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Quota 100

Pensioni ultime notizie: stop Quota 100 dopo il 2021, ecco come si cambia

Pubblicato il 4 Gennaio 2021 alle 07:30Autore: Daniele Sforza
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Pensioni ultime notizie: stop Quota 100 dopo il 2021, ecco come si cambia

Pensioni ultime notizie: stop a Quota 100 il 31 dicembre 2021, ultimo giorno della misura di pensionamento anticipato a scadenza. A partire dal 1° gennaio 2022 si cambierà, dunque, anche se non è ancora ben noto come. Per ora sono diverse le ipotesi in corso, ma quella che prende più quota, se perdonate il gioco di parole, è proprio Quota 102, che dovrebbe aumentare di 2 anni il requisito anagrafico di Quota 100. In scadenza, oltre a Quota 100, nel 2021 andranno anche Ape sociale e Opzione Donna, confermati nel 2021, ma non nel 2022, per il momento. Si parla comunque di una riforma importante a partire proprio dal 2022.

Pensioni ultime notizie: cosa succede nel 2021

Non ci sono stati grandi e importanti novità nel 2021 sul fronte previdenziale. Quota 100 non è stata abolita, ma è stata confermata fino al 31 dicembre 2021. Prorogate anche Ape Sociale e Opzione Donna per tutto il 2021. Con Ape sociale alcuni lavoratori figuranti in determinate categorie (caregiver, disoccupati, invalidi) potranno andare in pensione con 63 anni di età e 30 anni di contributi versati (36 per i lavoratori gravosi). A proposito di lavori gravosi, per il 2021 non c’è stata l’attesa estensione a quelle categorie più esposte al rischio da Covid-19.

Opzione Donna, invece, è riservata alle lavoratrici che hanno versato 35 anni di contributi e che abbiano raggiunto almeno 58 anni di età (59 anni per le lavoratrici autonome).

Per quanto riguarda le altre forme di pensionamento disponibili nel 2021, invece, vi invitiamo a consultare questo articolo.

Quota 102 nel 2022

Come abbiamo anticipato, a partire dal 1° gennaio 2022 cambierà un po’ tutto. Quel che è certo è che Quota 100 non ci sarà più. Ci potrebbe essere Quota 102, invece, che consentirebbe il pensionamento con 64 anni di età e 38 anni di contributi versati. Tra le ipotesi allo studio, anche un’agevolazione per i lavoratori gravosi, che potrebbero uscire con due anni (di età anagrafica) in anticipo.

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Quota 100 va in “soffitta”, ultima chiamata nel 2021: cosa cambia per le pensioni

Il 2021 è l’ultimo anno utile per andare in pensione con la cosiddetta “Quota 100”, la misura sperimentale promossa da Lega-M5S per anticipare la pensione a 62 anni e 38 di contributi. Difatti Quota 100, Ape Sociale e Opzione Donna, le tre finestre di uscita dal lavoro previste dall’attuale sistema di pensioni, non sono stati confermati dalla nuova Legge di Bilancio e scadranno il 31 dicembre. Per questa ragione il governo sta valutando delle alternative. Ecco di che si tratta…

 
 

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Quota 100 addio dopo il 2021, cosa cambia: le opzioni al vaglio del Governo

Nell’attesa di trovare una soluzione ad hoc per le pensioni, dall’esecutivo qualcuno sta pensando di “rispolverare” una vecchia “biga”. Si dovrebbe passare di nuovo all’applicazione della Legge Fornero, che prevede il pensionamento al raggiungimento dei 67 anni di età. Ad ogni modo per tutto il 2021 sono state confermate dal governo le uscite dal mondo del lavoro già attuate nel 2020. Senza contare l’estensione, contenuta nella Legge di Bilancio 2021, di un’opzione rivolta alle categorie di lavoratori considerati “fragili”, poiché esposti maggiormente al rischio di contrarre l’infezione da Coronavirus.

 

Per i per i prossimi 12 mesi però, come dicevamo in apertura, saranno ancora in vigore Quota 100, Opzione Donna e Ape Sociale. Opzione Donna, il pensionamento riservato alle lavoratrici, consente l’accesso alla pensione a tutte coloro che abbiano almeno 58 anni di età (59 per le donne autonome) e 35 anni di contribuiti versati. L’Ape Sociale permette, invece, ad alcune categorie di lavoratori di andare in pensione con 63 anni di età e 30 anni di contribuiti versati. Un’ulteriore modalità di pensionamento è quello anticipato, riservato ai lavoratori con 42 anni e 10 mesi di contribuiti versati e le lavoratrici con 41 anni e 10 mesi di contribuiti.

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Quota 100 addio: le novità sui pensionamenti

La Legge di bilancio per il 2021, come dicevamo, rinnova alcune opzioni che consentono di andare in pensione in forma anticipata. I nati nel 1961 o nel 1962 possono andare in pensione grazie anche a Quota 41. L’età anagrafica però non basta. Tra gli altri requisiti: aver maturato 41 anni di contributi, di cui 12 mesi versati prima di compiere i 19 anni di età (lavoratori precoci). E ancora: invalidi per almeno il 74%; lavoratori che svolgono mansioni usuranti; caregiver, impegnati ad assistere un familiare con disabilità (legge n. 104/1992) da almeno 6 mesi; e disoccupati che hanno smesso di percepire l’indennità sostitutivada almeno 3 mesi. Leggi anche —> Pensioni quota 100 diventa quota 98, ma c’è un’altra ipotesi: cosa cambia e per chi

Dante, la Sardegna e la lingua sarda

Francesco Casula
 Il 2021 è l’anno di Dante Alighieri. Ricorre infatti quest’anno il Settecentenario dalla morte dell’immenso poeta fiorentino (e universale), avvenuta a Ravenna nel settembre del 1321. Ma ecco cosa scrive sulla Sardegna di Francesco Casula Non sappiamo con esattezza se Dante sia stato in Sardegna di persona: non abbiamo comunque documenti che lo accertino. Nella Divina Commedia però i riferimenti alla Sardegna e ai Sardi, ai suoi costumi e ai principali personaggi che quivi avevano interessi e possedimenti o che comunque vi svolsero la loro opera, sono tanto frequenti da indurre Tommaso Casini (in Ricordi danteschi in Sardegna, in Nuova Antologia, terza serie, vol. LVIII, fasc. XIII e XIV) a prospettare l’ipotesi che l’Alighieri vi sia stato e che l’Isoletta di Tavolara, all’uscita del canale di Olbia, con la sua struttura conica dalle bianche falde calcaree emergenti dal mare abbia dato lo spunto alla forma del Purgatorio quale la foggiò l’ardita fantasia del poeta. Ecco cosa scrive: ”La storia, la geografia, la lingua, i costumi, gli uomini, i fatti della Sardegna nel tempo di Dante sono rispecchiati nelle opere di lui con tanta precisione e abbondanza di informazioni che, al confronto col silenzio di tutti i suoi contemporanei, inducono un senso di meraviglia sì che non dovrebbe poi parere troppo ardita l’ipotesi che il Poeta, o da giovane, quando a ciò poteva essergli occasione l’amicizia sua con il giudice Nino gentile o nella più matura età quando fuoruscito dalla patria godette la ospitale cortesia dei Malaspina, i quali appunto ebbero in quegli anni frequenti occasioni di recarsi nell’isola, facesse anch’egli come tanti altri al suo tempo, il viaggio in Sardegna. L’ipotesi sarebbe tutt’altro che campata in aria…”. Anche perché – aggiunge Casini – ai tempi di Dante il viaggio dall’Italia alla Sardegna era “Né lungo né difficile. Le galee di Pisa arrivavano per l’Elba alle coste della Gallura in due giorni”. E Pantaleo Ledda, più o meno sulla stessa linea (in Dante e la Sardegna, 1921, riedito dalla Gia editore, Cagliari, 1994) scrive che “se non si trattasse di un volo di fantasia, si potrebbe dire, per avvalorare l’ipotesi di questo viaggio, che l’idea di creare il monte del Purgatorio, sorgente dalle acque di un mare solitario, venisse al poeta dopo le vive impressioni alla vista dell’Isola di Tavolara, che sale a picco dal mar Tirreno, coronata sulle cime di una fosca boscaglia”. “Certo è che quell’Isola scriveva sempre Casini – come ricorda Manlio Brigaglia in Dionigi Scano, Ricordi di Sardegna nella Divima Commedia con scritti di Alberto Boscolo, Manlio Brigaglia, Geo Pistarino, Marco Tangheroni, Cagliari, Banco di Sardegna, Milano Silvana editoriale, 1982 – così integrata all’economia toscana, così attraversata da mercanti e marinai (furono loro che fecero alle donne di Barbagia la fama di licenziosità di cui furono secondo i commentatori, unanimemente circondate nel medioevo) così direttamente collegata alle lotte di potere fra le grandi famiglie pisane, così importante nella politica oltretirrenica di quei signori Malaspina di cui Dante fu ospite e lodatore, doveva essere conosciuta e universalmente «raccontata» nel mondo che Dante conobbe e frequentò”. Sicuramente conosceva gli avvenimenti e i personaggi della Sardegna del secondo ‘200 e del primo ‘300 sia attraverso Nino Visconti, il Nino gentile suo amico, Giudice di Gallura, morto nel 1289, che spesso si recava a Firenze; sia attraverso i toscani che spesso si recavano in Sardegna; sia attraverso gli stessi Sardi che si recavano in Toscana. Dante parla della Sardegna e dei Sardi nei canti XXII, XXVI, XXIX, XXXIII dell’Inferno e nel VII e XXII del Purgatorio. Fra le regioni storiche sarde vengono nominate la Barbagia, la Gallura e il Logudoro. L’Isola dei Sardi è ricordata nel canto XXVI, versi 103-105 dell’Inferno, quando racconta il mitologico viaggio di Ulisse: L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna Fin nel Marocco e l’isola de’ Sardi E l’altre che quel mar intorno bagna. E nel canto XVIII, versi 79-81 del Purgatorio accennando al declino della luna a mezza notte tarda: E correa contro ‘l ciel per quelle strade Che ‘l sole infiamma allor che quel di Roma Tra ‘ Sardi e’ Corsi il vede quando cade. Il primo a occuparsi della Sardegna nella Divina Commedia è l’archeologo sardo Filippo Vivanet, (in La Sardegna nella «Divina Commedia» e nei suoi commentatori, Sassari, Tip. Azuni, 1879). Secondo Vivanet, il poeta fiorentino parla dell’Isola solo per evocare spiriti di assassini e di barattieri: “Nei pochi punti ove noi entriamo direttamente non è già per intrattenere il lettore di uomini grandi e virtuosi, per dare vita a un’immagine giuliva e leggiadra ch’egli lo fa, ma sibbene per evocare spiriti tristi di assassini e di barattieri, per distendere sulla sua tavolozza tinte dolorose di delitto e pena”. Certo si potrebbe sostenere che Dante nei suoi strali non risparmia nessuno: ); né Cesena dove (tra tirannia si vive e stato franco); né Siena (gente sì vana come la senese); né Lucca (dove ogni uomo è barattiere); né i Romagnoli che sono imbastarditi; né i Pisani (volpi sì piene di froda e Ahi Pisa vituperio delle genti ); né gli Aretini (botoli ringhiosi ) né i Pistoiesi che conducono una vita bestiale; né i Genovesi, cui augura l’annientamento perché uomini diversi d’ogni costume e pien d’ogni magagna; né i Bolognesi dei quali (è questo luogo tanto pieno); nè il Casentino dove l’Arno scorre (tra brutti porci più degni di Balle, che d’altro cibo). Firenze, addirittura, che il poeta ardentemente predilesse, supera per gli ingiuriosi rim-brotti tutte le altre città italiane: è città ch’è piena d’invidia sì che ne trabocca il sasso…dove tanto più trova di can farsi lupi ecc. ecc. Fatto sta che dalle Cantiche del Paradiso la Sardegna e i Sardi sono puntualmente totalmente esclusi: “Nel ciel che più della sua luce prende” –secondo Vivanet – non vi era posto per una terra così infelice. Dalla fosca luce dantesca in cui sono presentati i Sardi, non si salvano neppure le donne: per il poeta fiorentino, quelle barbaricine avevano fama di dubbia moralità. Nel Canto XXIII del Purgatorio versi 94-96 fa dire infatti a Forese Donati: Chè la Barbagia di Sardigna assai nelle femmine sue è più pudica che la Barbagia dov’io la lasciai. Secondo le chiose del secondogenito di Dante, Pietro Alighieri, le donne sarde andavano addirittura discinte e sovente addirittura nude. Per lo storico Alberto Boscolo “era vero che le donne di Barbagia andavano con il seno scoperto, perché due secoli dopo i vescovi le obbligavano a coprirselo con un largo fazzoletto”. Secondo altri storici e commentatori si tratta di una vera e propria falsità. E’ una delle tante panzane – scrive Dionigi Scano in Ricordi di Sardegna nella«Divina Commedia» – divulgate in terraferma sulla Sardegna, raccolta leggermente dal poeta. Un altro studioso e commentatore della Commedia, Pantaleo Ledda, va oltre, sostenendo esattamente il contrario. La presunta immoralità non solo non avrebbe alcun fondamento, in quanto il pater familias esercitava un’autorità indiscussa su tutto il clan familiare, ma casomai, avveniva il contrario: “un’eccessiva copertura del corpo con abiti che arrivavano fino alle caviglie. Addirittura il viso, in certe circostanze appare nascosto dietro un fazzoletto scuro che avvolge il capo, le guance e il mento, specie se si tratta di donne maritate, vedove o anziane” (Dante e la Sardegna, opera citata). “Non puó dirsi neppure che Dante sia stato preciso – scrive ancora Dionigi Scano nell’opera già citata – quando nel De vulgari eloquentia, ragionando dei vari dialetti d’Italia, scrisse che Sardos etiam qui non Latii sunt, sed Latiis adsociandi videntur, ejiciamus, quoniam sine proprio vulgari esse videntur, grammaticam tamquam simniae homines imitantes”. Insomma a Dante (il passo è contenuto nel capitolo .9 del Libro 1 del De Vulgari Eloquentia) ” Anche i Sardi, che non sono Latini, ma che sembra si possano ai Latini associare, cacciamo (dal novero degli eredi di diritto dei Latini) perché sembrano proprio gli unici a non disporre di un proprio volgare imitando la grammatica latina come le scimmie imitano gli uomini! (sic)!”. Non comprendendo – precisa ancora Scano – che nessun altro idioma d’Italia conserverà, come il sardo, la nobiltà antica della Lingua latina. Coglierà invece nel segno un suo quasi contemporaneo, Fazio degli Uberti quando nel Dittamondo, scriverà sui Sardi: Io vidi che mi parve meraviglia una gente che alcuno non intende nè sanno quel che altri bisbiglia. “Versi confermanti – è sempre lo Scano a sostenerlo – la lenta evoluzione della lingua sarda, che mantenendo antiche forme e strutture proprie del latino, si rese inintellegibile a quanti erano adusati al dolce idioma italiano”. Indubbiamente l’Alighieri non fu molto benevolo verso la ¬Sardegna anche quando mette in evidenza il lato negativo della (presunta o vera) insalubrità dell’aria a causa delle zone paludose. L’accenno è contenuto nel canto XXIX, versi 46-51 dell’Inferno: Qual dolor fora, se de gli spedali di Valdichiana tra il luglio e il settembre e di Maremma e di Sardigna i mali fussero in una fossa tutti insembre Si tratta di un tema oltremodo abusato negli scrittori classici, tanto da farci pensare che Dante – che i classici ben conosceva – ne sia stato largamente influenzato. Ne hanno parlato Marziale e Tacito, Claudiano e Pausania, Pomponio Mela e Strabone, Orazio e Cicerone. E’ invece di estremo interesse l’immagine che Dante dà della Sardegna quando di essa coglie i connotati di una popolazione in qualche modo unitaria e del tutto particolare. Si pensi a frate Gomita – in sardo Comita, perché scritto con la “G” è una forma toscana – e a Michele Zanche, mai stanchi pur nelle bolgie infernali di parlare della loro Isola: ………………..a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche Dante non poteva mettere in evidenza con termini più propri e incisivi una caratteristica dei Sardi, certamente colta fra i familiari isolani delle famiglie Visconti e Malaspina: ovvero che i Sardi per loro natura sono poco loquaci, ma, quando alcuni di essi si incontrano fuori dell’Isola, la loro nostalgia è tale che s’intrattengono, anche senza conoscersi, sulle cose della loro terra, argomento inesauribile, per il quale il loro parlare diventa sciolto e le lingue lor non si sentono stanche. (Vedi Letture). Frate Gomita di Gallura e Michele Zanche, donno del Logudoro, sono i primi personaggi sardi con cui Dante s’imbatte nell’Inferno. Il Frate sarebbe stato un alto funzionario – luogotenente, vicario,cancelliere? – del giudice Nino di Gallura. Ma non abbiamo documenti che identifichino il personaggio e tanto meno che accertino quando e dove esercitasse il suo “ufficio” di barattiere. Probabilmente Dante venne a conoscerlo proprio attraverso il suo amico Nino Visconti, sovrano spodestato del regno di Gallura. Michele Zanche invece – come ricorda nel suo Dizionario storico sardo il medievista Francesco Cesare Casula – “è un’importante personaggio sassarese della fine del Duecento…non sono note le origini della sua famiglia, certamente magnatizia e forse discendente dai sovrani del regno di Torres, come attesta il titolo di «donno» che troviamo in Dante stesso e in un documento genovese che ci parla di lui (il cognome Zanche ha la stessa origine etimologica di «Tanca» soprannome di Andrea re di Torres nell’XI secolo)”. Secondo i commentatori danteschi, fu assassinato dal genero Branca Doria con la complicità di un suo parente. Sempre nell’Inferno il secondo accenno dantesco alla Sardegna è nel canto XXVI, il terzo nel XXIX: ad ambedue abbiamo già fatto riferimento. Il quarto e ultimo accenno nell’Inferno lo abbiamo nel canto XXXIII (Vedi Letture). Dopo aver assistito alla scena del Conte Ugolino e dopo aver da lui udito il dramma pietoso e triste a Dante si fa innanzi frate Alberigo da Faenza il quale gli addita ser Branca Doria, nobile genovese e genero di Michele Zanche, che abbiamo già visto tra i barattieri. Branca Doria – secondo Dante – invitò a cena il suocero e il suo seguito e li fece uccidere. Gli altri due accenni danteschi alla Sardegna li troviamo nel Purgatorio: il primo nel canto VIII, versi 52-81, in cui il poeta descrive l’incontro con Ugolino (Nino- Nin gentil, lo chiama) Visconti, di Pisa, Giudice di Gallura e figlio di Giovanni Visconti, capo dei Guelfi di Pisa, la cui figlia Giovanna, rimasta orfana del padre sarebbe stata spogliata dai Ghibellini di tutti i suoi beni, se il papa Bonifacio VIII non fosse intervenuto in difesa di lei, quale figlia di un grande esponente del partito guelfo sostenitore del papato. La moglie, Beatrice d’Este, rimasta vedova, passò a seconde nozze con Galeazzo Visconti, signore di Milano: Nino, mortificato dalla infedeltà della moglie, sia coniugale sia politica, dà di lei un giudizio molto severo. Afferma inoltre che l’insegna del secondo marito, Galeazzo Visconti di Milano (una vipera) sulla tomba di Beatrice, non avrebbe dato alla sua memoria tanto prestigio e onore quanto l’avrebbe data l’insegna dei Visconti di Gallura (il gallo). Il secondo accenno è nel canto XXIII, versi 94-96: il poeta appena giunto presso un albero carico di squisitissime frutte, bagnati da chiare e fresche acque, s’incontra con il suo amico e parente Forese Donati di Firenze, il quale parla di sua moglie Nella e della licenziosità delle donne fiorentine e della Barbagia di Sardegna. Che abbiamo già avuto modo di commentare. Letture: 1. Inferno Canto XXII versi 76-90 76 Quand’elli un poco rappaciati fuoro, a lui, ch’ancor mirava sua ferita, domandò ‘1 duca mio sanza dimoro: 79 “Chi fu colui da cui mala partita di’ che facesti per venire a proda?”. Ed ei rispuose: “Fu frate Gomita. 82 quel di Gallura. vasel d’ogne froda, ch’ebbe i nemici di suo donno in mano, e fé sì lor, che ciascun se ne loda. 85 Danar si tolse. e lasciolli di piano,. sì com’ei dice; e ne li altri offici anche barattier fu non picciol, ma sovrano. 88 Usa con esso donno Michel Zanche di Logodoro; e a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche. 2. Inferno Canto XXXIII versi 133-147 I33 Ella ruina in sì fatta cisterna; e forse pare ancor lo corpo suso de l’ombra che di qua dietro mi verna. 136 Tu ‘l dei saper, se tu vien pur mo giuso elli è ser Branca Doria, e son più anni poscia passati ch’el fu sì racchiuso”. 139 “Io credo”, diss’io lui, “che tu m’inganni; ché Branca Doria non morì unquanche, e mangia e bee e dorme e veste panni”. 142 “Nel fosso su” diss’el, de’ Malabranche, là dove bolle la tenace pece, non era ancor giunto Michel Zanche, 145 che quelli lasciò il diavolo in sua vece nel corpo suo, ed un suo prossimano che ‘l tradimento insieme con lui fece. (Tratto da I viaggiatori italiani e stranieri in Sardegna di Francesco Casula, Alfa Editrice,).
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Santa Angela da Foligno

 

Santa Angela da Foligno


Nome: Santa Angela da Foligno
Titolo: Terziaria francescana
Nascita: XIII Secolo, Foligno
Morte: 4 gennaio 1309, Foligno
Ricorrenza: 4 gennaio
Tipologia: Commemorazione
Sito ufficiale: santaangeladafoligno.com

Vissuta tra il 1248 e il 1309. Nata a Foligno da buona famiglia, dopo il matrimonio condusse una vita mondana e sregolata fino a che non si convertì e si fece terziaria francescana; dopo la morte del marito e dei figli si diede completamente a Dio ed alla penitenza e nel 1291 divenne il capo di un grande gruppo di terziari maschi e femmine il Terz’ordine Francescano. Su richiesta del suo confessore fra’ Arnaldo, Angela gli dettò un memoriale delle sue visioni di estasi, nelle quali si rivela come una delle più grandi fra le mistiche.

Questa autobiografia spirituale mostra i trenta passi che l’anima compie raggiungendo l’intima comunione con Dio, attraverso la meditazione dei misteri di Cristo, l’Eucaristia, tentazioni e penitenze. Il Memoriale rappresenta la prima sezione di quello che noi conosciamo come il Liber, uscito in edizione critica a cura di Thier e Calufetti nel 1985. La seconda parte, nota come Instructiones, contiene invece documenti religiosi di vari tipo curati da diversi (ignoti) redattori, tra cui le lettere che Angela spediva ai suoi figli spirituali.

Il suo culto fu confermato nel 1693 da papa Innocenzo XII e canonizzata da Papa Francesco il 9 ottobre 2013.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Foligno in Umbria, beata Angela, che, morti il marito e i figli, seguendo le orme di san Francesco, si diede completamente a Dio e affidò alla propria autobiografia le sue profonde esperienze di vita mistica.