Archivi giornalieri: 25 maggio 2022

Gestione Dipendenti Pubblici: l’Osservatorio sulle pensioni 2022

Gestione Dipendenti Pubblici: l’Osservatorio sulle pensioni 2022

È stato pubblicato l’Osservatorio sulle pensioni della Gestione Dipendenti Pubblici (GDP), con i dati sulle prestazioni vigenti al 1° gennaio 2022 e su quelle liquidate nel 2021.

Il numero delle pensioni vigenti al 1° gennaio 2022 è pari a 3.082.954, in aumento del 1,8% rispetto all’anno precedente (3.029.451). L’importo complessivo annuo (13 mensilità) delle pensioni è di 79.203 milioni di euro, con incremento del 3,2% rispetto al 2021 (76.750 milioni di euro).

Per quanto riguarda la ripartizione per cassa, il 58,5% delle pensioni è erogato dalla Cassa Trattamenti Pensionistici Statali ( CTPS ), seguita dalla Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali ( CPDEL ) con il 38%. Le altre casse rappresentano complessivamente il 3,5% del totale. Con riferimento all’importo complessivo annuo, risulta che il 60,9% è a carico della CTPS (2.057,05 euro), il 31,9% a carico della CPDEL (1.655,40 euro) e il rimanente 7,3% è erogato dalle altre casse, con importi che variano da 1.485,64 euro mensili per la Cassa Pensioni Insegnanti ( CPI ), a 4.728,47 per la Cassa Pensioni Sanitari ( CPS ).

Pensioni GDP: dati per categoria e sesso

Per quanto riguarda le prestazioni vigenti al 1° gennaio 2022, emerge che il 59,5% del totale dei trattamenti pensionistici è erogato alle donne, contro il 40,5% erogato agli uomini.

Relativamente alle pensioni liquidate nel 2021, la categoria delle pensioni di anzianità/anticipate è la più numerosa con il 54,7% del totale e importi complessivi annui pari a 2.835,2 milioni di euro (62,8% del totale). Le pensioni ai superstiti rappresentano il 25,5% del totale come numero e il 15,7% come importo. Le pensioni di vecchiaia il 16,97% come numero e il 18,9% come importo, infine quelle di inabilità sono di poco superiori al 2% sia nel numero sia nell’importo.

Pensioni GDP: dati per area geografica

La distribuzione per area geografica del numero delle pensioni vigenti al 1° gennaio 2022 mette in evidenza che il maggior numero delle prestazioni è concentrato nell’area settentrionale della penisola con il 40,8% del totale nazionale, seguito dall’area meridionale e isole con il 36,5% e dall’Italia centrale con il 22,4% del totale.

Pensioni GDP: dati per età, categoria e importo

L’età media complessiva dei titolari di pensioni di vecchiaia e anzianità/anticipate è di 73,4 anni sia per gli uomini che per le donne; quella dei titolari di pensione di inabilità si discosta di oltre 4 anni tra i due sessi (69,4 per gli uomini e 73,7 per le donne); l’età media della categoria superstiti è molto differenziata tra i due sessi, essendo pari a 71,6 anni per gli uomini e a 78,1 anni per le donne.

La distribuzione delle pensioni per categoria e classi di importo mensile mette in evidenza che il 15,1% delle pensioni pubbliche ha un importo mensile inferiore ai 1.000 euro, il 45,3% tra 1.000 e 1.999,99 euro e il 29,6% di importo tra 2.000 e 2.999,99; infine, il 10% ha un importo dai 3.000 euro mensili lordi in su.

PA Digitale e PNRR: convegno a Palazzo Wedekind

PA Digitale e PNRR: convegno a Palazzo Wedekind

Lunedì 30 maggio 2022, alle 10, presso Palazzo Wedekind, a Roma, si terrà il convegno “PA Digitale e PNRR: sviluppi e opportunità”, organizzato dall’Internet Governance Forum (IGF) e INPS.

Al centro dell’incontro, quindi, i temi della Digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, del PNRR e delle competenze digitali quali leve per l’evoluzione dei servizi dedicati al cittadino.

I lavori si apriranno con i saluti istituzionali di Mattia Fantinati, Presidente IGF Italia e già Sottosegretario per la Pubblica Amministrazione, Vincenzo Caridi, Direttore Generale INPS, e Francesco Paorici, Direttore Generale AgID.

Interverranno in chiusura Pasquale Tridico, Presidente dell’INPS, e Francesca Bria, Presidente Fondo Nazionale Innovazione.

L’evento sarà trasmesso anche in diretta streaming sul canale PA DIGITALE E PNRR: SVILUPPI E OPPORTUNITÀ.

Per tutti i dettagli è disponibile il programma (pdf 440KB).

Consulenti del lavoro: “Su pensioni serve flessibilità in uscita”

Consulenti del lavoro: “Su pensioni serve flessibilità in uscita”

(Adnkronos) – Una Quota 100 o 102 veramente flessibile, che combini anzianità contributiva e vecchiaia, invece della formula rigida finora prevista dalla normativa, per dare un input al mercato del lavoro, favorendo il ricambio generazionale. Una soluzione per riformare il cantiere delle pensioni potrebbe essere l’introduzione di formule più elastiche di pensionamento, secondo un’analisi di Fondazione studi consulenti del lavoro riassunta in un approfondimento dal titolo ‘Alla ricerca della vera flessibilità: una nuova quota’.  

Sono circa 470mila, secondo le elaborazioni della Fondazione studi sulla base dei dati Inps, i lavoratori di età compresa tra i 61 e i 66 anni che presentano un’anzianità contributiva superiore ai 34 anni e inferiore ai 41, soglia a partire dalla quale si può accedere alla pensione di anzianità. Quali effetti potrebbe, dunque, avere l’introduzione di un meccanismo di pensionamento più flessibile che consenta di combinare anzianità contributiva e vecchiaia, estendendo la platea dei potenziali beneficiari? Rispetto all’attuale Quota 100 ‘rigida’, che prevede l’accesso alla pensione con 38 anni di contributi e 62 anni di età, una Quota 100 ‘flessibile’ consentirebbe di raddoppiare quasi la platea dei potenziali beneficiari con un incremento attorno all’81% dei lavoratori interessati. Tale formula raccoglierebbe soprattutto 65-66enni con un’anzianità contributiva superiore ai 35 anni (ma inferiore ai 38 attualmente richiesti) e aiuterebbe i lavoratori più vicini alla pensione di vecchiaia ad anticipare l’ingresso.  

Le stesse stime sono state realizzate anche con riferimento a Quota 102, prevedendo la possibilità di estendere le combinazioni anzianità vecchiaia oltre l’attuale “64+38”. Con l’adozione di un sistema flessibile, si legge nell’approfondimento, ci sarebbe un incremento dell’88,7% di lavoratori (soprattutto 66enni) con un’anzianità contributiva inferiore ai 38 anni necessari per poter andare in pensione.  

L’impatto sulla platea individuata con queste due forme flessibili (61-66enni con un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e massimo 40) sarebbe, secondo i consulenti del lavoro, molto differente: la Quota 100 rigida (analoga a quella già osservata fra 2019 e 2021) intercetterebbe il 35,1% di questi lavoratori, mentre una forma più flessibile arriverebbe a coprire il 63,4%. Più basso, invece, l’universo attivabile con Quota 102 (15,6% nella formula rigida, 29,5% in quella flessibile).  

Per quanto riguarda il requisito anagrafico, entrambe le formule flessibili vedrebbero aumentare la quota di potenziali pensionati, soprattutto tra le fasce d’età più alte dove l’accesso alla pensione è precluso a chi, pur in possesso dei requisiti anagrafici, non ha maturato quelli contributivi. Le considerazioni sulla flessibilità, secondo Fondazione Studi, non possono non tenere conto delle necessità di contenimento della spesa e di sostenibilità dei costi a carico dello Stato in un’ottica di corrispondenza tra contribuzione effettivamente versata e oneri correnti di spesa pensionistica. Per questo motivo, solo considerando il valore medio delle future pensioni anticipate sarà possibile mettere a terra una formula che riduca il valore della pensione per garantirne la sostenibilità.  

Per raggiungere questo scopo, secondo i consulenti del lavoro, ci sono due scenari possibili: una parziale conversione al metodo contributivo per i beneficiari di quote retributive di pensione o, ancora, una riduzione percentuale proporzionale all’anticipo, secondo un meccanismo analogo rispetto a quello originariamente previsto dalla Riforma Fornero, per chi accedeva alla pensione anticipata con meno di 62 anni.  

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I centri di elaborazione dati, un rischio per l’ambiente Europa

I centri di elaborazione dati, un rischio per l’ambiente Europa

In un mondo fortemente digitalizzato, molti settori e attività dipendono dall’elaborazione di grandi quantità di dati. Le strutture che li elaborano – i cosiddetti data center – consumano però molta energia e, considerata la crescita del settore, costituiscono una minaccia ambientale.

 

data center, o centri di elaborazione dati, sono delle infrastrutture fisiche in cui vengono immagazzinate molte delle informazioni prodotte nel mondo digitale. La domanda di tali impianti ha visto una crescita straordinaria negli ultimi anni.

Si tratta però di un business comporta una serie di rischi, in primis in termini di sostenibilità energetica e ambientale.

L’elaborazione dati, un’esigenza del mondo digitale

In un periodo storico fortemente digitalizzato, in cui piattaforme e reti sociali sono presenti in modo capillare, controllo e gestione dei dati sono diventati elementi centrali della strategia commerciale delle aziende tecnologiche. Ma questi non sono gli unici soggetti interessati. Banche, assicurazioni, società di videogiochi, il settore delle criptovalute e altri sempre più digitalizzati come quello sanitario dipendono fortemente dall’elaborazione di grandi quantità di dati. Per controllare e gestire tali processi sono essenziali i cosiddetti “data center”.

I centri di elaborazione dati consumano più di alcuni paesi.

I centri di elaborazione dati sono strutture composte da hardware estremamente pesanti che hanno un consumo energetico globale che supera quello di interi paesi come l’Indonesia o il Sudafrica. Si tratta degli spazi fisici da cui dipende internet. Nonostante la centralità di tali strutture, si sa ancora poco sulla localizzazione e sull’impatto energetico e ambientale generato da tale settore, che oltretutto ha registrato durante la pandemia da Covid-19 un nuovo impulso.

Secondo Cloudscene, un fornitore di servizi di cloud australiano, ci sono attualmente quasi 2mila data center nei 27 paesi dell’Unione europea. A cui ne vanno aggiunti altri 596, situati in paesi vicini come Regno Unito, Norvegia e Svizzera.

La Germania, con più di 480 strutture, è il paese Ue che registra il maggior numero di data center. Ma è importante evidenziare che non tutti i centri di elaborazione dati hanno le stesse dimensioni, e oltretutto il loro numero non è sempre proporzionale al peso demografico o economico del paese nel quale si trovano. I Paesi Bassi ad esempio, con una popolazione che è meno di un quarto di quella tedesca, ospitano circa 280 strutture, la maggior parte delle quali si trova ad Amsterdam.

La capitale olandese, insieme ad altre città come Londra, Parigi e Francoforte, è diventata uno dei principali poli europei per questo settore nascente. Altre città dove assistiamo ad aumento di data center sono Madrid, Monaco e Milano, tutte con più di 50 strutture.

Anche se l’Europa non è ancora al livello del nord America – Stati Uniti e Canada contano, insieme, oltre 3.000 strutture – non c’è dubbio che i data center rappresentino già un’attività importante nel settore tecnologico.

Ma anche in Europa come nel continente nordamericano gli investimenti nei data center sono aumentati considerevolmente negli ultimi tempi, secondo le analisi di ReportLinker.

58% l’aumento degli investimenti nei centri di elaborazione dati in Ue, secondo ReportLinker (2021).

Il consumo di energia: una minaccia per l’ambiente

I data center richiedono grandi quantità di energia per funzionare, ma anche per raffreddare i loro sistemi. Vista la rapida crescita del settore negli ultimi anni, sono diverse le organizzazioni e le istituzioni che hanno espresso preoccupazione per l’impatto di queste infrastrutture, che consumano da 10 a 100 volte più energia di un edificio commerciale di dimensioni simili.

Non ci sono dati precisi sulla localizzazione dei data center e sul loro consumo energetico.

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), alla fine del 2019 i data center erano responsabili di circa l’1% del consumo globale di energia. Un dato che però non considera il mining di criptovalute, altro settore che si appoggia enormemente su server e hardware per l’archiviazione dei dati. Il problema è che, come per il numero e l’ubicazione dei data center, non esistono misurazioni ufficiali e aggiornate del consumo energetico effettivo di queste strutture in Europa.

A livello Ue, una delle ultime stime pubblicata in un rapporto del 2020 della Commissione europea, ha indicato che il consumo dei data center in Unione europea è cresciuto di quasi il 42% tra il 2010 e il 2018. Cifre che rappresentano il 2,8% di tutta la domanda energetica della regione. Per quanto riguarda l’impatto ambientale, il rapporto ha notato che, nonostante l’assenza di dati precisi, i data center potrebbero emettere tra lo 0,4% e lo 0,6% del totale dei gas serra generati nell’Ue.

1% di tutta l’energia globale è consumata solo dai data center, secondo le stime Aie (2019).

L’European Green Deal e la crescita esponenziale dei data center

Anche se la preoccupazione delle istituzioni europee per la sostenibilità dei data center risale almeno al 2008, è solamente dal lancio del green deal europeo nel 2019 che si è cominciato a pensare a una vera regolamentazione del settore.

Di conseguenza, le piattaforme che riuniscono i grandi operatori di centri europei di elaborazione dati hanno iniziato a muoversi. Nel gennaio 2021, 25 aziende – tra cui giganti come Amazon e Google, ma anche grandi attori del mercato europeo come Equinix e Interxion – hanno lanciato il Climate neutral data centre pact, una sorta di accordo sul clima per preparare la strada prima di un possibile inasprimento delle regole Ue. Promettendo di ridurre le emissioni, fino a raggiungere la neutralità climatica nel 2030. Un tipo di iniziativa che ha numerosi precedenti in vari settori commerciali.

Al momento, la crescita è esponenziale. Secondo uno studio di Eirgrid, la compagnia pubblica di elettricità irlandese, nel 2028 i centri di elaborazione dati assorbiranno circa il 30% della domanda energetica del paese. Mentre uno studio del Danish council on climate change sostiene che i data center faranno aumentare il consumo totale di energia della Danimarca del 17% nei prossimi 10 anni.

European data journalism network, i dati nel resto dell’Europa

Openpolis fa parte dell’European data journalism network, una rete di realtà che si occupano di data journalism in tutta Europa. La versione originale di questo articolo è di El orden mundial, un giornale europeo, ed è partner di Edjnet. I dati relativi ai centri di elaborazione dati presenti in Europa sono disponibili qui.

 

Foto: Taylor Vick – licenza

 

San Beda il Venerabile

 

San Beda il Venerabile


Nome: San Beda il Venerabile
Titolo: Sacerdote e dottore della Chiesa
Nascita: 672, Scozia
Morte: 25 maggio 735, Jarrow, Inghiltérra
Ricorrenza: 25 maggio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Protettore:degli studiosi
 
Beda significa uomo che prega. Nacque l’anno 672 sui confini della Scozia.

A sette anni i genitori lo affidarono a S. Benedetto Biscopio, il quale ammirando le belle disposizioni del fanciullo, lo predilesse e lo formò nella pietà e nella scienza. A 12 anni fu vestito dell’abito benedettino. Nel 691 fu ordinato diacono ed alcuni anni dopo sacerdote.

La vita di questo grande fu tutta nascosta: la spese nell’osservanza monastica, nella preghiera, negli studi sacri, nell’insegnamento e nello scrivere libri. Dalla sua scuola uscirono uomini grandi, e dalla sua penna una cinquantina di opere in cui tratta di quasi tutto lo scibile umano sacro e profano.

Interpreta in modo ammirabile la Sacra Bibbia alla luce delle opere dei Padri della Chiesa che egli conosceva profondamente. I suoi scritti eran sì sodi, sì sapienti e di tanta autorità, che lui vivente, venivano letti pubblicamente nelle chiese. Il sapere di quest’uomo desta meraviglia!

Vi fu uno che geloso di tanta scienza lo accusò di eresia. Beda, amante della verità, compose uno scritto in sua difesa, mostrandosi però pronto ad abbandonare le sue idee, qualora apparissero erronee.

La moderazione, la dolcezza, l’umiltà e la chiarezza che traspaiono da quell’apologia dissiparono come per incanto la calunnia, e il Santo ebbe nuovi e più entusiasti ammiratori.

Gran numero di persone ricorrevano ai lumi dei suoi consigli, ed egli accoglieva tutti amorevolmente e soddisfaceva con somma carità tutti, dal più umile e rozzo al Più alto dignitario.

Praticando in tutta l’estensione il motto: ora et labora del suo padre, S. Benedetto, ravvivò lo studio col soffio della pietà più profonda e studiò non per sfoggio di erudizione, ma per conoscere e far conoscere sempre meglio le meraviglie di Dio, per sentire più profondamente nel cuore le verità della fede e per metterle in pratica con l’esercizio delle più sublimi virtù.

Fu perfetto monaco e perfetto studioso!

Anche nell’ultima sua dolorosa infermità, non diminuì punto la sua grande attività di scrittore.

Godeva tal fama di santità, che, ancora vivente, fu soprannominato Venerabile, soprannome che ancor oggi gli rimane.

Mentre colla faccia rivolta alla chiesa recitava con fervore e ad alta voce il Gloria Patri, il divino programma della sua vita, gli Angeli si presero la sua bell’anima e la portarono in Paradiso (a. 735), poichè: Qui fecerit et docuerit, magnus vocabitur in regno coelorum: «chi avrà praticato e insegnato, sarà grande nel regno dei cieli ».

PRATICA. — Aiutare e pregare per il più grande apostolato dei nostri tempi: l’Apostolato della Stampa.

PREGHIERA. O Signore, che illustri la tua Chiesa coll’erudizione del tuo beato confessore e dottore Beda, concedi propizio ai tuoi servi d’essere sempre illuminati dalla sua sapienza e aiutati dai suoi meriti.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Jarrow, in Inghiltérra, San Beda Venerabile, Prete, Confessore e Dottore della Chiesa, celeberrimo per santità e per dottrina.