Archivi giornalieri: 8 marzo 2023

LETTERA APERTA AGLI INDIPENDENTISTI

Francesco Casula
LETTERA APERTA AGLI INDIPENDENTISTI
 
di Francesco Casula
 
Vedo gli indipendentisti divisi. Litigiosi. Abbacchiati. Spaesati Rannicchiati. Chiusi in se stessi. Tutt’al più tesi a gestire e coltivare e custodire il proprio orticello. Sa tanchitta. Che risulta viepiù modesta: e dà pochi frutti. Sempre meno Vedo gli indipendentisti, soprattutto, pessimisti. Quasi disperati. Come se la storia fosse già finita. E loro – e noi – vinti e sconfitti. Per sempre. Definitivamente. Vedo molti giovani indipendentisti già vecchi. Invecchiati prima del tempo. Bacucchi. Anche loro rassegnati. Che invece di cambiare il mondo, rivoluzionandolo, cambiano se stessi, adeguandosi. Alle mode del momento. Ai valori dominanti. Alla cultura mass-mediologica. Anche loro diventati “realisti”, “pragmatici”. A la page. Che cercano scorciatoie e, magari, nuove prospettive e “sistemazioni”. Vedo intellettuali indipendentisti pieni di rancore. Boriosi e settari. Che si impancano a giudici. E a tutti danno giudizi implacabili, definitivi e definitori. Ma soprattutto negativi verso tutto il mondo indipendentista. Giudizi sprezzanti. Assolutamente ingenerosi. Sia ben chiaro: la critica anche radicale è necessaria. Altrettanto l’autocritica. Che deve essere impietosa. Anche dura. Da parte di tutti i gruppi. Ma anche da parte dei singoli militanti. Troppi errori hanno fatto. Abbiamo fatto: troppo ideologismo. Troppa propaganda vuota. Troppo settarismo. Inutili (e dannosi) leaderismi. Sottovalutazione della questione linguistica e culturale. Scetticismo se non opposizione al sardo come lingua nazionale unitaria, favorendo lo sminuzzamento della lingua stessa, ridotta in tal modo a “dialetti” cioè folclore paesano. Sottovalutazione della questione sindacale e della questione istituzionale (Riforma dello Statuto sardo) con posizioni inutilmente estremiste e primitive. Ma soprattutto: troppe divisioni. Divisioni nefaste e ingiustificate. E ingiustificabili. Inutili rotture e ancor più inutili “separazioni”. Il mio non è un ingenuo invito all’embrassons nous. A una rappacificazione e unità, formale. Senza chiarezza. Senza obiettivi. Senza strategia né visione. Tuttì’altro. Il mio è un invito a ri-partire: nella chiarezza. A ri-prendere il cammino iniziato dai nostri Padri: seguendo la rotta indipendentista indicataci da Antonio Simon Mossa e Angelo Caria; la rotta comunitarista di Eliseo Spiga; la rotta culturale e linguistica di Cicitu Masala e Giovanni Lilliu; la rotta antropologica di Placido Cherchi. L’importante è riprendere e ripartire con la militanza attiva per una capillare, ubiquitaria e diffusa controinformazione culturale e politica: senza limitarsi ad agitare al vento facili slogan o discorsi che non riescono a far muovere i mulini per macinare grano. L’importante è fare le cose non limitarsi a denunciarle, sperimentare e non solo predicare, praticare l’obiettivo, praticare scampoli di indipendenza (anche nel campo economico e sociale, oltre che in quello culturale e linguistico) e non aspettare l’ora x in cui questa si raggiungerebbe. L’importante è incrociare la gente, i lavoratori, i giovani, i loro sguardi: leggendo cuori, ascoltando storie, percorrendo strade, sostando nelle Piazze, stringendo mani a persone non ad interessi. L’importante è costruire trame che organizzino e compattino i soggetti sui bisogni, gli interessi, la crescita culturale e civica, favorendo l’autorganizzazione dei cittadini e il protagonismo sociale, i contropoteri popolari e comunitari. L’importante è rivolgersi ai Sardi, a tutti i Sardi: uscendo dal minoritarismo gruppettaro. L’importante è partire dalla consapevolezza che, attraverso la rottura delle catene della dipendenza. abbiamo tutto da guadagnare e niente da perdere, come popolo intendo e non come singoli. E il popolo sardo deve essere il nostro referente: e la nostra bussola. Con lui dobbiamo costruire l’Autodeterminazione nazionale: con un progetto e un processo.
 
 
 

Anche con il governo Meloni si fa un uso massiccio dei decreti legge Governo e parlamento

Anche con il governo Meloni si fa un uso massiccio dei decreti legge Governo e parlamento

L’attuale esecutivo è primo, tra quelli degli ultimi anni, per numero medio di decreti legge pubblicati al mese. Ciò nonostante la stessa leader di Fratelli d’Italia avesse criticato ampiamente questa pratica quando sedeva all’opposizione.

 

Il 24 febbraio scorso è entrato in vigore il decreto legge 13/2023, ribattezzato giornalisticamente “decreto Pnrr ter”. Con questo provvedimento il governo Meloni ha voluto ridisegnare in maniera significativa la struttura della governance del piano nazionale di ripresa e resilienza nelle amministrazioni centrali dello stato. Inoltre sono state introdotte ulteriori semplificazioni volte anche in questo caso a velocizzare le procedure riguardanti il piano.

Pochi giorni dopo invece è stato pubblicato anche il Dl 16 del 2023 che prevede nuove disposizioni urgenti per la protezione temporanea di persone provenienti dall’Ucraina. Con questi ultimi 2 atti salgono a 18 i decreti legge che l’attuale esecutivo ha già pubblicato in appena 4 mesi. Un valore molto rilevante che pone momentaneamente il governo Meloni al primo posto fra gli esecutivi degli ultimi 10 anni per numero di decreti legge pubblicati mediamente ogni mese.

4,5 i decreti legge pubblicati in media al mese dal governo Meloni.

Il conflitto ucraino – così come altri fronti di crisi – ha certamente influito in maniera significativa anche sulle iniziative portate avanti dal governo italiano. Tuttavia è indubbio che questi dati evidenziano la contraddittorietà delle affermazioni fatte in passato dall’attuale presidente del consiglio Giorgia Meloni. Quando sedeva tra i banchi dell’opposizione infatti la leader di Fratelli d’Italia era stata molto critica su questo punto.

Il Decreto Rilancio è un decreto legge d’urgenza del Governo. Cosa c’è di così urgente da scavalcare il Parlamento nel bonus monopattini, nella lievitazione delle poltrone delle società pubbliche e nella sanatoria dei clandestini? Abbiamo ancora una Costituzione in Italia?

I numeri del governo Meloni

Considerati complessivamente gli esecutivi delle ultime 4 legislature, quello che ha emanato il maggior numero di decreti legge in termini assoluti è stato il governo Berlusconi (80). Seguono poi i governi Draghi (64) e Renzi (56). Con 18 decreti Meloni è quindi ancora molto distante da queste cifre.

Tuttavia l’attuale esecutivo è in carica da appena 4 mesi. Vista la durata variabile dei governi italiani in effetti, per avere un dato affidabile conviene valutare la media dei decreti legge pubblicati al mese.

Messa in questi termini, il governo Meloni passa al primo posto con una media di 4,5 Dl pubblicati ogni 30 giorni. Seguono i governi Draghi (3,2) e Conte II (3,18). Da notare però che questi ultimi hanno dovuto far fronte alla pandemia da Covid-19.

L’eccessiva proliferazione dei decreti legge peraltro tende a saturare le agende del parlamento che quindi ha poco tempo per dedicarsi ad altro. Come noto infatti i Dl devono essere convertiti in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione in gazzetta ufficiale. Se ciò non avviene le misure in essi contenute decadono.

Quando vengono pubblicati contemporaneamente troppi decreti legge il parlamento non ha tempo per dedicarsi ad altro. Vai a “Che cosa sono i decreti legge”

Questa dinamica trova conferma anche nell’attuale legislatura. Le leggi approvate alla data del 2 marzo infatti sono 13 in totale. L’84,6% di queste (11 su 13) è costituito da conversioni di decreti legge. Fanno eccezione solamente la legge di bilancio per il 2023 e la legge che istituisce una commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere. Quest’ultima peraltro è l’unica norma di iniziativa non governativa approvata. 

Anche con Meloni si guida il paese a colpi di decreto

Il governo attualmente in carica ha quindi sostanzialmente monopolizzato la produzione legislativa, riempiendo inoltre le commissioni e le aule del parlamento di decreti legge da convertire. E lo ha fatto in maniera molto più significativa rispetto ai suoi predecessori.

In proporzione, il governo Meloni ha fatto maggiore ricorso ai decreti legge rispetto ai suoi predecessori.

Se si confrontano le leggi di iniziativa governativa approvate dai parlamenti delle ultime 4 legislature, possiamo osservare come la percentuale di conversioni presentate dal governo Meloni e già approvate sia particolarmente elevata. Anche in questo caso infatti l’attuale esecutivo si trova al primo posto come incidenza delle leggi di conversione rispetto al totale delle norme di iniziativa governativa già approvate. Al secondo posto troviamo il governo Draghi (80%). Seguono i governi Conte II e Monti (74,5%).

GRAFICO
DA SAPERE

Il grafico mostra le leggi approvate in base all’iniziativa di ogni singolo governo, indipendentemente dalla data di approvazione definitiva. In alcuni casi infatti l’iter parlamentare di una legge può proseguire anche successivamente alla caduta del governo che aveva presentato la proposta. Questa scelta è stata fatta perché lo scopo dell’analisi è valutare quanto ha inciso il ricorso al decreto legge nell’attività legislativa di ciascun governo.

Nel grafico non sono conteggiate le ratifiche di trattati internazionali. Questo perché sono atti solitamente dalla scarsa rilevanza politica e che sono adottati con maggioranze bipartisan. Inoltre spesso ne vengono approvate molte in blocco. Dato che la XIX legislatura è appena iniziata, ancora nessuna ratifica è stata approvata. Tenerne conto avrebbe quinti comportato una sovrastima nel ricorso alle leggi ordinarie da parte dei governi precedenti.

FONTE: elaborazione e dati openpolis
(ultimo aggiornamento: martedì 7 Marzo 2023)

 

Come risulta evidente dal grafico, anche per gli esecutivi precedenti la quota di leggi di conversione approvate dal parlamento era maggioritaria rispetto alle altre tipologie di Ddl governativi. Tuttavia c’era stato spazio per la presentazione, anche per l’esecutivo, di norme ordinarie. Cosa che con il governo attualmente in carica non è ancora avvenuta. Da questo punto di vista al primo posto troviamo il governo Berlusconi IV con circa il 30% di leggi ordinarie approvate rispetto al totale delle norme di iniziativa governativa presentate. Seguono i governi Renzi (25%) e Conte I (23,5%).

Gli altri atti e la distanza tra comunicazione e realtà

Per completezza di informazione occorre precisare che il governo in carica non ha presentato al parlamento solamente decreti legge da convertire.

Come già ricordato infatti l’esecutivo ha già presentato alle camere anche la sua prima legge di bilancio. Inoltre, dall’insediamento a palazzo Chigi, il governo ha prodotto nuove norme anche attraverso 4 decreti legislativi. Si tratta dei decreti: 

  • 200 del 2022 sulla riorganizzazione degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs);
  • 201 del 2022 sul riordino della disciplina dei servizi pubblici locali;
  • 203 del 2022 sulla revisione delle norme in tema di protezione contro l’esposizione alle radiazioni ionizzanti;
  • 206 del 2022 sull’adeguamento delle procedure di contrattazione per il personale delle forze armate.

Va sottolineato però che il decreto legislativo è solo il secondo passaggio di un procedimento che inizia con l’approvazione di una legge delega da parte del parlamento. In questo caso quindi sono le camere a definire la cornice dell’intervento che non potrà discostarsi di molto da quanto previsto.

Inoltre, come già anticipato, l’attuale parlamento non ha ancora approvato nessuna legge di questo tipo. Di conseguenza, logicamente, questi decreti rappresentano un lascito delle legislature precedenti che avevano maggioranze anche molto diverse da quella attuale. Nel caso in esame quindi questi atti, anche per i settori che vanno a normare, non sono particolarmente rilevanti per valutare l’operato dell’attuale governo.

Oltre ai decreti legislativi occorre ricordare che, tra camera e senato, risultano attualmente in discussione anche 17 disegni di legge ordinari presentati dal governo, di cui 11 ratifiche di trattati internazionali e una legge delega. Nessuna di queste proposte tuttavia ha ancora concluso l’iter parlamentare.

Quando sedevano all’opposizione, gli esponenti di Fdi erano stati molto critici verso l’abuso dei decreti legge.

Nonostante la legge di bilancio rappresenti certamente un passaggio importante per qualunque governo, in sintesi possiamo quindi dire che finora l’attuale esecutivo ha guidato il paese a colpi di decreto legge. Una prassi adottata spesso dai governi degli ultimi anni, di tutti i colori politici. Abbiamo rilevato in precedenti approfondimenti come certamente in questi primi mesi della XIX legislatura le crisi da affrontare non siano mancate. Dalle conseguenze, economiche e umanitarie, della guerra in Ucraina all’alluvione nelle Marche e alla frana sull’isola di Ischia.

Tuttavia in questo caso è interessante rilevare come Fratelli d’Italia, unico partito che negli ultimi anni era sempre stato all’opposizione e che era stato molto critico nei confronti di questa prassi, si sia immediatamente allineato ai suoi predecessori non appena arrivato al governo.

Quello del partito di Meloni non è certamente un caso isolato. Si tratta semmai dell’ennesima dimostrazione di come spesso ci sia un’importante distanza tra la comunicazione politica quando si siede all’opposizione e le misure da mettere in atto quando invece si occupano posizioni di responsabilità.

Foto: Facebook – Giorgia Meloni

 

8 Marzo

.Manifestazioni in 38 piazze, le donne per un altro futuro

8 MARZO. Oggi cortei nelle principali città, attese limitazioni dei trasporti, la sfida alle politiche del governo. Lavoro, ambiente, scuola al centro delle mobilitazioni per un’opposizione dal basso
Manifestazioni in 38 piazze, le donne per un altro futuro
Una manifestazione organizzata da Non Una di Meno nel 2022 a Torino – foto LaPresse
 
 
 
 
 

Nuovo!

«Scioperiamo dal lavoro dentro e fuori casa, dai ruoli di genere e da tutti i ruoli che ci vengono imposti». In queste poche righe si può riassumere la grande mobilitazione di oggi indetta da Non una di meno, rete catalizzatrice di femminismi nel mondo e radicata anche in Italia, nei cui appuntamenti confluiranno le ragioni e le lotte di tante altre realtà disseminate sul territorio. La giornata si svolgerà anche quest’anno su due fronti: da un lato lo «sciopero globale transfemminista», dall’altro le manifestazioni.

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Otto marzo, «La lotta non è finita» nonostante le ferite

IL SENSO dello sciopero risulta prezioso se rapportato alla retorica di cui l’8 marzo è tradizionalmente ammantato: una giornata «speciale» in cui omaggiare la donna con un fiore o un ingresso gratis in discoteca. Se speciali siamo, si capirà forse meglio interrompendo l’attività lavorativa e dimostrando che non siamo le creature devote e floreali immaginate a lungo dalla metà maschile della società. Non una di meno mette a disposizione sui suoi canali un vademecum per aderire allo sciopero anche in forme parziali e creative laddove non sia possibile assentarsi dal luogo di lavoro, e ricordando che l’interruzione può riguardare anche il lavoro relazionale e di cura così come i consumi. Anche per questo lo sciopero non ricalcherà sempre le modalità abituali e i sindacati confederali non hanno aderito, al contrario di Cub, Cobas, Sgb, Usb e Us. Ci si aspetta comunque una forte limitazione del trasporto ferroviario e del trasporto pubblico locale nelle maggiori città, Roma e Milano in particolare.

L’importante sarà dare un segnale, e a questo serviranno le manifestazioni annunciate. L’elenco delle città interessate è lungo, da Alba a Viterbo le piazze saranno 38, con un’evidente concentrazione maggiore al centro-nord. Quella più partecipata dovrebbe essere Roma, l’appuntamento è alle 17 a Piazzale Ostiense, il corteo attraverserà il quartiere Testaccio per terminare a Largo Bernardino da Feltre. A Milano il corteo si sdoppierà in due, il primo, la mattina, organizzato da studentesse e studenti partirà alle 9.30 da Largo Cairoli, il secondo alle 18.30 da Piazza Duca D’Aosta. A Napoli ci si incontrerà a Piazza del Gesù alle 16, a Firenze a Piazza della Santissima Annunziata alle 15.

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8 marzo, la protesta si fa diffusa

SE RICORDARE il ruolo ancora misconosciuto delle donne, e urlare contro la violenza patriarcale che ancora infesta la società in forme più o meno plateali, è fondamentale a prescindere dal contesto politico, non si può certo negare la valenza che queste mobilitazioni assumono oggi, dove alla prima premier donna – e il fatto che sia la prima è un’evidenza che non deve farci smettere di riflettere – corrisponde una politica intollerante, razzista, escludente la cui cultura si basa anche su un immaginario femminile tutto modellato sulle necessità della famiglia, a cui oggi si tenta di apportare un vago maquillage. I comunicati di Non una di meno appaiono lucidi e consapevoli di quelli che sono i bersagli su cui costruire un’opposizione ricca di senso. Nell’appello romano troviamo «le dichiarazioni della ministra della salute Roccella e della premier Meloni per garantire il diritto di non abortire in un paese con la media del 70% di medici obiettori». O ancora, la solidarietà alla dirigente scolastica attaccata dal ministro Valditara, «per reclamare una scuola pubblica, aperta e antifascista». Anche il lavoro rimane all’ordine del giorno rivendicando «il reddito di autodeterminazione, individuale e universale, contro l’abolizione del reddito di cittadinanza». E poi, guardando fuori dall’Italia, le donne che rischiano la propria vita in Iran per la libertà di vivere finalmente allo scoperto le proprie passioni e talenti, ma anche «le donne curde, afgane, ucraine, russe e a tutte le donne in lotta nel mondo».

LA SFIDA principale appare in ultima analisi proprio quella di rompere gli steccati e farsi carico di una spinta immaginativa e politica che, partendo dalle donne, può abbracciare l’intera società per iniziare a costruire un futuro diverso da quello prospettato dal turbocapitalismo, colpevole dell’ecocidio e riflesso di una logica maschile e patriarcale dello sfruttamento non più accettabile. Non a caso tra le prime rivendicazioni della mobilitazione c’è l’ecologia politica, «contro la violenza che devasta i territori, i nostri corpi e i corpi animali». Si consolidano le alleanze, e i movimenti sembrano essere pronti.

7 marzo 2023 – “ISOLA DI ISCHIA – INTERVENTI URGENTI IN FAVORE DELLE POPOLAZIONI COLPITE – CONVERSIONE IN LEGGE”

7 marzo 2023 – “ISOLA DI ISCHIA – INTERVENTI URGENTI IN FAVORE DELLE POPOLAZIONI COLPITE – CONVERSIONE IN LEGGE”

Sono disponibili gli aggiornamenti apportati dal Decreto-Legge 3 dicembre 2022, n. 186 – “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi eccezionali verificatisi nel territorio dell’isola di Ischia a partire dal 26 novembre 2022”, convertito, con modificazioni, dalla Legge 27 gennaio 2023, n. 9 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 26 del 1 febbraio 2023).

Indennità di malattia per i lavoratori del trasporto pubblico locale. Anno di competenza 2022

 Priorita / Indennità di malattia per i lavoratori del trasporto pubblico locale. Anno di competenza 2022

Indennità di malattia per i lavoratori del trasporto pubblico locale. Anno di competenza 2022

22 febbraio 2023

La Direzione Generale per le politiche previdenziali ed assicurative comunica che entro il 31 marzo 2023, a pena di decadenza, dovrà essere trasmessa la documentazione per beneficiare del rimborso dell’indennità di malattia per le aziende del trasporto pubblico locale, anno di competenza 2022.

I modelli allegati al presente avviso (Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, Dichiarazione sostitutiva del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato, Tabella oneri) potranno essere trasmessi, a firma del rappresentante legale, mediante PEC al seguente indirizzo: dgprevidenza.div3@pec.lavoro.gov.it.
Di seguito, la modulistica:

La ricerca in Europa, una questione di genere Disparità di genere

La ricerca in Europa, una questione di genere Disparità di genere

Il numero di ricercatori universitari è in aumento nella maggior parte dei paesi Ue. Le donne incontrano ancora maggiori barriere in questo tipo di carriera, in primo luogo da un punto di vista contrattuale.

 

Secondo la definizione offerta da Eurostat, un ricercatore è un professionista impegnato nella concezione o nella creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi, nonché nella gestione dei progetti in questione. Si tratta dell’esito di un percorso che inizia con il dottorato di ricerca, di cui abbiamo parlato in un recente approfondimento.

Analizziamo i dati relativi al numero di ricercatori nei paesi dell’Unione europea, alla loro incidenza sulla popolazione totale, e alla loro variazione nel tempo. Soffermandoci in particolare sulle disuguaglianze, a oggi ancora persistenti, tra ricercatori e ricercatrici. Queste ultime sono più esposte a difficoltà e barriere durante il loro percorso e le loro condizioni lavorative continuano a essere in media inferiori rispetto a quelle dei colleghi di sesso maschile.

I ricercatori in Europa

Nel corso dell’ultimo decennio il numero di ricercatori nell’Unione europea ha visto un sostanziale aumento: +24% tra 2012 e 2021. In Lussemburgo e a Malta in particolare la cifra è più che raddoppiata. Mentre sono 5 gli stati che hanno riportato un calo, seppur modesto: Romania, Slovacchia, Irlanda, Estonia e Bulgaria. Stando all’ultimo aggiornamento disponibile, i ricercatori universitari in Europa sono più di 630mila.

638.232 i ricercatori universitari in Ue nel 2021.

A ospitarne il numero più elevato in termini assoluti è la Germania (120mila, circa il 19% del totale). Seguono Francia (14%) e Spagna (11%). L’Italia, l’altro grande paese dell’Ue per numero di abitanti, si posiziona al quarto posto (dopo la Polonia), con quasi 59mila ricercatori.

La situazione cambia però significativamente se analizziamo i dati in rapporto al numero di abitanti. In tal caso, non sono i paesi più popolosi a registrare i dati più elevati.

La Danimarca detiene in questo senso il record europeo, con oltre 300 ricercatori universitari ogni 100mila abitanti. Segue il Portogallo con 280. Agli ultimi posti si posizionano invece Romania (32) e Bulgaria (48). L’Italia, con 99 ricercatori ogni 100mila abitanti, è al quartultimo posto in Europa e ben al di sotto della media, pari a circa 143.

L’accesso delle donne alla ricerca universitaria

La ricerca è uno degli ambiti di maggiore interesse per quanto riguarda la parità di genere. Infatti si tratta di posizioni lavorative di elevato prestigio, dove tradizionalmente la presenza maschile è dominante.

Come afferma l’istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige), che ha realizzato un apposito reportla ricerca in Europa è ancora caratterizzata da una marcata sotto-rappresentazione delle donne. Secondo i dati raccolti dall’istituto, le donne nel 2018 costituivano appena un terzo dei ricercatori presenti nell’Unione europea.

Gli ostacoli all’inclusione delle donne nell’ambito della ricerca universitaria sono vari. Tra questi, le discriminazioni rispetto all’accesso ai fondi, siano esse consapevoli o frutto di un bias cognitivo. Ma anche la cultura e l’ambiente, spesso percepito come tossico, maschilista o respingente, stando a numerose testimonianze.

Le donne incontrano ancora barriere nella propria carriera.

In parte, la presenza maschile e femminile incide diversamente nei diversi settori della ricerca. Le donne sono nettamente in minoranza negli ambiti tecnici come le ICTs o l’ingegneria. Mentre sono la maggioranza nelle scienze biologiche o negli studi ambientali o umanistici. Oltre a questo, le donne affrontano difficoltà molto maggiori nel loro percorso di avanzamento di carriera e la loro presenza rispetto a quella maschile diminuisce fortemente all’aumentare del livello e del prestigio della posizione, come mostrano i dati di She figures.

Ma la disparità di genere si manifesta anche, con particolare forza, a livello di contratto. Le ricercatrici donne sono infatti molto più spesso precarie rispetto ai loro colleghi uomini. I dati più recenti su tale divario, forniti da Eige, sono relativi al 2019.

18 su 27 gli stati Ue in cui le ricercatrici universitarie sono più spesso precarie rispetto ai loro colleghi uomini (2019).

Il divario più marcato si registra in Danimarca (quasi 10 punti percentuali di differenza) e risulta elevato anche in Ungheria, Grecia, Malta e Austria (tutte sopra i 6 punti percentuali). Mentre in 9 paesi dell’Unione lo scarto è a vantaggio delle donne: in questo caso, il dato più elevato è quello riportato dalla Lettonia (6 punti).

Foto: Università campus bio-medico di Roma – licenza

 

Festa della donna, 8 marzo: storia e significato

Festa della donna, 8 marzo: storia e significato

Cosa ricorda l’8 marzo e perché è stato scelto come data per la Festa della donna, o Giornata internazionale della donna. Storia e significato dell’evento

FESTA DELLA DONNA, 8 MARZO: STORIA

L’8 marzo si festeggia ovunque la festa della donna. Parlare di festa però non è del tutto corretto: questa giornata è infatti dedicata al ricordo e alla riflessione sulle conquiste politiche, sociali, economiche del genere femminile, dunque è più corretto parlare di Giornata internazionale della donna. Ma come nasce questa giornata, e cosa rappresenta?

La storia della festa delle donne risale ai primi del Novecento. Per molti anni l’origine dell’8 marzo si è fatta risalite a una tragedia accaduta nel 1908, che avrebbe avuto come protagoniste le operaie dell’industria tessile Cotton di New York, rimaste uccise da un incendio. L’incendio del 1908 è stato però confuso con un altro incendio nella stessa città, avvenuto nel 1911 e dove si registrarono 146 vittime, fra cui molte donne. I fatti che hanno realmente portato all’istituzione della festa della donna sono in realtà più legati alla rivendicazione dei diritti delle donne, tra i quali il diritto di voto.
Vediamo insieme qual è la storia della festa delle donne e il suo significato.

 

IL SIGNIFICATO DELLA FESTA DELLE DONNE

Festa delle donne: storia
Festa delle donne: storia — Fonte: istock

Sono molti gli avvenimenti che, dall’inizio del Novecento, hanno portato alla lotta per la rivendicazione dei diritti delle donne e all’istituzione della Giornata internazionale delle donne.
Il primo evento importante fu il VII Congresso della II Internazionale socialista svoltosi a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907. Durante questo congresso si discusse della questione femminile e del voto alle donne.

I partiti socialisti si impegnarono a lottare per riuscire ad introdurre il suffragio universale. Pochi giorni dopo, il 26 e 27 agosto 1907, si svolse invece la Conferenza internazionale delle donne socialiste, durante la quale fu istituito l’Ufficio di informazione delle donne socialiste e Clara Zetkin ne fu eletta segretaria.

Festa della donna: le risorse per i tuoi compiti

STORIA DELLA FESTA DELLE DONNE

Tuttavia i socialisti erano contrari all’alleanza con le femministe borghesi, ma tra le donne non tutte erano della stessa idea.

Nel febbraio 1908 la socialista Corinne Brown dichiarò sulla rivista The Socialist Woman che il Congresso non aveva “alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione“. Il 3 maggio 1908 la Brown presiedette la conferenza del Partito socialista a Chicago, che venne ribattezzata “Woman’s Day“, durante la quale si parlò dello sfruttamento dei datori di lavoro nei confronti delle operaie, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto.
Alla fine del 1908 il Partito socialista americano decise di dedicare l’ultima domenica del febbraio del 1909 all’organizzazione di una manifestazione per il voto alle donne. La prima “giornata della donna” negli Stati uniti si svolse quindi il 23 febbraio 1909.

FESTA DELLA DONNA

Un paio di anni dopo, durante la seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste che si svolse a Copenaghen il 26 e 27 agosto 1910, si decise di seguire l’iniziativa americana istituendo una giornata internazionale dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.
In realtà per alcuni anni negli Stati Uniti e in vari Paesi europei la giornata delle donne si è svolta in giorni diversi.

IL PODCAST CHE TI SPIEGA LA FESTA DELL’8 MARZO

La storia della festa delle donne raccontata in un video di 5 minuti.

FESTA DELLA DONNA: IL PRIMO 8 MARZO

Negli anni successivi, fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, sono state poi organizzate molte altre giornate dedicate ai diritti delle donne.
A San Pietroburgo, l‘8 marzo 1917, le donne manifestarono per chiedere la fine della guerra. In seguito, per ricordare questo evento, durante la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste che si svolse a Mosca nel 1921 fu stabilito che l’8 marzo fosse la Giornata internazionale dell’operaia.
In Italia la prima giornata della donna si è svolta nel 1922, ma il 12 marzo e non l’8.

Nei decenni successivi il movimento per la rivendicazione dei diritti delle donne ha continuato ad ingrandirsi in tutto il mondo.
Nel settembre 1944 a Roma è stato istituito l’UDI, Unione Donne Italiane, e si è deciso di celebrare il successivo 8 marzo la giornata della donna nelle zone liberate dell’Italia.
Dal 1946 è stata introdotta la mimosa come simbolo di questa giornata. Questo fiore fu scelto perchè di stagione e poco costoso.Tuttavia in Italia si deve arrivare agli anni Settanta per vedere la nascita di un vero e proprio movimento femminista. L’8 marzo 1972 in Piazza Campo de Fiori a Roma si è svolta la manifestazione della festa della donna, durante la quale le donne hanno chiesto, tra le varie cose, anche la legalizzazione dell’aborto.

Il 1975 è stato definito dalle Nazioni Unite come l’Anno Internazionale delle Donne e l’8 marzo di quell’anno i movimenti femministi di tutto il mondo hanno manifestato per ricordare l’importanza dell’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne.

Insomma, riassumendo possiamo dire che la Festa della donna ha origine dai movimenti femminili politici di rivendicazione dei diritti delle donne di inizio Novecento. Per alcuni anni la giornata delle donne è stata celebrata in giorni diversi nei vari Paesi del mondo, mentre l’8 marzo divenne la data più diffusa in seguito alla Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste del 1921 e alla decisione, presa in quella sede, di istituire la Giornata internazionale dell’operaia.

Oggi la festa della donna ha un po’ perso il suo valore iniziale. Mentre ci sono organizzazioni femminili che continuano a cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi di varia natura che riguardano il sesso femminile – come la violenza contro le donne e il divario salariale rispetto agli uomini – molte donne considerano questa giornata come l’occasione per uscire da sole con le amiche, lasciando mariti, compagni e figli a casa, e concedersi qualche “sfizio“, che magari in altre serate non sarebbe permesso.

Domande & Risposte 

  • Perché l’8 marzo si festeggia la festa delle donne? 

    All’inizio del Novecento in diversi Stati fu istituita una giornata dedicata ai diritti delle donne. In questa tendenza si è inserita anche l’Italia nel 1922, che ha celebrato la sua prima Festa della Donna il 12 marzo dello stesso anno.

  • Cosa è successo l’8 marzo?

    A San Pietroburgo, l’8 marzo 1917, le donne manifestarono per chiedere la fine della guerra. In seguito, per ricordare questo evento, durante la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste che si svolse a Mosca nel 1921 fu stabilito che l’8 marzo diventasse la Giornata internazionale dell’operaia.

  • Quando è la Festa delle Donne?

    Si festeggia ogni anno l’8 marzo. 

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA: CURIOSITÀ

Alcune curiosità sulla Giornata internazionale della donna:

  • Il colore ufficiale della Giornata Internazionale della Donna è, tra gli altri, il viola. Questo colore rappresenta la dignità e la giustizia sociale per le donne.
  • Il tema della Giornata Internazionale della Donna cambia ogni anno. Nel 2022, il tema è stato “Gender equality today for a sustainable tomorrow“.
  • Nel 2018, l’hashtag #MeToo è stato utilizzato come simbolo di solidarietà tra le donne e di denuncia contro gli abusi sessuali. Il movimento #MeToo è stato uno dei principali argomenti di discussione della Giornata Internazionale della Donna di quell’anno.

Vuoi saperne di più sui temi cardine della Giornata internazionale della donna? Dai un’occhiata qui:

COSA REGALARE L’8 MARZO: IDEE REGALO PER LA FESTA DELLE DONNE

Cosa regalare a una donna l’8 marzo? Ecco qualche idea, tra libri sulla vita di donne eccezzionali, kit per piantare fiori (nella terra durano di più!) e altre idee per menti creative.

 

San Giovanni di Dio

 

San Giovanni di Dio


Nome: San Giovanni di Dio
Titolo: Religioso
Nome di battesimo: Juan Ciudad
Nascita: 8 marzo 1495, Portogallo
Morte: 8 marzo 1550, Granada, Spagna
Ricorrenza: 8 marzo
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Canonizzazione:
1690, Roma, papa Alessandro VIII

Il Portogallo fu la terra fortunata che diede i natali a questo glorioso campione della carità cristiana.

Nato nel 1495 da poveri ma piissimi genitori, trascorse una giovinezza innocente, piena di semplicità.Aveva però grande smania di viaggiare; e a questo fine abbandonò casa e patria.

Caduto in estrema miseria, fu costretto a mettersi a servizio del conte d’Oropesa (Castiglia), dal quale fu arruolato nella fanteria.

Nella vita militare perdette l’innocenza e la semplicità della vita.

Nel 1536, mentre era in Ungheria a combattere contro í Turchi, la compagnia di Giovanni fu congedata ed egli, ritornato nell’Andalusia, si mise a servizio di una ricca signora in qualità di pastore.

Nella pace di questa nuova occupazione l’attendeva Iddio per farlo rientrare in se stesso. La sua mente, nella quiete della campagna, ritornò sulla vita trascorsa: pianse i suoi peccati e si diede ad una vita di austera penitenza.

Sentendo il bisogno di soddisfare la divina giustizia, propose in cuor suo di dedicarsi totalmente al servizio degli infelici.

Su questa strada, guidato e illuminato da Dio, giunse a eroismo di carità e di abnegazione.

In Granata, dove aveva fondato il primo ospedale, trovò i primi benefattori, che largheggiando di mezzi materiali, gli dettero possibilità di svolgere la sua azione di bene.

Molti attirati dalla santità della sua vita, si proposero di seguirlo e di ubbidirlo. In questo modo egli si trovò padre d’una comunità, che dopo la sua morte si pose sotto una regola stabile e professò i voti religiosi. Sorsero così i « Fatebenefratelli ».

Le opere a cui pose mano il Santo sono innumerevoli. Ebbe vasto campo di apostolato. Operò moltissime conversioni, anche fra quelle giovani che per penuria di mezzi si erano date ad una vita peccaminosa. Soprattutto però incontrarono la generosità del suo cuore i poveri derelitti e gli ammalati.

Consunto dalle eroiche fatiche e colpito da grave malattia, fu soccorso da una ricca signora affinché potesse avere tutti i rimedi della scienza e della medicina, ma dopo inutili tentativi se ne volava pieno di meriti al cielo.

Favorito da Dio del dono dei miracoli, nell’incendio del suo ospedale potè salvare tutti i ricoverati, passando incolume attraverso le fiamme.

Dal Papa Alessandro VIII fu canonizzato nel 1690.

PRATICA. Cerchiamo di diventare più misericordiosi e caritatevoli verso il prossimo indigente: in esso dobbiamo mirare Gesù che soffre.

PREGHIERA. O Signore, che il beato Giovanni, acceso del tuo amore, facesti camminare illeso fra le fiamme e per suo mezzo arricchisti la tua Chiesa di nuova prole, fa’ per sua intercessione, che il fuoco della sua carità guarisca i nostri mali.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Granata, nella Spagna, san Giovanni di Dio, Confessore, Fondatore dell’Ordine dei Fratelli Ospedalieri degli infermi, rimasto celebre per la misericordia verso i poveri e per il disprezzo di se stesso: dal Papa Leone decimoterzo fu proclamato Patrono celeste di tutti gli ospedali ed infermi.

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Domande Frequenti

  • Quando si festeggia San Giovanni di Dio?

     

  • Quando nacque San Giovanni di Dio?

     

  • Dove nacque San Giovanni di Dio?

     

  • Quando morì San Giovanni di Dio?

     

  • Dove morì San Giovanni di Dio?

     

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