Archivi giornalieri: 16 marzo 2023

Contributi INPS, variazione di tasso di interesse e sanzioni

Contributi INPS, variazione di tasso di interesse e sanzioni

L’INPS, Direzione Centrale Entrate, con la circolare n. 17/2023 ha disposto chiarimenti in merito alla variazione della misura dell’interesse di dilazione e di differimento e delle somme aggiuntive per omesso o ritardato versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. La BCE, con la determinazione di politica monetaria del 2 febbraio 2023, ha alzato di 50 punti base il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema che, a decorrere dall’8 febbraio 2023, è pari al 3%. Tale variazione incide sulla determinazione del tasso di dilazione e di differimento da applicare agli importi dovuti a titolo di contribuzione agli Enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, nonché sulla misura delle sanzioni civili di cui all’articolo 116, comma 8, lettera a) e lettera b), secondo periodo, e comma 10, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -.

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1. Interesse di dilazione e di differimento

L’interesse di dilazione[1] per la regolarizzazione rateale dei debiti per contributi e sanzioni civili è pari al tasso del 9% annuo e trova attuazione in merito alle rateazioni inoltrate a partire dall’8 febbraio 2023. I piani di ammortamento già emessi e notificati in virtù del tasso di interesse anteriormente vigente non subiranno modificazioni. A partire dall’8 febbraio 2023, l’interesse dovuto in caso di autorizzazione al differimento del termine di versamento dei contributi dovrà essere calcolato al tasso del 9% annuo. Nei casi di autorizzazione al differimento del termine di versamento dei contributi, il nuovo tasso, pari al 9%, sarà applicato a partire dalla contribuzione relativa al mese di gennaio 2023.

2. Sanzioni civili

La disposizione della BCE, che ha definito, con decorrenza 8 febbraio 2023, l’innalzamento del tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, determina il cambiamento della misura delle sanzioni civili nel seguente modo.  Nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, di cui alla lettera a) del comma 8 dell’articolo 116 della legge n. 388/2000, la sanzione civile è pari all’8,50% in ragione d’anno (tasso del 3% maggiorato di 5,5 punti)[2].  Il valore dell’8,50% annuo trova attuazione anche per l’ipotesi di cui alla lettera b), secondo periodo, del suddetto art. 116, co. 8[3]. Rimane confermata, per il caso di evasione (articolo 116, comma 8, lettera b), primo periodo) la misura della sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30% nel limite del 60% dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge. Con riferimento all’ipotesi disciplinata dal comma 10 dell’articolo 116, la sanzione civile sarà dovuta nella stessa misura dell’8,50% annuo[4].

3. La riduzione delle sanzioni in caso di procedure concorsuali

Il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto ha disposto che in caso di procedure concorsuali le sanzioni ridotte dovranno essere calcolate nella misura del TUR, oggi tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema. Nell’ipotesi di evasione la misura delle sanzioni è pari al predetto tasso aumentato di due punti. La riduzione resta subordinata alla condizione preliminare dell’avvenuto integrale pagamento dei contributi e delle spese.

  1. [1]

    articolo 2, comma 11, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 “Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati”, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389.

  2. [2]

    Art. 116, co. 8, l.n. 388/2000: “a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge”.

  3. [3]

    Art. 116, co. 8, l.n. 388/2000: “b) Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi, non corrisposti entro la scadenza di legge”.

  4. [4]

    Art. 116, co.1 0, l.n. 388/2000: “Nei casi di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi derivanti da oggettive incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo, successivamente riconosciuto in sede giudiziale o amministrativa, sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro il termine fissato dagli enti impositori, si applica una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge”

 

Collaborazione Stato-Regioni nella gestione della pandemia

Collaborazione Stato-Regioni nella gestione della pandemia

La gestione della pandemia presuppone una gestione congiunta tra Stato e Regioni,  che si inserisce in un contesto normativo costituzionale e ordinario.  A livello di fonti costituzionali, l’art.32 Cost. eleva il diritto alla salute come un interesse di rilievo individuale e collettivo rispetto al quale non deve sacrificarsi eccessivamente la dimensione individuale da quella collettiva e viceversa. Si segnala poi, l’articolo 117 della Costituzione, che al comma 3 annovera il diritto alla salute tra le materie devolute alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Norma di sintesi e chiusura è quanto dispone l’articolo 120, co. 2 della Costituzione che disciplina il potere sostitutivo del Governo tipizzandone i presupposti. Relativamente alle fonti della legislazione ordinaria, invece, occorre considerare l’articolo 32 della legge n. 833/1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale, e l’articolo 117 del decreto legislativo n. 117/1998, che ripartiscono tra il Ministero della Salute, i Sindaci e i Presidenti delle Giunte regionali la competenza ad emanare ordinanze contingibili e urgenti in materia di igiene e sanità pubblica rispettivamente sul territorio nazionale e su quello regionale (e comunale).
Infine, il decreto legislativo n. 1/2018 disciplina il codice della Protezione civile regolando il ruolo e i poteri del Presidente del Consiglio nell’adottare ordinanze di protezione in materia di salute pubblica, anche attraverso il coinvolgimento dei governi regionali.

1. Le fasi della collaborazione Stato-Regioni nella gestione pandemica

Nell’ambito della gestione dell’emergenza si possono individuare tre fasi che hanno visto una diversa possibilità di intervento, dello Stato e delle Regioni, e una differente configurazione dell’assetto dei loro rapporti. Quali sono le dinamiche del rapporto Stato-Regioni ai tempi del Covid? E quali correttivi occorre apportare per garantire una efficace collaborazione tra i diversi livelli territoriali di governo, a garanzia della certezza del diritto?

2. Fase 1: il decreto legge 23 febbraio, n. 6 e il decreto legge 25 marzo 2000, n. 19

Nella prima fase, l’emergenza è stata affrontata, a livello statale, attraverso l’adozione di due decreti-legge, volti a restringere le libertà, fino ad arrivare a introdurre il lockdown su tutto il territorio nazionale: il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 e il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19. Da questi due decreti emerge la volontà del Governo di svolgere un ruolo forte e unitario nella gestione dell’emergenza, attraverso lo strumento dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM), prevedendo misure volte a chiudere attività e limitare le libertà su tutto il territorio nazionale in maniera generalizzata. Il decreto-legge n. 6/2020 ha disciplinato il ruolo del Governo e delle Regioni nell’adottare i provvedimenti emergenziali e i reciproci rapporti. Per un verso, il decreto prevedeva che le misure di contenimento e gestione dell’emergenza fossero adottate dal Presidente del Consiglio dei ministri con uno o più decreti, a seguito di una semplice consultazione delle Regioni. Per altro verso, il decreto autorizzava i Presidenti delle Regioni e i Sindaci a emanare, anche nella fase emergenziale, ordinanze in materia sanitaria, sulla base della legislazione preesistente (sopra esaminata). Il decreto ha previsto, però, limiti piuttosto stringenti a tale potere di ordinanza: esso poteva essere esercitato solamente fino all’adozione di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e nei soli casi di “estrema necessità e urgenza”. Il decreto in esame lasciava alle Regioni e ai Comuni la discrezionalità di adottare, in maniera generica, “ulteriori misure”, a livello locale, senza alcuno previo controllo o obbligo di collaborazione con lo Stato. Di conseguenza, nel periodo successivo al decreto n. 6/2020 sono state adottate, da parte dei Presidenti delle Regioni e dei Sindaci, molte ordinanze contingibili e urgenti. In particolare, numerose ordinanze regionali hanno disposto misure più restrittive della libertà dei cittadini rispetto a quelle statali, perché ritenute, queste ultime, insufficienti a fronteggiare le specificità dei rispettivi territori. Questa situazione ha creato tensioni nei rapporti tra il Governo e alcuni Regioni (in particolare con la Lombardia e la Campania) già nei primi giorni della gestione dell’emergenza.
Il decreto-legge n. 19/2020 ha  meglio definito l’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni. Quanto ai poteri governativi, è stata confermata la competenza del Presidente del Consiglio dei ministri ad adottare decreti contenenti misure di contenimento di diffusione del virus, sentiti i Presidenti delle Regioni o il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, a seconda del territorio interessato. Quanto, invece, alla possibilità di interventi regionali, il decreto ne ha limitato la portata, individuando limiti più stringenti al potere di ordinanza delle Regioni. È stata infatti prevista la possibilità per le Regioni di introdurre misure ulteriormente restrittive, rispetto a quelle previste dal decreto, solamente nell’ambito delle attività di loro competenza (con l’esclusione delle attività produttive e di rilevanza strategica per l’economia nazionale) ed esclusivamente nell’ipotesi di un aggravamento del rischio sanitario sui loro territori (o in una parte di essi). È stato altresì confermato che le ordinanze regionali possono essere adottate soltanto nelle more dell’adozione di un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e che, successivamente, esse perdono la loro efficacia. Il decreto, infine, a differenza di quello precedente, ha previsto che, nelle more dell’adozione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, la competenza ad adottare atti, con efficacia limitata fino a tale momento, in casi di “estrema necessità e urgenza”, per situazioni sopravvenute, è del Ministro della salute e non più del Presidente della Regione e del Sindaco. Nemmeno il decreto-legge n. 19/2020, tuttavia, similarmente a quello precedente, ha definito esattamente i presupposti e i limiti per l’adozione di provvedimenti regionali ed eventuali forme di collaborazione preventiva con lo Stato. Per questa ragione, le Regioni hanno continuato ad adottare ordinanze, introducendo, in molti casi, ulteriori limitazioni rispetto a quelle previste a livello statale, ritenendo, alcuni Presidenti di Regione, inadeguate e insufficienti le misure contenute nei provvedimenti governativi. Alcune di queste ordinanze, peraltro, non hanno rispettato i limiti individuati dal decreto-legge n. 19/2020, essendo state adottate anche nei casi in cui, in realtà, non vi erano situazioni di aggravamento della situazione sanitaria. Ciò ha ulteriormente inasprito i rapporti tra il Governo e le Regioni (in particolare con le Regioni Marche, Campania, Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e Abruzzo).

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3. Fase 2: il decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33

Con l’avvio della c.d. “fase 2”, nell’ottica di un allentamento delle misure emergenziali, la normativa statale ha delineato un diverso assetto dei rapporti tra Stato e Regioni per far fronte alla pandemia, maggiormente improntati alla collaborazione.
Il decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, ha disposto che, dal 18 maggio al 31 luglio 2020, con decreti e ordinanze statali, regionali o comunali, potevano essere disciplinati gli spostamenti delle persone e le modalità di svolgimento delle attività economiche, produttive e sociali. In questo quadro, sono stati attribuiti maggiori poteri di monitoraggio dell’epidemia in capo alle Regioni e la possibilità di adottare, di conseguenza, adeguati provvedimenti. Da un lato, le Regioni sono state chiamate a monitorare giornalmente l’andamento della situazione epidemiologica dei propri territori e comunicare i relativi dati al Ministro della salute, all’Istituto Superiore di Sanità e al Comitato tecnico-scientifico istituito presso il Dipartimento della Protezione Civile. Dall’altro lato, il decreto n. 33 del 2020 attribuiva alle Regioni la possibilità, in relazione all’andamento della situazione epidemiologica sui propri territori, e nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di introdurre misure derogatorie, ampliative o restrittive, rispetto a quelle disposte a livello statale. La normativa in esame, pertanto, ha previsto un maggiore decentramento decisionale rispetto ai mesi precedenti.

4. Fase 3: DPCM 3 novembre 2020. L’istituzione delle zone di colore.

La terza fase della gestione della pandemia è iniziata nel mese di novembre del 2020, in concomitanza all’aumento dei casi di Covid. Di fronte all’aggravarsi della situazione pandemica, sono stati adottati provvedimenti non più finalizzati, come nella prima fase dell’emergenza, a chiudere le attività e limitare le libertà in maniera generalizzata.
Si è, infatti, ritenuto che ciò non fosse più sostenibile dal punto di vista economico e che, peraltro, l’organizzazione sanitaria fosse maggiormente in grado, rispetto ai mesi precedenti, di gestire l’emergenza. Pertanto, si sono progressivamente previsti i cd. minilockdown territoriali con forti limitazioni delle libertà e delle attività economiche, produttive e sociali. Con l’adozione del DPCM 3 novembre 2020 è stato adottato un modello nazionale di gestione dell’emergenza: sono state dettate regole nazionali da applicare sull’intero territorio del Paese, modulabili in aree di diverso colore (giallo, arancione e rosso), corrispondenti a differenti livelli di criticità nelle Regioni e per le quali sono previste restrizioni crescenti in rapporto al rischio. Le zone di rischio sono determinate sulla scorta di dati forniti dalle Regioni sulla base del cd. indice Rt (cioè l’indice di contagiosità) e di altri fattori di pericolo (fattori, tra cui, ad esempio, il tasso di occupazione delle terapie intensive). Il coinvolgimento delle Regioni nell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri è garantito attraverso la partecipazione alle decisioni della Cabina di regia e dall’iter procedimentale che prevede di sentire il Presidente della Conferenza delle Regioni. Similarmente, le ordinanze del Ministro della salute sono adottate sentiti i Presidenti delle Regioni interessate, sulla base del Documento di “Prevenzione e risposta a COVID-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale” e dei dati elaborati dalla Cabina di regia. Nel caso, invece, di ordinanze del Ministro della salute che esentano alcune parti del territorio regionale dal rispetto di alcune misure statali, in ragione dell’andamento di rischio epidemiologico, è prevista un’intesa con la Regione interessata. Nell’ambito di questo modello di gestione nazionale dell’emergenza, alle Regioni è stato, comunque, affidato un significativo ruolo di monitoraggio e la possibilità di adottare misure più restrittive rispetto a quelle statali. Il DPCM 14 gennaio 2021 ha introdotto anche la possibilità di prevedere una “zona bianca” – che si aggiunge a quelle già individuate (gialla, arancione e rossa) – in cui, a fronte di un forte calo dei contagi e di un basso rischio, possono riprendere quasi tutte le attività e non trovano più applicazione le misure restrittive adottate per combattere il coronavirus. Anche nella zona bianca possono, comunque, essere adottate, sempre con DPCM, misure restrittive ad hoc legate alle attività rilevanti dal punto di vista epidemiologico. Pertanto, è previsto che ogni Regione, inclusa, attraverso un’ordinanza del Ministro della salute, in una delle quattro zone (bianca, gialla, arancione e rossa), sia tenuta a rispettare regole nazionali diverse. Le Regioni hanno sempre la facoltà di emanare misure più restrittive rispetto a quelle decise dal Governo. Oltre alle misure emergenziali individuate per ogni zona, ci sono altresì limitazioni che si applicano su tutto il territorio nazionale. Queste misure sono previste dal decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, contenente misure restrittive anti-Covid 19 applicabili fino al 30 aprile 2021. Tale decreto proroga, fino al 30 aprile 2021, l’applicazione delle disposizioni del DPCM del 2 marzo 2021 (salvo che le stesse siano in contrasto con quanto disposto dal decreto-legge stesso) e di alcune misure già previste dal decreto-legge 13 marzo 2021, n. 30 (in vigore fino al 6 aprile 2021) e introduce, tra l’altro, misure urgenti oltre che per il contenimento dell’epidemia, per la campagna vaccinale (dall’obbligo di vaccinazione per il personale medico e sanitario all’esclusione della loro responsabilità penale nei casi di somministrazione del vaccino). Anche in questa fase non sono mancati i contrasti tra le Regioni e lo Stato in merito alla gestione della pandemia. Alcune Regioni, soprattutto in un primo momento di applicazione del modello nazionale di gestione dell’emergenza, hanno contestato la corretta valutazione dei dati regionali, da parte del Governo, sulla base dei quali esso aveva deciso le diverse zone di rischio. In questo contesto, si inserisce, ad esempio, il contrasto del gennaio scorso tra il Governo e la Lombardia; quest’ultima per alcuni giorni era stata inserita in zona rossa anche quando, secondo la Regione, i dati forniti al Governo le avrebbero permesso di essere considerata arancione. La Regione Lombardia ha quindi presentato ricorso al giudice amministrativo, contro la decisione dello Stato, chiedendo la sospensiva del provvedimento statale, poi superata a seguito di un aggiornamento dei dati che ha portato il Governo a farla rientrare in zona arancione. Spesso, i Presidenti delle Regioni hanno aspramente criticato le decisioni del Governo che hanno previsto il loro inserimento in una determinata zona. La Sardegna, ad esempio, dopo la sua inclusione in zona arancione, dopo la metà di gennaio, ha presentato ricorso al giudice amministrativo contro il provvedimento statale – chiedendo una decisione immediata, prima della discussione della richiesta cautelare prevista il 17 febbraio – il quale, tuttavia, ha dato ragione allo Stato, confermando la validità dell’ordinanza del Ministro della salute di classificazione della Regione. Più in generale, poi, i Presidenti di alcune Regioni, peraltro di colore politico diverso rispetto a quello del governo allora in carica (Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Calabria, Umbria e Veneto), hanno chiesto allo Stato di rivedere le procedure per determinare il colore delle zone; essi hanno reclamato la necessità di prevedere procedure volte a garantire un maggior ruolo regionale, in merito alle scelte relative ai propri territori, e un’effettiva partecipazione all’adozione delle decisioni statali. Per altro verso, il Governo è ricorso contro la l.r. Valle d’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11, che aveva previsto il riavvio di una serie di attività in deroga a quanto previsto dalla normativa statale. Contrasti tra il Governo e le Regioni si sono avuti anche in occasione dell’avvio della campagna vaccinale. In proposito, va premesso che le Regioni hanno un ruolo fondamentale, dal punto di vista gestionale, nella somministrazione effettiva dei vaccini, attraverso le loro strutture sanitarie, nel rispetto, comunque, delle linee guida contenute nel Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2  e nel Piano vaccinale del Commissario straordinario per l’esecuzione della campagna vaccinale nazionale, al fine di completare al più presto la campagna stessa. In questo contesto, a fronte di una differenza tra Regioni, nell’organizzare le somministrazioni delle dosi di vaccino, il Presidente del Consiglio ha mosso alcune critiche nei confronti di quelle Regioni, non identificate, che avrebbero privilegiato determinate categorie professionali rispetto a quelle degli over 80 e del personale sanitario, identificate come prioritarie a livello nazionale. Per tutta risposta, le Regioni hanno negato di aver avvantaggiato alcuni ordini professionali, dicendo di aver seguito le linee guida nazionali e che proprio queste ultime non facevano abbastanza chiarezza sulle categorie prioritarie da vaccinare. Inoltre, le Regioni hanno preteso un maggiore impegno, da parte del Governo, nel garantirsi gli approvvigionamenti di dosi di vaccino dall’Unione europea. Successivamente, il Presidente del Consiglio e il Presidente della Conferenza delle Regioni hanno avuto modo di sottolineare la necessità di una concreta collaborazione tra Stato e Regioni per velocizzare la campagna vaccinale. Ciò anche in ragione del fatto che vi sono differenze tra le diverse Regioni, nella somministrazione dei vaccini, rendendo necessario un supporto statale a quelle Regioni che sono maggiormente in ritardo e in difficoltà.

5. Prospettive di riforma nel rapporto Stato-Regioni

L’analisi finora condotta porta a ritenere che la normativa emergenziale si sia posta nell’ottica di un rapporto di tipo concorrenziale e conflittuale tra Stato e Regioni. Non vi è stata un’azione coordinata di cogestione dell’emergenza e nemmeno un effettivo coinvolgimento né delle Regioni, nell’adozione dei provvedimenti statali, né del Governo, per l’adozione di quelli regionali.
In questo contesto, appare imprescindibile una riforma del sistema bicamerale che renda effettivo il dialogo tra Stato e Regioni. Non serve una correzione del Titolo V della Costituzione ma una riforma più profonda della stessa, attraverso l’istituzione di un Senato delle autonomie o, ancor meglio, di un Senato delle Regioni (soluzione maggiormente in linea con gli esempi offerti dagli ordinamenti federali, in cui la seconda Camera permette agli enti territoriali dotati di potere legislativo di partecipare al procedimento legislativo statale, rappresentando anche gli enti locali), al fine di garantire la partecipazione di queste ultime all’approvazione delle leggi dello Stato. Ove si voglia rafforzare a livello costituzionale il sistema dei rapporti tra Stato e Regioni, obbiettivo da perseguire dovrebbe essere quello di dare attuazione ad una norma costituzionale da tempo in vigore, ma mai attuata. Si tratta dell’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 dove si prevede l’integrazione con rappresentanti regionali della Commissione bicamerale per le questioni regionali previsto dall’art. 126, 1° co., della costituzione.
Una seconda linea di intervento che l’esperienza recente viene a suggerire riguarda il rafforzamento del ruolo e della presenza degli organi “misti” esistenti quali le Conferenze Stato-Regioni e Stato-Città-Enti locali. Su questo piano va superata la prassi di affidare a meccanismi di relazione solo “politica” o di tipo informale il dialogo tra il Governo e le Regioni, mentre il sistema delle Conferenze potrebbe essere reso più efficiente sia sul piano strutturale che funzionale mediante una riorganizzazione che riunisca e semplifichi le molte sedi in cui è articolato e che, attraverso l’uso delle nuove tecnologie digitali, consenta anche forme di consultazione più tempestive. Su questo piano potrebbe essere rafforzato il ruolo delle Regioni nel concorso alla formulazione delle proposte di quei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale” che la costituzione (all’art. 117, primo comma) affida alla competenza esclusiva dello Stato, ma che per il settore sanitario risultano ancora incompleti e insoddisfacenti.
Resta, infine, l’esigenza di rafforzare i poteri sostitutivi dello Stato ove la gestione regionale dell’emergenza sanitaria si presenti inadeguata. Ma anche su questo terreno esistono già gli strumenti fissati in costituzione sia nell’art. 118, primo co., cost. in base al principio di sussidiarietà che consente allo Stato di sostituirsi alle Regioni ed agli enti locali inadempimenti nell’esercizio delle funzioni amministrative; sia nell’art. 120, secondo comma, cost. che consente al Governo di sostituirsi agli organi regionali e degli altri enti locali nei casi di “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica ovvero quando lo richiedono la tutela della unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali”.
Infine, sempre il richiamo all’art. 120 cost. – dove, al primo comma, si vieta alle Regioni di “adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose” tra i diversi territori regionali – consente di dare una sicura risposta negativa alle intenzioni che alcune Regioni hanno espresso nel corso della pandemia di voler vietare o limitare l’ingresso nei propri territori degli abitanti di altri territori esposti a maggior rischio sanitario.

 

FORMATO CARTACEO

Scenari e modelli di governo, organizzazione e management del sistema sanitario italiano

La storia del Servizio Sanitario Nazionale ha attraversato epoche e vicende dell’evoluzione istituzionale del nostro Paese, articolandosi lungo un percorso a tratti impervio che ha visto numerosi tentativi riformatori. La vicenda pandemica, con i suoi smottamenti sul piano sia sociale che economico, ha imposto un nuovo protagonismo alle tematiche di ambito sanitario, innescando momenti di consapevolezza mondiale, che, sul piano europeo, hanno dato la stura a politiche di riforme e di investimenti che, forse, per la prima volta, vedono l’Europa atteggiarsi ad autentica realtà comunitaria sovranazionale nell’interesse degli Stati membri. A livello di sistema Paese, le notevoli leve di impulso – di cui al Next Generation EU e al PNRR – stanno offrendo una imperdibile opzione di ripresa in termini sia di sviluppo socio-economico, sia di allineamento su ambiti fortemente valoriali, rivendicando una centralità di ruolo e risorse rispetto alle tematiche di sicurezza della collettività, di beni pubblici, di una tutela della salute accessibile, tempestiva, appropriata, omogenea ed efficace, nel solco del solidarismo forte che permea i diritti costituzionali degli artt. 3 e 32, nell’economia di un rapporto virtuoso Stato-Regioni. Il testo si pone quindi, per struttura e approccio, come utile contributo e supporto sia per studenti che per addetti ai lavori. La disamina dei maggiori istituti e protagonisti del sistema sanitario si coniuga con la lettura contingente delle esigenze di riassetto, di recupero di economicità ed efficienza; il tutto finalizzato alla centralità del paziente e delle sue esigenze.  Tutti gli elementi cardine del piano e della Missione 6 Salute del PNRR – Case e Ospedali di Comunità, COT, Telemedicina e FSE, nuovo ruolo del Distretto e riforma di cui al d.m. 77/2022 sulla sanità del territorio – vanno così a comporre una visione sistemica del più importante perno sociale e strategico dell’Italia e di tutta l’Europa: il suo sistema salute. Giuseppe Meloneè un economista e manager sanitario, professore a contratto di Organizzazione delle Aziende Sanitarie presso l’Università degli Studi Unitelma Sapienza di Roma, dottore commercialista. Esperto di governo, organizzazione e management aziendale, da oltre 25 anni impegnato nella direzione di importanti enti, istituzioni e aziende pubbliche e private del Sistema Sanitario Italiano. Relatore in numerosi congressi scientifici, accademici, dibattiti ed eventi tematici, ha pubblicato su importanti riviste articoli e studi in materia giuridica, economica e organizzativa, in particolare riferiti all’ambito sanitario e da, ultimo, alle tematiche inerenti alla pandemia da Covid-19 ed al PNRR.

 

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Riforma Cartabia: la nuova formula della costituzione di parte civile nel processo penale

Riforma Cartabia: la nuova formula della costituzione di parte civile nel processo penale

Questo articolo è un estratto del volume “Formulario Annotato del Processo Penale dopo la Riforma Cartabia”, di Valerio de Gioia – Paolo Emilio De Simone, aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Riforma Cartabia) e alla Legge 30 dicembre 2022, n. 199, di conv. con mod. del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Decreto Nordio).
Il formulario, aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n.150 (Riforma Cartabia) e alla Legge 30 dicembre 2022, n. 199, di conv. con mod. del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Decreto Nordio), rappresenta un valido strumento operativo di ausilio per l’Avvocato penalista, oltre che per i Giudici di pace o per gli aspiranti Avvocati, mettendo a loro disposizione tutti gli schemi degli atti difensivi contemplati dal codice di procedura penale, contestualizzati con il relativo quadro normativo di riferimento e corredati dalle più significative pronunce della Corte di Cassazione, oltre che dai più opportuni suggerimenti per una loro migliore redazione.

1. L’atto

Atto di costituzione di parte civile del danneggiato con procura spe­ciale in calce
Al …………… (1)
Il sottoscritto ……………, nato a ……………, il ……………, residente in ……………, cod. fisc. ……………, legittimato ad esperire l’azione civile nel processo penale in quanto persona danneggiata (2) dal/i reato/i oggetto del procedimento penale a carico di …………… e recante n. …………… R.G.N.R./n. …………… R.G. Dib. (oppure) n. …………… R.G. G.I.P. pendente dinanzi al Tribunale di …………… con udienza dibattimentale fissata il …………… (oppure) dinanzi al G.U.P. del Tribunale di …………… con udienza preliminare fissata il ……………, rappresentato e difeso dall’Avv. …………… del Foro di …………… con studio in …………… alla via …………… come da procura speciale in calce/allegata al presente atto,
DICHIARA
ai sensi degli artt. 74 e ss. cod. proc. pen., di costituirsi parte civile nel pro­cedimento penale sopra indicato nei confronti di: (3)
1) ……………, nato il …………… a …………… residente/domiciliato in ……………;
2) ……………, nato il …………… a …………… residente/domiciliato in ……………;
imputato/i dei seguenti reati: …………… (4) al fine di richiedere il risarcimento dei danni morali e materiali cagionati dalla condotta dell’/degli imputato/i, con­sistita nel …………… (5).
Da tale condotta il sottoscritto ha subito danni consistiti ………… (6), per il ristoro dei quali si richiede la condanna dell’/degli imputato/i al pagamento della somma complessiva di euro …………… (7), così determinata: euro …………… (8) a titolo di danno patrimoniale; euro …………… (8) a titolo di danno morale; euro …………… (8) a titolo di danno …………… (9); ovvero, in subordine, nella somma che il giudice riterrà congrua, con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data di consumazione del fatto criminoso al soddisfo, oltre alla rifusione delle spese, diritti ed onorari di costituzione.
Luogo e data.
Firma ……………
Per autentica.
Avv. ……………
NOMINA DEL DIFENSORE CON PROCURA SPECIALE
(ai sensi degli artt. 100 e 122 cod. proc. pen.) (10)
Il sottoscritto ……………, nato a ……………, il ……………, residente in ……………, alla via ……………, (cod. fisc.: ……………), nella qualità di persona danneggiata dal reato nel procedimento penale n. …………… R.G.N.R./n. …………… R.G. Dib. (op¬pure) n. …………… R.G. G.I.P. pendente a carico di …………… dinanzi al Tribunale di …………… con udienza dibattimentale fissata il …………… (oppure) dinanzi al G.U.P. del Tribunale di …………… con udienza preliminare fissata il …………… per il reato previsto e punito dall’art. …………… (oppure) per i reati previsti e puniti dagli artt. …………… (11), con il presente atto
DICHIARA
di nominare proprio difensore e procuratore speciale l’Avv. …………… del Foro di …………… con studio in …………… alla via …………… conferendogli mandato a difenderlo in ogni stato e grado del processo, nonché a costituirsi parte civile nel procedimento penale suindicato per la domanda di risarcimento dei danni morali e materiali subiti per effetto della commissione del reato, conferendogli ogni facoltà di legge per l’espletamento del presente mandato, ivi compresa quella di impugnare le sentenze conclusive del grado di giudizio, di revocare la spiegata costituzione di parte civile e di nominare sostituti processuali ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen.
Il sottoscritto, altresì, elegge domicilio presso lo studio del predetto difensore.
Luogo e data.
Firma ……………
Per autentica. (12)
Avv. ……………

 

FORMATO CARTACEO

Formulario Annotato del Processo Penale dopo la Riforma Cartabia

Il presente formulario, aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n.150 (Riforma Cartabia) e alla Legge 30 dicembre 2022, n. 199, di conv. con mod. del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Decreto Nordio), rappresenta un valido strumento operativo di ausilio per l’Avvocato penalista, oltre che per i Giudici di pace o per gli aspiranti Avvocati, mettendo a loro disposizione tutti gli schemi degli atti difensivi contemplati dal codice di procedura penale, contestualizzati con il relativo quadro normativo di riferimento e corredati dalle più significative pronunce della Corte di Cassazione, oltre che dai più opportuni suggerimenti per una loro migliore redazione.La struttura del volume, divisa per sezioni seguendo sostanzialmente l’impianto del codice di procedura penale, consente la rapida individuazione degli atti correlati alle diverse fasi processuali:Giurisdizione e competenza – Giudice – Pubblico ministero – Parte civile – Responsabile civile – Civilmente obbligato – Persona offesa – Enti e associazioni – Difensore – Gli atti – Le notificazioni – Le prove – Misure cautelari personali – Riparazione per ingiusta detenzione – Misure cautelari reali – Arresto in flagranza e fermo – Indagini difensive e investigazioni difensive – Incidente probatorio – Chiusura delle indagini – Udienza preliminare – Procedimenti speciali – Giudizio – Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica – Appello – Ricorso per cassazione – Revisione – Riparazione per errore giudiziario – Esecuzione – Rapporti giurisdizionali con le autorità straniere.Specifiche sezioni, infine, sono state dedicate al Patrocinio a spese dello stato, alle Misure cautelari nei confronti degli enti (D.Lgs. n. 231 del 2001) ed al Processo penale davanti al Giudice di pace (D.Lgs. n. 274 del 2000).L’opera, infine, è anche corredata da un’utilissima appendice, contenente schemi riepilogativi e riferimenti normativi in grado di rendere maggiormente agevole l’attività del legale.Valerio de GioiaGiudice penale in servizio presso il Tribunale di Roma.Paolo Emilio De SimoneGiudice penale in servizio presso il Tribunale di Roma.

 

Valerio de Gioia – Paolo Emilio De Simone | Maggioli Editore 2023

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2. La norma di riferimento

Art. 76 c.p.p.
Costituzione di parte civile
1. L’azione civile nel processo penale è esercitata, anche a mezzo di procuratore speciale, mediante la costituzione di parte civile.
2. La costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo.

Art. 78 c.p.p.
Formalità della costituzione di parte civile
1. La dichiarazione di costituzione di parte civile è depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza e deve contenere, a pena di inammissibilità:
a) le generalità della persona fisica o la denominazione dell’associazione o dell’ente che si costituisce parte civile e le generalità del suo legale rappresentante;
b) le generalità dell’imputato nei cui confronti viene esercitata l’azione civile o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo;
c) il nome e il cognome del difensore e l’indicazione della procura;
d) l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili;
e) la sottoscrizione del difensore.
1-bis. Il difensore cui sia stata conferita la procura speciale ai sensi dell’articolo 100, nonché la procura per la costituzione di parte civile a norma dell’articolo 122, se in questa non risulta la volontà contraria della parte interessata, può conferire al proprio sostituto, con atto scritto, il potere di sottoscrivere e depositare l’atto di costituzione.
2. Se è presentata fuori udienza, la dichiarazione deve essere notificata, a cura della parte civile, alle altre parti e produce effetto per ciascuna di esse dal giorno nel quale è eseguita la notificazione.
3. Se la procura non è apposta in calce o a margine della dichiarazione di parte civile, ed è conferita nelle altre forme previste dall’articolo 100, commi 1 e 2, essa è depositata nella cancelleria o presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione della parte civile.

Art. 100 c.p.p.
Difensore delle altre parti private
1. La parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria stanno in giudizio col ministero di un difensore, munito di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata dal difensore o da altra persona abilitata.
2. La procura speciale può essere anche apposta in calce o a margine della dichiarazione di costituzione di parte civile, del decreto di citazione o della dichiarazione di costituzione o di intervento del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. In tali casi l’autografia della sottoscrizione della parte è certificata dal difensore.
3. La procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell’atto non è espressa volontà diversa.
4. Il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della parte rappresentata, tutti gli atti del procedimento che dalla legge non sono a essa espressamente riservati. In ogni caso non può compiere atti che importino disposizione del diritto in contesa se non ne ha ricevuto espressamente il potere.
5. Il domicilio delle parti private indicate nel comma 1 per ogni effetto processuale si intende eletto presso il difensore.

Art. 122 c.p.p.
Procura speciale per determinati atti
1. Quando la legge consente che un atto sia compiuto per mezzo di un procuratore speciale, la procura deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere, oltre alle indicazioni richieste specificamente dalla legge, la determinazione dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce. Se la procura è rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo. La procura è unita agli atti.
2. Per le pubbliche amministrazioni è sufficiente che la procura sia sottoscritta dal dirigente dell’ufficio nella circoscrizione in cui si procede e sia munita del sigillo dell’ufficio.
2-bis. La procura speciale è depositata, in copia informatica autenticata con firma digitale o altra firma elettronica qualificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, con le modalità previste dall’articolo 111-bis, salvo l’obbligo di conservare l’originale analogico da esibire a richiesta dell’autorità giudiziaria.
3. Non è ammessa alcuna ratifica degli atti compiuti nell’interesse altrui senza procura speciale nei casi in cui questa è richiesta dalla legge.

3. Annotazioni

(1) Occorre indicare il giudice procedente. La legge prevede, a pena di decadenza (art. 79, secondo comma, cod. proc. pen.), precisi termini entro i quali po­ter spiegare la costituzione di parte civile. A seguito della attuazione della Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), la costituzione di parte civile può avvenire per l’udienza preliminare e, successivamente, prima che siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, o, quando manca l’udienza preliminare, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’art. 484 o dall’art. 554-bis, comma 2, c.p.p. I termini previsti sono stabiliti a pena di decadenza. Tuttavia, come precisato dalla Suprema Corte, nel caso in cui l’udienza venga rinviata senza l’apertura del dibattimento (per es. perché viene disposta la rinnovazione della notifica del decreto di citazione), la co­stituzione di parte civile può validamente e tempestivamente avvenire anche all’udienza di rinvio (cfr. Cass. pen. sez. V, n. 12906/1999). A mente dell’art. 78 cod. proc. pen., la dichiarazione di costituzione di parte civile può essere presentata sia fuori udienza, tramite il deposito dell’atto presso la cancelleria del giudice che procede, che direttamente in udienza. Nel primo caso, tuttavia, ai fini dell’instaurazione del contraddittorio, è necessario che la notifica dell’atto al pubblico ministero e all’imputato sia effettuata a cura della medesima parte civile (art. 78, secondo comma, cod. proc. pen.); una volta eseguita tale notificazione l’atto produrrà i suoi effetti nei confronti delle altre parti del processo. Nei procedimenti con citazione diretta a giudizio, la costituzione di parte civile è ritualmente proposta prima del dibattimento e produce effetto per ciascuna delle parti dal giorno in cui è eseguita la noti­ficazione, fermo restando il potere delle parti di richiederne l’esclusione, oltre quello del giudice di disporne d’ufficio l’esclusione ove accerti l’inesistenza dei requisiti di legge (Cass. pen. sez. II, n. 35592/2007). Il terzo comma dell’art. 79 cod. proc. pen. esplicitamente ammette, quando la costituzione di parte civile è consentita fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’art. 484 c.p.p., una costituzione “tardiva” oltre il suindicato termine di cui all’art. 468, comma primo, cod. proc. pen., con l’altrettanto esplicita preclusione, in tali casi, della possibilità per la parte civile di richiedere l’ammissione di propri testimoni, periti o consulenti tecnici: tale preclusione, del resto, si spiega age­volmente con la considerazione che la fase processuale “dedicata” all’ammis­sione dei mezzi istruttori risulta oramai compiuta. La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di illegittimità costituzionale relativa agli artt. 79 e 519 cod. proc. pen., con sentenza interpretativa di rigetto, precisando che “il termine stabilito per la costituzione di parte civile, a pena di decadenza, dall’art. 79 del codice di rito può essere inteso come vincolante solo in relazione alle imputazioni contestate, così che, se nel procedimento penale si introduce la contestazione di un nuovo fatto-reato, in relazione ad essa la parte offesa deve essere messa in grado di valutare se esercitare l’azione civile nella sede pe­nale, prima che sullo stesso fatto-reato si apra l’istruzione dibattimentale; onde non è da considerarsi tardiva la costituzione di parte civile in relazione al reato contestato in via suppletiva, effettuata in apertura della nuova udienza” (Corte Cost., n. 98/1996). L’atto di costituzione di parte civile esplica i suoi effetti in ogni stato e grado del processo, sicché la stessa non deve essere rinnovata in ogni grado del procedimento penale (art. 76, secondo comma, cod. proc. pen.). Al soggetto deceduto possono subentrare gli eredi senza la necessità di costituirsi nuovamente. Nell’ipotesi in cui si tratti di parte civile minorenne costituitasi a mezzo del genitore, la mancata dichiarazione, nelle more del giudizio, del raggiungimento della maggiore età non può essere interpretata come un’implicita rinuncia alla costituzione da parte del minore medesimo né tale conseguimento di maggiore età può essere rilevato d’ufficio dal giudice (Cass. pen. sez. III, n. 44167/2018).
(2) Oltre alla persona fisica, anche una persona giuridica è legittimata a co­stituirsi parte civile nel processo penale. Peraltro, nel caso di società per azioni, l’amministratore delegato della stessa è legittimato a costituirsi parte civile in nome di essa anche in mancanza di una specifica delibera del consiglio di amministrazione, salve le eventuali espresse limitazioni presenti nell’atto costitutivo (Cass. pen. sez. II, n. 9058/2011). È opportuno, in questa sede, far brevemente riferimento ad ulteriori pronunce della giurisprudenza di legittimità relative alla costituzione di parte civile degli enti e delle persone giuridiche. In primo luogo, la Suprema Corte ha statuito che gli enti di fatto, privi di personalità giuridica, sono legittimati alla costituzione di parte civile, ove agiscano iure proprio in qualità di soggetti danneggiati dal reato. La Corte ha inoltre precisato che sono legittimati alla costituzione di parte civile anche gli enti di fatto non ancora operativi al momento del verificarsi dei fatti di cui all’imputazione (Cass. pen. sez. IV, n. 38991/2010). È ammissibile, poi, la costituzione di parte civile dell’ente di coordinamento di associazioni territoriali, già costituite in giudizio in relazione al danno subito dalla condotta illecita dell’imputato, qualora il suddetto ente adduca a fondamento della propria legittimazione la compromissione di un proprio specifico interesse e di una propria finalità statutaria rispetto a quelli dell’articolazione territoriale (in applicazione di tale principio la Corte ha annullato con rinvio le statuizioni civili disposte in favore di Associazioni di coordinamento ritenendo inammissi­bile la loro costituzione di parte civile in quanto volta alla tutela del medesimo interesse oggetto di analoghe istanze risarcitorie presentate dalle rispettive articolazioni provinciali – Cass. pen. sez. VI, n. 38921/2017). Inoltre, le asso­ciazioni ambientaliste sono legittimate a costituirsi parti civili nei processi penali per reati ambientali iure proprio, non risultando ostativo il disposto che riserva allo Stato la possibilità di costituirsi parte civile in materia di danno ambientale, con abrogazione delle norme in materia di potere surrogatorio degli enti territoriali da parte delle associazioni ambientaliste. Tale norma, infatti, non impedisce l’applicabilità delle regole generali in materia di risarcimento del danno da reato e di costituzione di parte civile: ne consegue che, nell’ipotesi di reato commesso direttamente in danno dell’associazione ambientalista, quest’ul­tima assume qualità di persona offesa e può anche costituirsi parte civile, nel rispetto dei presupposti di cui all’art. 91 cod. proc. pen. (Cass. pen. sez. III, n. 25039/2011). Infine, è ammissibile la costituzione di parte civile di un’associa­zione anche non riconosciuta che avanzi, iure proprio, la pretesa risarcitoria assumendo di aver subito per effetto del reato un danno patrimoniale o non patrimoniale, consistente nell’offesa all’interesse perseguito dal sodalizio e posto nello statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente alla personalità o identità dell’ente (nella specie, la Corte ha riconosciuto la legittimazione a costituirsi parte civile dell’associa­zione “cittadinanza attiva onlus” in un processo per reati contro la P.A. – Cass. pen. sez. VI, n. 39010/2013). Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (riforma Cartabia), in attuazione della legge delega, ha novellato l’art. 78 c.p.p., prevedendo, oltre alla modifica della lett. d) – con la precisazione che devono essere esposte le ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili –, l’aggiunta di un nuovo comma: il difensore cui sia stata conferita la procura speciale ai sensi dell’art. 100 c.p.p., nonché la procura per la costituzione di parte civile a norma dell’art. 122 c.p.p., se in questa non risulta la volontà contraria della parte interessata, può conferire al proprio sostituto, con atto scritto, il potere di sottoscrivere e depositare l’atto di costituzione.
Conferendo al difensore, che rivesta anche la qualifica di procuratore sostanziale, la possibilità di trasferire ad altri il diritto di sottoscrivere l’atto di costituzione, si consente in pratica al professionista di valersi del sostituto anche per il deposito del medesimo atto, così risolvendo le questioni che sinora sono sorte nei casi in cui il procuratore non possa presenziare personalmente all’udienza.
(3) Indicare tutti gli imputati nei confronti dei quali ci si costituisce (a pena di inefficacia nei confronti dei soggetti di cui non vengono indicate le generalità).
(4) Riportare i titoli dei reati di cui al capo d’imputazione.
(5) Occorre descrivere la condotta preferibilmente parafrasando il capo d’impu­tazione.
(6) Indicare i danni lamentati precisando, in particolare, i fatti e le ragioni di diritto per le quali dal fatto-reato è derivato un danno per il sottoscrittore dell’istanza, con esplicitazione del nesso causale tra il fatto illecito e l’allegata lesione.
(7) Indicare la somma per la quale si richiede la condanna dell’imputato/degli imputati al risarcimento del danno.
(8) Precisare l’ammontare delle singole voci di danno (allegare a riprova appo­sita documentazione). Peraltro, giova rammentare che la condanna generica al risarcimento dei danni pronunciata dal giudice penale presuppone l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e del nesso di causalità tra tale fatto e il pregiudizio lamentato, non essendo necessaria alcuna indagine sulla concreta esistenza di un danno risarcibile (Cass. pen. sez. V, n. 36657/2008).
(9) Indicare eventuali altre voci di danno (ad es.: biologico, esistenziale). L’omessa quantificazione, nelle conclusioni scritte, dei danni richiesti dalla parte civile a titolo di risarcimento, non produce alcuna nullità, né comporta la revoca implicita della costituzione, ben potendo il giudice pronunciare condanna generica al risarcimento (cfr. Cass. pen. sez. VI, n. 27500/2009); in effetti l’esercizio dell’azione civile ha come unica condizione essenziale la richiesta di risarcimento, la cui entità può essere precisata in altra sede dalla stessa parte o rimessa alla prudente valutazione del giudice (Cass. pen. sez. IV, n. 13195/2004). Ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni e il nesso di causalità tra questi e l’azione dell’autore dell’illecito, essendo sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose (Cass. pen. sez. VI, n. 9266/1994).
(10) Il soggetto che si costituisce parte civile non può stare in giudizio senza un difensore, a differenza di quanto pure previsto dall’art. 86 cod. proc. civ.; il difensore deve essere, a tal fine, munito di procura speciale (art. 76, primo comma, cod. proc. pen.). La parte civile ha la facoltà di nominare un unico difensore e qualora procedesse a nominarne un secondo, tale atto di nomina comporterebbe implicitamente la revoca del mandato del primo difensore (Cass. pen. sez. VI, n. 37421/2013). Il difensore munito della procura speciale avrà non soltanto poteri di rappresentanza ed assistenza tecnica (già contemplati dal normale mandato difensivo), ma potrà, altresì, esercitare le facoltà connesse alla costituzione di parte civile (transigere, revocare l’atto di costituzione, ri­nunciare all’impugnazione). Inoltre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute per dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto relativamente al rapporto sussistente tra la costituzione di parte civile e la sostituzione processuale ex art. 102 cod. proc. pen. Nello specifico, la Suprema Corte ha ritenuto che il sostituto processuale nominato dal difensore ha la facoltà di costituirsi parte civile purché gli sia stato conferito tale potere nella procura ovvero purché la persona danneggiata sia presente in udienza (Cass. pen. sez. Un., n. 12213/2017). Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che la procura speciale rilasciata dalla parte civile al difensore ai sensi dell’art. 100 cod. proc. pen. conferisce a quest’ultimo il potere di esercitare l’azione civile nel processo penale nei confronti non soltanto dell’imputato, ma altresì del responsabile civile, senza necessità che ciò sia espressamente indicato (Cass. pen. sez. IV, n. 5776/2020).
(11) Riportare i capi d’imputazione così come formulati dal pubblico ministero.
(12) Ai sensi dell’art. 122 cod. proc. pen., se la procura è rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dallo stesso difensore. La persona danneggiata che si costituisce personalmente parte civile deve nominare un difensore ma non anche un procuratore speciale (Cass. pen. sez. III, n. 35187/2009). La parte civile assume la qualità di parte nel processo sin dal momento della sua costituzione, senza necessità di un provvedimento ammissivo, sia pure implicito, del giudice (Cass. pen. sez. III, n. 12423/2008).

 

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Trasferimento dati UE-USA: il Parlamento dice no alla decisione di adeguatezza

Trasferimento dati UE-USA: il Parlamento dice no alla decisione di adeguatezza

Il trasferimento dei dati personali tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, che sembrava avviato verso una soluzione condivisa, non trova pace: il 14 febbraio 2023, la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento Europeo ha dato parere contrario alla bozza di decisione di adeguatezza sull’accordo che il 13 dicembre scorso la Commissione europea aveva pubblicato.

1. La bozza del Privacy Shield

Già da molti definito come Privacy Shield 2.0, la bozza di decisione seguiva l’emissione di un Ordine esecutivo del Presidente Biden e gli accordi da questi raggiunti con Ursula Von Der Leyen nel marzo 2022.
I motivi della bocciatura parlamentare sono tre:

  • Da un lato, l’interpretazione dei concetti di proporzionalità e necessità menzionati nell’ordine esecutivo americano non sarebbero in linea con gli analoghi principi statuiti e sanciti dal GDPR, che, come noto, è la legge di riferimento per il trattamento e la protezione dei dati personali da questa parte dell’Atlantico;
  • Secondariamente, non sarebbe stato previsto che le decisioni prese dalla Data Protection Review Court (DPRC, l’apposita Autorità che l’Unione Europea aveva ipotizzato per esaminare e decidere sui reclami presentati dai cittadini europei sul trattamento dei loro dati svolto oltre Oceano) siano pubbliche ed in generale non sarebbero assicurati adeguati meccanismi di tutela e trasparenza per i cittadini;
  • Infine, non esiste a tutt’oggi una Corte federale per la protezione dei Dati, a differenza di tutti gli altri destinatari delle decisioni di adeguatezza della Commissione europea.

Per queste ragioni, il Parlamento ha bocciato la decisione ed ha espressamente chiesto alla Commissione di non adottarne di nuove, fino a che non siano introdotti correttivi significativi e riforme in merito alla delicata materia del trattamento dei dati, in particolare con riferimento al tema scottante della sicurezza nazionale, in nome della quale negli USA è concessa, sostanzialmente, carta bianca al Governo federale per quanto riguarda il trattamento dei dati dei cittadini, compresi quelli europei.  

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2. Che cos’è una decisione di adeguatezza?

Una decisione di adeguatezza della Commissione Europea in materia di protezione dei dati rappresenta uno degli strumenti previsti dall’art. 45 del Reg. UE 679/2016 (GDPR) per consentire il trasferimento dei dati al di fuori dello spazio economico europeo, verso un Paese terzo.
Si tratta, in pratica, della valutazione che la Commissione compie sugli standard relativi alla protezione dei dati e sulla normativa privacy del Paese destinatario: se la Commissione reputa che in quel particolare Paese la protezione dei dati sia adeguata agli standard (elevatissimi) del GDPR, il trasferimento è consentito. Diversamente, il Titolare basato nell’Unione Europea e che tratta i dati di cittadini dell’Unione non può effettuare il trasferimento.
Il progetto che ha portato alla bozza di decisione oggetto di bocciatura ha valutato le garanzie relative alla raccolta e trattamento dei dati trasferiti negli Stati Uniti, in particolare esaminando la sussistenza di diritti equivalenti a quelle stabiliti dal GDPR, come si è visto con riferimento espresso all’utilizzo dei dati da parte del Governo federale per ragioni di sicurezza nazionale, un concetto astratto, politico prima ancora che giuridico, e di complessa definizione, tanto complessa da essere oggetto di analisi approfondita da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella famosa sentenza Schrems II, che ha annullato il privacy shield, dando origine alla tematica del trasferimento transoceanico.

3. Il trasferimento dei dati UE-USA: un iter travagliato

Il 6 ottobre 2015 la Corte di giustizia dell’Unione europea, infatti, ha dichiarato l’illegittimità della Decisione 520/2000/CE della Commissione che riconosceva l’adeguatezza del sistema basato sul cosiddetto Safe Harbour, cioè il primo accordo sul trasferimento dei dati tra UE e USA.
Successivamente, con la citata sentenza Schrems II, la stessa Corte ha dichiarato altresì invalida la decisione 2016/1250 sull’adeguatezza del secondo accordo tra Unione e Stati Uniti, il cosiddetto Privacy shield, rendendo di fatto illecito effettuare detto trasferimento (con le conseguenze ben note in ambito utilizzo di sistemi informatici e di tracciamento, quali ad esempio Google Analytics).
In entrambe le decisioni la Corte si è pronunciata ritenendo che la normativa statunitense sull’accesso ai dati da parte delle Autorità non fosse compatibile con i principi del GDPR e che non tutelasse a sufficienza i diritti e le libertà fondamentali degli interessati.
A seguito della pronuncia di invalidità del privacy shield, dunque, siamo in attesa di un nuovo accordo sul trasferimento tra UE e USA e conseguentemente di una decisione di adeguatezza. La mancanza di tale decisione, infatti, rende particolarmente difficili i rapporti commerciali tra le due sponde dell’Atlantico, con conseguenze pregiudizievoli per migliaia di imprese.
Nel marzo scorso, Biden e Von Der Leyen avevano pubblicato un comunicato stampa congiunto annunciando un’intesa di principio su un nuovo accordo quadro sul trasferimento dei dati dall’UE agli USA, noto come Trans-Atlantic Data Privacy Framework, che avrebbe dovuto recepire le argomentazioni della Corte di Giustizia attuando garanzie più stringenti sull’accesso e sull’utilizzo dei dati da parte dei cittadini UE da parte delle autorità federali americane: meno potere, meno sorveglianza, e più vigilanza sull’operato delle autorità, oltre alla previsione della già citata Data Protection Review Court, una nuova procedura a due livelli per l’esame e la risoluzione dei reclami presentati dai cittadini europei sull’utilizzo dei loro dati in America.
Purtroppo, nonostante il successivo ordine esecutivo del Presidente USA e l’avvio del processo di adozione di una decisione di adeguatezza da parte della Commissione Europea, sembra che ci sia ancora molta strada da fare, vista la recente bocciatura del parlamento Europeo.
Tutto da rifare dunque, sperando che arrivi presto lo scioglimento di questo nodo che a questo punto diventa essenziale per il business di migliaia di imprese sia da un lato sia dall’altro dell’Oceano.

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La nuova privacy

Dopo l’applicabilità definitiva del GDPR, il legislatore nazionale ha adottato il D.Lgs. n. 101/2018, che ha abrogato, modificato e rinnovato numerose disposizioni del “nostro” Codice Privacy (D.Lgs. n. 196/2003). Questa guida fa il punto sulle novità e chiarisce quali sono, allo stato attuale, gli adempimenti che imprese, studi professionali e Pubblica Amministrazione sono chiamati a porre in essere, al fine di mettersi in regola con la nuova normativa, evitando così pesanti sanzioni.  Argomenti trattati:• L’ambito di applicazione del GDPR • I concetti essenziali: il dato personale, la persona fisica identi- ficata e identificabile ed il trattamento • I principi per il trattamento dei dati personali • Le figure sog- gettive • Il trattamento dei dati personali • La trasparenza e l’informativa all’interessato • Il registro delle attività di trattamento • I diritti dell’interessato • La protezione dei dati fin dalla progettazione (privacy by design) • La protezione per impostazione predefinita (privacy by default ) • Le misure tecniche ed organizzative adeguate • Il trasferimento dei dati all’estero • La notifica della violazione dei dati personali • La valutazione di impatto sulla protezione dei dati e la consultazione preventiva dell’Autorità di Controllo • I codici di condotta e i meccanismi di certificazione • Le istituzioni • Forme di tutela • Le sanzioni • Le principali disposizioni transitorie e finali previste dal D.Lgs. n. 101/2018.LA NUOVA PRIVACYGli adempimenti per imprese, professionisti e P.A.dopo il decreto di adeguamento al GDPR (D.Lgs. n. 101/2018) NADIA ARNABOLDIDottore in Economia e Commercio, Dottore Commercialista (sezione A, n. 278), Revisore Contabile (n. 102461), co- ordinatrice della Commissione “Privacy, 231 ed antiriciclaggio” dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Pavia. Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) presso il Tribunale di Pavia in materia protezione dei dati personali. Riconosciuta “Fellow of Information Privacy (FIP)” dall’International Association Privacy Professionals (IAPP) e “Thought Leader in Privacy” da DataGuidance. Possiede le certificazioni internazionali Certified Information Privacy Professional Europe (CIPP/E), Certified Information Privacy Professional United States (CIPP/US) e Certified Information Privacy Manager (CIPM), ANSI/ISO standard 17024:2012. Nadia è Auditor/Lead Auditor ISO/IEC 27001:2013, European Privacy Auditor ISDP©10003:2015 e Auditor Database & Privacy Management SGCMF©10002:2013, PRD UNI EN ISO/IEC 17065:2012. Ha maturato una pluriennale esperienza presso primari Studi legali internazionali di Milano, è titolare dello Studio Arnaboldi dal 2004 e svolge attività di consulenza specialistica a società nazionali e multinazionali ed enti in materia di protezione dei dati personali, diritto delle nuove tecnologie, conservazione e processi documentali. Selezionata quale esperto indipendente per assistenza alla Commissione Europea, DG Home Affairs e DG Justice, in materia di Giustizia, Libertà e Sicurezza, Programma “Diritti Fondamentali e Giustizia – Protezione dei Dati Perso- nali” (2007/S 140-172522), ed inclusa nella lista di esperti per assistere la Commissione Europea nell’ambito del Programma Giustizia e del Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza (2014-2020). Componente dei gruppi di lavoro internazionali di DataGuidance “Global Data Breach Notification – At a Glance table” e “Pharmacovigilance at-a-glance advisory”, autrice dell’Advisory Note in materia di diritto farmaceutico e delle Advisory Notes su nuove tematiche in materia di protezione dei dati personali pubblicate in “Privacy this Week”. Contributor delle riviste mensili “Digital eHealth legal” (già eHealth Law & Policy) e “Data Protection Leader” (già Data Protection Law & Policy) edite da Cecile Park Publishing (CPP). Docente di corsi di formazione ed autrice di articoli specialistici e monografie in materia di protezione dei dati personali. Componente del Comitato Direttivo e coordinatrice del Comitato Scientifico dell’Associazione italiana dei Data Protection Officer (ASSO DPO).

 

Nadia Arnaboldi | Maggioli Editore 2018

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Immigrazione: le novità del decreto legge 20/2023

Immigrazione: le novità del decreto legge 20/2023

È stato pubblicato il 10 marzo del 2023 sulla Gazzetta ufficiale il decreto legge, 10 marzo 2023, n. 30 (d’ora in poi decreto legge n. 20/2023) con cui il governo è intervenuto in materia di immigrazione, introducendo delle disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare.
In questo atto avente forza di legge, inoltre, si è agito anche in materia penale in relazione a quanto ivi previsto dall’art. 8 che prevede per l’appunto delle disposizioni penali (da intendere latu sensu ossia non solo riferite al diritto penale sostanziale, ma anche in relazione al diritto penitenziario e alla procedura penale).
Ebbene, scopo del presente scritto è quello di compiere una prima disamina di quanto preveduto da questo articolo 8.

1. Le modifiche apportate all’art. 8 del d.lgs., 26 luglio 1998, n. 286

L’art. 8, co. 1, lett. a), decreto legge n. 20/2023 modifica l’art. 12 del d.lgs., 26 luglio 1998, n. 286 (d’ora in poi d.lgs. n. 286/1998) – che, come è noto, prevede delle norme incriminatrici in materia di immigrazione – nei seguenti termini: “a) all’articolo 12, comma 1, le parole: «da uno a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «da due a sei anni» e al comma 3 le parole: «da cinque a quindici anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sei a sedici anni»;”.
Tal che ne consegue che adesso chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito non più con la pena da uno a cinque anni di reclusione, ma da due a sei anni.
A sua volta, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è ora sanzionato non più con la reclusione da cinque a quindici anni, ma da sei a sedici anni.
Per ambedue le fattispecie criminose, invece, rimane invariata la pena pecuniaria (multa di 15.000 euro per ogni persona).

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2. Il “nuovo” art. 12-bis del d.lgs. n. 286/1998

L’art. 8, co. 1, lett. b), decreto legge n. 20/2023, invece, introduce una nuova fattispecie di reato, essendo ivi stabilito quanto segue: “dopo l’articolo 12, è inserito il seguente: «Art. 12-bis (Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina). – 1. Chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, quando il trasporto o l’ingresso sono attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante, è punito con la reclusione da venti a trenta anni se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone. La stessa pena si applica se dal fatto derivano la morte di una o più persone e lesioni gravi o gravissime a una o più persone. 2. Se dal fatto deriva la morte di una sola persona, si applica la pena della reclusione da quindici a ventiquattro anni. Se derivano lesioni gravi o gravissime a una o più persone, si applica la pena della reclusione da dieci a venti anni.  3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, la pena è aumentata quando ricorre taluna delle ipotesi di cui all’articolo 12, comma 3, lettere a), d) ed e). La pena è aumentata da un terzo alla metà quando concorrono almeno due delle ipotesi di cui al primo periodo, nonché’ nei casi previsti dall’articolo 12, comma 3-ter.  4. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui al comma 3, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.  5. Si applicano le disposizioni previste dai commi 3-quinquies,4, 4-bis e 4-ter dell’articolo 12.  6. Fermo quanto disposto dall’articolo 6 del codice penale, se la condotta è diretta a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato, il reato è punito secondo la legge italiana anche quando la morte o le lesioni si verificano al di fuori di tale territorio.»”.
Si tratta quindi per l’appunto di un nuovo reato, e segnatamente di un delitto.
In particolare, questo illecito penale è un reato comune, in quanto può essere commesso da chiunque che, a sua volta, deve porre in essere una delle condotte prevedute dal primo comma ossia: promuovere, dirigere, organizzare, finanziare o effettuare il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compiere altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente.
L’uso delle congiunzioni avversative “o” e “ovvero” lascia chiaramente intendere, ad avviso dello scrivente, come si tratti di condotte alternative, nel senso che è sufficiente che sia posta in essere una di tali azioni criminose (il reato de quo, quindi, è un reato commissivo) ma ciò, tuttavia, non è sufficiente perché possa ritenersi integrato codesto illecito penale.
Difatti, occorre che una di tali condotte sia stata compiuta in violazione delle disposizioni prevedute dal d.lgs. n. 286/1998, essendo altresì richiesto che il trasporto o l’ingresso siano attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante.
Solo quindi si verifichino anche tale condizioni (secondo lo scrivente, infatti, si tratta di anch’essi di elementi costitutivi del reato che, in quanto tali, devono essere investiti dal dolo, ossia l’autore del reato deve avere agito, nella consapevolezza di tali violazioni, attuando la condotta criminosa con le modalità summenzionate), dunque, il reato in questione può ritenersi perfezionato.
Ciò posto, sempre al primo comma è prevista la reclusione da venti a trenta anni se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone fermo restando che la stessa pena si applica se dal fatto derivano la morte di una o più persone e lesioni gravi o gravissime a una o più persone.
Orbene, questa previsione di legge, che riecheggia quella preveduta dall’art. 586 cod. pen. per il delitto di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, rende evidente, per chi scrive, come tale fatto integri una condizione di punibilità atteso che solo ove si verifichi la morte di più persona o lesione gravi o gravissime, l’autore del reato in oggetto può essere soggetto a questa sanzione detentiva.
Chiarito ciò, per quanto riguarda cosa debba intendersi per “conseguenza non voluta”, si può fare riferimento a quanto postulato dalle Sezioni unite penali nella sentenza n. 22676 del 22/01/2009.
In quell’occasione, infatti, gli Ermellini, in relazione al reato preveduto dall’art. 586 cod. pen. che, come appena visto, prevede anch’esso il riferimento alla “conseguenza non voluta”, ha affermato che, perché si possa rispondere per l’appunto di questa conseguenza non voluta, occorre “una responsabilità per colpa in concreto, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità, in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell’incolumità personale” (Cass. pen., Sez. un., n. 22676/2009) fermo restando che, ai “fini della imputazione della conseguenza ulteriore non voluta di un reato-base doloso, la colpa non può essere presunta in forza della sola violazione della legge incriminatrice del reato doloso” (Cass. pen., Sez. un., n. 22676/2009) essendo quindi necessario “che l’agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma (della legge sugli stupefacenti) che incrimina il delitto base e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali” (Cass. pen., Sez. un., n. 22676/2009) (il che sembra perfettamente ricorre nel caso qui in commento atteso che, come visto prima, il legislatore ha fatto riferimento, non alle violazioni previste dalla norma incriminatrice in sé e per sé considerata, ma dal d.lgs. n. 286/1998).
Occorre pertanto che sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra il fatto-reato summenzionato “e l’evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, da un altro lato, che l’evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all’agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi” (Cass. pen., Sez. un., n. 22676/2009).
Precisato ciò, al comma secondo viene invece meno il riferimento alla conseguenza non voluta, essendo unicamente disposto che, se “dal fatto deriva la morte di una sola persona, si applica la pena della reclusione da quindici a ventiquattro anni” (primo periodo) mentre, se “derivano lesioni gravi o gravissime a una o più persone, si applica la pena della reclusione da dieci a venti anni”.
Si tratta, anche in questo caso, ad avviso di chi scrive, di condizioni di punibilità che, in quanto tali, non devono essere necessariamente voluti e rappresentati dall’autore di questo reato.
Per quanto invece riguarda il comma terzo, sono previste delle circostanze aggravanti.
La prima, contemplata nel primo periodo, è un’aggravante speciale ad effetto comune, essendo ivi disposto che nei “casi di cui ai commi 1 e 2, la pena è aumentata quando ricorre taluna delle ipotesi di cui all’articolo 12, comma 3, lettere a), d) ed e)”, vale a dire quando: 1) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; 2) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; 3) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
La secondo, inserita nel secondo periodo, è invece un’aggravante speciale ad effetto speciale, essendo ivi preveduto che la “pena è aumentata da un terzo alla metà quando concorrono almeno due delle ipotesi di cui al primo periodo (già esaminato in precedenza ndr.), nonché’ nei casi previsti dall’articolo 12, comma 3-ter”, d.lgs. n. 286/1998, vale a dire allorché i fatti de quibus sono commessi: I) al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; II) al fine di trarne profitto, anche indiretto.
Ciò posto, a loro volta le “circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98[1] e 114[2] del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui al comma 3, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti” (così recita il comma quarto).
L’art. 12-bis, co. 5, d.lgs. n. 286/1998, dal canto suo, dispone che si “applicano le disposizioni previste dai commi 3-quinquies, 4, 4-bis e 4-ter dell’articolo 12” del d.lgs. n. 286/1998 le quali prevedono rispettivamente quanto segue: a) “Per i delitti previsti dai commi precedenti le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti”; b) “Nei casi previsti dai commi 1 e 3 è obbligatorio l’arresto in flagranza”; c) “Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”; d) “Nei casi previsti dai commi 1 e 3 è sempre disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti”.
Infine, al comma sesto è stabilito che, fermo “quanto disposto dall’articolo 6 del codice penale[3], se la condotta è diretta a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato, il reato è punito secondo la legge italiana anche quando la morte o le lesioni si verificano al di fuori di tale territorio”.

3. Le modifiche apportate in materia di ordinamento penitenziario

L’art. 8, co. 2, decreto legge n. 20/2023 dispone che all’“articolo 4-bis, commi 1 e 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354, le parole: «all’articolo 12, commi 1 e 3,» sono sostituite dalle seguenti: «agli articoli 12, commi 1 e 3, e 12-bis,»”.
Di conseguenza, per effetto di questo innesto legislativo, anche per il reato preveduto dall’art. 12-bis del d.lgs. n. 286/1998, vigono i divieti di benefici penitenziari previsti dal comma 1 dell’art. 4-bis della legge n. 354/1975 e le condizioni attraverso i quali invece poterli conseguire secondo quanto richiesto dal successivo comma 1-bis.

4. Le modifiche apportate in materia di procedura penale

Se l’art. 8, co. 3, decreto legge n. 20/2023 statuisce che all’“articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, le parole «all’articolo 12, commi 1, 3 e 3-ter,» sono sostituite dalle seguenti: «agli articoli 12, commi 1, 3 e 3-ter, e 12-bis,».”, il seguente comma quarto, invece, dispone che all’“articolo 407, comma 2, lettera a), n. 7-bis), del codice di procedura penale, le parole «dall’articolo 12, comma 3,» sono sostituite dalle seguenti: «dagli articoli 12, comma 3, e 12-bis»”.
Da ciò deriva che: I) le funzioni deputate al pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono attribuite all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente anche ove si proceda per il delitto di cui all’art. 12-bis del d.lgs. n. 286/1998; II) la durata delle indagini preliminari è pari a due anni se tali indagini riguardino il delitto appena menzionato.

Queste sono dunque le principali novità previsto da codesto decreto legge in materia “penale”, non resta dunque che vedere se tale normativa verrà confermata, così com’è, anche in sede di conversione.

Volume per approfondire

Il volume mette in rilievo, con buona completezza, gli orientamenti giurisprudenziali, segnalando però anche la dottrina “utile”, perché propositiva di soluzioni interpretative utilizzabili dall’operatore (giudici, avvocati, amministrazioni, servizi, ecc.).

 

FORMATO CARTACEO

Immigrazione, asilo e cittadinanza

Obiettivo degli autori è quello di cogliere l’articolato tessuto normativo del diritto dell’immigrazione nel suo vissuto giurisdizionale e nelle prassi amministrative. Per questa ragione il volume mette in rilievo, con buona completezza, gli orientamenti giurisprudenziali, segnalando però anche la dottrina “utile”, perché propositiva di soluzioni interpretative utilizzabili dall’operatore (giudici, avvocati, amministrazioni, servizi, ecc.). Novità di questa edizione è la trattazione delle procedure anagrafiche riguardo sia ai cittadini europei e ai loro familiari che ai cittadini di paesi terzi. L’opera si presenta utile da consultare di volta in volta per individuare singole soluzioni a casi concreti.   Paolo Morozzo della Rocca (a cura di)Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza e Professore ordinario di Diritto civile presso l’Università di Urbino. Condirige la collana “Persone, famiglie e Cittadinanze”, edita da Maggioli. Maria Acierno, Bruno Barel, Roberto Cherchi, Marco Ferrero, Matteo Gnes, Alberto Guariso, Enrico Lanza, Irene Marchioro, Livio Neri, Pierfranco Olivani, Daniela Panizzut, Guido Savio

 

Paolo Morozzo della Rocca (a cura di) | Maggioli Editore 2021

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  1. [1]

    Per cui: “E’ imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere; ma la pena è diminuita. Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale”.

  2. [2]

    Alla stregua del quale: “Il giudice, qualora ritenga che l’opera prestata da talune delle persone che sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato, può diminuire la pena. Tale disposizione non si applica nei casi indicati nell’articolo 112. La pena può altresì essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, quando concorrono, le condizioni stabilite nei numeri 3 e 4 del primo comma e nel terzo comma dell’articolo 112”.

  3. [3]

    Secondo cui: “Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana. Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione”.

 

1. I 3 capitoli

1. I 3 capitoli

Il documento si dipana in 3 capitoli:

  • Quadro normativo di riferimento. (Rito cartolare in appello. Rito cartolare in Corte di cassazione.).
  • Rito cartolare nel giudizio penale d’appello: la giurisprudenza sul deposito delle conclusioni del procuratore generale. (L’omessa formulazione delle conclusioni da parte del Procuratore generale. La comunicazione in ritardo (“non immediata”) delle conclusioni del procuratore generale ritualmente depositate nei termini. La formulazione tardiva delle conclusioni da parte del procuratore generale. L’omessa comunicazione delle conclusioni del procuratore generale depositate nei termini.).
  • Rito cartolare nel giudizio di cassazione: la giurisprudenza sul deposito delle richieste del procuratore generale presso la Corte di cassazione. (L’omessa formulazione delle conclusioni da parte del procuratore generale presso la Corte di cassazione. La tardiva comunicazione delle richieste del procuratore generale presso la Corte di cassazione. L’orientamento giurisprudenziale in ordine alla natura del termine del quinto giorno antecedente all’udienza per il deposito delle conclusioni della difesa.).

2. Il rito cartolare nella normativa emergenziale

Nel periodo di emergenza sanitaria veniva introdotto innanzi alla Corte di cassazione, dapprima, e innanzi alle corti di appello, in seguito, il rito cartolare, non partecipato, per la trattazione scritta dei processi penali. Il rito cartolare in cassazione è stato previsto dall’art. 83, c. 12-ter, d.l. n. 18/20, introdotto, in sede di conversione, dalla l. n. 27/20 e succ. mod., ed è stato poi ulteriormente disciplinato con il c.d. d.l. Ristori 2 (d.l. n. 137/20), convertito con modificazioni dalla l. n. 176/20; il giudizio penale d’appello, non partecipato, veniva invece disciplinato dal c.d. d.l. Ristori-bis (d.l. n. 149/20), abrogato in sede di conversione, ma con salvezza degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti in base a esso.

3. Il rito cartolare in appello

Il rito cartolare non partecipato in appello è stato introdotto dall’art. 23 del d.l. n. 149/20 (c.d. “Ristori bis”), che, ai commi da 1 a 6, contemplava una serie di disposizioni per la trattazione e decisione dei giudizi penali d’appello. La l. n. 176/20, di conversione, con modificazioni, del primo d.l. “Ristori” ha incorporato in sé le norme dei successivi decreti, tra cui anche il c.d. d.l. “Ristori-bis”, il quale è stato contestualmente abrogato, tuttavia con salvezza degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti in base a esso. L’incorporazione delle norme del decreto “Ristori-bis” è avvenuta inserendo il testo degli artt. 23 e 24, di fatto non modificato, se non con l’aggiunta di una disciplina apposita per le impugnazioni con PEC, tra gli articoli 23 e 24 del d.l. Ristori, mediante l’introduzione dei nuovi artt. 23-bis e 23-ter, d.l. n. 137/20. La norma che quindi disciplina, nello specifico, il procedimento cartolare in appello, durante la fase dell’emergenza pandemica, è l’art. 23-bis d.l. n. 137/20, che è stato introdotto, in sede di conversione, dalla l. n. 176/20 e che riproduce il testo del previgente art. 23 d.l. n. 149/20, contestualmente abrogato, con l’aggiunta, nella parte finale, del nuovo c. 7, che estende le disposizioni all’appello avverso le misure di prevenzione e all’appello cautelare ex art. 310 cod. proc. pen. In base all’art. 1, c. 2, l. n. 176/20, e sulla scorta di quanto previsto dall’art. 23-bis, c. 1, d.l. n. 137/20, a decorrere dal 9 novembre 2020 “fuori dai casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l’imputato manifesti la volontà di comparire”. La disposizione a cui il documento in parola assegna rilievo è quella contenuta al c. 2 dell’art. 23-bis, d.l. cit. secondo cui “Entro il decimo giorno precedente l’udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica ai sensi dell’articolo 16, c. 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o a mezzo dei sistemi che sono resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati. La cancelleria invia l’atto immediatamente, per via telematica, ai sensi dell’articolo 16, c. 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica, ai sensi dell’articolo 24 del presente decreto”.

4. Il rito cartolare diviene regola nella riforma Cartabia

Attraverso la riforma penale Cartabia (d.lgs. n. 150/22) il rito cartolare non partecipato è divenuto, nel giudizio di appello, la regola. Il nuovo articolo 589-bis cod. proc. pen., introdotto con il d.lgs. citato, prevede infatti che: “la corte provvede sull’appello in camera di consiglio. Se non è diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall’articolo 127, essa giudica sui motivi, sulle richieste e sulle memorie senza la partecipazione delle parti. Fino a quindici giorni prima dell’udienza, il procuratore generale presenta le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi, memorie e, fino a cinque giorni prima, memorie di replica. Il provvedimento emesso in seguito alla camera di consiglio è depositato in cancelleria al termine dell’udienza. Il deposito equivale alla lettura in udienza ai fini di cui all’articolo 545”.

5. Il rito cartolare in Corte di cassazione

La norma primigenia cui il contributo in disamina fa riferimento per la disciplina del rito cartolare, non partecipato, in cassazione, così come previsto dalla normativa emergenziale per il contrasto della pandemia, è l’art. 83, c. 12-ter, d.l. n. 18/20, introdotto, in sede di conversione, dalla l. n. 27/20, pubblicata il 29 aprile 2020 e modificato, il giorno seguente, dall’art. 3 d.l. n. 28/20 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 70), e, quindi, dall’art. 221 d.l. n. 34/20, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77/20.

6. Il rito cartolare in Cassazione post Cartabia

Tramite la riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/22) il rito cartolare non partecipato, già previsto dalla normativa emergenziale, risulta attualmente la regola anche per il giudizio di legittimità ex art. 611 c.p.p., nella sua versione riformulata, che espressamente prevede, al novellato c. 1: “la corte provvede sui ricorsi in camera di consiglio. Se non è diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall’articolo 127, la corte giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie senza la partecipazione del procuratore generale e dei difensori. Fino a quindici giorni prima dell’udienza il procuratore generale presenta le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi, memorie e, fino a cinque giorni prima, memorie di replica.”.

7. L’apparente coesistenza di norme e la soluzione proposta dalla Cassazione

Il contributo precisa le modifiche dell’art. 611 c.p.p. operate dalla riforma Cartabia, entrate in vigore il 30 dicembre 2022, si sono accompagnate alla proroga della disciplina emergenziale di cui all’art. 23, c. 8, del d.l. n. 137/2020, operata dal c. 2 dell’art. 94 del d.lgs. n. 150/22 per tutti i ricorsi proposti fino al 30 giugno 2023, sì da condurre ad una apparente coesistenza delle due discipline: mentre le prime, in un primo tempo differite, come tutte le altre disposizioni della riforma “Cartabia”, dal d.l. n. 162/22, sono definitivamente entrate in vigore, in assenza di ulteriori disposizioni transitorie, alla data del 30 dicembre 2022, l’entrata in vigore delle seconde è stata così disciplinata, per effetto di emendamenti apportati in sede di conversione del decreto legge suddetto quanto, in particolare, all’art. 94 del d.lgs. n. 150/2022. L’apparente coesistenza di tali norme, che potrebbero sembrare di analogo contenuto, ma che in realtà si differenziano su alcuni punti va però risolta ritenendo che la normativa emergenziale abbia una natura speciale rispetto all’altra, sicché è quest’ultima che attualmente appare essere oggetto di concreta applicazione in Corte e lo sarà, per effetto del citato art. 94 in relazione a tutti i ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023. Il che significa che la concreta riespansione dell’art. 611 c.p.p., come modificato, avverrà soltanto quando, a mano a mano, la Corte si occuperà di ricorsi non più proposti entro il 30 giugno 2023 e quindi, tenendo conto dei tempi di fissazione dei giudizi normalmente impiegati, all’incirca intorno alla fine dell’anno 2023.

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Il presente formulario, aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n.150 (Riforma Cartabia) e alla Legge 30 dicembre 2022, n. 199, di conv. con mod. del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Decreto Nordio), rappresenta un valido strumento operativo di ausilio per l’Avvocato penalista, oltre che per i Giudici di pace o per gli aspiranti Avvocati, mettendo a loro disposizione tutti gli schemi degli atti difensivi contemplati dal codice di procedura penale, contestualizzati con il relativo quadro normativo di riferimento e corredati dalle più significative pronunce della Corte di Cassazione, oltre che dai più opportuni suggerimenti per una loro migliore redazione.La struttura del volume, divisa per sezioni seguendo sostanzialmente l’impianto del codice di procedura penale, consente la rapida individuazione degli atti correlati alle diverse fasi processuali:Giurisdizione e competenza – Giudice – Pubblico ministero – Parte civile – Responsabile civile – Civilmente obbligato – Persona offesa – Enti e associazioni – Difensore – Gli atti – Le notificazioni – Le prove – Misure cautelari personali – Riparazione per ingiusta detenzione – Misure cautelari reali – Arresto in flagranza e fermo – Indagini difensive e investigazioni difensive – Incidente probatorio – Chiusura delle indagini – Udienza preliminare – Procedimenti speciali – Giudizio – Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica – Appello – Ricorso per cassazione – Revisione – Riparazione per errore giudiziario – Esecuzione – Rapporti giurisdizionali con le autorità straniere.Specifiche sezioni, infine, sono state dedicate al Patrocinio a spese dello stato, alle Misure cautelari nei confronti degli enti (D.Lgs. n. 231 del 2001) ed al Processo penale davanti al Giudice di pace (D.Lgs. n. 274 del 2000).L’opera, infine, è anche corredata da un’utilissima appendice, contenente schemi riepilogativi e riferimenti normativi in grado di rendere maggiormente agevole l’attività del legale.Valerio de GioiaGiudice penale in servizio presso il Tribunale di Roma.Paolo Emilio De SimoneGiudice penale in servizio presso il Tribunale di Roma.

 

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Inammissibilità e improcedibilità penale: la Cassazione fa chiarezza

Inammissibilità e improcedibilità penale: la Cassazione fa chiarezza

L’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di Cassazione, Settore Penale, ha diffuso, tramite il website istituzionale, la Relazione tematica n. 12 del 6 marzo 2023 titolata “Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali in ordine al rapporto tra inammissibilità del ricorso per cassazione e improcedibilità”.

Leggi la Relazione tematica n. 12 del 6 marzo 2023

Rel.12-2023.pdf 259 KB

 

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1. La Relazione n. 12

L’organo giudiziario di legittimità, con una nuova relazione, torna a fare chiarezza su temi controversi, in specie a seguito della riforma Cartabia, che ha cambiato le carte e imposto nuove regole. In 38 pagine l’Ufficio del Massimario e del Ruolo illustra gli aspetti di inammissibilità e improcedibilità del ricorso, alla luce della giurisprudenza più recente e dei contributi dottrinali.

2. La novella della riforma Cartabia

Il contributo origina dall’illustrazione del nuovo comma 2 dell’art. 2 della legge 27 settembre 2021, n. 134 che tramite la lettera a), ha introdotto nel codice di rito penale l’art. 344-bis Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione») in virtù del quale costituisce causa di improcedibilità dell’azione penale la mancata definizione:

  • del giudizio d’appello entro il termine di due anni (comma 1)
  • del giudizio di Cassazione entro il termine di un anno (comma 2).

Si rappresenta che dette unità di misura, prorogabili, sono costruite in simmetria ai limiti temporali della cd. legge Pinto (art. 2, comma 2-bis, legge 24 marzo 2001, n. 89) di ragionevole durata del processo, bene di rango costituzionale (art. 111, comma secondo, Cost.) e convenzionale (art. 6, § 1, CEDU) del quale il nuovo meccanismo estintivo costituisce garantistica attuazione. La decorrenza del termine di improcedibilità è determinata nel novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine per il deposito della motivazione previsto per il giudizio di appello dall’art. 544 cod. proc. pen. – come eventualmente prorogato ai sensi dell’art. 154 disp. att. cod. proc. pen. (comma 3) – e per il giudizio di cassazione dall’art. 617, comma 2, cod. proc. pen. (comma 8).

Potrebbero interessarti anche: Corte di cassazione sull’istituto dell’improcedibilità di cui all’art. 344 bis c.p.p., recentemente introdotto con la c.d. riforma Cartabia

3. Tempo dell’oblio e del processo

Il legislatore della riforma, secondo l’Ufficio, ha adottato una soluzione “dualistica” fondata sulla distinzione tra:

  • tempo dell’oblio (cui consegue la prescrizione sostanziale del reato),
  • tempo del processo (cui consegue l’improcedibilità dell’azione penale, ossia la cd. prescrizione processuale).

La pronuncia della sentenza di primo grado (sia essa di condanna o di assoluzione) segna la definitiva cessazione del corso della prescrizione (art. 161-bis cod. pen.), dopodiché scatta un autonomo sbarramento temporale per le impugnative (art. 344-bis cod. proc. pen.) nel quale il superamento del termine massimo incide, non più sul reato, ma sul potere statuale di proseguire“nell’esame del merito e di giungere ad una condanna definitiva, caducando la precedente pronuncia”.

4. I profili controversi

In vista della progressiva entrata a regime della nuova disciplina dell’improcedibilità “temporale” o “cronologica” come pure è stata meglio definita dalla prima dottrina, la relazione, ricognitiva degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali finora maturati, riguarda due specifici profili controversi:

  • il regime temporale dell’improcedibilità e i connessi dubbi di legittimità costituzionale dello sbarramento di operatività ai reati commessi antecedentemente al 1° gennaio 2020;
  • il rapporto tra l’improcedibilità ex art. 344-bis cod. proc. pen. e l’inammissibilità del ricorso per cassazione.

5. I 4 capitoli

Il documento si dipana in 4 capitoli:

  • L’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata del giudizio di impugnazione.
  • La giurisprudenza di legittimità: primi riferimenti.
  • Il regime temporale dell’improcedibilità: norme transitorie e questioni in tema di retroattività. (Il difetto di coordinamento tra i commi 4 e 5 dell’art. 2 legge n. 134 del 2021. Lo sbarramento temporale dell’art. 2, comma 3, legge n. 134 del 2021: la natura dell’istituto e le ricadute in tema di possibile applicabilità ai reati commessi prima del 1° gennaio 2020. La dottrina maggioritaria sulla legittimità costituzionale del regime intertemporale. La dottrina minoritaria sull’illegittimità costituzionale del regime intertemporale. I risvolti in malam partem: la possibile natura sfavorevole dell’istituto. La giurisprudenza di merito sull’infondatezza della questione di costituzionalità. Segue: i rilievi dottrinari. Il primo arresto di legittimità sull’infondatezza della questione di costituzionalità. Segue: i rilievi dottrinari. La successiva giurisprudenza di legittimità.).
  • I rapporti tra improcedibilità e inammissibilità dell’atto di impugnazione. (La prevalenza della declaratoria d’inammissibilità nel primo (ed unico) arresto di legittimità. La conforme tesi dottrinaria del primato dell’inammissibilità sull’improcedibilità. La difforme tesi dottrinaria del primato dell’improcedibilità sull’inammissibilità dell’impugnazione.).

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Sant’ Eriberto di Colonia

 

Sant’ Eriberto di Colonia


Nome: Sant’ Eriberto di Colonia
Titolo: Vescovo
Nascita: 970 circa, Worms, Germania
Morte: 1021, Colonia, Germania
Ricorrenza: 16 marzo
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Canonizzazione:
1074 circa, Roma, papa Gregorio VII,

Quando si è detto che Eriberto fu consacrato Vescovo di Colonia nel 999 si è già detto molto. Si era alla vigilia di quel Mille, che si annunziava pieno di spavento, per la creduta fine del mondo.

Su quel momento di universale panico si è calcato molto la mano, come se l’aspettativa dei giorni apocalittici avesse davvero paralizzato la vita del mondo. Basterebbe ricordare le parole carducciane su « Le turbe raccolte intorno a’ manieri feudali, accasciate e singhiozzanti nelle chiese tenebrose e ne’ chiostri, sparse con pallidi volti e sommessi mormorii per le piazze ».

Oggi i colori di quel momento storico si sono sensibilmente schiariti, non però tanto da mutare le temute tenebre della notte perpetua, in una sperata alba di vita felice.

Sta di fatto che l’Impero degli Ottoni, se non vacillava, certo veniva già turbato, specie in Italia, dal verzicare dei liberi comuni, e i discendenti del primo grande e potente Ottone scendevano in Italia per morirvi quasi tutti giovani.

Eriberto, nato a Worms, da nobile famiglia, si trovava a fianco di Ottone III, quando .il giovanissimo Imperatore scese in Italia. Era anzi il suo cancelliere. Ciò non significava che fosse uomo politico; era un ecclesiastico, che aveva studiato in una Abbazia benedettina ed era stato Preposto della Chiesa di Worms.

Forse si deve anche a lui, oltre che alla madre di Ottone III, Teofania, l’inclinazione che il giovane Imperatore mostrò per l’antica civiltà romana, che preferiva a quella tedesca. Egli pensò persino di far di Roma la sede dell’Impero, contro il parere dei suoi superbi teutoni ed anche contro il desiderio dei gelosi romani.

Eriberto si trovava a fianco di questo Imperatore germanico, quando, a Benevento, fu nominato Vescovo di Colonia. Mentre Ottone III rimaneva in Italia, dove sarebbe stato ucciso giovanissimo, a ventidue anni, Eriberto risalì la penisola e attraversò la Germania, per essere, come abbiamo detto, consacrato a Colonia, nel 999.

Cominciò allora la sua opera di consolazione e di conforto negli anni dello sgomento e del terrore. Umile, dolce, affabile, sereno, sollevò le anime e guidò la diocesi con dolce zelo.

Egli stesso, per penitenza, portava indosso costantemente il cilicio, ma non approvava che il terrore provocasse forme troppo aspre di sacrificio.

Il successore di Ottone III, quell’Enrico che abbiamo visto sposo della casta e caritatevole Cunegonda, non apprezzò da prima le qualità del Vescovo Eriberto. Ma poi, riconoscendo di avere sbagliato, gli chiese pubblicamente perdono e lo volle suo cancelliere.

Eriberto si sentiva però pastore e padre, soccorritore di miserie morali e materiali. Egli, che avrebbe potuto vivere nella Reggia Imperiale, si faceva stretto obbligo di visitare la propria diocesi, portando ovunque la serenità del proprio spirito e la generosità del proprio cuore. E durante una di queste visite pastorali, caduto ammalato, morì, a Duitz, il 15 marzo 1021.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Colonia in Germania, sant’Eriberto, vescovo, che, cancelliere dell’imperatore Ottone III, eletto contro il suo volere alla sede episcopale, illuminò incessantemente il clero e il popolo con l’esempio delle sue virtù, alle quali esortava nella predicazione.