Archivi giornalieri: 28 marzo 2023

La disparità di genere nelle regioni italiane Mappe del potere

La disparità di genere nelle regioni italiane Mappe del potere

Le regioni sono organi fondamentali del sistema istituzionale, a cui la costituzione attribuisce anche potestà legislativa. Per questo è importante monitorare la loro attività sotto diversi punti di vista, incluso l’equilibrio di genere.

 

La nascita del governo Meloni ha segnato un precedente importante in Italia. Per la prima volta una donna ha avuto accesso all’incarico più importante dell’esecutivo, quello di presidente del consiglio. Più di recente anche il principale partito di opposizione ha optato per una leadership femminile, quella di Elly Schlein, inaugurando così una dinamica del tutto nuova per la politica italiana.

Ma la politica non è fatta solo di leader nazionali e, per quanto importanti siano queste novità, la questione di genere va analizzata a tutti i livelli. Con l’insediamento dei nuovi consigli regionali in Lombardia e Lazio gli organi rappresentativi delle regioni italiane sono di nuovo tutti in carica. Possiamo quindi verificare come sono cambiati gli equilibri di genere da questo punto di vista.

Regioni e norme sull’equilibrio di genere in consiglio

Per analizzare la dinamica di genere all’interno delle giunte e dei consigli regionali bisogna innanzitutto tenere presente che, come stabilito dalla costituzione (art. 122), sono gli statuti e le leggi regionali a disciplinare i meccanismi di elezione del consiglio e del presidente della giunta. Questo però avviene nel quadro di una disciplina di carattere nazionale.

In materia di equilibrio di genere nel 2012 e poi nel 2016 sono state introdotte delle modifiche alla legge 165/2004. Con questi interventi si è provveduto a definire un quadro comune prevedendo 3 diversi meccanismi a seconda del tipo di legge elettorale adottato dalla regione:

  • sistema proporzionale con voto di preferenza – il genere più rappresentato non può eccedere il 60% delle candidature, inoltre devono essere previsti almeno 2 voti di preferenza distinti per genere;
  • sistema proporzionale senza voto di preferenza – oltre alla proporzione del 60% i nomi in lista devono essere in ordine alternato di genere;
  • sistema uninominale – il totale delle candidature di ciascuna lista deve rispettare il criterio del 60%.

Per le regioni a statuto speciale però il discorso è differente. Queste infatti non devono conformarsi a una norma nazionale, ma solo ai loro statuti. Pur prevedendo questi delle norme più o meno generiche sull’equilibrio di genere (legge costituzionale 2/2001) le regioni a statuto speciale sono dei casi a parte che non possono essere uniformati alla disciplina generale.

Le donne nei consigli regionali

Come abbiamo visto le leggi elettorali regionali intervengono sui candidati prevedendo in particolare che nessun genere sia rappresentato in misura inferiore al 40%. Le ragioni principali di questo approccio sono sostanzialmente due. Intanto intervenendo sui candidati piuttosto che sugli eletti si incide in maniera molto più indiretta sulla libera scelta degli elettori evitando profili di incostituzionalità. La soglia del 40% invece è solitamente accettata come margine entro il quale si può considerare sostanzialmente garantito l’equilibrio di genere.

Tuttavia quando si passa dalla proporzione di candidati a quella degli eletti le cose cambiano significativamente e da almeno il 40% di candidate si passa al 23,5% di consigliere regionali. Una differenza considerevole che porta con sé molte domande su quali siano i meccanismi politici, sociali e culturali alla base della disparità di genere.

Solo nel consiglio dell’Emilia-Romagna le donne sono almeno il 40%.

In effetti solo nel consiglio regionale dell’Emilia-Romagna le donne raggiungono il 40%. Lazio, Umbria, Veneto e Toscana seguono, superando almeno il 30% mentre in altre 8 regioni la quota di consigliere oscilla tra il 19% e il 29%. Tra queste anche la Lombardia (27,5%) che, come il Lazio, è recentemente andata alle elezioni.

In fondo alla classifica si trovano invece Puglia (13,7%), Friuli-Venezia Giulia (12,2%), Basilicata (9,5%) e Valle d’Aosta (8,6%).

Quantomeno in Puglia, nonostante il basso numero di consigliere, la presidenza dell’aula è stata affidata a una donna (Loredana Capone). Un caso quasi unico nel 2023. L’unica altra regione con una presidente del consiglio è l’Emilia-Romagna (Emma Petitti).

le donne a ricoprire il ruolo di presidente del consiglio regionale. Loredana Capone in Puglia e Emma Petitti in Emilia-Romagna.

L’andamento storico negli ultimi anni

Nonostante numeri ancora piuttosto bassi è innegabile che l’introduzione di un quadro normativo comune a livello nazionale in materia di equilibrio di genere abbia favorito la crescita del numero di donne nei consigli regionali. Dopo l’introduzione delle modifiche legislative del 2012 e del 2016 le regioni hanno iniziato a integrare le nuove regole nella propria normativa e tra il 31 dicembre 2014 e lo stesso giorno del 2020 si è assistito a un chiaro aumento della presenza femminile. Per gli anni successivi il dato ha continuato a crescere ma in maniera meno marcata.

Un percorso inverso invece è stato seguito dalle giunte regionali. Qui infatti nel 2015 la quota di donne raggiungeva il 34,3% ma nei 5 anni successivi è calata di quasi 10 punti (24,9%). Dopo il 2020 il dato è tornato a crescere ma in maniera molto contenuta. È difficile stabilire con certezza le ragioni di un calo così evidente. Si possono però rilevare 2 elementi significativi, uno di tipo normativo e l’altro politico.

Intanto è importante sottolineare come, contrariamente a quanto avviene per i consigli regionali, non esistono norme nazionali che incentivino l’equilibrio di genere in giunta. Un meccanismo che invece è previsto nei comuni delle maggiori città italiane.

Legge delega al governo per le politiche in favore delle persone anziane e non autosufficienti.

Legge delega al governon per le politiche in favore delle persone anziane e non autosufficieti.

Premessa

Dopo le diverse modifiche e versioni che si sono susseguite al Consiglio dei ministri ed al Senato è stato finalmente approvato, anche alla Camera, il disegno di legge delega recante il titolo di “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane,” completando l’iter legislativo e diventando così una legge del nostro Stato.

Questo testo normativo ha lo scopo di delegare il Governo a mettere in atto previsioni e politiche che vadano a garantire la dignità, il benessere, un buon livello di assistenza (sanitaria, sociale e sociosanitaria),  la continuità delle cure e una buona qualità della vita, il coinvolgimento nel tessuto sociale e l’invecchiamento attivo delle persone anziane e delle persone anziane non autosufficienti, in attuazione anche della Missione 5, componenti 2 e 6 e componente 1 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Con i suoi 9 articoli questa legge prevede una riforma che tocca diversi aspetti della vita delle persone anziane e non autosufficienti. L’esecutivo avrà tempo entro il primo trimestre del 2024 per redigere i decreti legislativi con i quali attuare questa legge.

Beneficiari

I beneficiari di questa legge sono le persone anziane, dando una particolare attenzione alle persone anziane fragili e soprattutto alle persone anziane non autosufficienti.

Per quanto riguarda le persone anziane, per ora tali sono tutti coloro che abbiano compiuto i 65 anni di età.

Dare una nozione di persone anziane non autosufficienti è invece già più difficoltoso, mancandone una definizione nel nostro ordinamento, tanto che la sua definizione è prevista proprio da questo nuovo testo normativo che la demanda ai successivi decreti attuativi, pur dettandone linee guida e criteri.

Il suo articolo 4, infatti, enuncia l’impegno di  adottare una definizione di popolazione anziana non autosufficiente <<che tenga conto dell’età anagrafica, delle condizioni di fragilità, nonché dell’eventuale condizione di disabilità pregressa, tenuto anche conto delle indicazioni dell’International Classification of Functioning Disability and Health (ICF) dell’Organizzazione mondiale della sanità e degli ulteriori e diversi strumenti di valutazione in uso parte dei servizi sanitari, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 25 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.>>.

Nell’impostazione attuale, in ogni caso, la non autosufficienza assorbe la condizione di disabilità, andando a creare una situazione in cui le persone con disabilità nel momento in cui compiono 65 anni entrano nella definizione di non autosufficienza. Meccanismo che contrasta con quanto detto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che l’Italia ha ratificato con la legge 18/2009. Tale documento di diritto internazionale, stabilisce che si è sempre una persona con disabilità, indipendentemente dal momento anagrafico in cui tale condizione, intesa come l’incontro tra una persona con una compromissione fisica o mentale e un ambiente con barriere di diverso tipo, si presenti, oppure dall’età raggiunta dalla persona con disabilità. Essa invita gli Stati Parte a tener conto delle specifiche esigenze che derivano dall’entrata della persona con disabilità nell’età anziana, che è una cosa ben diversa dall’impostazione contenuta nell’attuale Legge Delega.

La norma contiene inoltre anche qualche previsione diretta specificamente alla fragilità, facendo espresso riferimento alle persone anziane con una o più patologie croniche suscettibili di aggravarsi con l’invecchiamento e che determinino il rischio di perdita dell’autonomia. Per tali soggetti, la norma prevede innanzitutto:

  • la possibilità di accedere ad una valutazione multidimensionale in ottica bio-psico-sociale da effettuarsi nell’ambito dei PUA da un’equipe multidisciplinare;
  • successivamente, lo svolgimento di attività di screening per individuare fabbisogni di assistenza alla persona, nonchè i necessari orientamenti e supporti informativi per permettere l’accesso al continuum di servizi e alle reti di inclusione sociale.

Previsioni

La legge contiene delle previsioni che toccano molti aspetti della vita delle persone anziane, rispetto alla versione precedente, da noi già analizzata. Quella definitiva presenta le seguenti novità:

  • la promozione delle cure palliative anche di tipo domiciliare;
  • una considerazione del benessere bio-sociale e psicologico della persona nella determinazione dei servizi che le si devono destinare.

Previsioni dedicate alle persone anziane con disabilità

I nove articoli di questa legge delega contengono le seguenti previsioni riguardanti inter alia le persone con disabilità in età anziana o persone anziane non autosufficienti:

  • Il divieto delle dimissioni delle persone anziane con disabilità dai servizi ad esse dedicate;
  • La possibilità per le persone con disabilità over 65 di scegliere se richiedere l’ammissione presso i servizi destinati dedicati ai soggetti anziani;
  • Una prestazione universale destinata a chi riceve l’indennità di accompagnamento. I beneficiari dell’accompagnamento possono scegliere di rinunciare a questo ed agli altri benefici che riceve e richiedere tale prestazione universale, che verrà fornita attraverso prestazione di servizi, oppure con transazioni economiche. È stabilito che il valore economico di essa, non può essere inferiore alla cifra che il destinatario si vedeva trasferita precedentemente;
  • La promozione della valutazione multidimensionale bio-psico-sociale delle capacità e dei bisogni di natura sociale, sanitarie e sociosanitaria ai fini dell’accesso a un continuum di servizi per le persone anziane fragili e per le persone anziane non autosufficienti, centrato sulle necessità della persona e del suo contesto familiare e sulla effettiva presa in carico del paziente anziano. Valutazione che si svolge presso i Punti Unici di Accesso, situati presso le Case della Comunità;
  • Il riconoscimento degli specifici bisogni delle persone anziane non autosufficienti von disabilità pregresse al fine di garantirne l’inclusione sociale, assicurando la continuità dei servizi con quanto stabilito nel loro Progetto Individuale di Vita;
  • L’istituzione di un Sistema Nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente che nel rispetto di quanto stabilito dal CIPA, (ovvero il Comitato interministeriale, che ha il compito di compito di promuovere il coordinamento e la programmazione integrata delle politiche nazionali in favore delle persone anziane, con particolare riguardo alle politiche per la presa in carico delle fragilità e della non autosufficienza), la cui creazione è prevista da questo stesso testo, sarà responsabile della gestione unitaria e coordinata di tutte le misure pubbliche dedicate alle persone anziane non autosufficienti;
  • L’articolo 5 contiene delle previsioni in favore dei caregiver al fine di migliorarne le condizioni di vita familiari.

Criticità e valutazioni

Uno degli aspetti più critici di questo testo normativo è quello dei fondi per realizzare le sue previsioni. Analizzando l’articolo 8, che ne delinea appunto le risorse economiche, pare abbastanza evidente che quanto stabilito non sarà sufficiente. La complessità e poca chiarezza complessiva della Legge Delega risultano inoltre uno scoglio importante nel comprendere appieno l’effettiva portata di riforma che con lo stesso si vuole attuare nel concreto. La sensazione che ne deriva è che questo testo, seppur di grande portata innovativa sulla carta, rischi pertanto di rimanere una “bella dichiarazione di intenti”, e di assorbire le risorse che erano state destinate alle persone con disabilità, senza comunque riuscire a mettere in atto quanto si prefigge.

Tra le varie criticità, segnaliamo in particolare le seguenti:

– CAREGIVER: La previsione sui caregiver, per quanto buona nel suo contenuto, porta con sé il rischio di attuare una discriminazione verso gli assistenti domiciliari delle persone con disabilità più giovani, mancando allo stato attuale una normativa nazionale generale su questa importante figura alla quale riferirsi.

– INFORMATIZZAZIONE: Per quanto riteniamo estremamente positiva la previsione di azioni specificamente rivolte all’alfabetizzazione informatica e all’uso delle nuove tecnologie, sottolineiamo come, per garantire l’indipendenza delle persone anziane e anziane non autosufficienti e la loro attuale partecipazione alla società, resta di importanza fondamentale rispettare i requisiti e la normativa in tema di l’accessibilità digitale di tutte le procedure previste dalla Pubblica Amministrazione e l’accessibilità delle modalità di comunicazione con la stessa. In tale ottica, sarebbe stato certamente utile estendere tali obblighi a tutti i servizi rivolti ai cittadini anziani, laddove non applicabili secondo la normativa attuale. Inoltre, sarebbe stato opportuno prevedere, magari attraverso il volontariato od il servizio civile (che in questa legge ricevono molto spazio come strumenti di coesione intergenerazionale e di inclusione sociale delle persone over 65) dei servizi di assistenza burocratica nell’utilizzo e l’accesso ai vari servizi digitali ed informatici che caratterizzano tutte le P.A.

– CONVENZIONE ONU SULLA DISABILITA’: In un testo di legge che tocca molto profondamente le vite di molte persone con disabilità, la mancanza di riferimenti alla Convenzione Onu sui diritti e l’inclusione delle persone con disabilità del 2006 è di per sé espressione di una problematicità della strutturazione del testo normativo. L’Italia ha l’obbligo di seguire i suoi dettami e linee guida, anche nei confronti delle persone con disabilità, ormai entrate, nell’età anziana. In aggiunta, sarebbe stato opportuno fare riferimento alla “European Charter of the rights and responsibilities of older people in need of long-term care and assistance”.

– DOMICILIARIZZAZIONE: Nel testo della Legge Delega si è voluto affermare l’impegno a consentire alle persone anziane di aver accesso alle cure, anche palliative, presso il loro domicilio; allo stesso tempo tuttavia manca qualsiasi riferimento al diritto al consenso informato della persona su tutti i trattamenti medici sanitari, nonché sulle prestazioni sia assistenziali sia terapeutiche che riceve. Questa mancanza è tecnicamente in contrasto con le normative europee e internazionali che il nostro Stato deve implementare.

– COORDINAMENTO CON ALTRE NORME / ISTITUTI (DAT, ADS, etc): Rileviamo inoltre come manchino delle disposizioni riguardanti il diritto a disposizioni anticipate di trattamento e fine vita, oppure di coordinamento con le disposizioni che riguardano l’amministrazione di sostegno e tutti gli istituti giuridici che disciplinano casi analoghi (i.e.: terza persona nominata a rappresentare la persona anziana / non auto ufficienti etc). Tutte questioni che se fossero state toccate da questa normativa l’avrebbero resa più completa ed esaustiva in relazione ai bisogni e ai diritti delle persone entrate nella età anziana.

Normativa che a nostro avviso, alla luce di quanto sopra esposto, non si può non valutare come buona, ma allo stesso tempo molto generica e dispersiva.

 

Approfondimento a cura del Centro Studi Giuridici HandyLex
 

Santo Stefano Harding

 

Santo Stefano Harding


Nome: Santo Stefano Harding
Titolo: Abate
Nascita: 1050, Sherborne, Regno Unito
Morte: 28 marzo 1134, Saint-Nicolas-lès-Cîteaux, Francia
Ricorrenza: 28 marzo
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Nacque nel 1059, da una nobile famiglia sassone dal nome Harding, a Merriot, nei dintorni di Sherborne, nell’Inghilterra Meridionale. Viaggiò molto e fin dalla più tenera età, fu attratto dalla vita monastica, prese i voti nell’abbazia benedettina di Sherborn.

Dopo l’invasione normanna lasciò la vita monastica trasferendosi in Scozia divenendo uno studioso itinerante. Si trasferì infine nell’abbazia di Molesme in Borgogna, sotto l’abate San Roberto di Molesme .

Stephen Harding fu una delle figure più significative dei primi decenni della storia cistercense viaggò in Francia a Parigi per completare gli studi, e a Roma in un pellegrinaggio penitenziale accompagnato da un giovane chierico, prima di rientrare nella vita monastica a Molesme, per poi partire con i fondatori del Nuovo Monastero di Citeaux. Dal 1108 al 1133, periodo della prima espansione cistercense, prestò servizio come abate e, secondo alcuni, il genio formativo dietro l’Ordine cistercense.

Di ritorno da Roma, verso l’Inghilterra, si fermarono nell’abbazia di Molesme in Borgogna, dove fecero la conoscenza dell’abate benedettino Roberto di Molesme che tentava di riformare lo spirito cluniacense, considerato ormai poco vicino all’ispirazione dello spirito monastico benedettino.

Egli aveva fondato in un clima di particolare austerità proprio a Molesme nel 1075 il monastero: fu questa una caratteristica che attirò l’interesse del giovane Stefano, che decise di fermarsi.

Con il tempo la prosperità economica e le numerose filiazioni dell’abbazia di Molesme allontanarono l’abate Roberto, e altri monaci tra cui Stefano, inducendoli a lasciare Molesme per fondare un nuovo monastero, più vicino ai principi che si erano persi.

Nel 1098, una volta ottenuta l’approvazione dell’arcivescovo di Lione Ugo, Roberto, Alberico e Stefano Harding fondarono un nuovo monastero a Citeaux. Era stato fatto loro dono di un terreno ad opera del visconte Rinaldo di Beaume, si pensa fosse un parente dello stesso Roberto, e aiuti materiali anche da parte del duca di Borgogna, Eudes.

A seguito della partenza del famoso abate Roberto dal monastero di Molesme ci fù in tutta la regione molto scalpore e disonore all’abbazia. Per questo motivo i monaci di Molesme si rivolsero direttamente al papa Urbano II chiedendogli che ordinasse a Roberto di tornare a Molesme come abate.

Nel 1099 Roberto, lasciò Citeaux per tornare definitivamente a Molesme. Gli successe come abate a Citeaux Alberico, che guidò la congrega fino alla sua morte, avvenuta nel 1109. Alla sua morte fu eletto abate Stefano Harding. Fu proprio quest’ultimo che portò una fase di cambiamento al nuovo monastero attraverso la famosa Charta Caritatis, quello che rappresenta uno degli statuti dell’ordine cistercense.

La Cartha Caritatis stabiliva i rapporti tra i diversi monasteri: case-madri e le rispettive filiazioni; tutti gli abati dovevano riunirsi una volta l’anno a Citeaux.

Stefano segui la riforma dei libri liturgici, con la revisione del Graduario, dell’Antifonario e degli Inni. Fu lui che impose la tunica bianca ai nuovi monaci: il segno tangibile della particolare devozione alla Madonna e forse, in antitesi al colore scuro dei benedettini cluniacensi.

Con lui continuò il clima di austerità che era stata una delle caratteristiche originarie data da Roberto di Molesme. Mantenne l’obbligo per i monaci di sostentarsi anche con il loro lavoro manuale e gli edifici del monastero e la chiesa dovevano conservare e testimoniare questo spirito di austerità.

Durante la sua guida, dal 1109 al 1133, ebbe luogo l’ingresso a Citeaux di Bernardo che oltre a portare con sé molti parenti ed amici, diede luogo alla fondazione di un nuovo monastero a Clairvaux

L’opera di San Bernardo diede un impulso decisivo e grandioso al nuovo ordine cistercense, facendolo divenire in breve il più grande ordine monastico del tempo.

Nel 1115 Stefano inviò gli statuti e gli usi del nuovo ordine ad un gruppo di monache che erano a Jully-les-Nonnains, presso Digione, dando inizio al ramo femminile dell’ordine cistercense.

S occupò di stilare la prima storia dell’ordine nello scritto dal titolo Exordium Cisterciensis Coenobii.

Ebbe importante impegni nel rimediare ai contrasti che si verificarono tra le diverse filiazioni. Esausto e infermo si dimise dalla carica di abate nel 1133.

Morì il 28 marzo 1134 a Citeaux, dove fu sepolto nella chiesa abbaziale, accanto al suo predecessore Alberico. Le due tombe furono poi spostate quando si costruì una nuova chiesa.

Alla sua morte l’ordine contava settanta monasteri diffusi in tutta Europa.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Cîteaux in Borgogna, nell’odierna Francia, santo Stefano Harding, abate: giunto da Molesme insieme ad altri monaci, resse questo celebre cenobio, istituendovi i fratelli laici e accogliendo in esso il famoso Bernardo con trenta suoi compagni; fondò dodici monasteri, che vincolò tra loro con la Carta della Carità, affinché non esistesse tra i monaci discordia alcuna e tutti vivessero sotto il medesimo dettame della carità, sotto la stessa regola e secondo consuetudini simili.

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