Archivi giornalieri: 19 maggio 2022

Revoca dell’indennità di accompagnamento: non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa

Revoca dell’indennità di accompagnamento: non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa

 

Qui la sentenza: Corte di Cassazione -sez. unite civili- sentenza 14561 del 14-12-2021

Le Sezioni Unite sulla necessità di riproposizione di una domanda amministrativa a seguito del provvedimento di revoca dell’ indennità di accompagnamento: la sentenza 14561/22

Sta già destando interesse, il pronunciamento delle Sezioni Unite della Cassazione sull’obbligo di presentare una nuova domanda amministrativa a seguito di un provvedimento di revoca dell’indennità di accompagnamento, dopo anni di pronunciamenti di segno opposto in materia. Si tratta di un argomento particolarmente rilevante, in concreto, è che ha visto il ribaltamento di un precedente orientamento che sembrava consolidato. La Corte di Cassazione ha ritenuto doversi pronunciare a Sezioni Unite, con sentenza depositata lo scorso 9 maggio 2022.

      Indice

1. La vicenda alla base della sentenza

L’interrogativo sorge da una controversia nata a seguito di un provvedimento di revoca dell’indennità di accompagnamento basato sul mutamento dei requisiti medico sanitari del beneficiario.

Impugnato il provvedimento, a seguito di consulenza medico legale, il ricorrente si vedeva di nuovo riconosciuto, in parziale accoglimento, il diritto alla prestazione ma non a decorrere dalla data della revoca del provvedimento impugnato.

La Corte d’Appello, in seguito, ha ritenuto che la domanda giudiziale in ripristino non deve essere considerata alla stregua di una impugnazione di un provvedimento ma all’ottenimento del riconoscimento di un nuovo diritto per quanto identico nel contenuto a quello revocato.

In estrema sintesi il soggetto interessato avrebbe dovuto proporre una domanda amministrativa ex novo, senza la quale la proposta domanda giudiziale doveva essere considerata come improponibile.

Il soggetto interessato, pertanto, ha ritenuto di dover ricorrere in Cassazione lamentando la violazione o falsa interpretazione dell’art. 42 della legge 326/2003, argomentando come la revoca, può avvenire solo a seguito di una adeguata istruttoria,  solo in ragione del venir meno di una delle condizioni per beneficiare della prestazione. Il ricorrente, a quel punto, ha un termine di sei mesi per agire in giudizio contro questa revoca.

Argomenta ancora il ricorrente che alla revoca per il mutamento delle condizioni economiche del beneficiario dovrebbe seguire una domanda amministrativa ex novo mentre una revoca per il mutamento delle condizioni sanitarie no.

2. L’orientamento della Cassazione

La Sezione Lavoro, con ordinanza n. 12945 del maggio del 2021, ha ritenuto che l’interrogativo alla sua attenzione necessitasse di essere risolto delle Sezioni Unite, nonostante sul punto vi fosse, da tempo, un orientamento consolidato.

Le Sezioni Unite, dunque, hanno in primo luogo avuto modo di evidenziare come, in effetti, sul punto vi fosse, da tempo un orientamento giurisprudenziale granitico in ragione del quale la domanda giudiziale in ripristino non darebbe luogo ad una impugnativa del provvedimento di revoca, così come argomentato dalla Corte di Appello nel caso alla sua attenzione (sul punto Cass. 27355/2020, n.28445/2019, 11075/2010).

La proposizione della domanda amministrativa ex novo viene interpretata come funzionale all’accertamento dei requisiti economici e sanitari, necessari per il riconoscimento di un nuovo beneficio, da verificarsi nella loro attualità e nella loro conformità alla disciplina vigente al momento della nuova domanda.

L’orientamento consolidato, dunque, si basa sull’assunto che la revoca comporti l’estinzione del diritto alla prestazione a seguito della quale permarrebbe la possibilità della riproposizione della domanda ex novo, ragione per la quale si renderebbe necessario, in termini di procedibilità, proporre la domanda prima in via amministrativa.

In tal senso, inoltre, si comprende come mai il nuovo riconoscimento del beneficio non potrebbe avere la data della revoca di quello estinto.


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3. L’interrogativo della Cassazione

A questo punto, però, le Sezioni Unite della Cassazione evidenziato come l’oggetto della controversia sia la verifica dei requisiti richiesti dalla legge per ottenere la prestazione revocata e non solo di quelli che erano stati considerati come insussistenti al momento del provvedimento di revoca, come sul punto aveva già avuto modo di argomentare la Cassazione stessa (sentenza n. 4254/2009).

La revoca, infatti, non sarebbe idonea a creare una cesura del diritto alla prestazione laddove il Giudice, successivamente, accolga la domanda in ripristino.

La necessità, inoltre, di rivedere questo approccio interpretativo viene evidenziata dalla Cassazione anche nel fatto che, nel tempo, sia profondamente mutata anche la procedura amministrativa di accertamento dei benefici in parola, ora in capo ad un solo soggetto, l’INPS.

4. Il nuovo orientamento della Cassazione

La natura delle prestazioni di invalidità civile, per sua natura e per tutto l’impianto normativo che la accompagna,  fa si che quelle che possono essere considerate come vicende estintive sopravvenute rientrano in un quadro fisiologico del rapporto assistenziale e non eccezionale.

Accanto a questo deve aggiungersi che il sistema di verifica dei requisiti unitamente alla presenza di rigorosi termini di decadenza per la proposizione della domanda giudiziale successiva all’eventuale provvedimento di revoca, appare come poco coerente la necessità di proporre una nuova domanda amministrativa.

La funzione della domanda amministrativa stessa, dopotutto, risiede nel volere ottenere un provvedimento relativamente rapido sull’accertamento di un diritto che non si vantava in precedenza.

Sotto un profilo processuale, inoltre, la proposizione di una nuova domanda amministrativa e la successiva, eventuale, fase giudiziaria precluderebbero al ricorrente di vedersi riconosciuta una continuità della prestazione revocata essendo il Giudice chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione dell’ultimo provvedimento amministrativo.

5. Le conclusioni della Cassazione

Pertanto, in conclusione, la Cassazione, con sentenza a Sezioni Unite, n. 14561/22 ha ritenuto che, ai fini della proponibilità della azione giudiziaria con la quale, in caso di revoca di una prestazione assistenziale, si intenda accertare la persistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione di invalidità, non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa.

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Telemarketing selvaggio: in arrivo il registro delle opposizioni per i cellulari, ma sarà davvero risolutivo?

Telemarketing selvaggio: in arrivo il registro delle opposizioni per i cellulari, ma sarà davvero risolutivo?

 

Dopo un iter legislativo e pratico a dire poco accidentato, pare che la data di scadenza del telemarketing selvaggio sia finalmente stata individuata: dal 27 luglio prossimo potremo finalmente iscrivere anche i numeri cellulari al Registro delle Opposizioni, lo strumento legislativo pensato per tutelare i consumatori e bloccare le telefonate indesiderate.

Troppe volte nel corso della giornata riceviamo chiamate da operatori di call center e spesso, soprattutto ultimamente, anche da bot automatizzati, che ci propongono offerte di marketing imperdibili per cui non ricordiamo di avere mai prestato il consenso. E poiché il consenso è l’unica base giuridica legittima per le attività di marketing (e deve essere libero, informato, inequivocabile, revocabile in qualsiasi momento), possiamo ragionevolmente desumere che queste telefonate siano illegittime.

Il Garante per la Privacy ha pesantemente sanzionato i colossi dell’energia e delle telecomunicazioni in merito (ricordiamo tra i casi più eclatanti la multa di 12.000.000 di euro a Vodafone nel 2020, la multa di 26.500.000 di euro a Enel Energia a gennaio di quest’anno e quella di “soli” 3.500.000 a Sky lo scorso ottobre), ma nonostante le cifre da capogiro le telefonate non si fermano. Gli operatori svolgono il loro lavoro, questo è certo, ma è chiaro che gli utenti che si sentono letteralmente bombardare, non potendo difendersi in altro modo (il modo ci sarebbe, per la verità, ed è l’esposto al Garante per la privacy, per l’appunto, ma nella pratica viene poco utilizzato), finiscono per prendersela con gli incolpevoli chiamanti.


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Fino ad oggi, o meglio fino al 27 luglio. A breve, grazie all’iscrizione della nostra utenza mobile nel Registro delle opposizioni (finora era possibile iscrivere solo i numeri di rete fissa e nonostante fosse stata deliberata la possibilità di estendere il Registro anche ai cellulari, l’applicazione pratica ha tardato anni ad arrivare) potremo bloccare le chiamate moleste.

Il Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla tutela dei consumatori e degli utenti, Simone Baldelli, ha annunciato che avranno accesso al Registro sarà di circa 78 milioni di numeri. L’iscrizione al Registro, di fatto, servirà come atto proattivo di revoca di ogni eventuale consenso prestato in precedenza, magari incautamente, firmando moduli con informative nebulose e poco chiare o senza leggere ciò a cui stavamo effettivamente acconsentendo.

Come funziona il Registro delle opposizioni?

Si tratta di un servizio raggiungibile online sul sito www.registrodelleopposizioni.it al quale i cittadini possono iscriversi gratuitamente, inserendo i propri dati ed il numero su cui intendono revocare il consenso o comunque esprimere un espresso diniego al trattamento per fini di marketing. L’iscrizione al Registro impedirà agli operatori, sia fisici sia automatici, di contattare quel numero. Oltre quindi ad esprimere un espresso divieto di essere contattati, iscrivendo il nostro numero revocheremo anche i consensi rilasciati in precedenza e sanciremo il divieto di cessione a terzi dei nostri dati per le medesime finalità di marketing.

Chi non avesse dimestichezza con il registro online può telefonare al numero verde 800 265 265 e richiedere l’iscrizione telefonicamente, oppure inviare una email con il modulo di iscrizione compilato all’indirizzo iscrizioni@registrodelleopposizioni.it.

Sembra quasi troppo bello per essere vero. Pochi secondi e l’incubo delle telefonate moleste cancellato per sempre. Ma sarà veramente così?

Per funzionare correttamente ci sarà bisogno di una presa di coscienza da parte dei servizi che svolgono il servizio di telemarketing, ovvero una verifica preventiva dell’utenza che si sta per chiamare. E non è difficile pensare che, nonostante l’iscrizione al Registro, le telefonate proseguiranno comunque, perché nel bilanciamento tra costi e benefici, forse sarà più conveniente, soprattutto per i grandi colossi, affrontare il rischio di una sanzione, piuttosto che rinunciare ad una vasta platea di potenziali contatti commerciali.

Altre possibili soluzioni da coordinare con il Registro delle opposizioni

Non solo, ma spesso i players illegali utilizzano numeri bot, che non sono richiamabili dall’utente, o peggio ancora numeri clonati. I nostri dati sono talmente dispersi nella rete, sia che noi ne siamo a conoscenza sia che, come più spesso accade, non ce ne rendiamo nemmeno contro, che per noi risulta estremamente complicato risalire a chi abbiamo fornito i consensi e praticamente impossibile esercitare i nostri diritti. Anche quando chiediamo di “parlare con un responsabile” alla persona che ci sta chiamando, si rivela una perdita di tempo, in quanto nel momento in cui l’operatore riattacca per noi è impossibile richiamare o individuare da dove arrivava la telefonata.

Anche in termini contrattuali, spesso firme e consensi vengono falsificati, rendendo sempre più complicato per chi non abbia competenze specifiche, difendersi non solo dal telemarketing selvaggio, ma anche da possibili truffe peggiori.

La soluzione potrebbe essere quella di affiancare al Registro, che è comunque un solido punto di partenza, ma di certo non può essere considerato di arrivo, l’utilizzo di tecnologie adeguate: sistemi di identificazione ed autenticazione dei chiamanti, utilizzo di numerazioni certificate come affidabili, firma dei contratti tramite autenticazione multi fattore ed eventualmente anche smart contracts.

Tra l’altro, l’adozione di comportamenti virtuosi di questo genere, oltre a tutelare maggiormente gli utenti contro le azioni illegali, premierebbe le aziende che si comportano correttamente, trattando i dati con trasparenza, nel rispetto dei principi di compliance del GDPR, le quali avrebbero sicuramente una platea di consumatori da contattare molto più ristretta, ma allo stesso tempo maggiormente qualificata, interessata ed in target, e con conseguente maggiore tasso di conversione.

Una soluzione che accontenterebbe tutti e che, soprattutto, porrebbe fine ad un tormento, quello del telemarketing aggressivo, selvaggio e non controllato, che negli anni nessuna regola e nessuna multa, per quanto astronomica, è stata in grado di arginare.

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Doppio cognome: la madre di una coppia di fatto può evitare che il figlio abbia il cognome del padre?

Doppio cognome: la madre di una coppia di fatto può evitare che il figlio abbia il cognome del padre?

 

Dopo la recente pronuncia della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo attribuire ai figli in modo automatico il cognome paterno, alcuni hanno subito provveduto a chiedere se la madre possa dare al figlio il suo cognome se il padre non vuole oppure, a questo fine, e in attesa di una legge che chiarisca come ci si debba comportare in simili casi, ci si è chiesti se sia sempre necessario il consenso di entrambi i genitori.

La questione è stata presa in considerazione, in tempo record, da un giudice.

Il Tribunale di Pesaro con una recente sentenza, ha fornito una risposta interessante. 

In questo articolo scriveremo sulla questione.

Indice 

  1. Un figlio appena nato quale cognome ha?
  2. Il padre può fare opposizione opporre in merito al cognome della madre dato al figlio?
  3. In una coppia di fatto quale cognome prende il bambino?
  4. I genitori possono scegliere l’ordine del cognome del figlio?
  5. I genitori possono dare al figlio un cognome unico?
  6. Che cosa accade se i genitori non si accordano?
  7. La madre può dare al figlio esclusivamente il suo cognome?
  8. I figli dei figli quale cognome avranno?
  9. È possibile cambiare il proprio cognome?
  10. Il provvedimento del Tribunale di Pesaro

1. Un figlio appena nato quale cognome ha?

Al momento della nascita il figlio prendein automatico, senza che ci debba essere l’accordo dei genitori, il cognome sia del padre sia della madre.

Questo significa che dal giorno della sentenza della Corte Costituzionale, che ha valore per ogni cittadino, i bambini che nasceranno avranno il doppio cognome.

2. Il padre può fare opposizione in merito al cognome della madre dato al figlio? 

Il cognome della madre, allo stesso modo di quello del padre, viene attribuito al neonato indipendentemente dal volere contrario di uno dei due genitori

Il padre non si potrà opporre al fatto che il bambino abbia il doppio cognome. 

La sintesi della pronuncia è stata che il cognome della madre viene aggiunto a quello del padre anche se l’uomo si oppone. 

3. In una coppia di fatto quale cognome prende il bambino?

Anche nelle coppie di fatto il bambino prende il cognome del padre e della madre

La madre non può dare al figlio esclusivamente il suo cognome in segno di ripicca per l’abbandono del  padre.

Il cognome del padre è subordinato al fatto che lo stesso riconosca il figlio come suo. 

La madre non può dare al figlio il cognome di un uomo che ancora non ha fatto il riconoscimento, ma può citare in Tribunale il presunto padre, in modo che, attraverso il test del Dna, il giudice accerti la paternità e disponga coattivamente il riconoscimento.

4. I genitori possono scegliere l’ordine del cognome del figlio?

L’attribuzione al figlio in modo automatico del doppio cognome prevede che venga attribuito, prima il cognome del padre e poi quello della madre. ( C. Cost. sent. n. 24/4/2017)

Nonostante questo, la coppia può anche optare per un ordine diverso, dando prima il cognome della madre e poi quello del padre.


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5. I genitori possono dare al figlio un cognome unico?

Il doppio cognome non è obbligatorio

I genitori potranno dare al figlio anche un unico cognome, quello del padre o quello della madre. 

Questo è subordinato al loro accordo.

6. Che cosa accade se i genitori non si accordano?

Se i genitori non riescono a trovare un accordo sul cognome da dare al minore o sull’ordine dei cognomi, dovrà essere il giudice a scegliere, lo dovrà fare in base agli interessi del minore

Forse, in mancanza ancora di una legge che faccia ordine nella materia, il Tribunale attribuirà al figlio il cognome di entrambi i genitori, nel seguente ordine, prima quello paterno e poi quello materno. 

Esistono casi nei quali il giudice ha negato il cognome paterno quando lo stesso è collegato a degli ambienti criminali di particolare rilievo nazionale.

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7. La madre può dare al figlio esclusivamente il suo cognome?

Anche in una coppia di fatto, la madre non può dare al figlio esclusivamente il suo cognome senza il consenso del padre. 

Anche agendo in modo autonomo, magari perché il padre è scappato, gli dovrà dare il cognome di entrambi i genitori. 

Come scritto in precedenza, il cognome paterno scatta esclusivamente se lo stesso ha riconosciuto il figlio.

8. I figli dei figli quale cognome avranno?

In relazione alle “seconde generazioni” che, avendo due genitori con doppio cognome, dovrà essere la legge a stabilire quali cognomi i nipoti porteranno. 

In Spagna, i nipoti prendono esclusivamente il primo cognome dei genitori. 

Ad esempio, il figlio di Anna Bianchi Verdi e di Paolo Greco Romano si chiamerà Simone Bianchi Greco.

In Italia si attende che sia il Parlamento a disciplinare questo fenomeno e a stabilire quale cognome avrà il figlio di due genitori con doppio cognome. 

Forse anche in questo caso i genitori potranno scegliere un unico cognome a testa e indicare quali di questi dare al figlio.

9. È possibile cambiare il proprio cognome?

La sentenza della Corte Costituzionale non ha effetto retroattivo. 

Questo non toglie che chi è nato prima della pronuncia della Consulta si possa rivolgere al Prefetto per chiedere la modifica del suo cognome aggiungendo, a quello paterno, anche quello materno.

In simili casi, per i minorenni si renderà necessario il consenso di entrambi i genitori. 

10. Il provvedimento del Tribunale di Pesaro

Il Tribunale di Pesaro ha pronunciato il suo decreto, immediatamente esecutivo, il 28 aprile chiarendo che, nel caso esaminato, l’aggiunta del cognome è in linea con l’interesse del minore.

L’ufficiale di Stato civile riceve l’ordine di modificare l’atto di nascita aggiungendo al cognome del padre quello della madre, oltre alla disposizione di annotare il decreto a margine dell’atto rettificato.

In realtà la madre del minore aveva chiesto di anteporre il suo cognome a quello del padre, una possibilità che potrebbe essere motivo di altro contenzioso visto che la Corte costituzionale passa la parola al giudice nel caso di contrasti sull’ordine. 

Per il momento, non pensiamo all’ordine, siamo soddisfatti del risultato ottenuto – dice l’avvocato Andrea Nobili – la nostra richiesta era supportata dalla sentenza del giudice delle leggi del 2016, e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. 

Ma certo sarebbe stata molto più dura senza l’ultimo miglio, compiuto della Consulta pochi giorni fa. 

Ora serve una legge.

Intanto aspettiamo anche le motivazioni della Corte costituzionale.

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Ergastolo ostativo: altri sei mesi concessi al Senato

Ergastolo ostativo: altri sei mesi concessi al Senato

 

Il 16 aprile 2021 la Corte Costituzionale aveva dato un anno di tempo al Parlamento per risolvere il problema dell’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo. Il 10 maggio di quest’anno, tuttavia, ha deciso di rimandare il termine di altri 6 mesi, fino all’8 novembre: ad aprile, infatti, la Camera aveva approvato un disegno di legge, ma il Senato, per questioni di tempistiche di discussione, ha chiesto la proroga nei termini che la Corte ha concesso. “Permangono inalterate le ragioni che ci hanno indotto a sollecitare l’intervento del legislatore, al quale compete, in prima battuta, una complessiva e ponderata disciplina della materia” -comunica la Consulta- “Ma proprio in considerazione dello stato di avanzamento dell’iter di formazione della legge appare necessario un ulteriore rinvio dell’udienza, per consentire al Parlamento di completare i propri lavori”.

La Corte costituzionale nel 2021 aveva esaminato le questioni di legittimità sollevate dalla Corte di cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale. In attesa dell’ordinanza, l’Ufficio stampa della Corte aveva fatto sapere quanto segue. La Corte aveva anzitutto rilevato che la vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo precludeva in modo assoluto, a chi non avesse utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risultasse sicuro.

Aveva quindi osservato che tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia, l’accoglimento immediato delle questioni avrebbe rischiato di inserirsi in modo inadeguato nel vigente sistema di contrasto alla criminalità organizzata. La Corte aveva perciò stabilito di rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al legislatore gli interventi che tenessero conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi. L’ordinanza era stata depositata nelle settimane successive.

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Fideiussioni. Il consumatore può contestare l’abusività di clausole anche nelle procedure esecutive per i decreti ingiuntivi non opposti?

Fideiussioni. Il consumatore può contestare l’abusività di clausole anche nelle procedure esecutive per i decreti ingiuntivi non opposti?

 

Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori: i principi processuali nazionali non possono ostacolare i diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione.

Sulla questione, sollevata da giudici italiani e spagnoli, si è espressa la Corte di Giustizia della Comunità Europea il 17 maggio 2022, che si è pronunciata su varie domande di pronuncia pregiudiziale, vertenti sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE[1] concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.

Le pronunce della Corte

Sulle cause C-693/19 e C-831/19, di rinvio pregiudiziale[2], aventi ad oggetto l’interpretazione degli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Corte di Giustizia si è pronunciata con la sentenza del 17.5.2022. Tali domande venivano presentate nell’ambito di procedimenti di esecuzioni forzate basati su titoli esecutivi (decreti ingiuntivi) che avevano acquisito autorità di cosa giudicata, per mancata opposizione.

La Corte di Giustizia Europea ha riunito le domande di pronuncia pregiudiziale ed ha statuito il seguente principio di diritto:

“L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa ‑ per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità ‑successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo.”

Sulla normativa dell’Unione Europea di riferimento va precisato quanto segue:

  1. Direttiva 93/13, L’articolo 2, lettera b), di tale direttiva così dispone: «Ai fini della presente direttiva si intende per: (…) “consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale”.
  2. L’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva prevede quanto segue: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
  3. Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva: «Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».
  4. Art. 47 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione europea che prevede il diritto ad un ricorso effettivo per l’ipotesi di violazione di diritti e libertà garantiti dal diritto dell’Unione.

Secondo la statuizione della Corte sarebbe irrilevante il cd “Giudicato implicito”, generatosi a seguito del decreto ingiuntivo non opposto entro i 40 giorni previsti dall’ art. 647 del codice di rito italiano.

Antefatto

Il Tribunale di Milano con provvedimento del 31/10/2019[3] depositato presso il registro della Corte di Giustizia Europea in data 14 novembre 2019 N. C-831/19 ha mosso le seguenti questioni pregiudiziali in un procedimento esecutivo il cui titolo non è stato opposto costituendo pertanto un giudicato esplicito ed implicito, e chiedendo alla CGUE: a) “Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato, allorquando il consumatore, avuta consapevolezza del proprio status (consapevolezza precedentemente preclusa dal diritto vivente), richieda di effettuare un simile sindacato. b) “Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti ad un ordinamento come quello nazionale che, a fronte di un giudicato implicito sulla mancata vessatorietà di una clausola contrattuale, preclude al giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere su un’opposizione all’esecuzione proposta dal consumatore, di rilevare una simile vessatorietà e se una simile preclusione possa ritenersi esistente anche ove, in relazione al diritto vivente vigente al momento della formazione del giudicato, la valutazione della vessatorietà della clausola era preclusa dalla non qualifìcabilità del fideiussore come consumatore. E ciò ai sensi dell’art. 33, co. 1, d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. “codice del consumo”) che contiene la vigente disciplina nazionale di trasposizione dell’art. 3.1 della direttiva 93/13/CEE: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.

Focus sulla domanda pregiudiziale del 31 ottobre 2019 sollevata dal Tribunale di Milano alla CGUE

Il Tribunale di Milano effettuava il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in merito alla possibilità, negata dal diritto processuale italiano, di consentire al Giudice dell’esecuzione la valutazione della vessatorietà di un contratto di fideiussione, nel caso de quo trattasi di decreto ingiuntivo non opposto dal Fideiussore-Consumatore, e quindi in sostanza, se esiste una possibilità per quest’ultimo di bloccare l’esecuzione in corso.

In particolare, il codice di rito italiano dispone sul procedimento d’ingiunzione due regole fondamentali:

  1. L’articolo 647, intitolato «Esecutorietà per mancata opposizione o per mancata attività dell’opponente», così recita: «Se non è stata fatta opposizione nel termine stabilito, oppure l’opponente non si è costituito, il giudice che ha pronunciato il decreto, su istanza anche verbale del ricorrente, lo dichiara esecutivo. (…) Quando il decreto è stato dichiarato esecutivo a norma del presente articolo, l’opposizione non può essere più proposta né proseguita, salvo il disposto dell’articolo 650, e la cauzione eventualmente prestata è liberata».
  2. L’articolo 650, relativo all’opposizione tardiva: «L’intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto, se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. L’opposizione non è più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione».

Il giudice del rinvio riferiva che, secondo la giurisprudenza maggioritaria della Corte suprema di Cassazione, il decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro che non sia stato oggetto di opposizione, acquista autorità di cosa giudicata, non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda. Tale giurisprudenza ha portato ad applicare al decreto ingiuntivo non opposto il principio del «giudicato implicito», secondo il quale si ritiene che il giudice che si è pronunciato su una determinata questione abbia necessariamente risolto tutte le altre questioni preliminari. Il tutto in evidente spregio del diritto di difesa sancito all’ art. 113 Cost. secondo cui “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. 

La questione posta dal Tribunale di Milano ha un’importanza epocale, perché il principio sancito dalla CGUE può estendersi oltre la nullità delle fideiussioni ed applicarsi a tutti i contratti in cui ci sia uno squilibrio tra consumatore e professionista.

Ed infatti la direttiva 93/13 e in particolare l’art. 7.1 impone agli Stati membri di fornire al Consumatore (inteso come contraente-debole) mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti.

Nel caso sottoposto al vaglio del Giudice italiano era controversa la qualifica di consumatore del fideiussore esecutato (socio non amministratore della società garantita con una quota del 22% del capitale sociale).

Il giudice del rinvio riteneva che, nella controversia dinanzi ad esso pendente, l’esecutato fosse qualificabile come consumatore, per i seguenti motivi:

1.alla data in cui aveva stipulato i contratti di fideiussione di cui al procedimento principale, non aveva acquistato la sua integrale partecipazione nel capitale sociale della società debitrice, che ammontava al 22%;

2.non risultava provato il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività[4];

  1. non avrebbe percepito utili in relazione alle quote detenute;
  2. era appurato che, dal 1976, era titolare di un rapporto di lavoro dipendente con un’altra società e che, di conseguenza, al momento della conclusione dei contratti di fideiussione, non aveva alcun collegamento di natura funzionale con la debitrice principale garantita.

Di conseguenza il Giudice di Milano rilevava che l’esecutato non avesse potuto decidere se opporsi al decreto ingiuntivo con cognizione di causa, se era opportuno invocare, il carattere abusivo delle clausole contenute nei contratti conclusi con il professionista e con cui aveva prestato la garanzia, in quanto all’epoca ignorava il suo status di consumatore. I fatti di causa avvenivano

Riforma della giustizia tributaria approvata dal Consiglio dei Ministri. Ecco i punti cardine

Riforma della giustizia tributaria approvata dal Consiglio dei Ministri. Ecco i punti cardine

 

Il Consiglio dei Ministri di ieri, 17 maggio 2022, ha approvato un disegno di legge recante disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari. In particolare si parla di professionalizzazione dei magistrati, rafforzamento dell’organico, interventi nei processi tributari.

Scopo principale dell’intervento normativo è raggiungere, entro il 31 dicembre 2022, l’obiettivo posto dal PNRR di rendere più celere il contenzioso tributario, considerato l’impatto che lo stesso può avere sulla fiducia degli operatori economici, compresi gli investitori esteri, riducendo, contestualmente, l’elevato numero di ricorsi in Cassazione.

Vediamo di seguito quali sono i punti cardine della riforma della giustizia tributaria.

La professionalizzazione dei magistrati tributari

Come si legge nel comunicato del Consiglio dei Ministri, i magistrati tributari, che oggi sono tutti onorari, verranno reclutati a tempo pieno mediante un apposito concorso con prove scritte e orali.

L’organico della magistratura tributaria viene rimodulato, o meglio ridotto sensibilmente: si passa a 450 magistrati in primo grado e 126 in secondo grado.

Nel frattempo che il percorso di reclutamento dei giudici professionali prenda avvio, continueranno ad operare in parallelo i giudici tributari onorari già presenti nelle Commissioni tributarie provinciali e regionali; questi ultimi rimarranno in servizio, in un ruolo ad esaurimento, fino al compimento dei 70 anni di età, limite di pensionamento esteso a tutti i giudici tributari, con allineamento alle altre magistrature.


Leggi anche gli articoli:


Il rafforzamento dell’organo di autogoverno della giustizia tributaria

Sono istituiti presso il Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria (CPGT):

  1. un Ufficio ispettivo a tutela del corretto esercizio e funzionamento degli organi della giustizia tributaria;
  2. l’Ufficio del Massimario nazionale, per garantire l’uniformità di giudizio per fattispecie analoghe. Le massime giurisprudenziali prodotte alimenteranno un’apposita banca dati che permetterà agli operatori del settore di conoscere gli orientamenti giurisprudenziali e di prevedere l’eventuale esito delle liti.

Reclutamento personale

Il disegno di legge prevede il potenziamento della struttura amministrativa a supporto della Giustizia tributaria mediante il reclutamento di nuove professionalità amministrative da destinare agli Uffici professionalizzati.

Interventi sul processo tributario

Nei processi tributari di primo e secondo grado:

– viene introdotta, con opportuni accorgimenti, la prova testimoniale, al pari di quanto previsto nei giudizi civili e amministrativi;

– è implementato l’istituto della conciliazione per le controversie di importo fino a 50.000 euro;

– si introduce il giudice monocratico in primo grado per le controversie fino a 3.000 euro e, in conseguenza, è modulato l’appello solo in determinati casi (cd. appello critico).

Nel processo tributario in Cassazione vengono introdotte apposite misure deflattive del contenzioso:

– la pronuncia del principio di diritto in materia tributaria, che consentirà la più tempestiva formazione di orientamenti giurisprudenziali consolidati;

– rinvio pregiudiziale, cioè diretto, dai giudici tributari di primo e secondo grado alla Cassazione per ottenere la soluzione preventiva di questioni nuove o rilevanti o particolarmente complesse o ricorrenti.

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Decreto Aiuti: a luglio 200 euro per lavoratori dipendenti e pensionati. Per gli autonomi bisogna fare domanda

Decreto Aiuti: a luglio 200 euro per lavoratori dipendenti e pensionati. Per gli autonomi bisogna fare domanda

 

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Dopo l’approvazione nel Consiglio dei Ministri del 2 maggio, il c.d. Decreto Aiuti è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale (decreto legge 17 maggio 2022 n. 50). Il DL introduce diverse misure di sostegno per imprese, politiche sociali ed energetiche e lavoro. Tra le novità introdotte spicca un bonus da 200 euro per redditi fino a 35mila euro.
Ma di cosa si tratta?

Bonus 200 euro, a quali lavoratori è destinato?

Il decreto legge prevede l’erogazione una tantum di una indennità pari a 200 euro per i lavoratori autonomidipendenti e pensionati che hanno un reddito inferiore a 35mila euro, per contribuire alle difficoltà connesse al caro prezzi.

Come verrà erogato il bonus 200 euro?

Il Decreto Aiuti stabilisce che l’erogazione del bonus avverrà a luglio 2022:

– per i lavoratori dipendenti compresi i lavoratori domestici il bonus 200 euro verrà erogato in busta paga;
– per i pensionati arriverà nell’assegno pensionistico di luglio sempre in forma automatica.

E i lavoratori autonomi?

Per i lavoratori autonomi l’erogazione del bonus di 200 euro slitta più avanti perchè sarà necessario fare domanda:

  • all’INPS,  sia per gli autonomi che per i percettori di indennità di disoccupazione  e
  • alle casse private per i professionisti iscritti agli albi.

Per chiarimenti bisognerà attendere un decreto attuativo che fornisca ulteriori specifiche.

Altre misure introdotte dal Decreto aiuti

Il decreto-legge, recante Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina, rafforza ulteriormente l’azione dell’esecutivo finalizzata a contrastare gli effetti della crisi politica e militare in Ucraina, potenziando strumenti a disposizione e creandone di nuovi, con particolare riguardo ai seguenti ambiti:

  1. energia, con misure per ridurne il costo, semplificare ulteriormente i procedimenti autorizzatori per la realizzazione di nuovi impianti e potenziare la produzione energetica nazionale;
  2. imprese, con misure per assicurare liquidità alle imprese colpite dalla crisi ucraina, fronteggiare il rincaro delle materie prime e dei materiali da costruzione, assicurare produttività e attrazione degli investimenti;
  3. lavoro, politiche sociali e servizi ai cittadini, con misure per lavoratori e pensionati contro l’inflazione, nonché per il personale, il trasporto pubblico locale, le locazioni, i servizi digitali;
  4. enti territoriali, con misure per sostenere Regioni, province e comuni e potenziare gli investimenti;
  5. accoglienza e supporto economico, con misure sia a beneficio delle persone in fuga e accolte in Italia, sia in favore del Governo ucraino.

Nel dettaglio evidenziamo alcune delle misure introdotte dal Decreto Aiuti:

Bonus sociale energia elettrica e gas: la misura, già adottata per il secondo trimestre 2022, è estesa al terzo trimestre 2022 e sarà attuata dall’ARERA – Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente.

Produzione di energia e semplificazioni: si individuano ulteriori aree idonee ai fini dell’installazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e vengono ulteriormente semplificati i procedimenti relativi alla realizzazione degli impianti.

Credito di imposta in materia di bonus edilizi: la detrazione del 110% spetta anche, in relazione agli interventi su unità immobiliari effettuati da persone fisiche (edifici unifamiliari), per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022, a condizione che alla data del 30 settembre 2022 siano stati effettuati lavori per almeno il 30% dell’intervento complessivo.

Fondo per il sostegno alle imprese danneggiate dalla crisi ucraina: sono stanziati 200 milioni di euro per il 2022 per l’erogazione di contributi a fondo perduto in favore delle imprese che abbiano perduto fatturato a causa dalla contrazione della domanda a seguito della crisi ucraina.

Misure per fronteggiare l’aumento dei prezzi materiali da costruzione: per consentire la prosecuzione della realizzazione delle opere pubbliche avviate e stimolare la partecipazione alle nuove gare, si introducono misure per fronteggiare il caro-materiali e l’aumento dei prezzi dei carburanti e dell’energia. Sono stanziati complessivamente 3 miliardi di euro per il 2022, 2,55 miliardi per il 2023 e 1,5 miliardi dal 2024 al 2016.

Locazioni: è incrementato il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione (c.d. “Fondo affitti”).

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Consiglio di Stato: parere sulle modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Consiglio di Stato: parere sulle modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

 

Il 13 maggio il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo schema di decreto legislativo contenente le modifiche al Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della direttiva cd. Insolvency (2019/1023/UE).

>> Leggi il parere 

Il parere n. 832 del 13 maggio 2022 e la Direttiva Insolvency

La Commissione speciale del Consiglio di Stato si è pronunciata sullo schema di decreto legislativo contenente le modifiche al Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della direttiva Insolvency. Tale provvedimento europeo mira a rafforzare l’armonizzazione delle procedure nazionali in tema di ristrutturazione preventiva e insolvenza delle imprese in deficit di liquidità e di capitale per garantire:

  • il corretto funzionamento del mercato interno,
  • l’esercizio delle libertà fondamentali di circolazione dei capitali e di stabilimento.

La normativa europea ha in tal modo consolidato la raccomandazione della Commissione Europea 2014/135/UE, che a sua volta aveva:

  • rilevato la durata eccessiva delle ristrutturazioni concorsuali e il basso livello di soddisfacimento dei creditori,
  • posto l’esigenza che alle imprese in difficoltà finanziarie fosse data la possibilità di accedere a quadri nazionali di ristrutturazione volti a prevenire l’insolvenza per preservare il valore dell’impresa e a garantire un miglior soddisfacimento dei creditori.

L’Italia ha provveduto all’adeguamento della normativa interna:

  • emanando il d.lgs. n. 14/2019,
  • emanando un primo intervento correttivo attraverso il d.lgs. n. 147/2020,
  • approvando tempestivamente, da parte del Governo, l’attuale schema di d.lgs. nel termine di scadenza della direttiva fissato al 17 luglio 2022.

L’attuazione della direttiva Insolvency è stata inserita tra gli interventi prioritari previsti dal PNRR, per:

  • potenziare i meccanismi di allerta,
  • completare la digitalizzazione delle procedure anche attraverso la realizzazione di una piattaforma on-line,
  • specializzare gli organi competenti per le procedure concorsuali.

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Le criticità riscontrate nella tecnica di redazione

La Commissione ha evidenziato le criticità emergenti dall’impiego della tecnica di trasfusione integrale dei d.l. n. 118 e n. 152 del 2021, rilevando che:

  • il consolidamento della legislazione emergenziale nel Codice della crisi avrebbe dovuto comportare anche l’impiego di una modalità di redazione tendenzialmente omogenea al Codice, nel rispetto dei criteri consolidati di qualità della regolazione, finalizzata a semplificazione, chiarezza, coerenza e certezza delle regole;
  • avrebbe potuto realizzare una effettiva semplificazione sostanziale delle regole attraverso il riassetto e la semplificazione normativa, ai sensi della legge delega;
  • la tecnica impiegata comporta articoli con molti commi, nonché commi composti da molti periodi, con contenuti eterogenei all’interno del singolo articolo e all’interno del singolo comma, come anche illogicità nell’ordine di successione degli articoli che compongono il Titolo II, con conseguente difficoltà dell’interprete nel cogliere la portata precettiva della singola disposizione e nello stabilire i collegamenti tra disposizioni, anche collegate tra loro.

Pertanto, la Commissione speciale ha invitato il Governo a provvedere ad alcune riformulazioni ritenute necessarie per favorire la portata precettiva delle disposizioni, prospettando una possibile diversa sistematica.

Ulteriori criticità

Sono state rilevate, nello schema di decreto legislativo, ulteriori criticità, tra le quali emergono:

  • l’assenza di una formazione indirizzata ai giudici che si occupano delle procedure della crisi e dell’insolvenza, tuttavia al contempo viene apprezzata benevolmente la disponibilità dell’amministrazione ad inserire nel Codice la legislazione recentemente intervenuta (art. 35-ter, d.l. n. 152/2021);
  • l’assenza di una formazione rivolta verso gli imprenditori e la sua essenzialità per conferire effettività agli strumenti di allerta precoce;
  • il difetto di coordinamento dei principi generali del Codice con la composizione negoziata, essendo questi riferibili direttamente o indirettamente solo ai quadri di ristrutturazione preventiva, ritenendo al contempo necessario il coordinamento nel contesto di armonizzazione comunitario, pur nella consapevolezza che i principi generali dal Codice convivono con altri principi settoriali;
  • l’introduzione dell’ulteriore strumento costituito dal piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (artt. 64-bis e 64-ter), nonostante il gran numero di strumenti nazionali adattabili alle previsioni della direttiva e il recepimento realizzato con l’adattamento e la modifica del procedimento unitario e dei detti istituti già previsti dal Codice, che avrebbero consentito il rispetto del principio di semplificazione normativa e del divieto di introduzione di profili di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla direttiva, posti dalla legge di delegazione europea;
  • l’assenza nella relazione di una presa di posizione su quali degli strumenti di “regolazione della crisi” si intendono destinati a dare attuazione alle disposizioni del Titolo II della direttiva e, a tale criticità, si collega la richiesta di predisporre una “tabella di concordanza” tra le disposizioni dello schema di decreto legislativo e quelle della direttiva, quale strumento utile ai destinatari delle norme e agli operatori per chiarire le scelte compiute dal legislatore nazionale in rapporto alla disciplina europea;
  • molto bassi gli importi dei crediti che assumono rilievo;
  • il mancato collegamento alle dimensioni dell’impresa;
  • all’esito della analisi dell’art. 19 (penultimo periodo del c. 4) e dell’art. 54, c. 1, rileva un difetto di coordinamento, non risultando chiaro quale sia la sorte delle misure cautelari già concesse qualora, in pendenza di procedimento di apertura di liquidazione giudiziale, l’imprenditore presenti un’istanza di composizione negoziata;
  • che l’imprenditore sarebbe impossibilitato ad utilizzare il procedimento unitario, quando – all’esito negativo delle trattative in sede di composizione negoziata – deve rivolgersi al tribunale per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti oppure per accedere a un qualunque quadro o a una procedura di insolvenza (art. 23, c. 2 e c. 3, lett. c) e individua l’ostacolo nella previsione contenuta nell’art. 40, c. 10;
  • in ordine alla procedura semplificata per l’accesso alla composizione negoziata delle imprese minori (art. 25-quater): a) l’individuazione di due procedure per presentare la domanda di accesso alla composizione negoziata, senza che risulti chiaramente individuata la procedura di nomina dell’esperto per nessuna di esse; b) l’esito delle trattative nel rapporto con il corrispondente articolo 23, relativo alla composizione ordinaria, riproducendo anche il c. 2 dell’art. 23, non applicabile alle imprese minori; c) l’utilizzo della tecnica del richiamo della disciplina contenuta in altri articoli, per di più seguita in forma mista, condizionato dalla verifica di “compatibilità”, tanto più grave nella regolamentazione di una nuova procedura.

Per approfondimenti consigliamo il CORSO ONLINE
Codice della crisi: nessun sistema di allerta, arriva la negoziazione
a cura dell’Avv. Monica Mandico e dell’ Avv. Flavia Silla
Lunedì 18 Luglio 2022


Disciplina transitoria

L’art. 390 prevede che ai procedimenti di insolvenza pendenti alla data di entrata in vigore del Codice si continuano ad applicare le norme della L.F., pertanto la Commissione speciale ha proposto:

  • che per i procedimenti già pendenti alla data di entrata in vigore del Codice si preveda una sospensione della procedura, con apertura di una finestra temporale, di 60 o 90 gg., per verificare la possibilità di superare lo stato di crisi attraverso una delle procedure disciplinate dal Codice,
  • l’introduzione di norme transitorie destinate ad essere applicate solo alle procedure già pendenti alla data di entrata in vigore del Codice medesimo.

 

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San Celestino V

 

San Celestino V


Nome: San Celestino V
Titolo: Eremita e Papa
Nome di battesimo: Pietro Angelerio
Nascita: 1221, Isernia
Morte: 19 maggio 1296, Frosinone
Ricorrenza: 19 maggio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Pietro da Morrone nacque ad Isernia in Molise l’anno 1221 da virtuosi e caritatevoli genitori. Benché orfano di padre fu messo dalla pia genitrice, aggravata dalle cure di ben 12 figli, a studiare. Ma più che allo studio il Santo si diede alla meditazione delle verità eterne e risolvette di assecondare il forte suo desiderio per la vita eremitica. Difatti a vent’anni, nel fior dell’età, si ritirò in una rocca, ove scavò una piccola celletta in cui poteva appena stare in piedi.

Tre anni dopo fu scoperto ed obbligato a recarsi a Roma per ricevere gli ordini sacri.

Nel 1246 andò negli Abruzzi, ove passò cinque anni in una caverna di Monte Morone presso Sulmona tormentato da notturni fantasmi; non potendo aver pace, risolvette di consultarsi con il Papa.

Cammin facendo ebbe una visione che lo tranquillizzò: gli comparve un santo abate, morto da poco, che lo incoraggiò e lo avvertì di ritornare alla solitudine, che sarebbe stato liberato da quelle infestazioni, come infatti avvenne.

Essendo stato abbattuto il bosco ov’egli dimorava, si ritirò sul Monte Magello con altri due religiosi ai quali più tardi se ne aggiunsero altri. Ricercato, dovette ritornare a Monte Morone ove fondò un monastero. Nel 1274 da Gregorio X veniva approvata la sua Congregazione detta dei « Celestini » ed i suoi conventi arrivarono a 36.

Alla morte del Papa Nicolò IV avvenuta nel 1272 fu eletto Papa due anni dopo. Questa elezione fu applaudita da tutti, ma il Santo ne fu molto dolente ed inutili furono le sue proteste di essere indegno e incapace di tal dignità. Fuggi con un suo religioso di nome Roberto, ma invano. Allora tornò gemendo a Morone ov’era atteso dai re di Napoli, di Ungheria e da gran numero di cardinali e principi: tutti lo accompagnarono alla cattedrale di Aquila e qui fu consacrato col nome di Celestino V.

Ma ben presto abdicò riprendendo il suo abito e nome religioso. La serenità e la gioia che gli brillò in volto quando fu accettata la sua abdicazione, provò, meglio delle sue parole, che l’umiltà sola gli aveva ispirato la risoluzione presa. Queste furono le sue parole:

«Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per bisogno di umiltà, di perfezionamento morale e per obbligo di coscienza, per debolezza del corpo, difetto di dottrina e la cattiveria del mondo, al fine di recuperare la pace e le consolazioni della vita di prima, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta».

Disse Dante nel sessantesimo verso del III canto dell’Inferno Che fece per viltade il gran rifiuto.

La sua abdicazione al Pontificato fu per tanti occasione delle più strane e sciocche ipotesi, nonchè di affermare l’invalidità della elezione al Pontificato di Bonifacio VIII, quasi che egli l’avesse costretto a tale atto. In tale pericoloso frangente, il nuovo Pontefice, per evitare uno scompiglio e uno scisma nella Chiesa, vedendo che da tutte le parti si facevano visite al Santo nella grotta di Morone, pregò il re di Napoli di mandarglielo a Roma. Ma Pier Celestino, saputolo, si diede alla fuga imbarcandosi sul mare Adriatico; però un vento contrario gli impedì di proseguire il viaggio e lo costrinse ad approdare a Vieste nelle Puglie: di qui fu condotto al Papa che allora si trovava ad Anagni. Nel tempo che fu nel palazzo del Pontefice, S. Celestino trattò spesso con lui e ottenne che fosse riconosciuta la sua abdicazione, indi si ritirò nella vicina Frosinone, come volle Bonifacio VIII. Qui passò il restante di sua vita cantando lodi a Dio con due monaci che gli tenevano compagnia. Il giorno di Pentecoste del 1296, dopo aver sentita la Messa con gran fervore, disse che sarebbe morto prima del termine della settimana. E così avvenne: colto da febbri passò al Signore il 19 maggio.

PRATICA. Ci sia questo Santo esempio e modello di umiltà e di disprezzo delle cose terrene.

PREGHIERA. O Dio, che innalzasti il beato Pier Celestino alla sublime dignità di Sommo Pontefice, concedi propizio che meritiamo di disprezzare, a suo esempio, tutte le cose del mondo per raggiungere felicemente il premio promesso agli umili.

MARTIROLOGIO ROMANO. Il natale di san Piétro di Morène Confessore, il quale, da Anacoreta fu eletto Sommo Pontefice, e si chiamò Celestino quinto. Ma poi rinunciò al Papato, e conducendo vita religiosa nella solitudine, illustre per virtù e per miracoli, passò al Signore.