrinunciabile per le nostre comunità locali, che coniuga la tradizione e la cultura popolare con la religiosità, dove il moderno si coniuga con l’antico e l’arcaico.

 Senza queste due dimensioni Sant’Efisio come altre Feste, rischiano di ridursi a spettacolarizzazione multimediale, magari solo in funzione del turista, con scarse o nulle possibilità di risonanze nelle coscienze individuali e nella comunità.

Torna a crescere il volume dell’aiuto allo sviluppo

Torna a crescere il volume dell’aiuto allo sviluppo

Dopo 4 anni di stagnazione dal 2020 è tornato ad aumentare il valore complessivo dell’Aps dei paesi Ocse Dac.

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Dopo 4 anni di sostanziale stagnazione, a partire dal 2020 l’Aps complessivo dei paesi Ocse Dac è tornato a crescere arrivando a sfiorare nel 2021 i 186 miliardi di dollari (a prezzi correnti). Ovvero lo 0,33% del reddito nazionale lordo complessivo dei paesi donatori. Si tratta complessivamente di una crescita dell’8,5% in termini reali (ovvero a prezzi costanti). Una crescita di oltre 23 miliardi (a prezzi correnti) che tuttavia non è scontato che resti stabile o cresca ulteriormente nei prossimi anni.

DA SAPERE

Il valore complessivo dell’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) dei paesi Ocse Dac è indicato per gli anni 2016-2017 utilizzando il metodo di calcolo noto come “net disbursement“. Per gli anni successivi invece Ocse riporta i dati con il metodo “grant equivalent“. I prezzi sono espressi in milioni di dollari nella prima scheda a prezzi costanti (2020), nella seconda a prezzi correnti.

 

1. Inquadramento normativo. Ratio e peculiarità dell’istituto

Composizione negoziata: novità del DL 24-2-2023, n.13

1. Inquadramento normativo. Ratio e peculiarità dell’istituto

Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (d. lgs. n. 14/2019), ad esclusione di alcuni articoli entrati in vigore nel 2019, è divenuto efficace il 15 luglio 2022 ed è stato modificato recentemente dal D. lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e dalla legge n. 122 del 4 agosto 2022, al fine di recepire i contenuti della Direttiva Insolvency (2019/1023) e del Decreto Legge n. 118/2021. Nello specifico, all’esito del lavoro svolto dalla Commissione Pagni, insediata nel mese di aprile 2021 dal Ministro Cartabia, il 24 agosto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n. 118, recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento d’azienda, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia.  
La principale novità prevista dal decreto è costituita dall’introduzione del nuovo strumento della composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa (Titolo II, artt. 12 e ss. del CCII), un rimedio per fornire ausilio alle imprese al fine di affrontare tempestivamente la crisi economica causata dall’epidemia da Covid-19, la cui entrata in vigore è stata prevista il 15 novembre 2021.
Tale novità è espressione della direttiva UE n. 1023/2019, il cui obiettivo principale è garantire “alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare a operare, agli imprenditori onesti insolventi o sovra indebitati di poter beneficiare di una seconda opportunità mediante l’esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo, e a conseguire una maggiore efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, in particolare attraverso una riduzione della loro durata”.
Il legislatore ha sentito, dunque, la necessità di dover offrire agli imprenditori, colpiti dalla crisi, uno strumento veloce per la risoluzione della stessa, adeguando al contempo la normativa nazionale al contesto comunitario.
Il D.L. n. 118/2021 trae, dunque, la ratio dell’intervento dall’emergenza sanitaria e dall’innegabile ricaduta economica sulle imprese, prevedendo un ulteriore slittamento dell’entrata in vigore della riforma[1].
La composizione negoziata, ai sensi del nuovo art. 12 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (così come introdotto dal d. lgs. 17 giugno 2022 n. 83), consente all’imprenditore commerciale e agricolo, “che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza”, di richiedere la nomina di un esperto. In particolare, si tratta di una figura professionale indipendente, alla quale viene affidato il compito di coadiuvare l’imprenditore nel dialogo con i creditori e nella negoziazione di accordi volti a pianificare la ripresa.
L’imprenditore continuerà, di fatto, a decidere delle sorti della propria attività, ma avrà al proprio fianco un valido supporto per le scelte più delicate.
La composizione negoziata rappresenta uno strumento del tutto alternativo alla composizione della crisi prevista dal CCII.
Facendo un raffronto con le ipotesi di composizione assistita, come regolamentate dal Codice della Crisi d’Impresa, il nuovo istituto della CNC introduce la figura di un soggetto terzo, l’esperto, che ha il ruolo di facilitatore nelle trattative, per conseguire la possibile sottoscrizione di accordi.
La previsione della specifica figura dell’esperto, rispetto a tre componenti del Collegio così come già previsto nel Codice della Crisi, rappresenta una forte spinta verso la semplificazione e la riduzione dei costi.
Altre peculiarità della composizione negoziata sono:
–        la volontarietà dello strumento;
–        la riservatezza della procedura;
–        gli obblighi informativi nei confronti delle Organizzazioni Sindacali, come previsto dalla Direttiva Insolvency, nelle ipotesi di organizzazioni o modifiche dei modelli organizzativi, che si aggiunge agli obblighi di informazione sindacale già previsti dalla legge e dai contratti collettivi;
–        trasparenza della procedura, attraverso la creazione di una piattaforma telematica con pulifunzionalità: dalla nomina dell’esperto, all’inserimento di documentazione utile allo svolgimento delle trattative, alla selezione in caso di cessione d’azienda di potenziali soggetti interessati, all’inserimento di una checklist utile a consentire all’imprenditore una valutazione preliminare sulle opportunità e possibilità di risanamento, all’inserimento di un protocollo sulle modalità di conduzione della composizione negoziata[2].

2. La composizione negoziata: i presupposti per l’accesso e la procedura

L’istanza di accesso alla composizione negoziata si presenta tramite una piattaforma unica nazionale, attiva dal 15 novembre 2021, accessibile attraverso il sito internet istituzionale della Camera di Commercio ove l’impresa ha la propria sede legale.
Il legislatore individua quattro presupposti, soggettivi ed oggettivi, per l’accesso alla procedura di composizione negoziata della crisi, requisiti che devono congiuntamente coesistere.
Per quanto attiene i presupposti soggettivi, può accedere alla composizione negoziata della crisi l’imprenditore, sia esso agricolo che commerciale (art. 12 CCII). Non è previsto alcun limite all’accesso basato sulla dimensione dell’impresa o di qualsivoglia valore di bilancio.
Il secondo requisito è rappresentato dall’iscrizione nel registro delle imprese.
In merito ai requisiti di carattere oggettivo, l’art. 12 richiede, quale presupposto per l’accesso alla procedura, il ricorrere di una condizione di squilibrio patrimoniale oppure economico-finanziario in cui versa l’impresa, nonché la ragionevole perseguibilità del risanamento. La ragionevolezza del risanamento dovrà, pena il naufragio della procedura, essere condivisa dall’esperto.
L’allegato 2 del Decreto Dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021 ha definito il contenuto dell’istanza online.
L’imprenditore, prima di accedere alla nomina dell’esperto (art. 13, comma 6, CCII), deve predisporre tutta la documentazione necessaria che deve accompagnare l’istanza (art. 17, comma 3, CCII): si tratta di un corposo elenco di informazioni che – sebbene siano già disponibili – devono essere oggetto di espressa collaborazione preventiva da parte dell’impresa. La documentazione richiesta è la seguente:
a) i bilanci degli ultimi tre esercizi, se non già depositati presso l’ufficio del registro delle imprese, oppure, per gli imprenditori che non sono tenuti al deposito dei bilanci, le dichiarazioni dei redditi e dell’IVA degli ultimi tre periodi di imposta, nonché una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre sessanta giorni prima della presentazione dell’istanza;
b) un progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista di controllo di cui all’articolo 13, comma 2, del Codice della Crisi e una relazione chiara e sintetica sull’attività in concreto esercitata recante un piano finanziario per i successivi sei mesi e le iniziative che intende adottare;
c) l’elenco dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti scaduti e a scadere e dell’esistenza di diritti reali e personali di garanzia;
d) una dichiarazione resa ai sensi dell’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 sulla pendenza, nei suoi confronti, di ricorsi per l’apertura della liquidazione giudiziale o per l’accertamento dello stato di insolvenza e una dichiarazione con la quale attesta di non avere depositato ricorsi ai sensi dell’articolo 40, anche nelle ipotesi di cui agli articoli 44, comma 1, lettera a), e 54, comma 3;
e) il certificato unico dei debiti tributari di cui all’articolo 364, comma 1;
f) la situazione debitoria complessiva richiesta all’Agenzia delle entrate- Riscossione;
g) il certificato dei debiti contributivi e per premi assicurativi di cui all’articolo 363, comma 1;
h) un estratto delle informazioni presenti nella Centrale dei rischi gestita dalla Banca d’Italia non anteriore di tre mesi rispetto alla presentazione dell’istanza.
In aggiunta, dovranno essere allegati tutti gli altri documenti utili a giustificare le concrete possibilità di risanamento dell’impresa, si pensi al caso in cui l’ipotesi di risanamento sia perseguibile con la cessione di un ramo d’azienda, in tal caso sarà opportuno che l’imprenditore alleghi già le manifestazioni di interesse.
In fase applicativa, è stato notato che la necessità di produzione di tale copiosa documentazione ha reso la procedura piuttosto farraginosa, sebbene la volontà legislativa fosse quella di aiutare l’imprenditore a predisporre un info-package adeguato all’espletamento della successiva fase di negoziazione.
Al termine della fase di predisposizione dei documenti, l’imprenditore utilizzerà la piattaforma telematica per depositare l’istanza di nomina dell’esperto.
Possono iscriversi all’elenco degli esperti, tenuto dalle Camere di Commercio, industria, artigianato e agricoltura di ciascun capoluogo di regione, gli avvocati e i commercialisti che, oltre all’anzianità di iscrizione all’albo (almeno cinque anni), dimostrino di avere conseguito un’adeguata esperienza in materia di ristrutturazione aziendale. Requisiti più stringenti sono previsti per i consulenti del lavoro, i quali devono dimostrare, tra l’altro, di avere partecipato con successo alla conclusione positiva di procedure concorsuali.
Una volta ricevuta l’istanza di nomina dell’esperto, il segretario generale della CCIAA del capoluogo di provincia ove ha sede l’impresa la comunica alla commissione che procederà a nominare l’esperto nel campo della ristrutturazione tra gli iscritti all’apposito elenco (art. 13, commi 6, 7, e 8 CCII).
L’esperto dovrà essere nominato entro cinque giorni successivi alla presentazione dell’istanza da parte dell’imprenditore.
Accettata la nomina, inizia l’attività dell’esperto, il cui primo step consiste nella convocazione dell’imprenditore, eventualmente assistito oltre che dal proprio consulente anche dall’organo di controllo.
L’esperto dovrà verificare le concrete prospettive di risanamento dell’impresa, esaminando la documentazione predisposta dall’imprenditore, e dovrà interloquire con quest’ultimo ed i suoi advisors.
Successivamente inizia la fase delle trattative, che rappresenta il momento centrale e più delicato della procedura, durante il quale vengono alla luce le abilità e le competenze dell’esperto, che dovrà mediare tra l’imprenditore e i creditori, al fine di trovare una soluzione concordata.
Le banche rappresentano l’interlocutore più frequentemente coinvolto nei tentativi di accordo – anche stragiudiziale – promossi dall’imprenditore.
Il legislatore, ai sensi dell’art. 16, comma 5 del Codice della Crisi, ha previsto per le banche un vero e proprio obbligo di partecipazione attiva alle trattative. In tal modo, la composizione negoziata, imponendo alle banche una partecipazione attiva al tavolo delle trattative, pone un certo rimedio al disinteresse degli istituti di credito, che spesso rende difficile un dialogo con l’imprenditore.
Inoltre, l’obbligo imposto a tali creditori di partecipazione alle trattative consente di perseguire istanze di celerità considerato che, salvo proroghe, la procedura di composizione negoziata deve concludersi entro 180 giorni, decorrenti dall’accettazione della nomina da parte dell’esperto.
L’art. 18 del C.C.I.I. (così come previsto dal d. lgs. n. 83/2022) ha, inoltre, introdotto delle misure c.d. protettive del patrimonio dell’imprenditore di cui lo stesso può beneficiare in esito all’accesso alla procedura di composizione negoziata della crisi.
L’imprenditore può chiederne l’applicazione sia in sede di avvio della procedura, unitamente all’istanza di nomina dell’esperto, che in un secondo momento, tramite istanza ad hoc in modalità telematica.
Le misure protettive sono, in realtà, delle limitazioni poste nei confronti dei creditori dell’impresa in crisi. Infatti, dal giorno della pubblicazione dell’istanza nel Registro delle Imprese i creditori non potranno:
1.     acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore;
2.     iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa;
3.     rifiutare, unilateralmente, l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione;
4.     anticipare la scadenza dei contratti pendenti o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori.
L’imprenditore, lo stesso giorno della pubblicazione nel Registro delle Imprese dell’istanza per l’applicazione delle misure protettive e dell’accettazione dell’esperto, con ricorso, potrà chiedere al Tribunale del luogo dove ha l’impresa ha la sede principale: la conferma o la modifica delle misure protettive; e, ove occorra, l’adozione dei provvedimenti cautelari, necessari per condurre a termine le trattative, ai sensi dell’art. 19 C.C.I.I.
È fondamentale che l’imprenditore depositi il ricorso nei termini e che, entro i successivi 30 giorni, chieda anche la pubblicazione nel Registro delle Imprese del numero di R.G. del procedimento instaurato, pena l’inefficacia delle misure protettive e la cancellazione dell’iscrizione dell’istanza, con conseguente aggredibilità del proprio patrimonio da parte dei creditori.
Le trattative – e con esse la procedura di composizione negoziata – possono concludersi con esito negativo ovvero positivo.
L’esito è negativo se, decorsi i 180 giorni, – eventualmente prorogabili su richiesta delle parti, qualora l’esperto vi acconsenta – nessuna soluzione è stata individuata, anche a seguito di proposta dell’esperto. Se all’esito delle trattative non è individuata una soluzione, l’imprenditore può, ai sensi del comma 2 dell’art. 23 C.C.I.I., in alternativa:
a) predisporre il piano attestato di risanamento di cui all’articolo 56;
b) domandare l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli articoli 57, 60 e 61. La percentuale di cui all’articolo 61, comma 2, lettera c), è ridotta al 60 per cento se il raggiungimento dell’accordo risulta dalla relazione finale dell’esperto;
c) proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’articolo 25-sexies;
d) accedere ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza disciplinati dal presente codice, dal decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 o dal decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39. L’imprenditore agricolo può accedere agli strumenti di cui all’articolo 25-quater, comma 4.
Se, invece, è stata individuata una soluzione idonea al superamento della crisi (art. 23, comma 1 C.C.I.I.), le parti possono, alternativamente:
a) concludere un contratto, con uno o più creditori, che produce gli effetti di cui all’articolo 25-bis, comma 1, se, secondo la relazione dell’esperto di cui all’articolo 17, comma 8, è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni;
b) concludere la convenzione di moratoria di cui all’articolo 62;
c) concludere un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce gli effetti di cui agli articoli 166, comma 3, lettera d), e 324. Con la sottoscrizione dell’accordo l’esperto dà atto che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o dell’insolvenza.
L’art. 25-bis del Codice della Crisi (così come novellato dal d. lgs. n. 83/2022) prevede, infine, delle misure premiali per l’imprenditore che accede alla procedura della CNC.
In particolare:
–         dall’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto fino alla conclusione della procedura ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 2, lettera b), gli interessi maturati sui debiti tributari dell’imprenditore sono ridotti alla misura legale (art. 25-bis, comma 1);
–        Le sanzioni tributarie sono ridotte alla misura minima se il termine di pagamento scade dopo la presentazione dell’istanza di CNC (art. 25-bis, comma 2);
–                  Le sanzioni e gli interessi sui debiti tributari sorti prima del deposito dell’istanza e oggetto della composizione negoziata sono ridotti della metà nelle ipotesi previste dall’articolo 23, comma 2 (art. 25-bis, comma 3);
–                  In caso di pubblicazione nel registro delle imprese del contratto di cui all’articolo 23, comma 1, lettera a), e dell’accordo di cui all’articolo 23, comma 1, lettera c), l’Agenzia delle Entrate concede all’imprenditore che lo richiede, con istanza sottoscritta anche dall’esperto, un piano di rateazione fino ad un massimo di settantadue rate mensili delle somme dovute e non versate a titolo di imposte sul reddito, ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta, imposta sul valore aggiunto e imposta regionale sulle attività produttive non ancora iscritte a ruolo, e relativi accessori (art. 25-bis, comma 4).
Proprio quest’ultima misura premiale è stata, di recente, oggetto di modifiche ad opera del Decreto “PNNR3”, approvato il 16 febbraio dal Consiglio dei Ministri e del quale è attesa la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Tali modifiche mirano a rendere lo strumento della CNC più “appetibile” per gli imprenditori che hanno mostrato diffidenza nei confronti dell’istituto.

3. I primi dati a un anno dall’introduzione dello strumento

Ad un anno dall’entrata in vigore dello strumento della Composizione negoziata della crisi, Unioncamere ha raccolto ed analizzato i primi dati relativi all’utilizzo della procedura: dai dati raccolti, pare che lo strumento sia stato scarsamente utilizzato.
Le istanze di composizione negoziata in circa un anno sono state meno di 600 e la loro ripartizione a livello geografico esclude totalmente il sud Italia, concentrandosi al centro-nord del Paese.
La ricerca indica alcune cause di questa partenza “a rilento”, fra le quali degne di nota sono: un timore generalizzato che la procedura sia in qualche modo considerata “anticamera del fallimento”; una sorta di diffidenza per questo strumento; in particolare, la difficoltà a predisporre la documentazione necessaria. Queste considerazioni derivano anche dalla osservazione del dato relativo alla dimensione delle aziende che hanno fatto ricorso allo strumento, che sono per oltre i due terzi delle società a responsabilità limitata, hanno per la gran parte dimensione di fatturato entro i 5 milioni annui e, per circa il 60%, meno di 9 addetti[3].
Ad oggi, sono pervenute sulla piattaforma telematica circa 585 proposte di composizione negoziata della crisi. La procedura si è conclusa in 188 casi (le altre sono ancora in corso) e solo in poco più del 5% dei casi (circa 10) si è potuto registrare un esito positivo di conclusione della procedura, mentre 178 procedure di composizione negoziata hanno dato esito negativo[4].
La maggior parte degli esiti negativi (circa il 50%) è causa di mancate prospettive di risanamento, nel 34% dei casi si è avuto un esito negativo delle trattative e in alcuni casi è stato lo stesso imprenditore a decidere di non voler proseguire nella procedura.
Sono rari i casi in cui la procedura sia sfociata in una domanda di concordato semplificato (solo 4 casi su 178), a tale proposito occorre ricordare che – ai sensi dell’art. 25 sexies del CCII – è obbligatorio transitare per una procedura di composizione negoziata della crisi conclusa con esito negativo prima di accedere all’istituto.
Per quanto concerne i 10 casi nei quali si è registrata una conclusione positiva della procedura, circa il 50% di questi sono stati conclusi con la stipulazione di un contratto di diritto privato con uno o più creditori con il quale si assicura continuità aziendale per un periodo minimo di 2 anni (art. 23, comma 1, lett. a) CCII).
In un caso si è pervenuti ad un accordo di moratoria fra debitore e creditori (art. 23, comma 1, lett. b) CCII) diretto a regolamentare provvisoriamente gli effetti della crisi.
Solo in due casi si è pervenuti ad un vero e proprio piano di risanamento senza attestazione (art. 23, comma 1, lett. c) CCII). È questo il migliore esito della procedura di composizione negoziata, cioè un accordo idoneo a consentire il risanamento della posizione debitoria dell’impresa e ad assicurarne il riequilibrio della situazione finanziaria[5]

4. Novità introdotte dal Decreto Legge 24 febbraio 2023, n. 13

Il decreto legge “PNRR 3”, approvato nel Consiglio dei Ministri del 16 febbraio 2023 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 febbraio 2023 (d.l. n. 13/2023), recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del piano nazionale degli investimenti complementari al PNRR (PNC), nonché per l’attuazione delle politiche di coesione e della politica agricola comune”, all’art. 38 introduce alcune modifiche al Codice della Crisi d’Impresa.
In particolare, l’art. 38 del decreto legge introduce nuove misure volte a favorire il successo della Composizione negoziata della crisi, tenuto conto che i dati riportati nel paragrafo precedente mettono in luce lo scarso successo avuto dallo strumento dalla sua entrata in vigore, insuccesso dovuto principalmente alla difficoltà riscontrata dall’imprenditore nel produrre la copiosa documentazione necessaria per la formulazione dell’istanza. Con le nuove modifiche, il Governo cerca di arginare le problematiche che rendono eccessivamente complesso l’applicazione dello strumento, il quale nell’ottica del legislatore – al contrario – doveva fungere da rapido rimedio per le imprese messe in crisi dalla pandemia di Covid-19.
L’art. 38 è costituito da quattro commi che introducono nuove agevolazioni per incentivare l’utilizzo della CNC.
La prima novità riguarda, come già accennato, le c.d. “misure premiali” di cui all’art. 25-bis del D. Lgs. 14/2019 con l’estensione del piano di rateazione in caso di comprovata e grave situazione di difficoltà dell’impresa.
Originariamente, infatti, il legislatore prevedeva che l’Agenzia delle Entrate concedesse, su istanza dell’imprenditore – sottoscritta anche dall’esperto – un piano di rateazione fino a un massimo di 72 rate mensili delle somme dovute e non versate a titolo di imposte sul reddito, ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta, IVA e IRAP non ancora iscritte a ruolo e relativi accessori.
Il nuovo decreto, estendendo il piano di rateazione, prevede che l’Agenzia delle Entrate conceda all’imprenditore fino a 120 rate in caso di comprovata e grave situazione di difficoltà dell’impresa rappresentata nell’istanza depositata ex art. 25-bis comma 4 e sottoscritta dall’esperto.
Il secondo comma dell’art. 38 del nuovo decreto legge prevede che – in caso di conclusione della procedura di composizione negoziata nei modi previsti dall’art. 23, comma 1, lettera a) e c) e comma 2, lettera b) del CCII – si applichi l’art. 26 comma 3-bis del DPR n. 633/1972 per quanto concerne la disciplina delle rettifiche degli imponibili, il quale prevede che l’imprenditore emetta la nota di variazione IVA per mancato pagamento con le stesse ipotesi previste per i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione, cioè obbligando il debitore ad annotare in aumento le note e a riversare il debito.
Il terzo comma dell’art. 38, allo scopo di accelerare l’accesso alla composizione negoziata, consente all’imprenditore – in fase di presentazione dell’istanza – il deposito, in luogo del certificato unico dei debiti tributari di cui all’art. 364 comma1 del D. Lgs. 14/2019, del certificato relativo alla situazione debitoria complessiva richiesta all’Agenzia delle Entrate-Riscossione e del certificato dei debiti contributivi e per premi assicurativi di cui all’art. 363 comma 1, di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex art. art. 46 del DPR 445/2000, con la quale attesta di avere richiesto, almeno 10 giorni prima dell’istanza di nomina dell’esperto, le suddette certificazioni. Tale disciplina troverebbe applicazione alle istanze presentate alla data di entrata in vigore del decreto e a quelle presentate fino al 31 dicembre 2023.
Questa modalità di accesso “semplificata” alla CNC rappresenta sicuramente la novità più importante, agevolando notevolmente l’accesso alla procedura, in quanto in tal modo l’assenza di certificati tributari e previdenziali richiesti dall’art. 17, comma 3, lettere e), f) e g) del CCII, non comporta ritardi o impossibilità di presentazione della domanda.
Il quarto comma dell’art. 38 prevede, infine, il rinvio di 18 mesi dell’obbligo per le cancellerie dei Tribunali di assegnare il nuovo domicilio digitale previsto dall’art. 199, comma 1, del CCII.
Come si evince dalla relazione illustrativa, con questo nuovo decreto legge, il CDM ha preso atto delle principali difficoltà segnalate dagli operatori nei primi mesi di applicazione dell’istituto, principalmente legate alla presentazione della documentazione necessaria per proporre l’istanza di CNC, ed ha introdotto nella procedura ulteriori vantaggi al fine di rendere lo strumento più “appetibile” per gli imprenditori in difficoltà, così favorendo l’effettivo recupero delle imprese in un ottica stragiudiziale.

  1. [1]

    C. CECCHELLA, La riforma del diritto della crisi dell’impresa al tempo dell’epidemia Covid, in Tratt. Codice della Crisi e dell’insolvenza dell’impresa, Nuova Editrice Universitaria 2021, p. 209

  2. [2]

    I. Pagni e M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in Diritto della crisi, www.ilcaso.it, 2 novembre 2021

  3. [3]

    L. Dorini, La composizione negoziata della crisi: primi dati ad un anno dall’introduzione, su econopoly.Ilsole24ore.com il 5 dicembre 2022

  4. [4]

    Dati emergenti da uno studio di Unioncamere aggiornato al 3 febbraio 2023.

  5. [5]

    L. De Angelis, Composizione negoziata della crisi: un flop, www.italiaoggi.it dell’8 febbraio 2023

 

Tiktok, la Commissione Europea vieta il social cinese ai propri dipendenti

Tiktok, la Commissione Europea vieta il social cinese ai propri dipendenti

Il controverso social TikTok torna a fare parlare di sé con una decisione della Commissione Europea, che ne ha vietato l’uso ai propri dipendenti per ragioni di sicurezza informatica.
Il board del corporate management ha deciso di bandire l’uso dell’applicazione cinese su tutti i device mobili aziendali ed anche sui dispositivi personali dei dipendenti censiti nel registro degli apparati mobili della Commissione.
La portavoce della Commissione ha sottolineato come questa misura sia in linea con le rigide politiche interne di sicurezza informatica riguardanti l’uso di dispositivi mobili (che tuttavia, a quanto pare, non impediscono l’utilizzo di dispositivi personali per ragioni di lavoro) e sia mirata a proteggere l’Istituzione europea da attacchi e minacce cyber.
I dipendenti della Commissione avranno quindi l’obbligo di disinstallare l’app entro e non oltre il 15 marzo prossimo, pena la sospensione dei servizi e-mail e Sype for Business per chi non dovesse ottemperare.
La decisione è stata presa dal Commissario dell’Unione Europea Johannes Hahn ed è stata giustificata dalla preoccupazione e dal focus che la Commissione da sempre pone sulla sicurezza informatica e sulla protezione dei dati personali dei propri dipendenti. Naturalmente il social cinese che fa concorrenza all’universo Meta-Facebook non è rimasto indifferente alla decisione europea, definendola “sbagliata” e “basata su pregiudizi”.
Ma non è la prima volta che TikTok si trova a fare i conti con problemi riguardanti la protezione e la gestione dei dati personali, nonostante la società cinese dichiari di essere profondamente impegnata nella sicurezza dei dati, anche attraverso la creazione di tre data center in Europa per conservare i dati degli utenti protetti dal Reg. UE 679/2016 (GDPR) all’interno dello Spazio Economico Europeo e ridurre in conseguenza il trasferimento di dati europei al di fuori del perimetro di sicurezza del Regolamento, verso Paesi considerati “pericolosi” (perché non sufficientemente concentrati sulla tematica della protezione dei dati.
Nel luglio del 2022, con un provvedimento in urgenza, il Garante per la Protezione dei Dati Personali aveva chiesto a TikTok di interrompere immediatamente l’invio di pubblicità mirata ai suoi utenti, rilevando che il social oggi più utilizzato da giovani e giovanissimi (125 milioni sono gli utenti in Europa che ogni settimana si connettono a TikTok) aveva modificato la propria privacy policy in modo da poter inviare ai propri utenti maggiorenni pubblicità personalizzate profilando gli utenti, senza individuare la corretta base giuridica (che sarebbe stato il consenso degli interessati e non, come invece dichiarato da TikTok, il legittimo interesse del Titolare).

Nella stessa nota, l’Autorità italiana aveva espresso preoccupazione per il fatto che TikTok non riuscisse ad identificare i propri utenti minorenni, diversamente da quanto il social aveva dichiarato all’indomani dell’indagine avviata sempre dal Garante a seguito della morte di una bimba di soli 10 anni, a Palermo; ed infatti, appena pochi mesi dopo, anche l’Autorità Garante britannica aveva dichiarato di aver emesso, nei confronti di TikTok Inc. e TikTok Information Technologies UK Limited, un avviso di intenti nel quale veniva paventata una sanzione da 27 milioni di per la violazione della normativa sulla protezione dei dati personali del Regno Unito, e specificamente in merito alla privacy dei bambini.
Le contestazioni (mosse più di una volta) a TikTok vertono principalmente su:
–        il mancato consenso degli esercenti la potestà genitoriale per gli utenti minori di tredici anni (il social ammette i minori dai 13 anni);
–        l’assenza di un’informativa adeguata (concisa, trasparente e facilmente comprensibile dagli utenti);
–        il trattamento di dati rientranti in categorie particolari (origine etnica e razziale, orientamento sessuale, dati genetici, biometrici e sanitari, opinioni politiche e religiose) avvenuto senza il dovuto preventivo ed espresso consenso.
Tuttavia, al di là dei tecnicismi, delle basi giuridiche corrette per fondare un legittimo trattamento di dati, alle multe, in alcuni casi davvero salatissime, comminate dalle Autorità garanti europee alle società che gestiscono, insieme ai loro social, miliardi di dati degli utenti registrati “gratuitamente”, c’è da chiedersi se abbia ancora un senso parlare di privacy come un valore, e dell’attività della Autorità Garante per la protezione dei dati personali, dei nostri dati, come un’attività svolta nel nostro interesse, quando sembra proprio che siano gli utenti, cioè gli interessati, a non considerare affatto la riservatezza come qualcosa da proteggere, anzi, tutto il contrario.
La lotta tra social network e privacy non sembra trovare una sintesi.
Dal 2010, anno in cui Zuckerberg dichiarò che la privacy non costituiva più una “norma sociale” proprio mentre Steve Jobs affermava l’esatto contrario, ritenendo che fosse necessario continuare a chiedere alle persone l’autorizzazione all’utilizzo dei loro dati, ancora e ancora, sono passati più di dieci anni. Nuovi social network sono nati, alcuni altri sono morti o sulla via del tramonto, ma la tendenza sembra sempre la stessa: il desiderio delle persone da un lato di condividere, dall’altro di fare sapere dove sono, che cosa fanno, con chi lo fanno, in un desiderio spasmodico di mostrare una vita meravigliosa che raramente coincide con la realtà.
I numeri parlano chiaro: quasi 5 miliardi di persone al mondo sono utenti attivi di almeno un social network, e, solo in Italia, l’88% dei bambini (perché di bambini si tratta) al di sotto dei 14 anni ha già un proprio profilo su almeno un social, nonostante l’età di legge per poter esprimere un valido consenso digitale siano proprio i fatidici 14 anni.
Pare quindi che le Autorità non debbano solo scontrarsi con le società che gestiscono i social network, ma soprattutto con gli stessi utilizzatori dei social network, che nonostante tutti gli avvertimenti continuano a non curarsi dell’utilizzo che viene fatto dei propri dati e a condividere la loro quotidianità, minuto per minuto.
Consapevolezza ed educazione digitale sembrano ancora ben lungi dall’essere competenze acquisite ed è forse questo il motivo per cui, oltre alle sanzioni, arrivano provvedimenti d’imperio come quello della Commissione Europea, che ha vietato l’utilizzo di TikTok ai propri dipendenti: una soluzione che forse risolve qualche magagna nell’immediato, ma che sul lungo periodo difficilmente si potrà rivelare come la soluzione migliore in questa “guerra” tra privacy da un lato e sviluppo ed avanzamento della tecnologia dall’altro.

 

Quota 103: al via la presentazione delle domande per la pensione

Quota 103: al via la presentazione delle domande per la pensione

L’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS) ha aggiornato l’applicativo per consentire la presentazione delle istanze da parte dei lavoratori con 62 anni di età e 41 anni di contributi nel 2023.
Lo ha reso noto nel messaggio n. 754/2023 nel quale viene spiegato che sul portale istituzionale è s è disponibile un altro prodotto per l’invio delle domande da parte degli interessati con la  pubblicazione della relativa circolare illustrativa.
 
I canali a disposizione per potere inviare le richieste sono il call center e il sito internet dell’Istituto di Previdenza Sociale stesso, accedendo attraverso Spid, carta di identità elettronica o carta nazionale dei servizi oppure rivolgendosi ai patronati.
Il via libera alla presentazione delle domande non è stato contemporaneo alla pubblicazione della circolare dell’Istituto, che recepisce le disposizioni normative e di solito contiene dei chiarimenti utili.
In relazione ai requisiti e alle regole principali, ci si deve rivolgere alle disposizioni della Legge di Bilancio 2023 (la 197/2023, articolo 1, commi 283-284).

1. I requisiti richiesti

Quota 103 è accessibile a coloro che, entro quest’anno, hanno compiuto 62 anni di età e sono in possesso di almeno 41 anni di contributi, iscritti all’assicurazione obbligatoria, alle forme esclusive e sostitutive della stessa o alla gestione separata gestite dall’Inps, purché non siano titolari di un trattamento pensionistico a carico di una delle stesse.
Il requisito contributivo si può raggiungere anche cumulando i periodi contributivi che non coincidono, versati nelle indicate gestioni previdenziali.
La pensione non ha un decorso immediato, è soggetta all’applicazione di un periodo variabile di dilazione, cosiddetta finestra.
Coloro che hanno maturato i requisiti nel 2022 riceveranno la pensione con decorrenza dal prossimo 1 aprile dall’1 agosto se sono dipendenti pubblici.
Coloro che maturano i requisiti quest’anno avranno una finestra di tre mesi se sono dipendenti privati e di sei mesi se sono dipendenti pubblici, e non prima di agosto.
Coloro che lavorano nel comparto della scuola e Afam devono presentare una domanda di cessazione dal servizio entro fine febbraio, in modo da potere accedere alla pensione all’inizio del prossimo anno scolastico oppure anno accademico.
 
Come sopra accennato, la domanda può essere inviata all’Istituto di Previdenza Sociale in diverse modalità.
 
Si può trasmettere online direttamente dal sito INPS, accedendo al servizio attraverso le consuete credenziali, vale a dire, SPID (almeno di Livello 2), CIE (Carta d’identità elettronica 3.0) o CNS (Carta Nazionale dei Servizi).
 
Il servizio è disponibile al seguente percorso:
 
“Pensione e previdenza – Domanda di pensione – Area tematica: Domanda Pensione, Ricostituzione, Ratei, ECOCERT, APE Sociale e Beneficio precoci”.
 
In alternativa, coloro che hanno dimestichezza con Internet, oppure, per altri motivi impossibilitati all’accesso on line, possono usufruire dei servizi offerti rivolgendosi ai patronati, oppure, utilizzando il contact center INPS, chiamando il numero verde 803164 (gratuito da rete fissa) oppure il numero 06164164 (da rete mobile a pagamento in base alla tariffa applicata dai diversi gestori).
 
Come specifica nel suo messaggio, l’INPS fornirà altre istruzioni in una circolare apposita che verrà prossimamente pubblicata. 

2. La differenza con le precedenti quota 100 e 102

A differenza delle precedenti quote 100 e 102, l’importo mensile lordo della pensione non può essere superiore a cinque volte il trattamento minimo.
Coloro che dovessero avere diritto a un assegno più consistente se lo vedranno decurtare sino al raggiungimento del requisito anagrafico richiesto per la pensione di vecchiaia che, almeno sino al 2026, dovrebbe restare fissato a 67 anni.
Sempre sino a questo traguardo, quota 103 non può essere cumulata con i redditi da lavoro autonomo e dipendente.
Esiste un’unica eccezione, rappresentata dal reddito da lavoro autonomo occasionale sino a cinquemila euro lordi all’anno.
In analogia con quello che prevedevano quota 100 e 102, in caso di superamento di questo limite la pensione quota 103 dovrebbe essere sospesa per l’anno nel quale si è sforato e le mensilità erogate in precedenza dovrebbero essere recuperate da parte dell’Inps.
Oltre alla circolare dell’Istituto di Previdenza Sociale, si aspetta il decreto ministeriale che deve attuare l’esonero contributivo alternativo all’accesso a quota 103.
A questo proposito, la Legge di Bilancio 2023, ai dipendenti che maturano i requisiti per la pensione  flessibile, ma continuano a lavorare, permette di fare una scelta e di non versare la loro quota di contributi previdenziali relativi a invalidità, vecchiaia e superstiti.
In simili ipotesi il relativo importo viene corrisposto al lavoratore che, da parte sua, ottiene una busta paga netta più elevata.

 

Cassa Forense: contributo integrativo minimo reinserito

Cassa Forense: contributo integrativo minimo reinserito

 

I Ministeri Vigilanti hanno deciso di ripristinare la riscossione del contributo integrativo minimo per l’anno 2023. La Cassa Forense, con comunicazione del 21 settembre, aveva deciso di prorogare anche per l’anno 2023 la temporanea abrogazione del contributo integrativo minimo a carico degli iscritti.      

1. La sospensione già in atto

L’art. 25, comma 7, del vigente Regolamento Unico della Previdenza prevedeva che il contributo minimo integrativo non fosse dovuto per gli anni dal 2018 al 2022, essendo però comunque dovuto il pagamento del contributo integrativo del 4% sul volume d’affari dichiarato.

2. Il motivo dell’intervento

Una commissione già da oltre due anni sta esaminando un’articolata riforma previdenziale. Il testo della riforma dovrebbe essere approvato in breve tempo, visto che già nell’ultima seduta è iniziata la votazione articolo per articolo. Uno scenario questo che renderebbe non in linea con il percorso riformatore avviato dalla Cassa il ripristino del contributo minimo integrativo di 710 euro – come era prima del 2018 – per il solo anno 2023, prima cioè dell’entrata in vigore della Riforma. La riforma in questione prevede interventi strutturali importanti, in particolare il passaggio ad un sistema contributivo “per anzianità”, un elemento destinato a incidere in modo consistente sugli equilibri finanziari di lungo periodo, senza penalizzare l’adeguatezza delle prestazioni previdenziali per le future generazioni di iscritti e disciplinando in maniera più adeguata ed equa la materia contributiva. Di qui la decisione di soprassedere sul ripristino del contributo minimo integrativo, mantenendone l’abrogazione temporanea. Resta invece, come da Regolamento, il contributo del 4% sull’effettivo volume d’affari.

3. Il diniego dei Ministeri Vigilanti

 
Il Presidente del COA Roma Paolo Nesta fa sapere che “i Ministeri Vigilanti hanno negato l’approvazione della delibera con cui Cassa Forense decideva l’esonero del pagamento del contributo integrativo minimo per i Colleghi percettori di un reddito inferiore ad € 17.800,00”. Il contributo che gli iscritti vengono chiamati a pagare ora è di 770 €.
La decisione ha suscitato vivaci proteste: l’Ordine Forense di Roma, infatti, ha deciso di inoltrare ai Ministeri della Giustizia, del Lavoro e dell’Economia e Finanze una formale protesta contro quello che viene ritenuto un diniego immotivato.

 

Negoziazione assistita: nuovi modelli di convenzione dal I° marzo

Negoziazione assistita: nuovi modelli di convenzione dal I° marzo

 
 

Sono disponibili sul portale web istituzionale del Consiglio Nazionale Forense tre nuovi modelli, approvati nella seduta amministrativa del 24 febbraio 2023, per la conclusione delle convenzioni di negoziazione assistita, così come previsto dal comma 7-bis, introdotto dalla riforma civile Cartabia, dell’art. 2 del decreto-legge n. 132 del 2014 per cui “Salvo diverso accordo, la convenzione di negoziazione assistita è conclusa mediante utilizzo del modello elaborato dal Consiglio nazionale forense in conformità alle disposizioni del presente capo“.

Indice

1. Le modifiche della riforma Cartabia alla negoziazione assistita tra avvocati

L’art. 9, comma 1, del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (cd. riforma civile Cartabia) ha modificato in vari punti l’articolo 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (recante “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”, convertito in legge, con modifiche, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162) disciplinante la “Convenzione di negoziazione assistita da avvocati”, con efficacia a decorrere dal 28 febbraio 2023 e applicazione ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, mentre ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.

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2. I nuovi contenuti della negoziazione assistita tra avvocati

Per l’effetto, dal 28 febbraio 2023, la convenzione di negoziazione deve precisare, oltre al termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti, anche l’oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili. Inoltre, la convenzione di negoziazione può inoltre precisare, nei limiti previsti dalle norme procedurali previste dalla medesima normativa:
·        la possibilità di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia;
·        la possibilità di acquisire dichiarazioni della controparte sulla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste;
·        la possibilità di svolgere la negoziazione con modalità telematiche;
·        la possibilità di svolgere gli incontri con collegamenti audiovisivi a distanza.

3. I modelli elaborati dal CNF

Superbonus, blocco sconto in fattura e cessione credito

Superbonus, blocco sconto in fattura e cessione credito

Superbonus, blocco dello sconto in fattura e della cessione del credito: le novità dopo il DL 16 febbraio 2023, n. 11
È stato pubblicato in Gazzetta il Decreto-Legge 16 febbraio 2023, n. 11 (recante “Misure urgenti in materia di cessione dei crediti di cui all’articolo 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77″ (GU Serie Generale n. 40 del 16-02-2023), decreto che ha introdotto misure urgenti in materia di cessione di crediti d’imposta relativi agli incentivi fiscali ed è entrato in vigore il 17 febbraio 2023.

1. Superbonus e conseguenze derivanti dal Decreto n. 11/2023

In particolare tale decreto ha messo fine ad ogni possibilità di sconto in fattura e cessione del superbonus e di tutti i crediti edilizi.
Il testo (che è costituito da tre articoli) interviene per modificare la disciplina riguardante la cessione dei crediti d’imposta relativi a spese per gli interventi in materia di recupero patrimonio edilizio, efficienza energetica e “superbonus 110%”, misure antisismiche, facciate, impianti fotovoltaici, colonnine di ricarica e barriere architettoniche: in altre parole l’oggetto dell’intervento non è il bonus, bensì la cessione del relativo credito, che ha potenzialità negative sull’incremento del debito pubblico.
In ogni caso si blocca anche ogni possibilità di acquisto dei crediti fiscali da parte degli Enti locali: infatti viene aggiunto all’art. 121 del D.L. n. 34/2020 (Decreto Rilancio) il seguente nuovo comma 1-quinquies: ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possono essere cessionari dei crediti di imposta derivanti dall’esercizio delle opzioni di cui al comma 1, lettere a) e b).

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2. Interventi superbonus e clausola di salvaguardia

La soppressione in questione è tuttavia mitigata da una clausola di salvaguardia che consente di continuare a optare per la cessione della detrazione o lo sconto sul corrispettivo.
Sono salvi infatti dal blocco le spese sostenute per gli interventi di superbonus per i quali in data antecedente a quella di entrata in vigore del detto decreto:

  • a.   risulti presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), ai sensi dell’articolo 119, comma 13-ter, del decreto-legge n. 34 del 2020 (il discorso riguarda le abitazioni unifamiliari);
  • b.   per gli interventi effettuati dai condomini risulti adottata la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori e risulti presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), ai sensi dell’articolo 119, comma

L’IMPERATORE SPAGNOLO CARLO V E LA SARDEGNA

L’IMPERATORE SPAGNOLO CARLO V E LA SARDEGNA
di Francesco Casula
Il famoso imperatore spagnolo Carlo V “sul cui impero non tramontava mai il sole” venne in Sardegna due volte, in occasione di due grandiose spedizioni militar-navali dirette a combattere il pericolo “barbaresco”. La prima nel 1535 ebbe come ultima base di partenza Cagliari, in cui Carlo V sbarcò trattenendosi alcune ore. Si radunarono due flotte, una proveniente da Barcellona e una dall’Italia: oltre alla flotta spagnola e portoghese infatti era presente la genovese di Andrea Doria cui si aggiunsero rinforzi inviati dal Papa. In tutto – ricorda Carta Raspi – “Quattrocento navi fra grandi e piccole, di cui novanta galere reali, con all’incirca trentamila uomini, per buona parte spagnoli, tedeschi e italiani”. Ed anche un contingente di sardi, guidati da alcuni grossi esponenti della nobiltà locale (fra cui Salvatore Aimerich). Il principale movente doveva essere la distruzione della flotta del famoso corsaro Khair, detto Barbarossa, il flagello delle popolazioni costiere. Con lui c’era Hazan-Haga, (o Assan Agà) che per la carica che rivestiva veniva chiamato Hazan-bey. Allevato dal Barbarossa e nominato suo luogotenente e più tardi comandante in capo e infine rappresentante del sultano, era nato in Sardegna, pastorello della Nurra, catturato con altri in una delle tante incursioni barbaresche. Verrà etichettato come Sardo renegado, diventerà terzo re di Algeri e sconfiggerà Carlo V nel 1541, in seguito alla seconda spedizione. Ma torniamo alla prima spedizione: dopo circa un mese di assedio, la flotta del Barbarossa, cadde quasi al completo nelle mani degli imperiali che poterono occupare Tunisi e liberare ben 20.000 schiavi cristiani, fra cui 1.119 schiavi sardi. Probabilmente in quel periodo la presenza dei Sardi schiavi si aggirava intorno alla 2.000-2.500 persone, circa l’1-1,5% dell’intera popolazione isolana! “Due iscrizioni cagliaritane – annota ancora Carta-Raspi – ricordano l’impresa e celebrano la vittoria dell’imperatore, quasi come propria, poiché la maggior parte degli abitanti di Cagliari e soprattutto i Consiglieri erano spagnoli; ma la Sardegna era stata allora, come lo fu durante tutto il dominio spagnolo, semplice spettatrice e non partecipe degli avvenimenti militari, anche perché si svolgevano in territori lontani, per interessi che non erano i suoi, che comunque non avrebbero mutato il suo stato di soggezione”. Sia come sia la sconfitta di Tunisi non fu totale né definitiva: la flotta imperiale, stremata, non era stata in grado di proseguire l’offensiva contro Algeri, dove il Barbarossa era riuscito a rifugiarsi e da dove lo stesso anno ripresero le incursioni piratesche in tutto il Mediterraneo occidentale con a capo i vari Khair en-Din (Barbarossa), il sardo Hazan-Haga, Occhialì. Assan Corso e altri. Ripresero anche contro la Sardegna: nel 1538 fu saccheggiata la Basilica di San Gavino in Torres (Porto Torres), nel 1540 fu distrutta Olmedo. Dopo sei anni, la seconda spedizione, questa volta contro Algeri, il più attivo nido dei Barbareschi. Giovedì 6 ottobre 1541 è quasi mezzanotte quando 43 galere prendono fondo a Porto Conte, la grande baia di fronte ad Alghero. E’ una delle due flotte che Carlo V ha messo insieme per attaccare Algeri. A bordo c’è anche l’imperatore. Che nella città catalana che definirà « bonita, por mi fe, y bien asentada». osservando la maestosa torre de l’Esperó Reial. Rimarrà solo un giorno perché Sabato mattina si imbarcò: l’altra flotta lo aspettava a Maiorca. Anche la spedizione contro Algeri fallirà miseramente: una violenta tempesta infatti distrusse quasi completamente la flotta,inghiottendo molti vascelli e circa 8.000 uomini. Le incursioni barbaresche in Sardegna continueranno Intorno a Carlo V e ai suoi due brevissimi soggiorni nell’Isola,sono fiorite leggende e aneddoti: gli si attribuisce l’espressione “Todos caballeros”, una ricompensa alla fedeltà degli algheresi, discendenti di una colonia catalana, e pronunciata dal Palazzo d’Albis sulla gremita Piazza Civica. mentre in realtà pare che il “cavalierato” venne concesso solo a tre illustri cittadini algheresi, per essersi uniti alla spedizione verso Algeri. Pare inoltre che i Consiglieri di Alghero, come atto d’omaggio murarono la finestra dalla quale l’imperatore si era degnato di mostrarsi alla popolazione acclamante, affinché nessun mortale potesse più affacciarvisi. Storici come Brigaglia, Mastino e Ortu scrivono invece che, semplicemente Carlo V “se ne stava alla finestra sbocconcellando dei biscotti bianchi e bevendo acqua di cannella, perché soffriva di stomaco. Intanto giù nella piazza i suoi soldati avevano dato vita a una specie di corrida, inseguendo e ammazzando sul posto le vacche e i montoni che gli algheresi avevano preparato per approvvigionare la flotta”. Senza alcun fondamento storico è anche il giudizio, “Locos, pocos y male unidos” poco benevolo nei confronti dei Sardi che la tradizione gli attribuisce, ma che mai è stato verificato da nessun documento o altra fonte storica. Ma noi sardi continuiamo a ripetere questo becero e trito luogo comune.
 
 
 
 
 
Visualizzato da Francesco Casula alle 10:12
 
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