CRIMEA
CRIMEA (A. T., 71-72)
Repubblica sovietica autonoma, costituita il 18 ottobre 1921. Il suo territorio, che misura 25.300 kmq. di superficie, comprende la grande penisola omonima della Russia meridionale. Essa ha forma di un quadrilatero assai irregolare; a N. è saldata al continente da un istmo lungo 30 km., e della larghezza, nel punto più stretto, di appena 9 km.; a O. e a S. è circondata dal Mar Nero e a E., oltre lo stretto di Kerč, dal Mar d’Azov. È compresa fra il 44°25′ e il 46°10′ di lat. N., il 32°30′ e il 36°37′ di long. E.
La Crimea si divide in due regioni ben distinte, una pianeggiante e stepposa a N. e una montuosa a S. La prima, che si sviluppa su una base di calcari dell’era terziaria, è ovunque argillosa e cosparsa di depositi salini; ha un’inclinazione prevalente da SE. verso NE. e NO., e termina sul mare con una scarpata abbastanza elevata; vi manca del tutto la terra nera, e ha quindi scarsissima fertilità, e può essere sfruttata quasi esclusivamente per i prodotti minerarî e soprattutto per le sue enormi quantità di sale estratte dai laghi. La zona montuosa si sviluppa lungo la costa sud-orientale con una catena di alture lunga 170 km., prolungamento delle ultime propaggini del Caucaso occidentale, al quale è collegata, attraverso lo stretto di Kerč, da una serie di bassifondi e collinette. La sezione occidentale della catena, detta dai Tatari Yaila, in alcuni tratti scende al mare con balze quasi a picco e raggiunge i 1543 m.; la sezione orientale è notevolmente più bassa, e ha forme più dolci. Una delle cime più notevoli della catena, il Čatyrdag de Tatari (1525 m.), è il Mons Trapezus degli antichi; si trova fra le due catene ed è completamente isolato. Il versante marittimo di tutta la catena è piuttosto ripido, quello interno si prolunga con varie propaggini, le quali racchiudono alcune vallate abbastanza ampie. Fra la catena montuosa e il mare si sviluppa una striscia pianeggiante, larga in media 5 km., detta, per la sua fertilità, il giardino della Crimea. Il litorale si sviluppa per circa 1000 km.; esso è in genere sinuoso, ricco di sporgenze che formano a lor volta numerose rade, alcune delle quali assai comode. La costa di NO. dall’istmo di Perekop al capo Tarchan, chiude a S. la baia di Karkinit; è bassa e priva di porti importanti. La costa di SO., sino oltre il capo Chersoneso, è più elevata, talvolta rocciosa, e possiede due ottime baie, quella di Eupatoria (Guesleve) e la grande baia di Sebastopoli, lunga 6 km. circa, e larga, all’ingresso, 850 m. Nel tratto successivo sino allo stretto di Kerč, è rocciosa con molti capi, che delimitano varî golfi e baie, e fra le altre la baia di Balaklava. Lo stretto di Kerč è largo da 15 a 16 km., ma i banchi di sabbia che ne ingombrano l’entrata restringono questa ad appena 9 km. di larghezza. La penisola di Kerc si protende così con una lunga appendice fra il Mar d’Azov e il Mar Nero. Dopo una larga curva, si delinea spingendosi verso NO. il lunghissimo lido di Arabat, che divide dal Mar d’Azov il Mar Putrido, al di là del quale sorge l’istmo di Perekop.
Il clima della Crimea è assai salubre: il Mar Putrido stesso vivifica l’atmosfera con le forti esalazioni di vapori di iodio e di cloro i quali distruggono i miasmi delle paludi circostanti. L’inverno è però abbastanza rigido, poiché, a Sebastopoli, la media del gennaio è di −2°; l’estate non è molto calda e la media del luglio è di circa 9°; si nota una forte diversità fra il versante settentrionale della catena montuosa e la steppa a N. di essa, e il versante marittimo ove si formano delle vere oasi climatiche, con inverni mitissimi. Le coste del Mar d’Azov durante l’inverno sono sovente gelate. Non vi sono in Crimea corsi d’acqua importanti, per quanto essi siano numerosi; hanno corso breve, impetuoso all’epoca dello scioglimento delle nevi e durante la stagione piovosa, mentre nell’estate sono asciutti; il più importante è il Salgir; lungo il versante meridionale scendono al mare l’Alma e la Černaja (Cernaia). Numerosi i laghi, circa 400, tutti poco vasti e salmastri; da alcuni si ricava ottimo sale. La vegetazione spontanea è scarsa e poco variata nella regione di steppa, mentre sui monti è assai sviluppata; gli altipiani e le vallate sono coperti da foreste di querce, di pini, di faggi, soprattutto lungo il versante settentrionale, oltre a frassini, olmi e alberi da frutta selvatici; il versante marittimo ha flora mediterranea, composta di allori, fichi, melogranati, platani, gelsi, ecc.
La popolazione della Crimea è molto varia, essendo composta da rappresentanti di sette popoli diversi, e cioè Tatari, Russi, Ebrei, Zingari, Greci, Armeni e Tedeschi. I primi si dividono in due gruppi: i Nogai, i quali hanno conservato meglio di tutti il tipo fisico originario, assai vicino al tipo calmucco; e i Tatari, che, per le frequenti mescolanze con l’elemento greco, hanno assunto caratteristiche e sembianze quasi europee, con occhi grandi, non obliqui, naso diritto e ben modellato, zigomi poco sporgenti, barba folta, capelli castani. Tuttavia l’elemento russo tende a prevalere e a sostituirsi all’elemento tataro. Greci e Armeni costituivano alla seconda metà del sec. XVIII, una parte ragguardevole della popolazione della Crimea, ma, dopo l’annessione della regione alla Russia, essi emigrarono in Romania, Turchia e nel Caucaso. L’odierna popolazione della Repubblica della Crimea ammonta a 600.000 ab. circa; di essi il 25% è composto di Tatari, il 44% di Russi, il 14% di Ucraini. Avvenuto lo sfacelo dell’impero zarista, vi fu un tentativo di risveglio dei Tatari; il 5 maggio 1917 essi proclamarono la propria autonomia e procedettero all’organizzazione politica, sociale e militare del nuovo stato. La propaganda bolscevica disgregò ben presto la piccola repubblica e, dopo la partenza degli esercitì di Denikin e Wrangel, il governo di Mosca rimase padrone della situazione, vincolando la Crimea, eretta a repubblica autonoma, alla politica bolscevica.
Una metà circa della popolazione è dedita all’agricoltura, e si occupa in modo speciale di orticoltura (magnolie, tulipani, gelsi, albicocchi, peschi, peri, meli, oltre a varie specie di piante medicinali e industriali, come il papavero orientale, lo zafferano, il tabacco). Importante la coltivazione della vite, di cui si avevano circa 50 varietà indigene, oltre a 200 esotiche; ma i vini sono poco apprezzati e per la massima parte consumati sul luogo. Nella regione di steppa, i contadini tatari in numero di 140.000 circa, oltre che di orticoltura, si occupano anche di pastorizia, allevando bovini, bufali, cammelli e pecore. La pesca è esercitata lungo le coste del Mar d’Azov, e dà notevoli quantità di sogliole e aringhe. L’industria non ha mai avuto un grande sviluppo, benché i marocchini di Crimea siano stati sempre ricercati; vi sono fabbriche di coltelli, sciabole e pugnali; di stoffe ordinarie, di tele grossolane, di feltri, e di sapone; ma mancano i grandi stabilimenti industriali. Il movimento commerciale, favorito dalla posizione geografica della penisola e dalla frequenza di buoni porti, è ora decaduto; le principali esportazioni comprendono sale, frumento, vini, miele, cera, cuoi, marocchini, pelli d’agnello, di lepre, lana di capra e pelo di cammello; s’importavano cotone, stoffe di cotone e di seta, oggetti di chincaglieria, spezierie, ecc. I porti più attivi erano quelli di Eupatoria, Balaklava, Feodosia e Kerč. La principale comunicazione per via di terra è costituita dalla linea ferroviaria Sebastopoli-Simferopoli-Novo Aleksandrovsk sul continente, alla quale s’innestano le diramazioni per Kerč e Perekop. La Crimea ha sempre avuto, specialmente dal punto di vista militare, un’importanza capitale, perché permette di dominare agevolmente tutta la costa del Mar Nero dalla Bulgaria al Caucaso; e la baia di Sebastopoli costituisce una base navale di primissimo ordine. Capoluogo della Crimea è Simferopoli (Akmečet), la quale conta 86.000 ab. circa; è sede di un’università con 4000 studenti. A Sebastopoli (Akhiar) vi è un politecnico, e a Feodosia (Kefe) una scuola di coltura nazionale:
Storia. – Per la sua posizione geografica la Crimea, come il Caucaso, servì da rifugio alle stirpi che cercavano salvezza di fronte all’avanzata dei nomadi nelle steppe della Russia meridionale, e quasi tutti i popoli che vi si fermarono fecero sentire la loro influenza sulla Crimea, specialmente sulla parte settentrionale della penisola (gli Sciti, i Sarmati, i Goti, gli Unni). D’altra parte quasi tutti i popoli, le cui navi navigavano sul Mar Nero, fecero tentativi per fondare dei posti commerciali o militari sulle rive della Crimea, specialmente su quella meridionale, che già nell’antichità aveva offerto rifugio alle colonie greche e più tardi era entrata a far parte dell’Impero Romano.
Dal continente invece, attraverso l’istmo, penetrarono nel secolo III d. C. in Crimea i Goti. Dopo la distruzione del loro stato per opera degli Unni (sec. IV), una parte dei Goti sfuggì all’invasione unna in Crimea e vi si mantenne, come gruppo etnico compatto, durante tutto il Medioevo. Dai secoli VII e VIII la Crimea fu inclusa nello stato dei Chazari. La maggioranza della popolazione nel Medioevo professava il cristianesimo. Per quanto riguarda la giurisdizione patriarcale, le eparchie della Tauride furono sottomesse dal punto di vista amministrativo-ecclesiastico al seggio di Costantinopoli. Durante le lotte iconoclastiche, la Tauride servì di rifugio ai monaci adoratori delle immagini. Fu questo un periodo di straordinario fiore culturale per le comunità cristiane della Tauride.
Nel sec. IX appare sul Mar Nero un nuovo elemento etnico e politico: i Varjaghi-Russi. Nella seconda metà del sec. X il principe di Kiev Svjatoslav ottenne il riconoscimento del suo potere da parte dei Goti di Crimea. Alla fine del sec. X, il figlio di Svjatoslav, Vladimir, s’impadronì di Chersonis (988), ma restituì subito dopo questa piazza forte a Bisanzio. Al principio del sec. XI Basilio II intraprese una spedizione nella Tauride contro i Chazari, spedizione che finì con pieno successo (1016). Alla metà del sec. XI le steppe russo-meridionali furono invase dai nomadi Polovcy (Kumani) che sottomisero anche la Tauride ad eccezione delle città greche della costa. Nel sec. XII Bisanzio tentò di nuovo di stabilire il proprio potere anche nella Tauride interiore, ma l’occupazione di Costantinopoli da parte dei Crociati (1204) mutò tutta la situazione internazionale sul Mar Nero. I Turchi Selgiuchidi dell’Asia Minore cercarono di prendere il posto di Bisanzio in Crimea.
Dal sec. XIII comincia il periodo mongolo nella storia della Tauride, che appunto adesso riceve il nome di Crimea (in russo Krym; Krym significa in tataro “fossa”). Il principale centro dell’Orda d’oro fu nel territorio del Volga (Saraj), ma un secondo centro anche importante fu in Crimea (Solchat). In questo periodo la Crimea diventa centro di animati rapporti commerciali tra l’Oriente e l’Occidente. Rappresentanti del commercio europeo in Crimea erano soprattutto i Genovesi, che avevano fondato in Crimea, ancora prima dell’arrivo dei Mongoli, alcune colonie. Minore importanza ebbero in Crimea i Veneziani. Il movimento più brillante di questo periodo di rigoglio commerciale della Crimea, fu il regno di Uzbek (1313-41) e di suo figlio Giānibeg (1342-1367). Dalla metà del secolo XIV cominciarono all’Orda d’oro dei torbidi interni. Alla fine del sec. XIV i principi lituani che avevano respinto in questo tempo i Tatari fino alla riva del Mar Nero, fecero varie volte delle incursioni in Crimea. Subito dopo però la potenza dello Stato mongolo-tataro occidentale fu per breve tempo ristabilita da Timur e la Lituania fu ricacciata dal Mar Nero.
Alla metà del sec. XV l’Orda d’Oro si divise in alcuni separati regni tatari. Uno di essi fu appunto il Khānato crimeano, la cui capitale fu Bachčisaraj. Il principale creatore della potenza del nuovo khānato fu il khān Mengli-Ghirāy. I Tatari crimeani si trovavano in quell’epoca in uno stato di transizione dal nomade al sedentario. Accanto all’allevamento del bestiame cominciò a svilupparsi anche l’agricoltura. Nell’ultimo quarto del sec. XV i khān crimeani dovettero riconoscersi vassalli del sultano turco (ottomano) di Costantinopoli. La costa meridionale della Crimea fu trasformata addirittura in provincia turca. Tutta l’attenzione dei khān tatari crimeani fu adesso rivolta a N.; i khān compivano continui attacchi contro le terre ora dello stato polacco-lituano, ora dello stato moscovita, devastandole. Le incursioni dei Tatari crimeani co1itinuarono nel corso dei secoli XVI, XVII e nella prima metà del sec. XVIII. Nel sec. XVII i khān crimeani rappresentavano una notevole parte politica, approfittando delle rivolte dei Cosacchi ucraini, prima contro la Polonia, poi contro Mosca. Solo nel sec. XVIII lo stato russo cominciò a farsi strada verso il Mar Nero. In seguito al trattato di Kučuk Kajnardži tra la Russia e la Turchia (1774), il Khānato crimeano divenne indipendente dalla Turchia; e nel 1783 la Crimea fu annessa alla Russia.
Il governo russo rivolse grande attenzione al nuovo paese e i rappresentanti dell’amministrazione russa esplicarono grande energia nella sua organizzazione. Le condizioni economiche della Crimea, rovinate dalle guerre del sec. XVIII, ben presto cominciarono a migliorare. La popolazione a poco a poco aumentò con l’affluenza di coloni dal nord, sia Russi, sia Tedeschi. Verso la metà del sec. XIX la popolazione del governatorato della Tauride (cioè propriamente della penisola crimeana e dei distretti a N. dell’istmo di Perekop) era di 608.832 anime.
Bibl.: A. I. Markevic, Taurica Opyt ukazatelja sočinenij o Kryme (Saggio di guida bibliografica della Crimea), in Izvestija tavričeskoj učenoj archivnoj komissii, 1894, 1898, 1902; Izvestija tavriceskoj učenoj archivnoj komissij (Notizie della Commissione scientifico archiviale della Tauride), I-LVII, 1887-1920; Izvestija tavričeskogo obščestva istorii, archeologii i etnografii (Notizie della Società della Tauride di storia, archeologia ed etnografia), I, 1927; Rossija sotto la direzione di V. P. Semenov, XIV, 1910; M. G. Canale, Commentarî storici della Crimea, del suo commercio e dei suoi dominatori, voll. 3, Genova 1855-56; J. A. Kulakovskij, Prošloe Tavridy (Il passato della Tauride), 1915; A. A. Vasil′ev, Goty v Krymu (I Goti in Crimea), in Izvestija Akademii istorii materialnoj kultury, I (1921); V (1927); N. Murzakevic, Istorija genuezskich poselenij v Krymu (Storia delle colonie genovesi in Crimea), 1837; V. V. Veljaminov-Zernov, Materialy dlja istorii krymskago chanstva (Materiali per la storia del Khānato crimeano), 1864; V. D. Smirnov, Krymskoe chanstvo pod verchovenstvom ottomanskoj Porty (Il Khānato crimeano sotto la sovranità della Porta ottomana), 1888; N. Dubrovin, Prisoedinenie Kryma k Rossii (L’annessione della Crimea alla Russia), 1885.
La guerra di Crimea.
Storia diplomatica della guerra. – Il primo pretesto a questa guerra venne dalla Palestina, dove cattolici e ortodossi, spalleggiati gli uni dalla Francia, gli altri dalla Russia, si contendevano accanitamente il possesso esclusivo dei Luoghi santi. Nel febbraio 1852 il sultano confermò alla chiesa greca, malgrado le proteste francesi, quasi tutti i suoi privilegi, ma lo zar Nicolò I, non ancora soddisfatto, volle approfittare dell’occasione per riprendere gli antichi disegni russi di smembramento dell’Impero ottomano e cercò anzi, nel gennaio 1853, di associarsi, oltre l’Austria, anche l’Inghilterra. Fallitogli il tentativo, decise di agire da solo. Egli era convinto che la Francia non potesse far nulla contro la Russia; che Federico Guglielmo IV di Prussia, suo congiunto, sarebbe rimasto neutrale; che Francesco Giuseppe, da lui soccorso nel 1849 nell’Ungheria, lo avrebbe direttamente o indirettamente aiutato; che i popoli balcanici sarebbero tutti insorti al suo appello. Mandò pertanto a Costantinopoli, nel febbraio 1853, il principe Menšikov (Mentchikoff) ad offrire alleanza al sultano e a chiedergli nel medesimo tempo il riconoscimento esplicito del protettorato della Russia su tutti gli ortodossi del suo impero. Non era ormai più questione dei Luoghi santi, ma della sovranità dello zar su dodici milioni di sudditi turchi.
La Porta respinse le richieste del Menšikov e Francia e Inghilterra, allarmatissime, inviarono le loro flotte verso i Dardanelli (giugno 1853). Allora, il 3 luglio, le truppe russe entrarono nei principati di Moldavia e di Valacchia dichiarando che non se ne sarebbero andate, finché il governo turco non fosse venuto a migliori consigli. Si riapriva così, e in forma più che mai minacciosa, la questione d’Oriente. Per evitare lo scoppio delle ostilità i rappresentanti delle potenze a Vienna, riuniti sotto la presidenza del ministro degli Esteri conte Buol (Conferenza di Vienna), si misero subito in cerca di qualche mezzo termine che desse soddisfazione alla Russia e, insieme, salvasse i diritti sovrani della Turchia; ma a nulla servirono gli espedienti diplomatici e, nell’ottobre, il sultano stesso, spinto dall’opinione pubblica, prese l’iniziativa di dichiarare la guerra allo zar. Si poteva prevedere che i Turchi non sarebbero rimasti soli di fronte ai Russi. Il 30 novembre 1853 un’intera flotta ottomana venne assalita e distrutta nella rada di Sinope, e di lì a poco le armate francesi e inglesi, che già si trovavano a Costantinopoli, entrarono nel Mar Nero per impedire alle navi russe di uscire dal porto di Sebastopoli. Era un’effettiva dichiarazione di guerra. Il 18 marzo 1854, il conte di Nesselrode annunziò che lo zar non aveva da dare alcuna risposta all’ultimatum inviatogli poco prima da Parigi e da Londra per lo sgombro dei Principati, e allora, il 10 aprile, Francia e Inghilterra, dopo essersi intese con la Turchia, strinsero fra loro un trattato di alleanza al quale invitarono ad aderire anche le altre potenze. Diciotto giorni più tardi furono dichiarate ufficialmente le ostilità.
Gli alleati comprendevano che, senza l’Austria, non avrebbero potuto colpire seriamente la Russia, ma Francesco Giuseppe non aveva alcuna intenzione di associare le proprie armi a quelle dei nemici dello zar e di distruggere in tal modo, a profitto delle potenze liberali, un’alleanza che, dopo il 1815, era stata e poteva essere ancora la più sicura garanzia dell’ordine e della pace in Europa. Preferì quindi per sé la parte di mediatore, con lo scopo di allontanare e localizzare l’incendio, onde si oppose anche alle rivolte dei popoli balcanici, e impedì alla Russia, pur mostrandosele amico, la conquista delle bocche del Danubio. Su questo ultimo punto erano d’accordo anche Federico Guglielmo IV e la Confederazione germanica. Perciò, nel giugno 1854, avendo i Russi posto l’assedio a Silistria, Austria e Prussia protestarono in siffatti termini che lo zar ordinò senz’altro alle sue truppe di abbandonare i Principati e di ridursi, come fecero, sulla sinistra del Prut. Era apparentemente una grande vittoria delle potenze alleate, tanto più che gli Austriaci, d’intesa con la Turchia, presero subito possesso delle piazze sgombrate dai Russi, quasi volessero opporsi a una nuova invasione, ma in realtà quest’improvviso mutamento di cose giovava, più che non sembrasse, alla Russia. Infatti Federico Guglielmo IV, di cui erano note le simpatie per lo zar, si separò immediatamente dall’Austria, dichiarando che, ottenuto lo sgombro dei Principati, non rimaneva altro da fare, e le truppe franco-inglesi, che erano a Varna, videro sfuggirsi il nemico prima di aver scambiato un solo colpo di fucile! Quest’ultimo fatto obbligava gli alleati a cercare un nuovo piano di guerra e, poiché non era possibile spingersi fino alle lontane rive del Prut, prevalse l’idea, già prima avanzata dagl’Inglesi, di trasportarsi nella Crimea (settembre 1854) per impadronirsi di Sebastopoli, donde la flotta russa dominava il Mar Nero. Secondo i calcoli dei competenti, l’impresa avrebbe dovuto compiersi in poche settimane; invece occorsero ben undici mesi per vincere.
Intanto a Vienna il conte Buol, d’accordo coi rappresentanti della Francia e dell’Inghilterra, aveva fissato su quali basi (Quattro punti) si sarebbe potuto trattare la pace; protettorato delle potenze, non della sola Russia, sui Principati; libera navigazione sul Danubio; garanzia per l’indipendenza dell’Impero ottomano; rinunzia dello zar al protettorato esclusivo dei sudditi cristiani della Porta. La Russia respinse però queste proposte (agosto 1854) e allora, il 2 dicembre 1854, l’Austria sottoscrisse con la Francia e con l’Inghilterra una convenzione, per la quale s’impegnava a intervenire militarmente contro la Russia, ove questa persistesse a non voler negoziare sulla base dei Quattro punti. Venti giorni più tardi Napoleone III garantì a Francesco Giuseppe, durante la guerra, il tranquillo possesso delle sue provincie italiane. Pareva quindi che l’Austria fosse sul punto di marciare contro la Russia, tanto più che il Piemonte, di cui a Vienna si era affettato di preoccuparsi moltissimo, aderì di lì a poco incondizionatamente all’alleanza franco-inglese (v. cavour); ma il conte Buol non aveva in realtà alcuna fretta di rompere i ponti e, sospettoso anche della Prussia, sperava che gli eventi non lo costringessero ad abbandonare la sua pacifica opera di mediazione. Le sue intenzioni furono favorite dalla morte di Nicolò I, avvenuta il 2 marzo 1855. Sin dal 7 gennaio il principe Gorčakov (Gortchakoff), rappresentante dello zar presso Francesco Giuseppe, aveva annunziato ufficialmente che la Russia accettava i Quattro Punti, onde, il 14 marzo, la Conferenza di Vienna poté riprendere le sue sedute per definire i patti della pace. Facile fu l’accordo sui prìmi due punti, che stavano molto a cuore all’Austria (protettorato delle potenze sui Principati e libera navigazione sul Danubio), ma quando si trattò di determinare in qual modo dovesse essere garantita l’indipendenza del sultano, il conte Buol non volle associarsi alla richiesta inglese di neutralizzazione del Mar Nero e anzi, nella lunga controversia circa il numero delle navi che la Russia avrebbe potuto tenere in quel mare, appoggiò in sostanza piuttosto il Gorčakov che gli ambasciatori della Francia e dell’Inghilterra. Invano, in quell’occasione, il ministro Drouyn de Lhuys fece persino un viaggio a Vienna; il Buol rispose che l’Austria non poteva muover guerra alla Russia per qualche nave di più o di meno che essa avesse voluto aver nel Mar Nero! Così la Conferenza si protrasse senza nulla conchiudere. L’8 settembre cadde Sebastopoli, ma il 24 novembre, nella regione del Caucaso, gl’Inglesi perdettero Kars. Ormai a Pietroburgo e a Parigi si faceva strada il desiderio di un accomodamento; soltanto a Londra si sarebbe voluto continuare la guerra sino alla completa distruzione della potenza marittima russa. Allora l’Austria, accostandosi alla Francia, propose un decisivo ultimatum che, firmato a malincuore dall’Inghilterra, fu accolto, il 16 gennaio 1856, dallo zar Alessandro II per consiglio anche del re di Prussia. La pace venne firmata, il 30 marzo, nel celebre Congresso di Parigi, il quale garantì l’indipendenza e l’integrità dell’Impero ottomano, chiuse gli stretti alle navi da guerra, limitò gli armamenti russo-turchi nel Mar Nero, proclamò la libera navigazione sul Danubio e l’autonomia dei Principati sotto l’alta sovranità della Porta e il protettorato collettivo delle potenze. Così l’Austria era riuscita a localizzare la guerra nella Crimea e a frustrare, insieme, le ambizioni russe sulla Balcania, ma aveva anche rotto definitivamente, a vantaggio di Napoleone III, la Santa Alleanza. Il suo isolamento apparve subito a Parigi, tre anni prima che avesse la sua consacrazione sui campi di Magenta e di Solferino.
Le operazioni militari. – D0po la dichiarazione di guerra della Francia e dell’Inghilterra alla Russia, le truppe francesi e quelle inglesi sbarcarono a Gallipoli e Scutari; ma, avendo i Russi passato il Danubio a Silistria (19 maggio 1854), il corpo di spedizione alleato si portò a Varna per impedire con una minaccia sul fianco la marcia su Costantinopoli. Seguì lo sgombero dei Principati da parte delle truppe dello zar, sgombero che iniziato alla fine di giugno, terminò il 2 agosto 1854. Frattanto truppe austriache e turche occuparono la regione, fermandosi al Prut.
Il corpo di spedizione alleato, decimato da una terribile epidemia di colera, non era però in grado d’inseguire i Russi nella malsana Dobrugia, dove alla deficienza dei mezzi di rifornimento si aggiungeva il pessimo stato delle strade rotabili. Fu deciso allora di trasportare la guerra in Crimea e di cingere d’assedio Sebastopoli, in quel tempo piazzaforte marittima, arsenale, deposito e stazione ordinaria della flotta russa nel Mar Nero. Ben difesa dal lato del mare da forti e batterie costiere con oltre 600 bocche da fuoco, lo era meno bene da quello terrestre, ritenendosi improbabile un attacco da quella parte: sita nel lato meridionale della rada omonima, constava della città propriamente detta e del sobborgo di Karabelnaja, dal quale era separata dalla baia del sud. Sette bastioni, uniti da cortine, la contornavano, di cui il 1°, 2°, 3° a difesa del sobborgo, gli altri quattro a difesa della città. Il lato settentrionale della rada era protetto verso terra da un vecchio forte detto del Nord.
ll corpo di spedizione alleato, forte di 50.000 uomini (di cui 30 mila Francesi su tre divisioni al comando del generale Saint-Arnaud, 21 mila e cinquecento Inglesi pure su tre divisioni al comando del generale Raglan, più un corpo di 7 mila Turchi), sbarcò presso Eupatoria, a nord di Sebastopoli, dal 14 al 18 settembre, senza incontrare resistenza. Il giorno 19 settembre iniziò la marcia verso sud e il 20 dello stesso mese vinse una prima resistenza sul fiume Alma (v.), oppostagli da un corpo nemico di circa 50 mila uomini, che gli sbarrava il passo.
La deficienza di truppe fresche, e più ancora l’indecisione dovuta alla mancanza di un comando unico alleato, impedirono tuttavia di sfruttare questo successo. Solo il 23 settembre 1854 gli alleati ripresero la marcia verso sud; ma giunti presso Sebastopoli, seppero che il principe Menšikov, comandante della piazza aveva fatto ostruire l’ingresso della rada mediante l’affondamento di parte della flotta, rendendo così impossibile il concorso della marina nel progettato assalto di viva forza del forte Nord. Decisero allora, gli alleati, di girare attorno alla città e portarsi a sud di essa, sull’altipiano di Chersoneso; e ciò allo scopo di assicurarsi una vicina base di operazione nel porto di Balaklava, al quale poi in seguito si aggiunsero le baie di Kamyš e di Kasatch. Menšikov frattanto, ostruito l’ingresso della rada e resi disponibili per la difesa terrestre gli uomini, le artiglierie e tutti il materiale della marina, aveva inviato le truppe esuberanti a Bachisaraj per proteggere le comunicazioni della piazza con Simferopoli e la Russia meridionale.
ll 29 settembre 1854 il generale Saint-Arnaud moriva di colera e gli succedeva nel comando del corpo francese il generale Canrobert (v.). Così soltanto il 7 ottobre si poterono iniziare le prime operazioni per l’investimento della piazza; gl’Inglesi si schierarono di fronte ai primi 3 bastioni (sobborgo di Karabelnaja) e i Francesi agli altri 4 (città). Un corpo misto di osservazione (francese, inglese e turco) fu posto a guardia del rovescio delle truppe assedianti, e lungo i monti Sapune per congiungersi alle difese di Balaklava. Il 17 ottobre successivo si procedette al tentativo di demolire col tiro delle artiglierie le difese della piazza, ma la reazione dell’artiglieria nemica fu tale da sconsigliare l’attacco, per cui venne iniziato l’assedio regolare con lavori di zappa e di mina, in direzione dei bastioni 3° (Inglesi) e 4° (Francesi). Dalla parte opposta i Russi, oltre a moltiplicare le opere di difesa, si spinsero innanzi con lavori di contrapproccio.
Il 25 ottobre essi tentarono un colpo di mano su Balaklava, ma vennero respinti. Il 5 novembre, avendo ricevuti rinforzi dall’armata del Danubio, attaccarono l’accampamento degl’Inglesi con due colonne, una proveniente dal sobborgo, e l’altra dalle alture di Inkerman, attraverso la Cernaia (Černaja). La tenace resistenza degl’Inglesi e il pronto accorrere di rinforzi francesi riuscirono ad aver ragione della sorpresa e della superiorità numerica del nemico, in un’epica e sanguinosa lotta che passò alla storia col nome di battaglia d’Inkerman (10.700 perdite russe contro 4500 degli alleati).
La cattiva stagione fece rincrudire le epidemie che infierivano nel corpo di spedizione; ma mentre gl’Inglesi non riuscivano a mantenere a numero il loro effettivo che nel gennaio 1855 si era ridotto a 10.000 uomini, nella stessa epoca i Francesi avevano portato il loro a 70.000, suddiviso in tre corpi d’armata. Nel febbraio successivo, per consiglio del generale del genio Niel, i lavori d’approccio vennero intensificati in direzione della torre di Malakov, interposta fra il 2° e il 3° bastione. Per la deficienza delle loro forze, gl’Inglesi si ridussero all’attacco del 3° bastione, cedendo la zona a destra – compresa la torre – al 2° corpo francese. Il 17 dello stesso mese i Russi attaccarono Eupatoria difesa da 25.000 Turchi venuti con Omer pascià dai Principati danubiani. L’attacco non essendo riuscito, Menšikov, umiliato per il nuovo scacco, si dimise e venne sostituito nel comando dal principe Michele Gorčakov.
Continuavano nel frattempo i lavori d’approccio, alternati da periodi d’intenso bombardamento, cui però non succedeva l’attacco per l’indecisione dei comandanti. Il generale Canrobert, stanco di subire lc pressioni di Napoleone III che desiderava la lotta in campo aperto contro le truppe di Bachčisaraj, mentre lord Raglan non voleva abbandonare l’altipiano di Chersoneso, cedette il comando in capo al generale Pélissier, ritornando a comandare la sua divisione (19 maggio). Il generale Pélissier, energico ed autoritario, seppe resistere alle pressioni dell’imperatore, e guadagnare la simpatia inglese partecipando con una divisione alla spedizione contro Kerč. Frutto della spedizione fu la cattura d’immensi magazzini russi, e il dominio del Mare d’Azov (24 maggio 1855).
Intanto era stato deciso l’intervento del Piemonte, che si era impegnato a partecipare alla guerra con un corpo di 15 mila uomini, ordinato su due divisioni di 2 brigate ciascuna. In tutto 20 battaglioni di fanteria, 5 di bersaglieri, un reggimento di cavalleria e 36 cannoni. Queste truppe salpavano da Genova in tre scaglioni successivi, fra il 28 aprile e il 15 maggio, agli ordini del generale Alfonso La Marmora. Comandavano Ie due divisioni i generali Durando e Alessandro La Marmora. In più vi era una brigata di riserva. Il primo scaglione giunse il 9 maggio a Balaklava, quando vi infieriva il colera, che cominciò subito a mietere le sue vittime fra le truppe. Ciò nonostante, il comandante chiese ed ottenne di portarsi, insieme con due divisioni francesi, sulla nuova linea di osservazione stabilita sulla Cernaia per aderire anche ai desiderî già espressi da Napoleone III. I Francesi si fortificarono sui monti Fediukhine e i Piemontesi sul monte Hasford, spingendo innanzi un sistema di avamposti ed eseguendo frequenti ricognizioni. Nel contempo proseguivano da parte del corpo d’assedio i lavori d’approccio e di mina, ai quali Russi opponevano lavori di contrapproccio e di contromina e sanguinose sortite.
Il giorno 16 agosto 1855 il principe Gorčakov, cedendo alle pressioni del proprio governo, mosse con sei divisioni (circa 70.000 uomini) all’attacco del corpo di osservazione alleato, forte di poco più di 40.000 uomini. L’attacco venne iniziato prima dell’alba contro gli avamposti sardi situati sull’altura di Ciorgune, al di là della Cernaia. I.Sardi resistettero eroicamente, e ripiegarono di trincea in trincea, sino al ridotto “Rocca dei Piemontesi” (sempre al di là della Cernaia), soltanto quando si videro accerchiati. La resistenza sarda diede ai Francesi il tempo di mantenere le loro posizioni. Contro il ponte Traktir ed i monti Fediukhine si rovesciarono allora le falangi russe, sempre respinte dai vigorosi contrattacchi francesi; mentre i Sardi con tiri di fucileria e di artiglieria micidialissimi battevano il fianco dell’assalitore. Alle ore 10 i Russi iniziavano il ripiegamento, non molestato dagli alleati per ordine di Pélissier, mentre il La Marmora già aveva preparato le truppe per il contrattacco (v. cernaia).
L’8 settembre 1855, dopo tre giorni di un terribile bombardamento, gli alleati mossero all’assalto di Sebastopoli, raggiungendo quasi ovunque le sconvolte difese nemiche: ma solo nella ridotta Malakov riuscirono ad affermarsi (divisione Mac Mahon) resistendo ai sanguinosi contrattacchi russi. Nella notte Gorčakov, riconosciuta inutile ogni resistenza, ripiegava con le sue truppe nel forte Nord, dopo aver fatto saltare batterie e depositi di munizioni, dato fuoco alla città, e affondata la flotta. All’azione del giorno 8 concorse la brigata Cialdini, ma non poté essere impiegata essendo la sua azione subordinata alla riuscita degli attacchi laterali.
Caduta Sebastopoli, venne rinforzato il corpo di osservazione sulla Cernaia, eseguite ricognizioni, compiuta una spedizione a Kinburn per impadronirsi delle foci dell’Oder (17 ottobre 1855). Intanto era sopraggiunto l’inverno, e convenne prepararsi a svernare sulle nuove posizioni, costruendo ricoveri e strade. Durante questo tempo il trattato di Parigi chiudeva le ostilità.
Il bilancio delle perdite subite dai varî eserciti che la guerra aveva riuniti attorno al Mar Nero fu il seguente: non precisato il numero dei morti e feriti russi, in cifra approssimata calcolati a 110.000 morti. La Francia ebbe 80.000 morti, di cui 10.240 solamente uccisi dal nemico; l’Inghilterra 22.000, di cui 2800 sul campo di battaglia. La Turchia ebbe complessivamente 35.000 morti. Il piccolo Piemonte diede in olocausto, in pochi mesi di campagna, 2200 delle sue giovani esistenze di cui 200 alla Cernaia e 30 nell’attacco di Sebastopoli. Le rimanenti furono vittime del colera e fra le più dolorose perdite dovute al morbo fu quella del generale Alessandro La Marmora (v.), fratello del comandante la spedizione (morto il 7 giugno 1855 e sostituito nel comando dal generale Trotti) e del generale Ansaldi, morto l’11 luglio. Il 12 ottobre 1855 morì anche il generale Montevecchi, in seguito a ferite riportate nel combattirnento della Cernaia.
La regina d’Inghilterra istituì due medaglie commemorative, l’una per i militari inglesi, l’altra per i militari degli eserciti alleati che avevano partecipato alla campagna prima del 9 settembre 1855. Vittorio Emanuele II istituì un’altra medaglia per i militari dell’esercito sardo che non avessero potuto conseguire quella inglese.
Bibl.: P. De La Gorce, Histoire du second Empire, Parigi 1894-1904, I; H. Friedjung, Der Krimkrieg und die österreichische Politik, 2ª ed., Stoccarda 1911; M. Degli Alberti, Per la storia dell’alleanza e della campagna di Crimea, Torino 1910; E. Bapst, Les origines de la guerre de Crimée. La France et la Russie de 1848 à 1854, Parigi 1912; E. Ollivier, in Revue des deux mondes, 1 e 15 marzo 1898.