Archivi giornalieri: 4 marzo 2023

Come il Pnrr incentiva la digitalizzazione delle Pa locali#OpenPNRR

Come il Pnrr incentiva la digitalizzazione delle Pa locali#OpenPNRR

Rendere più efficiente e digitale la pubblica amministrazione è uno degli obiettivi perseguiti dal Pnrr. Sono già molti i fondi assegnati, anche a livello locale, per questa finalità.

 | 

Come noto, la digitalizzazione del paese rappresenta uno degli obiettivi principali del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). A questo settore infatti sono dedicati circa 48 miliardi degli investimenti previsti pari a circa il 25% del totale. Si tratta di una quota superiore di 5 punti percentuali rispetto al minimo obbligatorio previsto del regolamento istitutivo del Next generation Eu. Una quota importante di queste risorse servirà per migliorare l’accessibilità alla rete e la velocità delle connessioni per privati, istituzioni e imprese.

Ma una parte altrettanto importante di queste risorse sarà utilizzata anche per rendere più efficiente la pubblica amministrazione. Ci sono diverse misure del Pnrr infatti che vanno in questa direzione con l’obiettivo di rendere più efficace, snello e veloce il rapporto tra cittadini e Pa. Il dipartimento per la trasformazione digitale stima in circa 6 miliardi di euro gli investimenti Pnrr in questo ambito.

Una quota rilevante di risorse servirà anche per finanziare la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni a livello locale. Queste rappresentano il punto di contatto più immediato tra il cittadino e lo stato. Dunque migliorare l’efficienza di questi uffici è molto importante.

€ 1,78 miliardi € le risorse del Pnrr già assegnate per la digitalizzazione delle Pa locali.

Grazie agli open data messi a disposizione dal dipartimento siamo in grado di capire come questi fondi si distribuiscono a livello locale, chi sono gli enti beneficiari e quali interventi saranno finanziati. Un aspetto rilevante emerso dall’analisi di questi dati è che in alcuni casi le amministrazioni hanno rinunciato alle risorse assegnate loro.

Trasparenza, informazione, monitoraggio e valutazione del PNRR

Il tuo accesso personalizzato al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Accedi e monitora

Gli investimenti del Pnrr per la digitalizzazione delle Pa locali

Gli investimenti del Pnrr per la digitalizzazione della pubblica amministrazione rientrano nella prima componente della missione 1: “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella pa”. Come già anticipato, una parte degli investimenti previsti sarà dedicata agli enti locali.

Il dipartimento per la trasformazione digitale stima in circa 2 miliardi gli interventi in questo ambito. Tali risorse si suddividono tra 6 diverse voci. Si tratta nello specifico di:

  • Abilitazione e facilitazione della migrazione sul cloud. Le Pa locali potranno avvalersi di una serie di fornitori certificati per trasferire in cloud tutta la documentazione in loro possesso. Per far questo sarà fornito loro anche supporto tecnico;
  • Piattaforma digitale nazionale dati. Questa nuova infrastruttura si prefigge di interconnettere le basi dati in possesso delle Pa affinché l’accesso ai servizi sia trasversale e le informazioni di interesse per i cittadini possano essere fornite una volta per tutte;
  • Esperienza del cittadino nei servizi pubblici. Questo investimento prevede l’armonizzazione delle pratiche di tutte le pubbliche amministrazioni verso standard comuni di qualità (ad esempio, funzionalità e navigabilità dei siti web e di altri canali digitali);
  • PagoPA e app IO. Si punta a rafforzare l’adozione delle piattaforme nazionali di servizio digitale incrementando la diffusione di PagoPA (la piattaforma di pagamenti tra la Pa e cittadini e imprese) e della app IO (un canale che mira a diventare il punto di accesso unico per i servizi digitali della Pa);
  • Adozione dell’identità digitale. Si punta a rafforzare il sistema di identità digitale, partendo dai servizi esistenti (Spid, carta d’identità elettronica) ma con l’obiettivo di arrivare a un’unica interfaccia;
  • Piattaforma notifiche digitali. Tale strumento servirà per inviare notifiche con valore legale in modo interamente digitale.

Per l’assegnazione delle risorse previste dagli investimenti appena citati sono stati finora emanati 26 diversi bandi. Tra questi 15 si sono già conclusi mentre gli altri sono ancora in corso. D’altronde nella maggior parte dei casi non ci sono scadenze di rilevanza europea – cioè quelle che l’Ue verifica prima di inviare nuove risorse – particolarmente ravvicinate. 

Fa eccezione da questo punto vista la misura dedicata al cloud che prevede entro il 31 marzo di quest’anno l’assegnazione di tutti gli appalti. Per quanto riguarda invece le app della pubblica amministrazione e la piattaforma notifiche digitali alcuni target sono previsti alla fine dell’anno. In tutti gli altri casi invece le scadenze da rispettare sono più avanti nel tempo.

La situazione è quindi ancora parziale ma grazie agli open data implementati dal dipartimento per la trasformazione è possibile capire come queste risorse si distribuiscono sui vari territori e anche chi sono i soggetti beneficiari.

Come si distribuiscono i fondi 

A livello regionale, possiamo osservare che il territorio che per il momento riceve la maggior quantità di risorse è la Lombardia con circa 326,4 milioni di euro. Seguono Veneto (192,5 milioni), Piemonte (150,2), Campania (146,3) e Sicilia (115,7). Per quanto riguarda invece gli interventi finanziati, al primo posto troviamo gli investimenti per migliorare l’esperienza del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione (787,5 milioni), al secondo posto gli investimenti sul cloud (558,8).

Questo contenuto è ospitato da una terza parte. Mostrando il contenuto esterno accetti i termini e condizioni di flourish.studio.
 
 

FONTE: elaborazione openpolis su dati dipartimento per la trasformazione digitale
(ultimo aggiornamento: lunedì 13 Febbraio 2023)

 
I comuni sono i principali beneficiari dei fondi Pnrr per la digitalizzazione delle Pa locali.

Com’è evidente dai grafici, sono i comuni i principali beneficiari di questi investimenti. Questi enti infatti riceveranno sostanzialmente il 95% delle risorse. Il 3,5% invece è destinato alle scuole per gli interventi sul cloud e al miglioramento dell’esperienza del cittadino. Mentre il resto è suddiviso tra una miriade di altre componenti della Pa a livello locale. Tra i soggetti finanziati troviamo, solo per fare alcuni esempi, agenzie regionali, camere di commercio, ordini professionali, comunità montane, aziende sanitarie e ospedaliere (in quest’ultimo caso occorre ricordare che altri investimenti per la digitalizzazione sono previsti nell’ambito delle misure del Pnrr per la sanità). Tali enti peraltro per il momento hanno avuto accesso solo ai fondi per il potenziamento del sistema di identità digitale per le app PagoPA e IO.

A livello locale, com’è logico attendersi, la maggior quantità di risorse è assorbita dai territori più popolosi. Al primo posto infatti troviamo Roma capitale con circa 9,6 milioni di euro già assegnati. Seguono Napoli (8,1 milioni), Torino (8), Firenze (8) e Verona (7,9). Singolare il caso di Milano che per questi investimenti riceve “solo” 7,1 milioni collocandosi al nono posto tra i comuni che ricevono più risorse. Un dato insolito per il secondo comune più popoloso del paese e probabilmente dovuto, almeno in parte, a una condizione di partenza già buona. Di conseguenza c’è stato meno bisogno di ricorrere ai fondi Pnrr in questo caso rispetto ad altre realtà.

Questo contenuto è ospitato da una terza parte. Mostrando il contenuto esterno accetti i termini e condizioni di flourish.studio.
 
 

FONTE: elaborazione openpolis su dati dipartimento per la trasformazione digitale
(consultati: lunedì 13 Febbraio 2023)

 

Tra i comuni non capoluogo l’ammontare di risorse maggiore va a Giugliano in Campania a cui finora sono stati assegnati oltre 2 milioni di euro. Seguono altri 2 centri campani: Aversa e Afragola entrambi con circa 1,2 milioni di euro assegnati.

Il tema delle rinunce

Come abbiamo visto, finora le risorse assegnate agli enti locali per la digitalizzazione ammontano a circa 1,78 miliardi. Tuttavia il dipartimento per la trasformazione digitale parla di una cifra superiore ai 2 miliardi. Da cosa dipende questo disallineamento? Ciò è dovuto al fatto che alcune amministrazioni pur risultando beneficiarie degli investimenti hanno successivamente deciso di rinunciarvi.

€ 251 milioni le risorse da riattribuire per rinuncia delle Pa beneficiarie.

Tra i territori protagonisti delle rinunce spicca il caso di Palermo dove non arriveranno circa 5,3 milioni di euro, la maggior parte dei quali erano destinati all’infrastruttura cloud dell’ente comunale. Sono poi 6 i comuni in cui l’ammontare complessivo delle rinunce supera il milione di euro. Si tratta di Giugliano in CampaniaLatinaTrentoMessinaBergamo e Roma.

Purtroppo dalle informazioni disponibili non è possibile risalire alle motivazioni che hanno portato a queste rinunce. Una delle più plausibili riguarda il fatto, come abbiamo raccontato, che le Pa locali non siano in grado di adempiere alle numerose e complesse procedure richieste dal Pnrr per accedere alle risorse. In questo caso è possibile che, vista l’enorme mole di adempimenti burocratici di cui occuparsi, i responsabili di alcuni enti abbiano deciso di tirarsi indietro.

È possibile poi che in alcuni casi le rinunce siano dovute ad altre motivazioni. Ad esempio il fatto che l’importo assegnato non sia sufficiente a coprire l’intero costo del progetto. In questo caso l’ente beneficiario che non sia riuscito a sopperire ai fondi mancanti si è visto costretto a rinunciare. Un’altra ipotesi è che semplicemente gli stessi progetti siano risultati vincitori di altri bandi non rientranti nell’ambito del Pnrr.

In tutto questo occorre ricordare ancora una volta che molti bandi sono ancora in corso. Non è quindi da escludere che alcune proposte possano essere recuperate in un secondo momento.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Scarica i dati, comune per comune

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto: Unsplash – Annie Spratt

Come procede l’inclusione dei minori di seconda generazione#conibambini

Come procede l’inclusione dei minori di seconda generazione#conibambini

Oltre 1,3 milioni di bambini e ragazzi in Italia hanno un background migratorio, essendo stranieri o italiani per acquisizione della cittadinanza. La piena inclusione è una delle principali sfide del nostro paese per i prossimi anni.

 | 

Partner


In Italia i minori stranieri oppure italiani per acquisizione sono più di 1,3 milioni. Un milione se si considerano quelli che non hanno la cittadinanza italiana.

Bambini e ragazzi che nella grande maggioranza dei casi, frequentano le stesse scuole dei loro coetanei, condividono le stesse speranze e preoccupazioni, parlano e pensano nella stessa lingua.

Nell’ultimo rapporto annuale Istat ciò è emerso abbastanza chiaramente. Anche tra chi ha solo la cittadinanza straniera, è prevalente l’abitudine di pensare in italiano.

78,5% alunni di cittadinanza straniera che dichiarano di pensare in italiano (2021).

Una quota media che sconta due tendenze. La prima è l’impatto dell’età di arrivo sulla risposta. Tra chi è nato in Italia o è arrivato in Italia in età prescolare la percentuale supera l’84%, scende al 70,3% tra chi è arrivato tra i 6 i 10 anni e al 49,3% tra chi è arrivato dopo gli 11 anni.

L’altro elemento da considerare è l’alta percentuale di giovani (oltre il 20%) che non risponde alla domanda. Una tendenza attribuibile alla compresenza delle due abitudini, pensare nella lingua di origine e in italiano, variando a seconda dei contesti e delle situazioni.

I minori stranieri o italiani per acquisizione hanno tante storie e percorsi diversi.

Aspetti che aiutano a inquadrare come quando si parla di minori con background migratorio ci si riferisca a un insieme eterogeneo di ragazze e ragazzi. I giovani di “seconda generazione”, in senso stretto ragazzi nati da genitori stranieri nel paese di immigrazione, sono 1 milione e costituiscono circa 3/4 dei minori stranieri e di origine straniera. Come abbiamo avuto modo di approfondire in passato, diversi autori includono tra le seconde generazioni anche chi, pur essendo nato all’estero, è arrivato in Italia in giovane età.

Questo contenuto è ospitato da una terza parte. Mostrando il contenuto esterno accetti i termini e condizioni di flourish.studio.
 
 

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: venerdì 8 Luglio 2022)

 

Il restante 25% (306.873 persone) sono persone nate all’estero. Trasversale alla distinzione rispetto al paese di nascita è quella rispetto alla cittadinanza. Tra i circa 300mila nati all’estero, oltre 240mila sono minori stranieri, mentre 60mila hanno la cittadinanza italiana. Nel milione di bambini e ragazzi nati in Italia, i minori con cittadinanza non italiana sono quasi 780mila, quelli naturalizzati sono 228mila. Perciò complessivamente i minori stranieri sono circa 1 milione.

Tali cifre, che sono in parte anche il frutto di una stima dell’istituto di statistica, indicano chiaramente come il mondo dei minori con background migratorio sia ben più articolato di quanto si possa pensare, e molto più sfuggente alle classificazioni statistiche rispetto al passato.

È evidente che le nuove generazioni sono più complesse da misurare e da studiare rispetto al passato. Si deve andare oltre la dicotomia Italiani/stranieri se si vuole restituire un’immagine più aderente alla realtà (…)

Una questione con cui le politiche di inclusione e integrazione devono necessariamente confrontarsi, dal momento che devono applicarsi a una gamma di situazioni ed esigenze molto differenziate.

Lo stesso concetto di minori stranieri è così ampio da comprendere tante situazioni diversissime. Da quella dei minori stranieri non accompagnati, che arrivano in Italia senza i genitori e quindi bisognosi di assistenza, il cui numero lo scorso anno è cresciuto drammaticamente in conseguenza della guerra in Ucraina. A quella dei giovani di seconda generazione, nati o arrivati in Italia nei primi anni di vita, e perfettamente integrati.

Il monitoraggio delle discriminazioni tra i minori stranieri

Un elemento comune nelle politiche per l’inclusione è la lotta a qualsiasi forma di discriminazione, etnica o di altro tipo.

Aspetti che purtroppo sono molto difficili da monitorare, come l’incidenza del bullismo o di altre pratiche di esclusione sociale. Nel corso di quest’anno l’istituto di statistica procederà con una rilevazione ad hoc sui fenomeni discriminatori, come dichiarato nell’audizione dell’aprile scorso all’apposita commissione del senato.

In questi mesi, l’Istat sta predisponendo la documentazione per l’avvio nel 2022 di un’“Indagine pilota sulle discriminazioni”, volta a definire l’adeguatezza degli aspetti tecnici di misurazione dei fenomeni discriminatori, prima di lanciare l’Indagine vera e propria nel corso del 2023.

In attesa dei nuovi dati che usciranno da questa rilevazione, alcune chiavi di lettura sul fenomeno erano già state fornite da altre due indagini effettuate nel decennio scorso. Quella sulla percezione dei cittadini stranieri, pubblicata nel 2014 ma riferita al biennio 2011-12, aveva indicato come il 12,6% degli studenti stranieri avesse vissuto durante il percorso di studi episodi di discriminazione dovuti alle proprie origini straniere. Con un picco nella fascia d’età tra 14-19 anni, dove la quota aveva raggiunto il 17,4%.

78,4% i casi in cui la discriminazione è stata attuata dai compagni.

Come le discriminazioni generano esclusione

Un’indagine successiva, specifica sui percorsi di integrazione delle seconde generazioni, ha offerto il quadro di un fenomeno ben più ampio. Rilasciata nel 2020 e basata su dati 2015, la rilevazione ha indicato come il 49,5% dei ragazzi di seconda generazione avesse subito almeno un episodio di bullismo da parte di altri ragazzi nel mese precedente. Una quota di 7 punti superiore rispetto ai coetanei italiani (42,4%).

Una tendenza da ricollegare anche all’inserimento sociale dei bambini e ragazzi di origine straniera. Il 7,9% ha dichiarato di non frequentare amici o amiche nel tempo libero, quasi il doppio dei coetanei italiani (4,2%).

La discriminazioni possono influire anche sulla percezione di sé nella società.

I dati sulla discriminazione sottendono un rischio di isolamento e di segregazione che può avere un impatto anche sulla percezione di sé e del proprio ruolo nella società. Da questo punto di vista, è interessante osservare come cambino le diverse aspettative sul lavoro svolto da adulto.

Per le studentesse delle superiori, la prima aspirazione sono l’insegnante e il medico: in quest’ordine per le italiane, in ordine inverso per le ragazze straniere. Entrambe le categorie rispondono “non so” come terza opzione. Seguito dalla commerciante (5,8%) e dalla hostess (5%) per le straniere e dalla psicologa/antropologa/criminologa (5,1%) e avvocata/notaia/magistrata per le italiane (3,9%).

Tra gli studenti maschi italiani alle superiori la prima aspirazione è l’ingegnere (6,2%), seguita da “non so” (5,1%), il militare (5%), il carrozziere (4,5%) e l’operaio (4,4%). Per gli stranieri è il meccanico, il carrozziere o l’elettrauto (9,4%), seguita dall’operaio (7,4%) e dal calciatore (6,2%, a pari merito con coloro che dichiarano di non saperlo).

Su aspettative così diverse possono influire tanti fattori, che spesso si intersecano tra loro. Dalle preferenze individuali alle risorse a disposizione della famiglia di origine, dai risultati scolastici al livello di inclusione sociale. Per intervenire su aspetti così differenti il punto di partenza è necessariamente approfondire quanti sono e dove vivono i minori stranieri.

Dove vivono i minori stranieri

In Italia i minori con background migratorio sono 1,3 milioni, di cui 300mila con cittadinanza italiana e circa 1 milione con cittadinanza non italiana. Parliamo dell’11,2% dei residenti tra 0 e 17 anni nel 2021.

Bambini e ragazzi che vivono soprattutto nell’Italia centro-settentrionale. Sono il 13,2% dei minori del centro, il 14,9% di quelli del nord-est e il 15,8% di quelli del nord-ovest, mentre non raggiungono il 5% nel sud e nelle isole.

L’incidenza è molto più elevata nelle grandi città. Nei comuni polo, baricentrici in termini di servizi, sono il 14,5% dei residenti con meno di 18 anni. E superano il 10% dei minori anche nei comuni di cintura, gli hinterland di queste città maggiori. Complessivamente, su un milione di minori stranieri, 855mila vivono in un comune polo o cintura. Parliamo dell’81,6% dei bambini e ragazzi con cittadinanza non italiana.

Questo contenuto è ospitato da una terza parte. Mostrando il contenuto esterno accetti i termini e condizioni di flourish.studio.
 
 

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati demo.Istat
(ultimo aggiornamento: venerdì 1 Gennaio 2021)

 

Nelle aree interne sono invece molto meno presenti. Sono il 9,2% dei bambini e ragazzi nei comuni intermedi, distanti circa 25-40 minuti dai poli. Scendono al 6,9% nei comuni periferici e al 4,6% in quelli ultraperiferici.

Tra le città capoluogo, è Prato quella con la maggiore incidenza di bambini e ragazzi con cittadinanza non italiana. Nel comune toscano i minori stranieri sono oltre un terzo di quelli residenti (34,3%). Seguono le città di Piacenza (29,1%), Brescia (27,8%), Imperia (25,4%) e Milano (25,2%), dove sono più di un residente under-18 su 4.

L’incidenza minore si rileva in capoluoghi del sud come Taranto (1,8%), Potenza (1,8%) e Andria (1,6%). In questi comuni i minori stranieri sono meno del 2% del totale.

Questo non significa che la presenza di minori stranieri sia residuale in tutte le aree del mezzogiorno. Rispetto al centro-nord, dove la presenza è diffusa in modo più omogeneo sul territorio, nell’Italia meridionale si registrano zone a maggiore concentrazione in mezzo a territori dove non abitano stranieri.

Ad esempio, tra i comuni maggiori, spiccano San Giuseppe Vesuviano, nella città metropolitana di Napoli (18%), Castel Volturno (Caserta, 16,6%), Eboli (Salerno, 14,5%), Comiso (14,4%) e Vittoria (13,8%) nel ragusano. Nonché la stessa Ragusa (11,5%), Mondragone (Caserta, 12,6%) e molti altri centri medi e grandi.

Ciò riflette modelli insediativi diversi sul territorio nazionale, più diffusi al nord, maggiormente concentrati in singole realtà locali nel mezzogiorno, una tendenza rilevata anche nell’ultimo rapporto Istat. Aspetti di cui tenere conto nelle politiche di inclusione, per l’influenza sui livelli di integrazione.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi ai residenti stranieri tra 0 e 17 anni sono di fonte Istat.

Questo contenuto è ospitato da una terza parte. Mostrando il contenuto esterno accetti i termini e condizioni di flourish.studio.
 
 
DESCRIZIONE

È possibile cliccare sulla casella Cerca… e digitare il nome del comune.

DA SAPERE

Il dato calcola la quota di minori residenti con cittadinanza diversa da quella italiana sul totale dei minori residenti in Italia.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati demo.Istat
(ultimo aggiornamento: venerdì 1 Gennaio 2021)

Cos’è il decreto milleproroghe

Cos’è il decreto milleproroghe

È un decreto legge con cui il governo dispone il rinvio di determinate scadenze. Negli anni i settori di intervento di questo strumento sono diventati sempre più vasti, portando anche a degli abusi.

Definizione

Con il termine “milleproroghe” si fa riferimento a un decreto legge che il governo emana solitamente una volta all’anno. Il contenuto di tale norma prevede il rinvio di scadenze o dell’entrata in vigore di alcune disposizioni il cui mancato rispetto potrebbe provocare gravi problemi per cittadini, imprese e istituzioni. La funzione del decreto è quindi quella di affrontare con un unico atto una serie di termini che altrimenti dovrebbero essere trattati e risolti separatamente.

Ad esempio, il decreto per il 2023 prevede tra le altre cose:

  • la proroga delle autorizzazioni all’assunzione di personale all’interno di diverse agenzie e strutture ministeriali;
  • la proroga del termine per la presentazione della dichiarazione Imu da parte degli enti non commerciali;
  • la proroga dell’esenzione dall’obbligo di fatturazione elettronica per gli operatori sanitari;
  • la proroga dell’aggiudicazione dei lavori per gli interventi su asili e scuole dell’infanzia finanziati con il Pnrr;
  • la proroga della possibilità per i pubblici esercizi di piazzare dehors sul suolo pubblico;
  • il prolungamento fino al 2025 del contratto di espansione (una misura di sostegno alle imprese in difficoltà finanziarie e tesa a facilitare l’esodo anticipato verso la pensione del personale);
  • il rinvio del divieto di circolazione per i mezzi Euro 2 del trasporto pubblico locale.

Oltre ai rinvii delle scadenze il milleproroghe, come tutti i decreti legge, può prevedere anche l’introduzione di nuove misure. Nel decreto per il 2023 ad esempio si autorizza l’erogazione delle risorse di un fondo da 10 milioni di euro istituito dalla legge di bilancio per il 2022 a favore dei proprietari di abitazioni non utilizzabili a causa dell’occupazione abusiva.

Come illustrato dal dossier della camera relativo al decreto del 2018, tale atto venne adottato per la prima volta nel 2001 e da allora è divenuto una consuetudine. Secondo una parte della letteratura in materia tuttavia, norme assimilabili al milleproroghe erano già presenti negli anni novanta.

Trattandosi di un decreto legge a tutti gli effetti, come gli altri atti di questo tipo deve essere convertito in legge dal parlamento entro 60 giorni dalla sua pubblicazione. In caso contrario le norme in esso contenute decadono.

Col passare del tempo i settori di intervento su cui si va ad intervenire tramite questo strumento sono andati aumentando. Ciò però ha portato anche a degli effetti collaterali. Durante l’iter di conversione in parlamento infatti spesso il decreto milleproroghe si è arricchito di un ulteriore carico di norme che rispecchiavano le sensibilità e gli interessi dei partiti.

Dati

Come detto, l’utilizzo abituale di questo strumento può essere fatto risalire al 2001. Da allora infatti ne è stato pubblicato almeno uno tutti gli anni. Fanno eccezione il 2003, il 2004 ed il 2006 dove i Dl di questo tipo sono stati 2. Mentre nel 2017 e nel 2019 non ne è stato pubblicato nessuno. Nel 2018 però il decreto uscì a luglio.

Un altro elemento degno di nota riguarda il fatto che, dalla sua introduzione, il decreto milleproroghe ha affrontato un numero crescente di questioni. Una parziale conferma di questa tendenza la possiamo trovare analizzando il numero di articoli contenuto in ogni decreto di questo tipo.

Osservando l’andamento delle ultime legislature infatti, notiamo che questo dato (salvo alcune eccezioni) è stato via via crescente. Fino a raggiungere il picco di 82 articoli nel 2020. Negli ultimi anni invece l’ampiezza del decreto, pur restando consistente, è diminuita. Nel 2021 infatti il milleproroghe contava 37 articoli, nel 2022 invece erano 49. L’ultimo atto emanato ne contiene 46. Un numero comunque significativo se si considera che il primo atto di questo tipo ne contava appena 9.

Questo contenuto è ospitato da una terza parte. Mostrando il contenuto esterno accetti i termini e condizioni di flourish.studio.
 
 

FONTE: elaborazione e dati openpolis
(ultimo aggiornamento: martedì 21 Febbraio 2023)

 

Analisi

La natura di questo strumento e la mancanza di una regolamentazione organica sul suo utilizzo (parliamo infatti di un decreto legge sui generis) ha portato nel tempo anche a degli abusi. Con problemi sia di natura tecnica che politica.

problemi di natura tecnica riguardano i limiti che vincolano l’utilizzo del decreto legge. Si dovrebbe poter fare ricorso a questo strumento infatti solo in caso di necessità e urgenza e i suoi contenuti dovrebbero essere omogenei tra loro. Con il milleproroghe invece si interviene in settori anche molto diversi il cui unico elemento comune è la necessità di rinviare le scadenze. Per questo si è parlato di un atto omnibus, una norma cioè dal contenuto estremamente eterogeneo.

Sul tema è intervenuta la corte costituzionale che ha riconosciuto la legittimità dello strumento ma ha posto alcuni importanti paletti.

[Il decreto milleproroghe deve] obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal governo e dal parlamento.

Strettamente legati a questo tema vi sono anche i problemi di natura politica. Spesso infatti con il milleproroghe si è scelto di affrontare questioni spinose che non necessariamente prevedevano una scadenza temporale. Ma che, a causa delle pressioni da parte dell’opinione pubblica e dei gruppi di interesse, sarebbe stato più difficile affrontare singolarmente.

Spesso il decreto milleproroghe è stato sfruttato per far approvare le norme più controverse.

Per citare un esempio di questo tipo, con il decreto per il 2023 è stato disposto l’ennesimo rinvio sull’adeguamento dell’Italia alla cosiddetta direttiva Bolkestein. Tale norma prevede che i servizi pubblici e le concessioni siano affidati a privati solo per mezzo di una gara pubblica. Per l’Italia in particolare i problemi hanno riguardato le concessioni balneari, più volte prorogate anche dopo l’entrata in vigore della direttiva. Ciò peraltro ha comportato l’apertura da parte delle istituzioni europee di diverse procedure di infrazione a carico del nostro paese.

Della questione si era occupato da ultimo il governo Draghi attraverso la legge annuale sulla concorrenza per il 2021. Questa norma, che peraltro rientra tra le riforme previste dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), prevede sostanzialmente la conclusione delle attuali concessioni balneari entro la fine del 2023. È prevista poi un’eventuale proroga di un anno.

Durante l’iter parlamentare di conversione del decreto milleproroghe però sono stati approvati alcuni emendamenti che intervengono proprio su questo fronte. Sostanzialmente la scadenza delle concessioni viene allungata al 2024 mentre il termine ultimo per l’espletamento delle procedure di gara slitta al 2025.

Questa scelta non ha mancato di destare polemiche. A questo proposito però occorre precisare che la proroga delle concessioni non è in contrasto con il Pnrr. Il piano infatti prevede l’attuazione con cadenza annuale di una legge volta a facilitare la concorrenza e il libero mercato. Tuttavia non ci sono vincoli sui contenuti di questa norma. Le country specific recommendations per il 2019 e il 2020, che sono state la base per la definizione dei Pnrr, infanti non contengono indicazioni a proposito delle concessioni balneari.

La liberalizzazione del settore «non è formalmente inserita» nel piano nazionale per la ripresa […]. A una prima occhiata eventuali ritardi nell’attuazione degli interventi attesi non sembrerebbero incidere sui soldi europei del recovery fund. Ma nel più ampio insieme di impegni per la competitività il tema si potrebbe porre.

Al di là del Pnrr comunque occorre ricordare che è tuttora in corso una procedura di infrazione a carico del nostro paese e la situazione in questo senso potrebbe aggravarsi se non si giungerà a una soluzione su questo fronte. Lo stesso presidente della repubblica ha censurato questo nuovo rinvio e ha chiesto ulteriori interventi in materia da parte di governo e parlamento. Anche la commissione europea inoltre ha annunciato di stare studiando il provvedimento al fine di valutare eventuali incompatibilità con il diritto comunitario.

Resta alto il numero di femminicidi in Italia e in EuropaEuropa

Resta alto il numero di femminicidi in Italia e in EuropaEuropa

Con femminicidio si intende l’omicidio di una donna in quanto donna. Insieme ad altre redazioni dello European journalism network, abbiamo ricostruito l’incidenza di tale fenomeno nel nostro paese e in Europa. Nonostante le numerose difficoltà di misurazione.

 | 

Partner


La violenza di genere è una delle principali forme di violazioni dei diritti umani, in tutte le società. Alla sua radice c’è una cultura patriarcale che alimenta storici divari di genere, secondo i quali la donna ricopre un ruolo inferiore all’interno della società, in ogni suo ambito. Dall’istruzione al mondo lavorativo, dalle relazioni di coppia al lavoro di cura familiare. Una visione che non contempla nessuna emancipazione della donna dai ruoli prescritti e che troppo spesso si traduce in atti di violenza psicologica o fisica.

Gli episodi di violenza contro le donne avvengono principalmente, anche se non solo, nella sfera domestica. Sono nelle gran parte dei casi parenti, partner o ex partner della vittima a commetterli. E quando tali violenze sfociano nell’omicidio vengono definite, con diverse accezioni, “femminicidi“.

Dei paesi che hanno partecipato alla data unit e che sono riusciti a reperire questa informazione, solo Cipro individua nel proprio ordinamento giuridico il reato di femminicidio. Gli altri (Grecia, Serbia, Francia, Austria, Germania e Francia) non hanno un riconoscimento legale vero e proprio. Analogamente nel caso italiano esistono aggravanti per la violenza domestica e sessuale, ma a oggi non esiste un aggravante per il movente di genere. Era proprio l’obiettivo del disegno di legge Zan, che è però stato respinto.

L’istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige), il principale riferimento statistico su questa materia, lo definisce come l’omicidio di una donna per via della sua appartenenza di genere. Riprendendo la definizione della commissione statistica dell’Onu, adottata anche da Istat in Italia.

L’illusione del “blocco delle partenze” maschera il vuoto dell’accoglienza Centri d’Italia

L’illusione del “blocco delle partenze” maschera il vuoto dell’accoglienza Centri d’Italia

Sul fenomeno migratorio il dibattito è spesso superficiale e strumentale. Con “Il vuoto dell’accoglienza” proviamo a dimostrare, ancora una volta, quanta strada deve ancora fare l’Italia per costruire un sistema di reale accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati.

 

All’inizio dell’anno il cosiddetto “decreto anti-Ong” ha polarizzato ancora una volta l’attenzione dell’opinione pubblica sul fenomeno migratorio, in particolare sulla rotta del Mediterraneo centrale.

La strage nel mare avvenuta domenica scorsa a pochi metri dalle coste calabresi ha inoltre contribuito a centrare il dibattito sulle partenze e sugli arrivi. In questo senso si sono inserite anche le parole del ministro dell’interno Matteo Piantedosi. Affermazioni che hanno scatenato un vespaio di polemiche.

Nelle prime settimane di quest’anno sono sbarcate sulle coste italiane meno di 7mila persone.

6.834 persone sbarcate sulle coste italiane dal 1 gennaio al 15 febbraio 2023.

Un dato in aumento rispetto allo stesso periodo del 2022 (quando furono poco più di 4mila gli arrivi) ma comunque lontano dai primi due mesi del 2017, quando entrarono in Italia via mare oltre 13mila persone.

Siamo di fronte a cifre che descrivono flussi di persone in cerca di una vita migliore in Europa. Numeri certamente non sufficienti per raccontare a pieno storie spesso difficili ma di chi comunque ce l’ha fatta, rispetto alle migliaia di naufraghi che solo lo scorso anno hanno trovato la morte lungo le rotte migratorie.

Un elemento che raramente non viene considerato nel confuso e spesso poco informato dibattito pubblico sulle migrazioni riguarda un dato di fatto che dovrebbe rappresentare sempre una premessa imprescindibile: il numero di arrivi in Italia e in Europa è legato soprattutto a fattori esogeni come guerre, persecuzioni, violenze, cambiamenti climatici e catastrofi naturali. Su questo le politiche dei singoli paesi europei, soprattutto se di breve respiro, possono incidere solo marginalmente.

Più che sul “blocco delle partenze” la politica dovrebbe incidere sulla qualità dell’accoglienza.

Ciò su cui si può davvero incidere attraverso politiche pubbliche nazionali è il modo con cui le persone arrivate si integrano e vengono incluse nella realtà sociale, civile, educativa e lavorativa del nostro paese.

Di questo parliamo ormai da anni attraverso il progetto Centri d’Italia, realizzato in partnership con ActionAid Italia. E questi aspetti abbiamo analizzato anche con il dossier lanciato lo scorso 16 febbraio, intitolato non a caso “Il vuoto dell’accoglienza“.

Che i dati raccontino gli arrivi dei primi mesi dell’anno, o il sistema dell’accoglienza in Italia nel 2021 – anno oggetto dell’analisi de “Il vuoto dell’accoglienza” – i fatti confermano quanto affermiamo da anni: il fenomeno migratorio va considerato ordinario e strutturale, e in quanto tale deve essere governato. Vale a dire che il sistema per l’accoglienza dei migranti che arrivano nel nostro paese, in cerca di asilo o rifugio, deve essere anch’esso ordinario.

Le strutture per richiedenti asilo e rifugiati.

Esplora il sistema di accoglienza. Scarica i dati.

 
Le strutture per richiedenti asilo e rifugiati.

Esplora il sistema di accoglienza. Scarica i dati.

 

Anche in questa sesta edizione del rapporto annuale sul sistema, invece, è tristemente evidente come l’unico approccio possibile concepito dai decisori pubblici sia quello votato all’emergenza.

Nel 2021, infatti, quasi due terzi dei posti nelle strutture di accoglienza del paese erano in centri di accoglienza straordinaria (Cas).

59.466 i posti nei Cas al 31 dicembre 2021, pari al 60,88% dei 97.670 posti complessivamente disponibili.

Il sistema straordinario è da anni anteposto a quello ordinario, il sistema di accoglienza integrazione (Sai). Quest’ultimo, infatti, tra il 2018 e il 2021 ha perso addirittura oltre mille posti, nonostante un forte calo degli arrivi e una conseguente perdita di più di 70mila posti nei centri del paese.

Il sistema ordinario dovrebbe rappresentare la prassi. Solo una volta saturo ci si dovrebbe rivolgere ai centri straordinari.

Si sarebbe insomma potuto approfittare della drastica diminuzione dei numeri nell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati per rafforzare definitivamente il Sai, garantendo così maggiore inclusione sociale per gli ospiti nei centri, più integrazione con le comunità ospitanti e un’accoglienza più capillare sul territorio.

Invece non solo questa strada non è stata affatto battuta, ma i Cas nel tempo sono diventati mediamente sempre più grandi. Non è un caso, infatti, che i centri di piccole dimensioni tra 2018 e 2021 abbiano rappresentato la categoria di centro ad aver perso più posti: ben 23.917.

Questo ha avuto ricadute anche sulla distribuzione dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati sul territorio. Meno di un comune su 4 (precisamente il 23,2%) nel 2021 era interessato dall’insediamento di un centro, sia esso di competenza prefettizia (Cas o centri di prima accoglienza) o afferente al sistema di titolarità pubblica (Sai).

Le chiusura di migliaia di centri ha portato a una maggiore concentrazione di migranti soprattutto in alcune grandi città metropolitane.

I territori con più posti a disposizione nel 2021 sono le città metropolitane di Roma (3.796), Torino (3.637), Milano (3.524), Bologna (2.579) e Napoli (2.578).

Complessivamente, in queste cinque città metropolitane nel 2021 c’erano oltre 16mila posti nelle strutture, pari al 16,5% del totale dei posti nel paese.

L’impatto dei posti sulla popolazione in questi territori è molto relativo, come d’altronde in tutto il paese. Basti pensare che al 31 dicembre 2021 le circa 77mila persone ospitate nei centri d’Italia rappresentavano lo 0,13% della popolazione italiana. Una percentuale che saliva solo fino allo 0,22% se consideriamo solo i cittadini residenti nei comuni in cui sorgevano centri (circa 35,9 milioni di persone).

Per fare un esempio, nella città metropolitana di Roma l’incidenza dei posti sulla popolazione residente era lo 0,12%.

Numeri che, oltre a smentire qualsiasi strumentale “teorema dell’invasione”, dovrebbero spingere i decisori pubblici a organizzare il sistema dell’accoglienza in modo meno iniquo e più efficiente e virtuoso, a vantaggio dei diritti dei migranti e della loro inclusione nelle comunità locali.

Di questo (e altro) parleremo nelle prossime settimane, continuando a raccontare gli aspetti salienti dell’indagine “Il vuoto dell’accoglienza”.

Foto: Abir Arabshahi (licenza)

 

Convertito in Legge il Decreto Milleproroghe.

Convertito in Legge il Decreto Milleproroghe.

È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge 24 febbraio 2023, n. 14, di “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, recante disposizioni urgenti in materia di termini legislativi. Proroga di termini per l’esercizio di deleghe legislative”, il c.d. Decreto Milleproroghe.

In questo decreto, il programma di azione per la promozione dei diritti e l’integrazione   delle   persone  con disabilità, passa da biennale a triennale. Questo programma è stato previsto per la prima volta nella LEGGE 3 marzo 2009, n. 18: “Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità”

E’ stato inoltre prorogato al 15 marzo 2024 il termine per l’adozione di uno o più decreti legislativi per la revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità ai sensi della legge 22 dicembre 2021, n. 227.

Infine è stata prorogata al 30 giugno 2023 la possibilità per i c.d. lavoratori fragili di svolgere la prestazione in smart working, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione compresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi di lavoro vigenti, senza alcuna decurtazione della retribuzione in godimento.

News a cura del  Centro Studi Giuridici @Handylex.org di FISH Onlus

Aumenta la raccolta di plastica in Italia Ambiente

Aumenta la raccolta di plastica in Italia Ambiente

La plastica è un materiale dannoso per l’ambiente. Per il suo recupero è necessario incentivare la raccolta differenziata e puntare sulle infrastrutture adibite a questo scopo.

 

In Italia, dal 2015 la raccolta differenziata è in costante aumento. È maggiore anche il recupero della plastica, uno dei materiali più presenti negli oggetti utilizzati nella vita di tutti i giorni. Essa comporta però dei rischi importanti per l’ambiente. Da un lato, la sua produzione richiede un grande utilizzo di combustibili fossili. Dall’altro lo smaltimento è molto difficoltoso, a causa dei tempi lunghissimi di disintegrazione e del rilascio di microplastiche, ovvero piccoli frammenti che vengono dispersi nell’ambiente. Queste particelle causano danni al sistema respiratorio e spesso vengono ingerite dagli animali.

Sono necessarie molte azioni per limitare la dispersione della plastica.

Essendo dannosa per l’essere umano e per gli ecosistemi, limitare il suo uso è cruciale. Sfruttare materiali alternativi è una delle possibili soluzioni ma così anche limitare la produzione di determinati prodotti. In questa direzione vanno ad esempio le regole europee sugli imballaggi o sui prodotti usa e getta. Non sempre è possibile limitare l’utilizzo della plastica quindi è fondamentale una raccolta corretta. Per poterla fare, è necessario disporre delle giuste infrastrutture e incentivare la popolazione locale a effettuare la differenziata.

La raccolta della plastica in Italia

Secondo Ispra, nel 2021 la raccolta differenziata in Italia raggiunge il 64% dei rifiuti urbani prodotti, andando sempre più vicino all’obiettivo del 65% fissato nel 2012. Equivale a quasi 19 milioni di tonnellate. Circa 1,7 milioni sono rifiuti plastici.

8,84% quota di rifiuti di plastica sul totale dei rifiuti di raccolta differenziata.

Sono circa 28,42 kg pro capite. La raccolta della plastica è in costante aumento ma ci sono aree del paese in cui i valori erano maggiori. Nel nord la differenziata intercetta 32 kg pro capite, nel centro 27 e nel sud 24. Andiamo quindi a vedere quali regioni raccolgono più plastica.

La Toscana è la regione in cui si raccolgono più rifiuti plastici. Si parla di 415,04 kg pro capite. Seguono Emilia-Romagna (225,94), Piemonte (140,66) e Campania (128,06), tutte aree molto grandi e con un certo numero di abitanti. I territori che riportano valori minori sono invece Abruzzo (5,71 kg a persona), Valle d’Aosta (1,59) e Basilicata (1,56), tre regioni piccole. È possibile analizzare il dato a livello locale.

I comuni che riportano i valori maggiori sono spesso quelli più piccoli e quelli più lontani dai centri. Oltre alle capacità di raccolta dei singoli territori, incide anche la produzione stessa di rifiuti, che è maggiore in città più grandi. Inoltre, essendo un dato pro capite, il numero di abitanti ha una sua importanza.

Quasi tutti i rifiuti plastici sono imballaggi.

Il 95% dei rifiuti plastici raccolti con la differenziata è composto da packaging. Nel 2021 rappresentano quasi 2,3 milioni di tonnellate, un dato in crescita rispetto all’anno precedente (+65mila tonnellate). Per questo motivo numerose misure messe in atto a livello comunitario riguardano gli imballaggi. Tra queste, si segnala la direttiva 2015/720 legata alla riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Stando ai dati Ispra, nel 2021 il 75,1% delle borse in commercio è composto da materiali biodegradabili e compostabili. L’aumento della raccolta dell’umido è un chiaro incentivo al loro maggiore utilizzo dal momento che risultano idonee per il riciclaggio dei rifiuti organici.

Per ridurre ulteriormente la quota di imballaggi di plastica, è richiesto uno sforzo alle aziende. Come abbiamo scritto in un approfondimento dedicato, frutto di una collaborazione con lo European data journalism network (Edjnet), le grandi multinazionali sono tra i principali responsabili dell’inquinamento da plastica. Molte di loro hanno preso degli impegni per ridurne l’utilizzo ma non è sempre facile capire se vengono fatte azioni concrete oppure se si tratta di operazioni di greenwashing.

Foto: Nareeta Martin – licenza

 

San Casimiro

 

San Casimiro


Nome: San Casimiro
Titolo: Principe polacco
Nascita: 5 ottobre 1458, Cracovia, Polonia
Morte: 4 marzo 1484, Grodno, Lituania
Ricorrenza: 4 marzo
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Protettore:
giovani
Canonizzazione:
1521, Roma, papa Leone X

Fra i numerosi santi morti nel fiore della giovinezza, c’è da annoverare Casimiro, figlio di Casimiro III, re di Polonia.

Nacque questo Santo il 5 ottobre dell’anno 1458, e ricevette dall’ottima madre un’educazione veramente santa. Affidato più tardi alle cure del pio e dotto canonico Dugloss, fece tale progresso negli studi e nella via della santità, da suscitare meraviglia nello stesso maestro. Vestì sempre dimessamente ed ebbe quasi orrore per il lusso; un rozzo cilicio gli martoriava le membra e la sua mente era continuamente fissa nel mistero della passione di Gesù Cristo. Il santo Sacrificio della Messa a cui assisteva ogni giorno e la devozione a Maria furono la sua delizia.

In uno sfogo d’amore verso questa cara Madre compose un inno che recitò ogni giorno fino alla morte e che volle con sè anche nel sepolcro. La notte era per questo santo il tempo dell’orazione, e il breve riposo che concedeva al suo corpo sovente era preso sul nudo pavimento.

Richiesto come re dal popolo ungherese. solo costretto dall’autorità paterna si risolvette ad accettare. Ma prima ancor di giungere alla frontiera avendo avuto notizia della conciliazione avvenuta tra il popolo e l’antica dinastia, immediatamente rifiutò di procedere oltre. Fatto ritorno alla reggia paterna e ottenuto il permesso di ritirarsi dalla corte, incominciò una vita di immolazione continua, unita intimamente a Dio ed occupata in cose spirituali.

Dodici anni durò questo tenore di vita.

Colpito dall’etisia, il suo volto divenne sempre più pallido, ma non perse mai quell’aspetto angelico e serafico che Io distingueva. Fino all’ultimo fu ilare ed affabile. Conosciuto per rivelazione il giorno della sua morte, vi si preparò con grande fervore, e ricevuti i Ss. Sacramenti con vivo trasporto di spirito, morì nel Signore a Vilna, città principale della Lituania.

La sua salma venne sepolta nella chiesa di S. Stanislao con pompa e onori principeschi.

La sua tomba fu méta di continui e devoti pellegrinaggi, e fonte inesauribile di grazie e benedizioni.

Centovent’anni dopo la sua morte si volle rimuoverne i resti mortali per esporli alla venerazione dei fedeli, ma oh, meraviglia! quel corpo vergine che non aveva conosciuto il peccato, fu trovato incorrotto e intatto nelle vesti principesche in cui era stato avvolto. S. Casimiro fu canonizzato da Papa Leone X nel 1521, e il popolo polacco lo volle suo protettore.

PRATICA. Impariamo da questo Santo l’amore alla purezza.

PREGHIERA. O glorioso Casimiro, vi preghiamo che dall’alto del cielo vi prendiate cura di noi miseri mortali, difendendoci, proteggendoci, aiutandoci.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Vilna, nella Lituània, il beato Casimiro Confessore, figlio del Re Casimiro, dal Papa Leone decimo ascritto nel numero dei Santi.