Archivi giornalieri: 24 marzo 2023

Lavoratori italiani all’estero: retribuzioni convenzionali 2023

 

Lavoratori italiani all’estero: retribuzioni convenzionali 2023

Le retribuzioni convenzionali per i lavoratori all’estero in Paesi non legati all’Italia da accordi di sicurezza sociale

Pubblicazione: 24 marzo 2023

Con la circolare INPS 23 marzo 2023, n. 33 l’Istituto comunica le retribuzioni convenzionali per il 2023, da prendere come riferimento per il calcolo dei contributi, per i lavoratori all’estero in Paesi extracomunitari non legati all’Italia da accordi di sicurezza sociale.

Le retribuzioni convenzionali si applicano non soltanto ai lavoratori italiani, ma anche ai cittadini degli altri stati Ue e agli extracomunitari, titolari di regolare titolo di soggiorno e di contratto di lavoro in Italia, inviati dal proprio datore di lavoro in un paese extracomunitario.

Le retribuzioni convenzionali, inoltre, si applicano anche nei confronti dei lavoratori operanti in paesi convenzionati, limitatamente alle assicurazioni non contemplate dagli accordi di sicurezza sociale.

Oltre alle tabelle con le retribuzioni convenzionali, la circolare fornisce le istruzioni per la compilazione della denuncia UNIEMENS da parte dei datori di lavoro e per la regolarizzazione dei contributi

Lavoratori agricoli: pubblicazione elenchi annuali per il 2022

Lavoratori agricoli: pubblicazione elenchi annuali per il 2022

Gli elenchi annuali saranno pubblicati dal 31 marzo

Pubblicazione: 24 marzo 2023

Dal 31 marzo 2023 saranno pubblicati (ai sensi dell’articolo 38, commi 6 e 7, legge 6 luglio 2011, n. 111), con valore di notifica ad ogni effetto di legge, gli elenchi annuali dei lavoratori agricoli valevoli per il 2022.

Sarà possibile visualizzarli fino al 15 aprile 2023.

Che cos’è il capitolo di spesa “rifugiati nel paese donatore”

Che cos’è il capitolo di spesa “rifugiati nel paese donatore”

In questa voce rientrano le spese sostenute per l’accoglienza in Italia di richiedenti o titolari di protezione internazionale. Sono la principale componente dell’aiuto gonfiato e una quota significativa dell’Aps italiano.

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Definizione

La voce “rifugiati nel paese donatore” è uno specifico capitolo di spesa all’interno della rendicontazione ufficiale sull’uso dei fondi di aiuto pubblico allo sviluppo (Aps). In questa voce rientrano le spese sostenute per gestire le richieste di asilo.

Si tratta della componente principale del cosiddetto aiuto gonfiato. La spesa per rifugiati è infatti una politica di grandissima importanza, che però allo stesso tempo non costituisce una politica di sviluppo verso i paesi di origine dei rifugiati stessi, che sarebbero i destinatari dei fondi.

Negli anni questa voce di spesa ha avuto un peso oscillante, aumentando dal 2014 al 2017, calando poi fino al 2020 e infine riprendendo a crescere nel 2021, in corrispondenza dell’aumento dei flussi migratori. 

Nel 2017 in particolare le risorse destinate alla voce “rifugiati nel paese donatore” avevano, per via dell’aumento dei flussi migratori, raggiunto livelli molto elevati. Ne derivava però un’erosione dei fondi destinati all’obiettivo proprio dello sviluppo e pertanto, dopo una complessa negoziazione con i paesi donatori, furono elaborate delle linee guida sulla contabilità di questo capitolo di spesa, per ovviare al problema della difformità nell’interpretazione. Nel documento, l’Ocse ha ribadito l’opportunità di considerare aiuto allo sviluppo i costi per i rifugiati sulla base del valore umanitario di questo tipo di assistenza.

Secondo le regole attuali possono essere inclusi solo i costi sostenuti entro i primi 12 mesi di permanenza del richiedente asilo, a partire dal suo arrivo nel paese o dalla data di presentazione della sua domanda di asilo o protezione. Nel caso dei richiedenti la cui domanda fosse respinta, nessuna spesa successiva al diniego definitivo può essere rendicontata, anche qualora rientrasse nel limite temporale dei 12 mesi.

Per quanto riguarda invece le persone cui viene riconosciuta l’istanza di asilo, sono riconosciute come Aps tutte le spese dirette qualificabili come temporanee, purché rientrino nel limite temporale stabilito, mentre vanno escluse quelle di natura più permanente che promuovono l’integrazione dei rifugiati nell’economia del paese donatore.

Stando al disegno di legge di bilancio 2023si possono considerare Aps le spese per:

  • vitto e alloggio (inclusi i costi di manutenzione e di affitto delle strutture di accoglienza) e altri articoli essenziali, per esempio gli abiti;
  • istruzione (in caso di minori) o formazione (corsi di lingua o altre attività ad hoc);
  • cure mediche di base e supporto psico-sociale alle persone con bisogni specifici;
  • assistenza per la richiesta di asilo (traduzioni, counseling su aspetti legali e amministrativi);
  • pocket money, spesso definito diaria (cioè il contributo in denaro contante per le piccole spese personali);
  • trasporto in caso di reinsediamento (con cui si intende il trasferimento del richiedente asilo o protezione da un paese di transito a un paese di accoglienza, a opera dell’Unhcr), o il rimpatrio volontario verso un paese in via di sviluppo entro i 12 mesi della richiesta;
  • costi addizionali legati alle attività che hanno come scopo principale il salvataggio in mare;
  • spese amministrative dirette (inclusi i costi del personale).

Non possono essere invece inclusi:

  • i costi per l’integrazione (per esempio l’istruzione terziaria, i programmi di formazione professionale o di inserimento lavorativo, le forme di sostegno al reddito);
  • la costruzione di centri di accoglienza;
  • I processi di elaborazione delle domande di asilo finalizzati all’accoglimento o al respingimento delle stesse;
  • i servizi di polizia e pattugliamento delle frontiere, delle vie di transito e dei centri di accoglienza;
  • i controlli di sicurezza;
  • il controllo dei confini, anche aerei e marini, se lo scopo prioritario della missione non è salvare potenziali richiedenti di protezione internazionale;
  • i costi di detenzione e le azioni di contrasto al traffico di esseri umani;
  • i costi sostenuti per i richiedenti asilo sottoposti a procedure “corte”, “accelerate” o “fast track“;
  • i rimpatri volontari superati i 12 mesi dalla domanda;
  • i rimpatri forzati;
  • i costi amministrativi indiretti;
  • tutte le spese relative a chi non ha espresso la volontà di inoltrare una richiesta di asilo.

Dati

Nel 2010 la voce di spesa “rifugiati nel paese donatore” rappresentava appena lo 0,12% dell’intero aiuto pubblico allo sviluppo italiano. Negli anni ha però progressivamente acquisito importanza, passando dal 9% del 2012 al 32,7% del 2016.

Successivamente la quota relativa ai rifugiati nel paese donatore è tornata a scendere, passando dal 30,8% del 2017 (quando l’importo in termini assoluti ha raggiunto il livello più alto, con oltre 160 milioni di euro) al 5,4% del 2020. Nel 2021 si può osservare un nuovo aumento che ha portato il peso di tale componente a superare il 9% del totale dell’aiuto pubblico allo sviluppo del nostro paese.

Negli anni dal 2014 al 2017, che hanno visto un’importante aumento degli arrivi in Europa, la crescita del capitolo di spesa sui rifugiati ha coinvolto tutti i paesi del comitato Dac, pur avendo inciso in modo particolare sui paesi più interessati dai fenomeni migratori, come l’Italia.

Complessivamente, infatti, nel 2016 i paesi del comitato Dac hanno rendicontato 15,9 miliardi di dollari di spesa per i rifugiati nel paese donatore, pari all’11% dell’Aps totale. Negli ultimi anni, tra 2018 e il 2021, il rapporto si è attestato tra il 5% e il 7%.

Analisi

A partire dal 2017 la quota di Aps coperta dalla voce di spesa “rifugiati nel paese donatore” ha iniziato la sua discesa, con un calo decisamente più marcato dopo il 2018. Numeri influenzati ovviamente anche dalla riduzione degli sbarchi di richiedenti asilo e migranti sulle coste italiane.

Leggendo i dati possiamo notare che tra il 2018 e il 2020 le quote dedicate agli aiuti multilaterale e bilaterale (al netto della voce sui rifugiati nel paese donatore) hanno avuto variazioni lievi, mentre è proprio il capitolo di spesa sui rifugiati ad aver visto un calo evidente.

La sua riduzione non è di per sé una cattiva notizia, considerando anche che la decisione di contabilizzarla all’interno dell’Aps è stata negli anni contestata da più parti. Tuttavia, per evitare che questo calo produca una riduzione complessiva dell’Aps è necessario che i governi decidano di investire di più in altri settori della cooperazione, incrementando i fondi destinati all’aiuto genuino, ossia quelle risorse effettivamente usate per progetti di cooperazione e sviluppo nei paesi destinatari delle donazioni e dei crediti di aiuto.

Nel 2021 poi le risorse dedicate a questo capitolo di spesa sono nuovamente aumentate. Se si tratterà di un’inversione di tendenza, dipenderà in gran parte dall’andamento dei flussi migratori nei prossimi anni. L’aumento registrato nel 2022 e nei primi mesi del 2023 porta a pensare che ci sarà, contestualmente, un incremento.

L’articolo è stato redatto grazie al progetto “Cooperazione: mettiamola in Agenda!”, finanziato dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Le opinioni espresse non sono di responsabilità dell’Agenzia.

 

La Legge 22 giugno 2016, n. 112, tra aspettative e realtà.

La Legge 22 giugno 2016, n. 112, tra aspettative e realtà.

In seguito all’iniziativa promossa da FISH lo scorso 2 marzo intitolata “La Legge sul Dopo Di Noi: tra aspettative e realtà” e riprendendo nostri precedenti articoli, affronteremo in questo approfondimento, alcuni aspetti legati alla Legge 22 giugno 2016, n. 112 emerse durante il dibattito.

Questa legge, nota come Legge sul “Dopo di noi” individua una serie di strumenti finalizzati alla protezione patrimoniale e alla pianificazione del progetto di vita delle persone con disabilità: i trust, i vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile; i fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario anche a favore di enti del Terzo settore.

Introduzione

La L. 112/2016 oltre a rafforzare gli interventi pubblici, riconosce come necessario avvalersi di strumenti privatistici per supportare le famiglie delle persone con disabilità, agevolando con misure fiscali significative gli strumenti di pianificazione per il durante e per il dopo di noi      e per favorire erogazioni private a favore delle persone con disabilità o degli enti del Terzo settore.

Gli strumenti finalizzati alla protezione patrimoniale e alla pianificazione del progetto di vita sono:

  • il trust;
  • i vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile;
  • i fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario anche a favore di enti del Terzo settore iscritti nella sezione enti filantropici del Registro Unico Nazionale del Terzo settore o che operano prevalentemente nel settore della beneficenza in favore di persone con disabilità grave.

É sempre richiesta la forma dell’atto pubblico per la loro costituzione.

É importante sapere che, sebbene la Legge sul Dopo d Noi sia rivolta a persone con disabilità “grave” (come definito dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104) è condivisa l’opinione che gli strumenti giuridici previsti dalla Legge siano utilizzabili anche per progetti di vita a favore di persone con disabilità non gravi, con l’unica conseguenza che non troveranno in tal caso applicazione le agevolazioni di natura fiscale previste dall’art. 6.

Il trust

Il trust è un atto unilaterale che consente ad una persona, di trasferire la titolarità di qualsivoglia bene e diritto ad altro soggetto, il Trustee, a vantaggio di altro soggetto, detto Beneficiario.

Il Trustee nell’accettare l’ufficio assume delle obbligazioni giuridiche fiduciarie: osservare, con la massima diligenza e buona fede ed, in assenza di conflitto di interessi, le regole contenute nell’atto istitutivo di trust, che costituisce il programma voluto dal Disponente e da questi affidato al Trustee ad esclusivo vantaggio del Beneficiario nonché rispettare le regole stabilite dalla Legge regolatrice del trust.

L’effetto reale tipico del trust è la segregazione: i beni conferiti inizialmente dal Disponente nel trust costituiranno un patrimonio separato sia dal patrimonio del Disponente, che ne ha perso la proprietà, sia da quello personale del Trustee che Io possiede, sia da quello del Beneficiario, che ancora non Io ha ricevuto, ma ha solo delle aspettative su di esso.

Il trust ha un costo iniziale per la sua istituzione legato al necessario intervento dell’avvocato che deve redigere l’atto istitutivo e del notaio che deve dargli la forma dell’atto pubblico ed a eventuali altri professionisti coinvolti nella redazione dell’atto istituivo e nel progetto di vita. Successivamente i costi sono quelli relativi agli uffici previsti nel trust: Trustee e Guardiano. Solitamente i primi trustee e guardiani sono i genitori stessi della persona con disabilità. Qualora non sia possibile mantenere questi uffici in capo ai familiari della persona con disabilità, si dovrà ricorrere a professionisti, pertanto si dovrà tener conto del costo per Io svolgimento degli incarichi affidati di Trustee e Guardiano.

Per far sì che i costi inerenti l’utilizzo del trust non rappresentino un impedimento per le famiglie, sono state avviate alcune sperimentazioni per favorire l’assunzione della figura di Trustee da parte di Enti del Terzo Settore in grado di offrire un servizio professionale, con competenze allargate anche alla gestione del progetto di vita ed alle relazioni con associazioni e cooperative di riferimento, con costi di gestione contenuti o modulabili in ragione della loro natura non lucrativa e della possibilità di accorpare più persone (i cosiddetti trust collettivi) in una logica di “economia di scala”.

Attualmente potrebbe essere visto come una risposta al bisogno di assistenza delle persone con disabilità, in particolare per il momento in cui non avranno più il sostegno genitoriale: la fase cd. del “DOPO DI NOI”.

Il “DOPO DI NOI” va costruito consapevolmente già nella fase del “DURANTE NOI”.

La Legge all’art 6.3 individua le seguenti condizioni che devono essere presenti affinché si possa parlare di un trust istituito ai sensi della stessa Legge sul DOPO DI NOI:

  • istituzione per atto pubblico;
  • individuazione dei beni, di qualsiasi natura conferiti in trust (fondo in trust) e loro destinazione esclusiva alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust;
  • esclusivo Beneficiario del Trust: la persona con disabilità grave;
  • finalità esclusiva: l’inclusione sociale, la cura e assistenza della persona con disabilità;
  • il termine finale della durata del trust;
  • la Legge straniera che regola il trust.

Nell’atto devono essere individuati in maniera chiara e univoca:

  • le aspirazioni, le necessità, le attività assistenziali specifiche e necessarie per la cura della persona con disabilità;
  • le attività finalizzate a ridurre il rischio della istituzionalizzazione;
  • il Trustee e le sue obbligazioni riguardo al progetto di vita e agli obiettivi di benessere che deve promuovere a vantaggio della persona e di rendicontazione;
  • i Beneficiari del Residuo al termine del Trust (a chi andrà il patrimonio residuo alla fine del trust);

il soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte al Trustee, il Guardiano e le sue obbligazioni e regole sulla sua successione.

Il trust istituito secondo la Legge 112/2016 ed il suo trattamento fiscale

La Legge contiene specifiche agevolazioni fiscali —ai fini delle imposte indirette – per i trasferimenti di beni e diritti conferiti in trust (ovvero gravati dai vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile ovvero destinati a fondi speciali istituiti in favore delle persone con disabilità grave), a condizione che tali strumenti rispettino i requisiti elencati nell’art. 6, comma 2, della Legge.

In particolare, a partire dal 1 gennaio 2017, i suddetti trasferimenti sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni e assoggettati all’imposta di registro e, in presenza di trasferimenti immobiliari, sono assoggettati alle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa.

La norma estende le agevolazioni all’ipotesi di ritrasferimento dei beni e diritti conferiti a favore della persona che aveva istituito il trust o costituito il vincolo di destinazione in caso di premorienza del beneficiario con disabilità. Questa disposizione non trova attuazione in caso di fondi speciali, in quanto una attribuzione patrimoniale effettuata a favore di una Onlus o di un Ente di Terzo settore non è ripetibile.

L’art. 6, comma 7, introduce infine l’esenzione dall’imposta di bollo per gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonché per le copie dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni posti in essere o richiesti dal trustee ovvero dal fiduciario del fondo speciale ovvero dal gestore del vincolo di destinazione.

Un cenno circa le imposte dirette, il trust è generalmente un ente non commerciale ed è pertanto soggetto IRES (aliquota attualmente vigente del 24%), in tal senso conformemente sul trust nella specifica tipologia del trust per il Dopo di Noi secondo la Legge si è espressa I’ Agenzia delle Entrate nel marzo 2017 che ha riconosciuto assoggettabilità IRES del trust “Dopo di Noi”.

La proposta sarebbe di trattare questi trust come gli Enti del Terzo Settore e pertanto non assoggettarli per nulla a tassazione data la finalità meritevole e di pubblico interesse che perseguono. Tale esenzione avrebbe particolare rilievo a partire dal momento della morte dell’ultimo genitore in vita sino alla morte della persona con disabilità.

Vi sono tuttavia delle problematiche fiscali ancora da sciogliere che oggi conducono ad una tassazione non agevolata al trust “Dopo di Noi”.

La Legge infatti consente ai Comuni, ma non impone, riduzioni, franchigie per le imposte comunali ma nella prassi quasi nulla è stato fatto con la conseguenza che, se una persona fisica ha una prima casa non paga l’IMU, ma se Io detiene un trust a vantaggio di una persona con disabilità invece è soggetto al pagamento.

 

A cura di Vincenzo Falabella e Francesca Romana Lupoi

 

Cos’è il green deal europeo

Cos’è il green deal europeo

Si tratta dell’insieme di strategie e piani d’azione proposti e adottati dalla commissione europea per ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Definizione

A novembre 2019 il parlamento europeo ha dichiarato l’emergenza climatica. Dopo pochi giorni la commissione ha presentato una nuova strategia, denominata “green deal europeo“, articolata in una serie di piani d’azione e volta a concretizzare l’impegno europeo per il raggiungimento della neutralità climatica. Si tratta dell’ultima e più importante e strutturale iniziativa Ue sul clima.

Il green deal (patto verde) europeo prende le mosse dall’Agenda 2030 delle Nazioni unite, di cui è parte integrante, ma individua obiettivi aggiuntivi, più ambiziosi. In particolare quello di ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990.

La crescita è concepita come adattamento.

Si tratta di una nuova strategia di crescita che include un adattamento ai cambiamenti climatici e alle necessità dell’ambiente. Per questo motivo la transizione ecologica, uno dei pilastri dello sviluppo sostenibile, riveste un ruolo prioritario. In questo contesto, la sostenibilità non viene vista soltanto da un punto di vista ambientale ma integra tutti gli ambiti di azione dell’Ue. L’Unione infatti si propone con questo piano di tenere un approccio inclusivo e consapevole delle attuali disuguaglianze economiche e sociali.

La commissione ha presentato la sua proposta per la prima legge europea sul clima nel marzo del 2020. Attraverso questo atto, l’azzeramento delle emissioni di Co2 entro il 2050 è diventato un obiettivo giuridicamente vincolante. Sono state inoltre proposte le misure per verificare i progressi compiuti, da svolgersi ogni 5 anni, in linea con il bilancio globale previsto dall’accordo di Parigi.

La legge sul clima concretizza in un atto giuridico il nostro impegno politico e ci pone in modo irreversibile sulla strada verso un futuro più sostenibile. Questo atto costituisce l’elemento centrale del green deal europeo, e offre prevedibilità e trasparenza per l’industria e gli investitori europei.

Nel corso dei mesi seguenti sono stati adottati una serie di strategie e piani d’azione specifici, rivolti a numerosi settori. Dall’industria e dal settore chimico ai trasporti, fino all’architettura e al design. Per promuovere al loro interno una maggiore attenzione alla sostenibilità.

Sono stati inoltre formulati piani per ridurre le emissioni inquinanti, per combattere il fenomeno del disboscamento, per favorire la diffusione dell’agricoltura biologica e l’implementazione di un modello di economia circolare. Ma non sono mancate le proposte anche a livello di partecipazione civica, per esempio con il patto europeo per il clima, uno spazio di scambio e interazione con l’obiettivo di creare un movimento di sensibilizzazione ai cambiamenti climatici. Soprattutto nel 2022, con la crisi causata dallo scoppio del conflitto in Ucraina, una delle tematiche principali è stata quella dell’energia, in particolare con lo strumento del RepowerEu, il cui scopo è quello di affrancare l’Europa dai carboni fossili.

A oggi le principali proposte che compongono il patto verde europeo sono le seguenti:

  • direttiva sulle energie rinnovabili;
  • direttiva sull’efficienza energetica;
  • iniziativa FuelEu Maritime;
  • iniziativa ReFuelEu Aviation;
  • regolamento sull’infrastruttura per i combustibili alternativi;
  • direttiva sulla tassazione dell’energia;
  • meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere;
  • fondo sociale per il clima;
  • sistema per lo scambio di quote di emissioni dell’Ue per produzione di energia, industria, trasporti marittimi e aerei;
  • strategia forestale dell’Ue;
  • scambio di quote di emissioni per i trasporti stradali e l’edilizia;
  • regolamento sull’uso del suolo, la silvicoltura e l’agricoltura;
  • regolamento sulla condivisione degli sforzi;
  • livelli di emissioni di Co2 per auto e furgoni.

Secondo il piano di investimenti elaborato nel 2020, per realizzare il tutte queste proposte sarà necessario circa 1 trilione, ovvero mille miliardi di euro. A questo scopo sono mobilitate moltissime risorse dell’Ue, a partire dal suo bilancio a lungo termine, che contribuirà per oltre 500 miliardi di euro.

25% del bilancio a lungo termine dell’Ue per il periodo 2021-2027 sarà utilizzato per obiettivi climatici e ambientali, secondo la commissione europea.

Mentre il programma InvestEu mobiliterà circa 279 miliardi di euro in investimenti privati e pubblici nei settori del clima e dell’ambiente nel periodo 2021-2030. Altri ruoli importanti saranno quelli della Banca europea per gli investimenti (Bei) e dei due fondi per l’innovazione e per la modernizzazione (esterni al bilancio annuale).

Dati

Da decenni ormai l’Unione europea riconosce l’effetto sul clima e sull’ambiente della presenza umana sulla Terra e si impegna a contrastarlo. La decarbonizzazione è un processo lungo e complesso, siccome moltissime attività umane comportano produzione e consumo di energia, che ancora dipendono largamente dai prodotti petroliferi e dal gas naturale, responsabili dell’emissione di elevati quantitativi di sostanze inquinanti nell’atmosfera. Tali agenti hanno l’effetto di alterare le temperature e quindi gli equilibri degli ecosistemi. Causando una serie di effetti nocivi a catena, i quali hanno importanti ripercussioni anche sulla salute umana e sullo sviluppo.

Come evidenzia la European environmental agency (Eea), l’energia è il primo settore per emissioni di gas serra, con un contributo pari al 26% del totale. Seguono i trasporti e l’industria (entrambi per il 22%).

Dal 1990 al 2020 le emissioni sono diminuite del 33,3%, passando da 4,69 a 3,12 kt Co2 eq. Un calo significativo, ma ancora piuttosto lontano dagli obiettivi fissati dal green deal per il 2030. Oltre che legato al fatto che il 2020 è stato un anno molto particolare da un punto di vista ambientale, per via della temporanea interruzione di molte attività inquinanti durante il lockdown. Il più affidabile dato del 2019 vede infatti il calo a un più contenuto 25%, meno della metà del traguardo finale, che dovrebbe essere raggiunto ormai in meno di 7 anni.

Analisi

Il patto verde è chiaramente un piano molto ambizioso, che mobilita ingenti risorse per scopi importanti e difficili da raggiungere. Una grande opportunità, ma per questo anche una sfida.

In primo luogo, si tratterà di verificare come questi fondi verranno utilizzati e se effettivamente si riuscirà a trovare sempre un punto di incontro tra la questione climatica e ambientale e le altre dinamiche sociali, economiche e politiche. Tensioni di questo genere sono già emerse con la crisi energetica, quando le questioni geopolitiche (il supporto europeo all’Ucraina tramite il boicottaggio della Russia) e quelle socio-economiche (l’inflazione che ha colpito il settore energetico per questa ragione) hanno messo alla prova l’Unione.

A maggior ragione considerata la scarsa capacità dell’Unione europea stessa di gestire i disaccordi interni. Proprio nel caso del green deal per esempio la Polonia ha sottolineato di voler raggiungere gli obiettivi climatici al proprio ritmo, e per evitare l’impasse l’Unione europea ha dovuto ricorrere alla clausola dell’opting out, in deroga del principio di unanimità.

Ma bisognerà anche verificare se le risorse saranno utilizzate per progetti di reale impatto (e non per semplice greenwashing). E quindi che la decarbonizzazione rimanga sempre e comunque la priorità. In questo senso, il peso notevole dei privati nel programma di finanziamento potrà costituire un aspetto problematico, che sarà necessario monitorare. Ma questo non è l’unico problema relativo ai fondi. Come evidenziato da uno studio sui vantaggi e i limiti del green deal, si tratta anche di soldi già esistenti. Nessuna risorsa viene “creata” per questo scopo.

Un altro problema, evidenziato tra gli altri da Greenpeace, è che per quanto gli obiettivi possano sembrare ambiziosi, non sono tuttavia sufficienti per raggiungere la neutralità climatica. Il piano dell’Unione europea è quello di combinare la crescita economica con la sostenibilità. Ma secondo gli studi in materia, una negoziazione in questo senso potrebbe essere impossibile. Tra gli altri, a sostenerlo è la stessa agenzia europea per il clima, che sottolinea come scindere la crescita economica dal consumo di risorse e quindi dalle pressioni ambientali appaia via via meno realizzabile. Difatti, evidenzia l’Eea, la probabilità che l’Europa raggiunga i suoi obiettivi risulta a oggi molto bassa.

 

Santa Caterina di Svezia

 

Santa Caterina di Svezia


Nome: Santa Caterina di Svezia
Titolo: Religiosa
Nome di battesimo: Katarina Ulfsdotter
Nascita: XIV Secolo, Svezia
Morte: 24 marzo 1381, Vadstena, Svezia
Ricorrenza: 24 marzo
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Canonizzazione:
1484, Roma, papa Innocenzo VIII
Nacque sul principio del secolo XIV dalla celebre S. Brigida e dal principe Ulfone di Noricia. Già i loro avi si erano distinti per virtù e in modo particolare per devozione alla passione del Salvatore. Caterina fu il fiore più bello e fragrante che Dio concesse ai due santi coniugi. Bambina fu affidata all’educandato delle religiose del monastero di Rosberg. Il Signore la voleva tutta per sè, e a questo scopo permise che il demonio alcune volte la molestasse e la facesse soffrire. La Santa sempre più andò staccando il cuore dai passatempi e divertimenti della età, andò sempre più confermandosi nella volontà di darsi tutta a Dio nello stato verginale. Però per ubbidire al padre sacrificò il suo alto ideale, per passare a nozze col ricco e nobile cavaliere Edgardo. Seppe tuttavia parlare così eloquentemente dei pregi della verginità, che lo sposo consentì di vivere con lei in perpetua continenza, emettendo entrambi il voto di castità: voto che sempre osservarono. Ebbe a soffrire innumerevoli beffe, rimbrotti e contraddizioni, perfino da parte di un fratello; ma essa altro non amava nè cercava che di piacere a Dio.

Mortole il padre, raggiunse la madre a Roma, seguendola nei suoi pellegrinaggi e nell’arduo apostolato fra i miseri e gli infermi. In questo frattempo Dio chiamò al premio il pio suo sposo Edgardo.

Essendo ancora giovane ed avvenente, e rifiutando seconde nozze, innumerevoli furono le insidie e le lusinghe tentate da uomini brutali per recidere il giglio immacolato della sua verginità. Sempre trionfò con l’aiuto di Dio, cui di continuo era unita colla preghiera, aiuto manifestatosi alle volte anche miracolosamente. Passava quattro ore al giorno in preghiera intensa e in contemplazione. Ereditò le virtù e lo spirito di carità e di apostolato di sua madre, colla quale rimase per 25 anni: ne accolse l’ultimo respiro e ne portò le sante reliquie in Svezia. Tornata in patria, si ritirò in un monastero, ove fu superiora. Più tardi si recò nuovamente a Roma, per la canonizzazione della madre. Vi rimase cinque anni, spendendo il tempo che le rimaneva dalle occupazioni più importanti al servizio degli infermi e derelitti. Il Signore volle per suo mezzo compiere innumerevoli miracoli. Tornò infine in patria, nel suo monastero, ove morì il 24 marzo 1381.

PRATICA. Impariamo da questa Santa la custodia degli occhi.

PREGHIERA. O Dio, che nella beata Caterina ci desti sì mirabile esempio di purezza illibata, concedici, te ne preghiamo, per sua intercessione, che noi, puri di mente e di cuore, consacriamo tutte le nostre forze al tuo santo servizio.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Vadstena in Svezia, santa Caterina, vergine: figlia di santa Brigida, data alle nozze contro il suo volere, conservò, di comune accordo con il marito, la sua verginità e, dopo la morte di lui, condusse una vita pia; pellegrina a Roma e in Terra Santa, trasferì le reliquie della madre in Svezia e le ripose nel monastero di Vadstena, dove ella stessa vestì l’abito monacale.

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Domande Frequenti

  • Quando si festeggia Santa Caterina di Svezia?

  • Chi è il santo protettore dall’ aborto spontaneo?

  • Quando nacque Santa Caterina di Svezia?

  • Dove nacque Santa Caterina di Svezia?

  • Quando morì Santa Caterina di Svezia?

  • Dove morì Santa Caterina di Svezia?

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– Santa Caterina de’ Ricci
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Santa Caterina Volpicelli

– Santa Caterina Volpicelli
VergineCaterina nacque a Napoli in una famiglia dell’alta borghesia, studiò al Collegio Reale di San Marcellino, sotto la sapiente guida di Margarita Salatino…
Santa Caterina Fieschi Adorno da Genova

– Santa Caterina Fieschi Adorno da Genova
VedovaCaterina Fieschi nacque a Genova nel 1447, quinta e ultima figlia di Giacomo, che secondo alcune fonti, .mori prima della sua nascita, e della moglie…
Santa Caterina Drexel

– Santa Caterina Drexel
FondatriceCaterina Maria Drexel nacque a Filadelfia, Pennsylvania, U.S.A., il 26 novembre 1858; aveva due sorelle e apparteneva a una famiglia ricca, ma molto pia…

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Oggi 24 marzo si venera:

Santa Caterina di Svezia

Santa Caterina di Svezia
ReligiosaNacque sul principio del secolo XIV dalla celebre S. Brigida e dal principe Ulfone di Noricia. Già i loro avi si erano distinti per virtù e in modo particolare per devozione alla passione del Salvatore…

Domani 25 marzo si venera:

Annunciazione del Signore

Annunciazione del Signore
L’annuncio del concepimento verginaleIl mistero che la S. Chiesa celebra oggi è l’Annuncio dell’Arcangelo Gabriele a Maria, che Ella era stata dal Signore scelta fra tutte le donne ad essere la Madre di Dio, e l’incarnazione del Verbo nel…
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Oggi 24 marzo nasceva:

Santa Caterina da Siena

Santa Caterina da Siena
Vergine e dottore della Chiesa, patrona d’ItaliaIl Signore è solito servirsi di umili e deboli creature per operare cose grandi: si servì di Ester per liberare il suo popolo dalla morte, di Giuditta per abbattere l’invitto Oloferne, si servì di Maria SS. per compiere la Redenzione, si servì di S. Caterina da Siena per dare la pace alla Chiesa e ai popoli del suo tempo.
Oggi 24 marzo si recita la novena a:

– Santa Maria Annunciata
«Il Signore è mia luce e mia salvezza» (Sal 27,1). Sia benedetto, o Maria, il tanto atteso momento in cui iniziò la salvezza umana con l’Incarnazione del Figlio di Dio. Ave, o Maria, piena di grazia, il…
– Sant’ Ugo di Grenoble
O ammirabile Sant’Ugo, la tua umiltà era così grande che hai cercato di nascondere le tua abilità e il tuo apprendimento. O ammirabile Sant’Ugo, dona anche a noi di riconoscere sempre la nostra povertà…
– San Francesco da Paola
I. O glorioso s. Francesco, che, miracolosamente risanato dalla cecità portata dal seno materno, fino dalla più tenera infanzia faceste vostra gioia la pietà la più soda, la penitenza la più austera, e…
 

Scuola pubblica o scuola di Stato?

Scuola pubblica o scuola di Stato?
di Francesco Casula
Ma la nostra scuola è pubblica – cioè rivolta ai nostri giovani, al nostro “pubblico” – o di Stato? Nei contenuti come nella organizzazione, nella gestione come nei metodi? Deo la penso in custa manera. La scuola italiana in Sardegna è rivolta a un alunno che non c’è: tutt’al più a uno studente metropolitano, nordista e maschio. Non a un sardo. E’ una scuola che con i contesti sociali, ambientali, culturali e linguistici degli studenti non ha niente a che fare. Nella scuola la Sardegna non c’è: è assente nei programmi, nelle discipline, nei libri di testo. Si studia Orazio Coclite, Muzio Scevola e Servio Tullio: fantasie con cui Tito Livio intende esaltare e mitizzare Roma. Non si studia invece – perché lo storico romano non poteva scriverlo – che i Romani fondevano i bronzetti nuragici per modellare pugnali e corazze; per chiodare giunti metallici nelle volte dei templi; per corazzare i rostri delle navi da guerra. Nella scuola si studia qualche decina di Piramidi d’Egitto, vere e proprie tombe di cadaveri di faraoni divinizzati, erette da centinaia di migliaia di schiavi, sotto la frusta delle guardie;ma non si studiano le migliaia di nuraghi, suggestivi monumenti alla libertà, eretti da migliaia comunità nuragiche indipendenti e federate fra loro. Si studia Napoleone, “piccolo e magro, resistentissimo alla fatica!” ma non si spende una sola parola per ricordare che il tiranno corso, venuto in Sardegna, bombardò La Maddalena e sconfitto da Domenico Millelire, con la coda fra le gambe dovette ritirarsi e abbandonare “l’impresa”. Si studia insomma l’Italia “dalle amate sponde” e “dell’elmo di Scipio”, ma la Sardegna, con le sue vicissitudini storiche, le dominazioni, la sua civiltà e i suoi tesori ambientali, culturali e artistici è del tutto assente: un diplomato sardo e spesso persino un laureato, esce dalla scuola senza sapere nulla dell’architettura nuragica, della Carta De Logu, di Salvatore Satta e persino di Grazia Deledda. E’ ancora in vigore un DPR (89/2010) nel quale Mariastella Gelmini, all’epoca Ministro dell’Istruzione, dettava le linee guida per i docenti, e definiva i fondamentali degli insegnamenti ritenuti strategici per le scuole superiori. In questo DPR per quel che concerne la poesia e la narrativa del ‘900 da affrontare nei licei, sono indicati a titolo esemplificativo diciassette autori principali a cui fare riferimento: “…si esordirà con le esperienze decisive di Ungaretti, Saba e Montale, …contemplerà un’adeguata conoscenza di Rebora, Campana, Luzi, Sereni, Caproni, Zanzotto, …comprenderà letture da autori significativi come Gadda, Fenoglio, Calvino, P. Levi e potrà essere integrato da altri autori come Pavese, Pasolini, Morante, Meneghello”. Avete capito? C’è Meneghello (con tutto il rispetto per lo scrittore vicentino) ma non Grazia Deledda, unica Premio Nobel donna per la letteratura. Per non parlare degli autori in lingua sarda. Neppure nominati. Si studiano – in tutti i manuali – poeticoli come Prati e Aleardi e non giganti come Montanaru (elogiato persino da Pasolini) o Peppino Mereu: che non ha niente da invidiare ai poeti maledetti francesi come Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e Mallarmé. La lingua sarda dunque. Essa dalle scuole in Sardegna – a parte qualche esperienza portata avanti a titolo personale e sperimentale da qualche docente volenteroso – è rigorosamente esclusa. Bandita. Nonostante la pedagogia moderna più attenta e avveduta infatti ritenga che la lingua materna e i valori alti di cui si alimenta sono i succhi vitali, la linfa, che nutrono e fanno crescere i bambini senza correre il gravissimo pericolo di essere collocati fuori dal tempo e dallo spazio contestuale alla loro vita. Solo essa consente di saldare le valenze e i prodotti propri della sua cultura ai valori di altre culture. Negando la lingua materna, non assecondandola e coltivandola si esercita grave e ingiustificata violenza sui bambini, nuocendo al loro sviluppo e al loro equilibrio psichico. Li si strappa al nucleo familiare di origine e si trasforma in un campo di rovine la loro prima conoscenza del mondo. I bambini infatti – ma il discorso vale anche per i giovani studenti delle medie e delle superiori – se soggetti in ambito scolastico a un processo di sradicamento dalla lingua materna e dalla cultura del proprio ambiente e territorio, diventano e risultano insicuri, impacciati, “poveri” culturalmente e linguisticamente. Dimezzati.
 
 
 
 
 
Visualizzato da Francesco Casula alle 07:27
 
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