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Pensioni

RIFORMA PENSIONI/ Flessibilità, la strada più equa per il post-Quota 100

Pubblicazione: 14.01.2021 – Guido Canavesi

Occorre garantire più certezza e uguaglianza nel sistema previdenziale rispetto a quello che è stato fatto negli ultimi anni e con la Legge di bilancio

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Curati della Fondazione della Sussidiarietà, tra ottobre e dicembre dello scorso anno, Il Sussidiario ha pubblicato sei interviste a giuristi esperti del diritto della previdenza sociale e un articolo del prof. Matteo Bonzini, medico del lavoro, tutte riguardanti temi d’attualità come: pensione “quota 100”, l’innalzamento dell’età pensionabile, la sua relazione con la salute, il conflitto intergenerazionale. Non è usuale che a parlare di questi temi siano dei giuristi, perché si pensa, a torto, che si tratti di problemi di prevalente rilievo finanziario, perciò riservati agli economisti o ai sociologi.

 
 
 
 
 

Provando a sintetizzare quanto emerso dalle interviste, la valutazione sulla pensione “quota 100” – provvedimento a carattere temporaneo entrato per ora nell’ultimo anno di vita – è in genere negativa almeno sotto tre profili. È innanzitutto fallito l’obiettivo di incentivare il ricambio generazionale: lo dicono i dati, peraltro a conferma di quanto pronosticato da molti dei primi commentatori. Con il lockdown, anzi, lo strumento rischia di cambiare pelle, diventando un ammortizzatore sociale atto a ridurre la disoccupazione, soprattutto per lavoratori economicamente e socialmente fragili.

 

Ciò non toglie, ma le opinioni al riguardo sono più articolate, che “quota 100” avvantaggi i lavoratori con carriere lavorative continue – anche se con un buon numero di anni in regime misto di calcolo della pensione – e neppure distingua tra questi in base a effettive condizioni di gravosità del lavoro. Il tutto a spese dei giovani, riproponendo il tema della sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, in realtà aggirato dal Governo finanziando la misura con le entrate fiscali.

Si tratta, infine, di una delle tante ipotesi di pensionamento anticipato in deroga alla disciplina ordinaria della legge Fornero, la cui moltiplicazione accresce il tasso di diseguaglianza tra i lavoratori, ma non offre alcuna risposta organica e di lungo periodo al problema reale della mancanza di flessibilità dell’età pensionabile.

 

Su quest’ultimo problema, la comune critica allo stillicidio di ipotesi temporanee (ma con plurime proroghe) di pensionamento anticipato si accompagna a tre proposte di soluzione organica, in realtà tra loro complementari: il ritorno all’impianto originario della legge Dini del 1995, ossia a un’età flessibile di pensionamento, peraltro aggiornata nel minimo e nel massimo (60-70 o 63-71 anni); un deciso ricorso a politiche di invecchiamento attivo che considerino l’anziano come risorsa e al contempo consentano il ricambio generazionale; da ultimo ed eventualmente, la conservazione di limitate ipotesi di pensionamento anticipato calibrate su categorie specifiche di persone, particolarmente bisognose.

 

Oltre “quota 100”, la rigidità della legge Fornero, riconosciuta da tutti, non sta tanto nel meccanismo dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile, quanto nella sua generalizzazione. Questa, infatti, presuppone un’equazione tra aumento della speranza di vita e longevità (o permanenza di una condizione di buona salute), smentita dalla realtà, come ben evidenzia l’articolo del prof. Matteo Bonzini. Inoltre, l’adeguamento automatico alla speranza di vita, di per sé legittimo, finisce per non esserlo più, o almeno rischia di finire così, nel momento in cui risponde unicamente a un criterio di sostenibilità finanziaria. Il problema della sostenibilità, tuttavia, non è risolvibile operando solo internamente al sistema previdenziale, richiedendo la sviluppo di politiche per accrescere l’occupazione stabile e di politiche per la famiglia che favoriscano anche la ripresa del tasso di natalità.

 

Un panorama più articolato presentano le risposte sul conflitto generazionale, non tanto perché qualcuno ne neghi l’esistenza quanto perché se ne evidenziano molteplici profili. Così, la legittimità di interventi come la contribuzione di solidarietà o i tetti pensionistici è da qualcuno fondata su un dovere giuridico delle generazioni attuali verso le future in base al principio solidaristico contenuto sull’art. 2 Cost. Secondo altri, il sistema di calcolo contributivo escluderebbe quel conflitto, introdotto tuttavia dalla disciplina transitoria della legge n. 335 del 1995, mentre un’interessante prospettiva sposta l’attenzione sul profilo fiscale, rilevando che i futuri lavoratori o chi ha redditi da lavoro modesti beneficia della solidarietà finanziata anche da lavoratori con redditi non particolarmente elevati.

Con un range di valutazioni che va dal poco rilevante all’inutile, all’artificioso la distinzione tra previdenza e assistenza è un falso problema e, in senso giuridico, perfino inesistente, perché le forme di finanziamento della previdenza non sono stabilite in modo vincolante dalla Costituzione (art. 38, comma 4), ma lasciate alle scelte discrezionali del legislatore ordinario, per cui di principio non è impedita una totale fiscalizzazione.

La sostanziale coralità riscontrata nelle opzioni di fondo delle risposte è tanto più significativa per la diversità di storie accademiche e culturali degli intervistati. L’osservazione non è una nota di colore, perché evidenzia l’esistenza di problemi oggettivi e la necessità di soluzioni organiche. L’intervento più lineare e semplice è il ritorno all’origine della l. n. 335 del 1995, cioè alla flessibilità dell’età di pensionamento tra un minimo e un massimo, ovviamente aggiornati. Una soluzione che garantisce certezza e uguaglianza, senza creare sacche di privilegio e aspettative assistenziali di chi resta fuori. Perché questa è la dinamica perversa che producono i tanti piccoli interventi settoriali: creato il privilegio temporaneo se ne allargano i confini temporali e soggettivi, perché non è giusto che per un giorno, una settimana, un mese uno sia dentro e l’altro fuori. E ogni anno si ricomincia.

Stride, in confronto, la pochezza dei contenuti in materia della Legge di bilancio. Nulla più che l’ennesima proroga di alcune forme temporanee di pensionamento anticipato (Opzione donna, Ape sociale, isopensione).

La storia dell’INPS

La storia

Nel 1898 la previdenza sociale muove i primi passi con la fondazione della Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e per la vecchiaia degli operai (Legge 17 luglio 1898, n. 350). Ispirata al principio della «previdenza libera sussidiata», si tratta di un’assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento e dal contributo anch’esso libero degli imprenditori. A ciascun iscritto è intestato un conto individuale su cui accreditare i contributi versati, le quote di concorso (ossia l’integrazione della Cassa) e i relativi interessi. Se il lavoratore non ha vincoli quanto all’entità ed alla durata del versamento, il diritto alla rendita sorge solo dopo un certo numero di anni di iscrizione ed alla maturazione dell’età di 60 anni.

Nel 1919 l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia diventa obbligatoria per i lavoratori dipendenti privati (al personale pubblico si applicava diversa disciplina). S’introduce l’istituto della pensione di invalidità e vecchiaia (requisiti minimi: 65 anni di età e 12 anni lavorativi). Sempre nel 1919 viene introdotta l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione volontaria (dal 1923 affidata alla Cassa). È il primo passo verso un sistema che intende proteggere il lavoratore da tutti gli eventi che possono intaccare il reddito individuale e familiare, la cui gestione è affidata alla Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali (così ridenominata).

Nel 1933 la CNAS assume la denominazione di Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale, ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica e gestione autonoma che, dal 1944, diviene definitivamente Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.

Tra il 1927 e il 1941 sono istituite l’assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, gli assegni familiari e la Cassa integrazione guadagni. Nel 1939 il limite di età per il conseguimento della pensione di vecchiaia viene ridotto a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne; viene istituita la pensione di reversibilità a favore dei superstiti dell’assicurato e del pensionato.

Nel 1952 si avvia la transizione verso il modello a ripartizione e nasce il trattamento minimo di pensione.

Nel periodo 19571966 vengono costituite le Casse per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, per gli artigiani e per i commercianti.

Nel periodo 19681972 il sistema retributivo, basato sulle ultime retribuzioni percepite, sostituisce quello contributivo nel calcolo delle pensioni. Nascono la pensione di anzianità e la pensione sociale (che sostituisce la minima agli indigenti), erogata a tutti i cittadini al di sopra dei 65 anni di età ed al di sotto di una certa soglia di reddito indipendentemente da qualsiasi requisito contributivo. Vengono predisposte misure straordinarie di tutela dei lavoratori ( cassa integrazione guadagni straordinaria e pensionamenti anticipati) e per la produzione (sgravi contributivi).

Nel 1978 viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale. Sono affidati all’INPS la riscossione dei contributi di malattia e il pagamento delle relative indennità.

Nel 1984 il legislatore riforma la disciplina dell’invalidità, collegando la concessione della prestazione non più alla riduzione della capacità di guadagno, bensì a quella di lavoro.

Nel 1989 entra in vigore la Legge di ristrutturazione dell’INPS (L. 88 del 1989), che rappresenta un momento di particolare importanza nel processo di trasformazione dell’Ente in una moderna azienda di servizi.

Nel 1990 viene attuata la riforma del sistema pensionistico dei lavoratori autonomi. La nuova normativa, che ricalca per vari aspetti quella in vigore per i lavoratori dipendenti, lega il calcolo della prestazione al reddito annuo di impresa.

Nel 1992 il legislatore eleva (con gradualità) l’età minima per la pensione di vecchiaia a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne e il requisito assicurativo minimo a 20 anni.

Nel 1993 viene regolamentata la previdenza complementare, che si configura come un sistema volto ad affiancare la previdenza obbligatoria con forme di assicurazione a capitalizzazione di tipo privatistico.

Nel 1995 viene emanata la legge di riforma del sistema pensionistico (L. 335 del 1995) che si basa sui seguenti principî: le pensioni sono calcolate sull’ammontare dei contributi versati durante tutta la vita lavorativa (montante contributivo), moltiplicato per un coefficiente di trasformazione calcolato in ragione della durata attesa della prestazione; l’età di pensionamento è flessibile, tra i 57 e 65 anni (uomini e donne); si accelera l’armonizzazione delle gestioni previdenziali; diviene operativa la Gestione separata per tutti i lavoratori non rientranti in altre gestioni (soprattutto i lavoratori coordinati e continuativi); è previsto un regime transitorio.

Nel 2003 sono approvate la Legge 30 e il conseguente Decreto legislativo 276 di riforma del mercato del lavoro, ispirata alle idee ed agli studi del professor Marco Biagi.

Nel 2004 sono modificati i requisiti di accesso alla pensione e sono previsti incentivi per il posticipo della pensione.

Nel 2007 sono modificati nuovamente i requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico e le finestre di uscita dal lavoro. Tra i punti salienti della riforma la revisione automatica dei coefficienti di trasformazione e l’introduzione, a partire dal 2009, del cosiddetto “sistema delle quote”, in base al quale il diritto alla pensione di anzianità si perfeziona al raggiungimento di una quota data dalla somma fra l’età anagrafica minima richiesta e l’anzianità contributiva.

Nel 2009 è disposto che i requisiti di età per ottenere la pensione vengano adeguati all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT. La diffusione del nuovo strumento dei buoni lavoro per il pagamento del lavoro occasionale accessorio e nuove norme e sinergie istituzionali rafforzano il ruolo dell’Inps nel contrasto al lavoro nero e nel recupero dei crediti contributivi.

Nel 2010 vengono adottate ulteriori misure per stabilizzare il sistema pensionistico. Viene confermato ed accelerato il meccanismo di adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita e viene introdotta una finestra “mobile” per l’accesso alla pensione in sostituzione dei precedenti termini di decorrenza.

Nel 2011, nel medesimo provvedimento contenente la «riforma Monti-Fornero», vengono soppressi INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica) ed ENPALS (Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo) e viene disposto, al 31 marzo 2012, il trasferimento all’INPS di tutte le competenze dei due enti. Si completa così un processo ventennale di progressivo accorpamento in INPS di tutti gli enti di sicurezza sociale, assicurando ai cittadini un unico soggetto interlocutore per i servizi di previdenza ed assistenza.

REDDITO di EMERGENZA

 

   COMUNICAZIONI AGLI UTENTINOVEMBRE 2020

Dal 10 al 30 novembre 2020 è possibile presentare la domanda di REm ai sensi dell’articolo 14 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137.


Si ricorda che il REM è incompatibile con la presenza, nel nucleo familiare, di uno o più membri titolari, al momento della presentazione della domanda, di rapporti di lavoro dipendente la cui retribuzione lorda complessiva sia superiore alla soglia massima di reddito familiare, individuata in relazione alla composizione del nucleo.

Nel caso di lavoratori posti in cassa integrazione ordinaria o in deroga o per i quali sia stato richiesto l’intervento del FIS, la verifica del requisito viene effettuata sulla base della retribuzione teorica del lavoratore, desumibile dalle denunce aziendali.

REDDITO DI EMERGENZA
(art. 14 decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020)

 
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    CHE COSA È

    L’articolo 14, comma 2, del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, ha previsto il riconoscimento, a domanda, di due mensilità di Reddito di emergenza, per i mesi di novembre e dicembre 2020.
    Il beneficio, il cui importo è determinato ai sensi del comma 5 dell’articolo 82 del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, sarà riconosciuto ai nuclei familiari in condizioni di difficoltà, come conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, e in possesso cumulativamente di determinati requisiti di residenza ed economici, patrimoniali e reddituali.
    Si precisa che ai nuclei familiari beneficiari della quota di Reddito di Emergenza di cui all’articolo 23 del decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, è riconosciuta d’ufficio, senza necessità di presentare nuova domanda, la medesima quota per i mesi di novembre e dicembre 2020.

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    REQUISITI

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    INCOMPATIBILITÀ CON REDDITI E PRESTAZIONI

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    QUANDO E COME PRESENTARE DOMANDA

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    IMPORTO DEL BENEFICIO

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    DURATA DEL BENEFICIO

Indennità onnicomprensiva

Indennità onnicomprensiva: richieste di riesame delle domande respinte

Con la circolare INPS 28 ottobre 2020, n. 125 sono state fornite le istruzioni sull’indennità onnicomprensiva, pari a 1.000 euro, concessa a favore delle seguenti categorie di lavoratori, le cui attività sono state colpite dell’emergenza epidemiologica da Covid-19:

  • stagionali, in somministrazione o a tempo determinato dei settori del turismo e degli stabilimenti termali;
  • dipendenti stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali;
  • intermittenti;
  • autonomi occasionali;
  • venditori a domicilio;
  • dello spettacolo.

Gli esiti delle domande e le relative motivazioni sono consultabili tramite il servizio online “Indennità 600/1.000 euro”, alla voce “Esiti”.

Con il messaggio 15 dicembre 2021, n. 143 si forniscono le istruzioni sulla gestione delle richieste di riesame delle domande respinte, per non aver superato i controlli sui requisiti, e precisazioni sugli indirizzi amministrativi per i riesami delle domande presentate dai lavoratori dello spettacolo.

San Marcello I

 

San Marcello I


Nome: San Marcello I
Titolo: Papa
Nascita: III secolo , Roma
Morte: 16 gennaio 309, Roma
Ricorrenza: 16 gennaio
Tipologia: Commemorazione
Protettore di: cavalli

Nei primi tre secoli del Cristianesimo, non tutte le persecuzioni furono uguali. Da Nerone a Diocleziano, fu un alto e basso, un incrudelire e un blandire. Qualche Imperatore, come Decio, mirò più a fare apostati, cioè rinnegati, che Martiri, cioè « testimoni ».

L’ultima persecuzione, prima che Costantino accogliesse come insegna la Croce, fu quella del vecchio Diocleziano, e fu la più lunga e cruda. Ebbe inizio nel 303. Distrutte le chiese, bruciati i libri sacri, i Cristiani che si rifiutavano di sacrificare agli dèi erano considerati peggio di schiavi, I nobili, se cristiani, perdevano i loro titoli; gli ufficiali, i loro gradi; i funzionari, i loro uffici; i mercanti, i loro averi.

Ma a queste persecuzioni morali si aggiunsero presto anche quelle materiali. Accusati d’aver bruciato il Palazzo imperiale i Cristiani vennero arsi, affogati, decapitati, crocifissi, sbranati. Città intere restarono spopolate; l’esercito decimato.

Dinanzi a questo vero e proprio « terrore », molti Cristiani cedettero: abiurarono e apostatarono. Non tutti furono capaci di reggere, specialmente alla persecuzione civile, e per conservare, non tanto la loro vita, quanto la loro dignità, i loro gradi, i loro uffici, i loro averi, caddero nell’apostasia.

Vennero chiamati lapsi, cioè caduti; e relapsi quando erano ricaduti più di una volta nell’apostasia.

Per questi suoi figli infelici, la Chiesa devastata, smembrata, prese il lutto, e alla morte del Papa Marcellino si ebbe un lungo periodo di vacanza della sede apostolica.

In questo momento difficilissimo, anzi, addirittura tragico, s’alzò la figura di San Marcello, presbiterocapo della Chiesa Romana. Nei calendari e negli elenchi dei Pontefici, gli viene dato il titolo di Papa, trentunesimo della serie Apostolica. Ma forse egli non fu Papa, ma soltanto « Presbiterocapo », cioè primo tra i sacerdoti romani.

In ogni modo, il suo pontificato ebbe inizio quattr’anni dopo la morte del suo predecessore, e fu di breve durata. La Chiesa, dopo la persecuzione e l’assenza di un capo, mostrava le piaghe dell’infedeltà e le cicatrici del tradimento. San Marcello fu severo coi lapsi, ai quali impose gravi penitenze; severissimo coi relapsi. Duro con coloro i quali, addirittura, avevano formato una specie di partito « lassista », che tentava di giustificare, se non addirittura difendere, l’operato dei cristiani rinnegati.

E la durezza di San Marcello era santa e salutare, perché se i deboli possono destare pietà, i traditori compiaciuti e i protervi non possono suscitare che la riprovazione e la condanna.

Con la morte di Diocleziano e la successione di Massenzio, che doveva essere poi l’avversario sconfitto da Costantino, la persecuzione parve placarsi. La Chiesa romana si riorganizzò sotto la guida inflessibile di San Marcello, finché anche l’Imperatore Massenzio, insospettitosi, mandò in esilio il Pontefice, o « Presbiterocapo », della Chiesa Romana.

E in esilio morì, nel 309, per quanto le leggende, e anche il Martirologio accennino ad una fine diversa e più colorita.

Narrano infatti come Marcello celebrasse nella casa che una ricca matrona, Novella, aveva lasciato alla Chiesa, convertendosi al Cristianesimo, e che si trovava sulla via Lata. L’Imperatore, avrebbe fatto trasformare quella casachiesa in una stalla per i cavalli dei corrieri imperiali; e San Marcello, dopo essere stato battuto con le verghe, fu condannato a servire come stalliere.

Nel qual servizio, conclude la Leggenda, dopo molti anni di fatiche e di strapazzi, si riposò in pace », cioè morì. Ecco perché San Marcello, presbitero-capo e Papa, viene venerato come Patrono degli stallieri e protettore delle scuderie, men duro forse verso le bestie che con i relapsi compiaciuti e protervi!

MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma nel cimitero di Priscilla sulla via Salaria Nuova, deposizione di san Marcellino I, papa, che, come attesta san Damaso, vero pastore, fieramente osteggiato dagli apostati che rifiutavano la penitenza da lui stabilita e disonorevolmente denunciato presso il tiranno, morì esule scacciato dalla patria.