Archivio mensile:aprile 2021

Approvato il Decreto proroghe: novità per lo smart working, salta la proroga delle cartelle

 

Approvato il Decreto proroghe: novità per lo smart working, salta la proroga delle cartelle

In data 29 aprile il CdM ha approvato il Decreto proroghe. Novità per lo smart working nella PA, salta invece la proroga delle cartelle.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato in data 29 aprile il nuovo “Decreto proroghe”. Sono diverse le proroghe dei termini approvate e molte invece sono rimaste escluse e rimandate a prossimi provvedimenti. Allo studio del Governo vi era infatti la possibilità di differire il termine delle cartelle esattoriali fiscali e previdenziali. Si ricorda, al riguardo, che queste ultime sono state già prorogate al 30 aprile 2021 per effetto della diffusione della crisi economica.

Quindi, per dare una mano a quanti hanno avuto perdite, per via della pandemia, l’Esecutivo avrebbe preferito prorogare il termine dell’invio delle cartelle per non gravare ulteriormente sulle aziende. Questo poiché la diffusione del virus non cenna a fermarsi, con la conseguenza che molte attività continuano a rimanere chiuse o comunque lavorano a rango ridotto; per tale ragion si sta prospettando di differire ulteriormente il predetto termine alla fine della crisi fissata per ora al 31 luglio.

Tuttavia questa proroga non è stata inserita nel testo approvato del Decreto-Legge Proroghe ed ora si pensa che sarà inserito in un prossimo decreto sostegni bis che dovrebbe arrivare la prossima settimana. Il decreto legge di proroga dei termini presenta una importante novità per lo smart working nella PA: termina infatti l’obbligo di lavoro agile al 50%; salta invece lo smart working con procedura semplificata nel settore privato. La proroga dei termini riguarda inoltre le scadenze dei documenti di identità, i rendiconti degli Enti Locali e i bilanci delle Camere di Commercio.

Andiamo quindi con ordine e vediamo quali termini sono differiti e quali proroghe invece saltano o vengono rinviate a prossimi decreti.

Decreto proroghe: salta la sospensione dell’invio delle cartelle e degli avvisi di pagamento

Per effetto del Decreto-Sostegni Sostegni, sono stati sospesi i termini dei versamenti, in scadenza dall’8 marzo 2020 al 30 aprile 2021, derivanti da:

  • da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione;
  • accertamenti esecutivi emessi dall’Agenzia delle Entrate;
  • avvisi di addebito emessi dall’INPS;
  • atti di accertamento emessi dall’Agenzia delle Dogane e dei monopoli ai fini della riscossione delle risorse proprie tradizionali e della connessa IVA all’importazione;
  • ingiunzioni emesse dagli enti territoriali;
  • accertamenti esecutivi emessi dagli enti locali.

Quindi, durante il periodo di sospensione – ossia fino al 30 aprile 2021 – non sono state notificate cartelle di pagamento, nemmeno tramite posta elettronica certificata (PEC). Pertanto, la notifica delle cartelle di pagamento riprenderà a partire dal 3 maggio 2021.

Tuttavia il Governo sembra intenzionato ad approvare una ulteriore proroga per i suddetti termini; la proroga delle cartelle degli avvisi di addebito dovrebbe arrivare già la prossima settimana con un decreto ad hoc; oppure sarà inserita in quello che dovrebbe essere il decreto Sostegni bis.

Proroga Rottamazione-ter e saldo e stralcio

Altra importante proroga saltata riguarda il pagamento delle rate in scadenza nel 2020 e nel 2021 della “Rottamazione-ter” e del “Saldo e stralcio”.

In particolare, la disposizione normativa avrebbe dovuto differire il termine di pagamento delle rate in scadenza nell’anno 2020 della “Rottamazione-ter” e del “Saldo e stralcio”.

Anche questa proroga dovrebbe rientrare nel prossimo decreto Sostegni bis.

Sospensione procedure cautelari: il calendario per la ripresa

Stop, fino al 30 aprile 2021, anche per la sospensione dell’attivazione di nuove procedure di riscossione:

  • sia cautelari (ipoteche e fermi amministrativi);
  • sia esecutive (pignoramenti).

Lo stop è previsto sempre fino al 30 aprile 2021 e non è stata prevista la proroga.

Dunque, la ripresa è datata al momento:

  • 3 maggio 2021 per le cartelle o gli avvisi scaduti prima dell’inizio del periodo di sospensione;
  • 1° giugno 2021 per le cartelle o gli avvisi con termini di pagamento in scadenza tra l’8 marzo 2021 e il 30 aprile 2021.

Smart working nella Pubblica Amministrazione

Termina l’obbligo di ricorrere allo smart working al 50% nella Pubblica amministrazione. Questo è quello che emerge dalla bozza di Decreto Proroghe approdata in Cdm.

Il testo quindi non non prevede più una quota per lavoro agile ovvero per il lavoro da casa. Si prevede invece che ogni realtà della PA, debba organizzare il lavoro dei dipendenti assicurando che “l’erogazione dei servizi rivolti a cittadini ed imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza”.

Smart working per le aziende del privato

Salta l’estensione al 30 settembre del regime di smart working emergenziale ovvero con procedura semplificata nel settore privato. Il provvedimento annunciato nei giorni scorsi non trova spazio nel Decreto Proroghe, ma dovrebbe trovare spazio tramite emendamento nel decreto sulle riaperture, in fase di conversione in Senato.

Carte d’identità e altri documenti di riconoscimento scaduti

Le carte d’identità e gli altri documenti di riconoscimento scaduti in questi mesi di pandemia saranno validi fino al 30 settembre 2021.

Concessioni balneari

Infine salta uno dei provvedimenti più attesi dall’industria del Turismo; salta infatti la proroga delle concessioni balneari, tornate d’attualità perché la Commissione europea ha invitato il governo a fornire dettagli visto che nel capitolo del Pnrr sulla concorrenza il tema non è toccato.

San Pio V

 

San Pio V


Nome: San Pio V
Titolo: Papa
Nascita: 17 gennaio 1504, Bosco Marengo
Morte: 1 maggio 1572, Roma
Ricorrenza: 30 aprile
Tipologia: Commemorazione

S. Pio V nacque in un paese del Piemonte chiamato Bosco, ma discendeva dalla nobile famiglia dei Ghisieri, di Bologna. Frequentando da piccino un convento di Domenicani finì per abbracciarne l’ordine.

Si distinse per profondità di sapere e sodezza di virtù, e perciò fu promosso al sacerdozio.

Con grande zelo disimpegnò sotto i Papi Paolo IV e Pio IV i gravi uffici di inquisitore di Lombardia e quindi di vescovo di Alessandria: uffici nei quali non solo divenne celebre per il suo ardente zelo, ma anche per la prudenza e perspicacia con cui seppe disimpegnarli. Rimasta, più tardi, vacante la sede romana, il Chisleri venne eletto Sommo Pontefice, assumendo il nome di Pio V.

I tempi erano tristi; l’eresia luterana che spargeva faville di ribellione ovunque, minacciava la fede cattolica in tanti paesi, mentre la Chiesa nel Concilio di Trento ricorreva a tutti i mezzi per arrestarla. Fu in questa lotta immane che si svolse l’immenso apostolato del santo Pontefice Pio V.

Egli incominciò col condannare la dissolutezza ed il vizio, quindi con l’aiuto del Borromeo pubblicò il catechismo del Concilio di Trento e si adoperò perchè ne venissero osservati i Canoni; promosse pure la correzione del Breviario e del Messale.

Ma se tristi erano i tempi quanto al lato morale, non meno tristi erano dal lato politico, poichè i Turchi minacciavano continuamente di saccheggiare Roma.

E S. Pio V seppe trionfare anche di questi, assistito dalla SS. Vergine, ch’egli tanto amava.

L’esercito riunito di tutti i principi cristiani, benedetto dal Papa, parti, accompagnato dalle preghiere di tutta la cristianità; e nelle acque di Lepanto si incontrò col nemico. Terribile fu la lotta, ma la vittoria fu dei Cristiani; i Turchi furono messi in disordinata fuga e da quel giorno la loro potenza sul mare non fece che declinare. A perenne ricordo di così strepitoso favore, Maria fu onorata col titolo di « Auxilium Christianorum », non solo, ma fu anche istituita la festa del S. Rosario, che ancor oggi si celebra il 7 ottobre.

S. Pio V, per purgare poi l’aiuola della Chiesa, non lavorò solo a parole ma soprattutto con l’esempio, mostrandosi esemplare in ogni virtù. Visse sobrio ed umile, passando gran parte della sua giornata nella preghiera per la dilatazione del Regno di Cristo e per la pace della Chiesa. Attaccato da crudele infermità, morì nel maggio del 1572.

PRATICA. Il S. Rosario è una preghiera universale: recitiamolo.

PREGHIERA. Dio, che a sconfiggere i nemici della tua Chiesa e restaurare il culto divino, ti degnasti eleggere il Sommo Pontefice Pio V, fa’ che noi, difesi da lui, siamo così attaccati al tuo servizio che superate le insidie di tutti i nemici possiamo godere di una perpetua pace.

MARTIROLOGIO ROMANO. San Pio V, papa, che, elevato dall’Ordine dei Predicatori alla cattedra di Pietro, rinnovò, secondo i decreti del Concilio di Trento, con grande pietà e apostolico vigore il culto divino, la dottrina cristiana e la disciplina ecclesiastica e promosse la propagazione della fede. Il primo di maggio a Roma si addormentò nel Signore.

Pignoramento reddito di cittadinanza: ecco quando è possibile

 
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Pignoramento reddito di cittadinanza: ecco quando è possibile

Il reddito di cittadinanza è pignorabile: secondo un provvedimento del Tribunale di Trani, il RdC può essere pacificamente pignorato.

Il reddito di cittadinanza è pignorabile? Prima di rispondere a questa domanda ricordiamo che il RdC è sempre stato, fin dai tempi della sua introduzione una misura assai discussa. Vero è che però, in considerazione degli effetti combinati legati a pandemia e restrizioni da lockdown, detto beneficio è tornato prepotentemente in auge, assieme alla distinta misura del reddito di emergenza, di cui già abbiamo parlato recentemente su queste pagine.

Ambo le misure sono state rifinanziate e, di fatto, potenziate a seguito dei provvedimenti emergenziali del Governo, allo scopo di aiutare lavoratori e famiglie in difficoltà economica, a causa della disoccupazione o del crollo del volume degli affari della propria attività lavorativa o professionale.

Nonostante il delicato scenario socio-economico attuale, che impone il varo di aiuti economici in serie, per sostenere la ripresa economica del paese e per far fronte ai bisogni essenziali ed immediati dei cittadini, il reddito di cittadinanza continua ad essere al centro di alcune critiche, legate per lo più ad accertati ritardi nell’erogazione del contributo e alle vicende giudiziarie che vedono coinvolte persone che avrebbero percepito illegittimamente il sussidio.

In questo contesto, assume rilievo una ordinanza del Tribunale di Trani (testo completo a fondo pagina), che spiega perchè il reddito di cittadinanza può essere pignorato. Vediamo più nel dettaglio.

Reddito di cittadinanza: che cos’è in breve

Prima di affrontare nel merito i contenuti della ordinanza sul RdC, richiamiamo in sintesi quali sono i tratti essenziali dell’istituto. Anzitutto, giova ricordare che la Legge di Bilancio 2021 ha detto sì alla conferma del reddito di cittadinanza, una misura ormai varata da qualche anno e che ha trovato nuova ragion d’essere nella crisi economica da pandemia.

Anzi nelle norme in materia si può trovar scritto che il reddito di cittadinanza deve intendersi come una “misura unica di contrasto alla povertà alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro, della libera scelta del lavoro” (art. 1 del decreto n. 4 del 2019).

Il meccanismo di erogazione di tale sussidio prevede l’accredito della somma spettante mensilmente su una carta prepagata, ossia la carta reddito di cittadinanza che consente di poter caricare il denaro ed usarlo per fare spese inerenti beni di consumo strettamente necessari, come ad esempio alimenti; vestiti e abbigliamento (non di lusso). Nelle spese ammesse anche quelle per le bollette; la rata del mutuo o l’affitto della casa; la benzina o altre tipologie di carburante; i libri; gli smartphone; le visite mediche e i farmaci.

Distinti i requisiti che occorrono al cittadino, per poter avere accesso al reddito di cittadinanza. Tra essi, la cittadinanza  italiana o di Paesi dell’area UE e il reddito Isee annuo al di sotto di 9.360 euro. In ogni caso, per venire a conoscenza di tutti i presupposti per il sussidio, rimandiamo ad una nostra completa ed aggiornata pubblicazione sul tema.

Pignoramento del reddito di cittadinanza: è possibile ed anzi non è un’eccezione

Lo abbiamo accennato all’inizio, un giudice del Tribunale di Trani ha emesso un provvedimento di indubbio rilievo, avente ad oggetto questo sussidio. Infatti, contrariamente all’indirizzo prevalente finora, anche il reddito di cittadinanza può essere pignorato, proprio come lo stipendio o la pensione.

Anzi, l’ordinanza chiarisce che è possibile pignorare il Reddito di cittadinanza nell’ipotesi nella quale il percettore non riesca a saldare un debito con l’Agenzia delle Entrate; o nel caso non paghi quanto dovuto all’ex coniuge, a seguito di un divorzio.

Nel testo del provvedimento giudiziario si possono infatti leggere parole che fugano ogni dubbio in proposito:

Deve ritenersi pignorabile, senza l’osservanza dei limiti di cui all’ articolo 545 del Codice di procedura civile, il Reddito di cittadinanza; stante l’assenza nel testo del decreto istitutivo di qualunque riferimento alla natura alimentare di detto reddito; ed il carattere predominante di misura di politica attiva dell’occupazione”.

Questo sussidio è escluso dall’applicazione della regola sui crediti impignorabili: ecco perchè

Il riferimento all’art. 545 c.p.c. citato è essenziale per capire il ragionamento che ha portato il Tribunale a stabilire che il reddito di cittadinanza è pignorabile. Infatti, l’articolo menzionato chiarisce quali sono i crediti che, per legge, non possono subire un pignoramento. In particolare, compaiono i crediti di natura alimentare e i sussidi di grazia o di sostentamento a persone incluse nell’elenco dei poveri.

Ebbene, secondo la tesi del giudice, il reddito di cittadinanza non può ritenersi una misura o sussidio includibile nelle regola di garanzia di cui all’art. 545 citato, proprio perchè non c’è alcuna norma vigente, relativa al RdC, che esplicitamente lo riconduce alla categoria dei ‘crediti impignorabili’.

Alla base della decisione, una causa di divorzio

Nel caso concreto affrontato dal Tribunale di Trani, il magistrato competente ha emesso la decisione nei confronti di una coppia divorziata, giunta in aula giudiziaria, in ragione del fatto che l’ex marito non pagava l’assegno di mantenimento all’ex moglie. Il punto cruciale della vicenda è che, alla luce delle risultanze del procedimento, il Tribunale ha ritenute fondate e legittime le pretese della donna; e ha dunque disposto che l’ex-marito dovrà versare all’ex coniuge una porzione del sussidio che incassa dallo Stato.

Più nello specifico, sarà proprio l’Inps ad occuparsi del versamento. Mensilmente tratterrà infatti dalla somma del reddito di cittadinanza, l’importo definito dal Tribunale di Trani, di fatto assegnandolo proprio all’ex moglie, vittoriosa in giudizio.

Le parole del giudice nell’ordinanza, non lasciano alcun dubbio sulla tesi emersa: per il magistrato infatti, il reddito di cittadinanza “può essere utilizzato per i bisogni primari delle persone delle quali il titolare ha l’obbligo di prendersi cura, anche se non fa più parte dello stesso nucleo famigliare”. E’ dunque ribadito che resta fuori dal meccanismo di cui all’art. 545 c.p.c. e può essere pacificamente pignorato.

Lo scopo del RdC non contrasta con la logica del pignoramento

Il giudice incaricato ha inteso soffermarsi sulle caratteristiche della norma che prevede questo sussidio: in essa vi si trova scritto che il RdC è mirato a contrastare “la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro e della libera scelta del lavoro“. Insomma, le finalità alla base della sua introduzione non sono incompatibili con il pignoramento, che è dunque ammissibile.

Nell’ordinanza si intende anche sottolineare la natura eccezionale e di stretta interpretazione delle disposizioni inerenti divieti di pignorabilità in rapporto ad un principio generale: nel caso del reddito di cittadinanza, non sussistono perciò divieti o limitazioni al meccanismo del pignoramento. Tanto che infine il giudice conclude che “l’ordine di pagamento diretto può essere emesso per l’intera somma dovuta dal terzo“. Parafrasando quanto appena riportato, il giudice – se lo ritiene opportuno – deve dunque ritenersi libero di imporre il pagamento dell’intera mensilità del reddito di cittadinanza, nei confronti della ex coniuge.

Ordinanza pignorabilità RdC

In allegato il testo dell’ordinanza del Tribunale di Trani.

download   Ordinanza Pignoramento RdC
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Svolgimento di altra attività durante la malattia: nuova sentenza della Cassazione

Il lavoratore può svolgere un altro lavoro oppure una attività ricreativa durante l’assenza per malattia? Come ben sappiamo, la giurisprudenza, in special modo quella in materia di lavoro e di controversie tra azienda e dipendente, è spesso utile, perchè di fatto integra il dato normativo o lo dettaglia ulteriormente; in questo modo rende più agevole la comprensione del complesso mondo del diritto del lavoro.

Recentemente, proprio la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza di indubbio rilievo in tema di illegittimità del licenziamento disciplinare del lavoratore che, durante il periodo di malattia, svolga una diversa ed ulteriore attività di lavoro o anche di tipo ricreativo, e che tuttavia non metta rischio il buon esito della convalescenza. E dunque, di fatto, il suo rientro sul posto di lavoro, nel più breve tempo possibile.

Si tratta della sentenza 13 aprile 2021, n. 9647 (disponibile a fondo pagina), provvedimento certamente destinato a far discutere. Vediamo allora un po’ più da vicino quelli che sono i dettagli rilevanti della sentenza e qual è il ragionamento seguìto dal magistrato, per addivenire alla conclusione del licenziamento illegittimo.

Svolgimento di altra attività durante la malattia: il caso concreto

Come ben sappiamo il lavoratore assente per malattia non può muoversi liberamente durante la giornata, in quanto sottoposto a possibili controlli da parte del medico dell’INPS durante gli orari di visita fiscale. Inoltre il lavoratore non dovrebbe fare altre attività per non compromettere il suo pieno recupero e quindi non posticipare inutilmente il suo rientro al lavoro. Di conseguenza non potrebbe svolgere altre attività sia di lavoro che ricreative, che contrastino con il suo regolare

Come anticipato, la Suprema Corte ha stabilito il licenziamento illegittimo del lavoratore subordinato in malattia perchè affetto da un grave disturbo depressivo. Nel caso particolare affrontato dall’organo giudicante, il dipendente aveva svolto attività ricreative durante la malattia.

La ragione alla base del provvedimento giudiziario è che la condotta di chi svolge attività ricreativa pur essendo in stato di depressione e dunque assente dal lavoro perchè malato, non presenta caratteristiche oggettive tali da far presumere, di per se stesse, l’inesistenza della patologia depressiva cronica. Ed anzi, non pregiudica il recupero dalla stessa.

Per la Corte d’Appello di Napoli la tesi del licenziamento illegittimo è infondata

Le circostanze concrete della vicenda giunta fino in Cassazione hanno visto la Corte d’Appello di Napoli, in conformità alla sentenza del Tribunale della stessa località, rigettare il ricorso promosso da una società datrice di lavoro contro la decisione di primo grado con la quale era stato dichiarato il licenziamento illegittimo. Ciò nei confronti di un dipendente che aveva compiuto attività, secondo la tesi datoriale, incompatibili con il suo stato di salute, nel corso del periodo di assenza dal lavoro per malattia. In particolare, il problema di salute palesato dal lavoratore malato consisteva nella sindrome ansioso depressiva.

In secondo grado, il giudice d’Appello riteneva non violato il principio di correttezza e buona fede; e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, che caratterizzano ogni contratto di lavoro. Piuttosto il giudice di secondo grado ha sottolineato che la violazione potrebbe aversi soltanto in due diverse e distinte ipotesi:

  •  l’attività compiuta dal lavoratore subordinato comporta la presunzione di inesistenza della malattia, emergendo a livello probatorio una fraudolenta simulazione;
  • la stessa attività, in considerazione della natura della patologia e delle specifiche mansioni svolte, può pregiudicare; o mettere a rischio; o ritardare la guarigione e il ritorno sul posto di lavoro.

Ebbene, alla luce della valutazione degli elementi probatori, svolta dal giudice d’Appello, nessuna delle due ipotesi può applicarsi al caso affrontato e deciso dalla sentenza citata.  Pertanto non giustificandosi, nel merito, alcun licenziamento illegittimo per attività ricreative durante il periodo di malattia. Anzi può ben darsi lo svolgimento di attività ricreative e tipiche del “tempo libero”, proprio al fine di agevolare il percorso di guarigione dalla malattia. Contro il provvedimento d’appello, la società datrice di lavoro fece, tuttavia, ricorso in Cassazione.

Si può svolgere un altro lavoro durante la malattia? Le conclusioni della Corte di Cassazione

Come accennato all’inizio, anche la Suprema Corte ha ritenuto opportuno dichiarare il licenziamento illegittimo, nei confronti del dipendente che fa attività ricreative nel periodo di assenza per malattia, legata ad un disturbo di natura depressiva. In buona sostanza, il principio è sempre lo stesso. Detta condotta al di fuori del luogo di lavoro non è sufficiente in sè a lasciar dedurre l’assenza della patologia; non pregiudicando il superamento dalla stessa, ma anzi, in qualche modo, favorendolo. Perciò la Cassazione ha ha rigettato il ricorso, ribadendo la bontà dell’orientamento della Corte territoriale. 

Appare dunque doveroso riportare di seguito le limpide parole utilizzate dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 9647, sopra citata, giacchè chiariscono senza ombra di dubbio e senza necessità di parafrasi assai articolate, quello che è stato il meccanismo di ragionamento seguito:

“Anche alla stregua dei concetto di malattia desumibile dall’art.32 della Costituzione, la patologia impeditiva considerata dall’art. 2110 Cod. Civile (…), va intesa non come stato che comporti la impossibilità assoluta di svolgere qualsiasi attività, ma come stato impeditivo delle normali prestazioni lavorative del dipendente; di guisa che, nel caso di un lavoratore assente per malattia il quale sia stato sorpreso nello svolgimento di altre attività, spetta al dipendente, indubbiamente secondo il principio sulla distribuzione dell’onere della prova; dimostrare la compatibilità di dette attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa; la mancanza di elementi idonei a far presumere l’inesistenza della malattia e quindi, una sua fraudolenta simulazione; e la loro inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psico – fisiche. Restando peraltro la relativa valutazione riservata al giudice del merito; all’esito di un accertamento da svolgersi non in astratto, ma in concreto, con giudizio ex ante”. 

Decisive le valutazioni sugli elementi probatori raccolti e sugli elaborati medico-legali

I risultati delle analisi del materiale probatorio raccolto e degli studi effettuati sugli elaborati medico-legali redatti dagli ausiliari nominati in ambi i gradi di giudizio sono stati essenziali. Infatti, hanno consentito alla magistratura di giungere correttamente alla conclusione per il licenziamento illegittimo del lavoratore. Ciò in quanto – a livello probatorio – è emerso che:

  • i comportamenti assunti dal lavoratore nel periodo di assenza per malattia sono stati del tutto compatibili con la diagnosi di una patologia di natura neurologica;
  • è da escludersi  che la diagnosi della patologia neurologica con prescrizione di quindici giorni di riposo, fosse il risultato di una condotta fraudolenta, mirata a trarre in inganno l’azienda;
  • la condotta del lavoratore e le sue attività ricreative non si sono poste in contrasto o incompatibilità rispetto alla guarigione; e neanche hanno costituito ostacolo alla soluzione del disturbo di salute.

Ecco perchè, per la Corte di Cassazione, lo stato di malattia del dipendente non impedisce, in ogni caso, la possibilità di svolgere attività con esso compatibili (lavorative o ricreative). Il licenziamento disciplinare è dunque da ritenersi del tutto infondato e illegittimo, e la domanda del datore di lavoro è stata rigettata.

Il giudice di merito non è dunque incappato in alcuna erronea valutazione del rispetto dei principi di buona fedecorrettezza e ordinaria diligenza nel rapporto di lavoro.

Sentenza n.9647 del 13 aprile 2021 Corte di Cassazione, Sezione Lavoro

Alleghiamo infine il testo della sentenza in oggetto

Svolgimento di altra attività durante la malattia: nuova sentenza della Cassazione

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Svolgimento di altra attività durante la malattia: nuova sentenza della Cassazione

Una recente sentenza della Cassazione spiega se il dipendente in malattia che svolge altra attività ricreativa può essere licenziato.

Il lavoratore può svolgere un altro lavoro oppure una attività ricreativa durante l’assenza per malattia? Come ben sappiamo, la giurisprudenza, in special modo quella in materia di lavoro e di controversie tra azienda e dipendente, è spesso utile, perchè di fatto integra il dato normativo o lo dettaglia ulteriormente; in questo modo rende più agevole la comprensione del complesso mondo del diritto del lavoro.

Recentemente, proprio la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza di indubbio rilievo in tema di illegittimità del licenziamento disciplinare del lavoratore che, durante il periodo di malattia, svolga una diversa ed ulteriore attività di lavoro o anche di tipo ricreativo, e che tuttavia non metta rischio il buon esito della convalescenza. E dunque, di fatto, il suo rientro sul posto di lavoro, nel più breve tempo possibile.

Si tratta della sentenza 13 aprile 2021, n. 9647 (disponibile a fondo pagina), provvedimento certamente destinato a far discutere. Vediamo allora un po’ più da vicino quelli che sono i dettagli rilevanti della sentenza e qual è il ragionamento seguìto dal magistrato, per addivenire alla conclusione del licenziamento illegittimo.

Svolgimento di altra attività durante la malattia: il caso concreto

Come ben sappiamo il lavoratore assente per malattia non può muoversi liberamente durante la giornata, in quanto sottoposto a possibili controlli da parte del medico dell’INPS durante gli orari di visita fiscale. Inoltre il lavoratore non dovrebbe fare altre attività per non compromettere il suo pieno recupero e quindi non posticipare inutilmente il suo rientro al lavoro. Di conseguenza non potrebbe svolgere altre attività sia di lavoro che ricreative, che contrastino con il suo regolare

Come anticipato, la Suprema Corte ha stabilito il licenziamento illegittimo del lavoratore subordinato in malattia perchè affetto da un grave disturbo depressivo. Nel caso particolare affrontato dall’organo giudicante, il dipendente aveva svolto attività ricreative durante la malattia.

La ragione alla base del provvedimento giudiziario è che la condotta di chi svolge attività ricreativa pur essendo in stato di depressione e dunque assente dal lavoro perchè malato, non presenta caratteristiche oggettive tali da far presumere, di per se stesse, l’inesistenza della patologia depressiva cronica. Ed anzi, non pregiudica il recupero dalla stessa.

Per la Corte d’Appello di Napoli la tesi del licenziamento illegittimo è infondata

Le circostanze concrete della vicenda giunta fino in Cassazione hanno visto la Corte d’Appello di Napoli, in conformità alla sentenza del Tribunale della stessa località, rigettare il ricorso promosso da una società datrice di lavoro contro la decisione di primo grado con la quale era stato dichiarato il licenziamento illegittimo. Ciò nei confronti di un dipendente che aveva compiuto attività, secondo la tesi datoriale, incompatibili con il suo stato di salute, nel corso del periodo di assenza dal lavoro per malattia. In particolare, il problema di salute palesato dal lavoratore malato consisteva nella sindrome ansioso depressiva.

In secondo grado, il giudice d’Appello riteneva non violato il principio di correttezza e buona fede; e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, che caratterizzano ogni contratto di lavoro. Piuttosto il giudice di secondo grado ha sottolineato che la violazione potrebbe aversi soltanto in due diverse e distinte ipotesi:

  •  l’attività compiuta dal lavoratore subordinato comporta la presunzione di inesistenza della malattia, emergendo a livello probatorio una fraudolenta simulazione;
  • la stessa attività, in considerazione della natura della patologia e delle specifiche mansioni svolte, può pregiudicare; o mettere a rischio; o ritardare la guarigione e il ritorno sul posto di lavoro.

Ebbene, alla luce della valutazione degli elementi probatori, svolta dal giudice d’Appello, nessuna delle due ipotesi può applicarsi al caso affrontato e deciso dalla sentenza citata.  Pertanto non giustificandosi, nel merito, alcun licenziamento illegittimo per attività ricreative durante il periodo di malattia. Anzi può ben darsi lo svolgimento di attività ricreative e tipiche del “tempo libero”, proprio al fine di agevolare il percorso di guarigione dalla malattia. Contro il provvedimento d’appello, la società datrice di lavoro fece, tuttavia, ricorso in Cassazione.

Si può svolgere un altro lavoro durante la malattia? Le conclusioni della Corte di Cassazione

Come accennato all’inizio, anche la Suprema Corte ha ritenuto opportuno dichiarare il licenziamento illegittimo, nei confronti del dipendente che fa attività ricreative nel periodo di assenza per malattia, legata ad un disturbo di natura depressiva. In buona sostanza, il principio è sempre lo stesso. Detta condotta al di fuori del luogo di lavoro non è sufficiente in sè a lasciar dedurre l’assenza della patologia; non pregiudicando il superamento dalla stessa, ma anzi, in qualche modo, favorendolo. Perciò la Cassazione ha ha rigettato il ricorso, ribadendo la bontà dell’orientamento della Corte territoriale. 

Appare dunque doveroso riportare di seguito le limpide parole utilizzate dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 9647, sopra citata, giacchè chiariscono senza ombra di dubbio e senza necessità di parafrasi assai articolate, quello che è stato il meccanismo di ragionamento seguito:

“Anche alla stregua dei concetto di malattia desumibile dall’art.32 della Costituzione, la patologia impeditiva considerata dall’art. 2110 Cod. Civile (…), va intesa non come stato che comporti la impossibilità assoluta di svolgere qualsiasi attività, ma come stato impeditivo delle normali prestazioni lavorative del dipendente; di guisa che, nel caso di un lavoratore assente per malattia il quale sia stato sorpreso nello svolgimento di altre attività, spetta al dipendente, indubbiamente secondo il principio sulla distribuzione dell’onere della prova; dimostrare la compatibilità di dette attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa; la mancanza di elementi idonei a far presumere l’inesistenza della malattia e quindi, una sua fraudolenta simulazione; e la loro inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psico – fisiche. Restando peraltro la relativa valutazione riservata al giudice del merito; all’esito di un accertamento da svolgersi non in astratto, ma in concreto, con giudizio ex ante”. 

Decisive le valutazioni sugli elementi probatori raccolti e sugli elaborati medico-legali

I risultati delle analisi del materiale probatorio raccolto e degli studi effettuati sugli elaborati medico-legali redatti dagli ausiliari nominati in ambi i gradi di giudizio sono stati essenziali. Infatti, hanno consentito alla magistratura di giungere correttamente alla conclusione per il licenziamento illegittimo del lavoratore. Ciò in quanto – a livello probatorio – è emerso che:

  • i comportamenti assunti dal lavoratore nel periodo di assenza per malattia sono stati del tutto compatibili con la diagnosi di una patologia di natura neurologica;
  • è da escludersi  che la diagnosi della patologia neurologica con prescrizione di quindici giorni di riposo, fosse il risultato di una condotta fraudolenta, mirata a trarre in inganno l’azienda;
  • la condotta del lavoratore e le sue attività ricreative non si sono poste in contrasto o incompatibilità rispetto alla guarigione; e neanche hanno costituito ostacolo alla soluzione del disturbo di salute.

Ecco perchè, per la Corte di Cassazione, lo stato di malattia del dipendente non impedisce, in ogni caso, la possibilità di svolgere attività con esso compatibili (lavorative o ricreative). Il licenziamento disciplinare è dunque da ritenersi del tutto infondato e illegittimo, e la domanda del datore di lavoro è stata rigettata.

Il giudice di merito non è dunque incappato in alcuna erronea valutazione del rispetto dei principi di buona fedecorrettezza e ordinaria diligenza nel rapporto di lavoro.

Sentenza n.9647 del 13 aprile 2021 Corte di Cassazione, Sezione Lavoro

Alleghiamo infine il testo della sentenza in oggetto.

Disoccupazione agricola 2021

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Disoccupazione agricola 2021: utili anche i periodi cassa integrazione in deroga

Per la disoccupazione agricola 2021 riferita all’anno 2020 i periodi di cassa integrazione in deroga fruiti sono utili ai fini del calcolo.

Rilevano ai fini del calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola, limitatamente ai lavoratori del settore agricolo, i periodi di cassa integrazione in deroga fruiti. A specificarlo è l’INPS, con la Circolare n. 69 del 23 aprile 2021, illustrando gli effetti della disciplina di cui all’art. 22 del D.L. n. 18/2020 sul calcolo delle prestazioni di disoccupazione agricola di competenza dell’anno 2020, con particolare riferimento:

  • alla platea dei beneficiari e agli impatti della norma sul perfezionamento del requisito contributivo richiesto per l’accesso alla prestazione di disoccupazione agricola;
  • sul calcolo della stessa e sulla retribuzione di riferimento da utilizzare per l’individuazione dell’importo da erogare in relazione ai periodi di cassa integrazione equiparati a lavoro.

Inoltre, precisato che, ai fini della determinazione delle giornate non indennizzabili per la liquidazione delle prestazioni di disoccupazione agricola in competenza 2020 con riferimento ai periodi di soggiorno in Paesi extracomunitari non convenzionati, si terrà conto di un periodo di franchigia ampliato.

Disoccupazione agricola 2021: a chi spetta

I beneficiari dell’indennità di disoccupazione agricola sono gli operai a tempo determinato iscritti negli elenchi nominativi:

  • dei lavoratori agricoli per l’anno di competenza della prestazione;
  • degli operai agricoli a tempo indeterminato che sono stati assunti o licenziati nel corso dell’anno cui l’indennità si riferisce.

Per il calcolo della disoccupazione agricola

  1. gli operai agricoli a tempo determinato devono risultare effettivamente iscritti per almeno un giorno negli appositi elenchi riferiti al 2020.
  2. gli operai a tempo indeterminato assunti o licenziati nel 2020, invece, devono aver prestato almeno un giorno di lavoro effettivo.

Disoccupazione agricola, operai a tempo determinato

Destinatari della previsione di cui all’art. 22 del D.L. n. 18/2020 sono in primo luogo gli operai agricoli a tempo determinato, iscritti per almeno un giorno negli appositi elenchi riferiti al 2020. È necessario che questi ultimi nel medesimo anno hanno fruito di trattamenti di integrazione salariale in deroga in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.

Dunque, ai fini del calcolo delle prestazioni di disoccupazione agricola riferite all’anno 2020, i trattamenti di integrazione salariale in deroga fruiti dagli operai agricoli a tempo determinato in conseguenza dell’emergenza epidemiologica saranno utili ai predetti fini limitatamente ai periodi fruiti entro il 31 dicembre 2020.

Disoccupazione agricola, operai a tempo indeterminato

Con riferimento agli operai agricoli a tempo indeterminato è stato precisato che gli stessi accedono al predetto trattamento con la causale “COVID-19 CISOA” appositamente istituita.

Qualora l’azienda abbia già fatto ricorso per altre causali al numero massimo annuale di giornate fruibili, agli operai agricoli a tempo indeterminato è consentito l’accesso alla tutela della CIGD.

I trattamenti di integrazione salariale in argomento saranno valorizzati ai fini del calcolo della disoccupazione agricola di competenza del 2020 limitatamente ai periodi fruiti entro il 31 dicembre 2020.

Disoccupazione agricola, operai a tempo indeterminato cooperative agricole

I lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato, dipendenti dalle richiamate cooperative e loro consorzi, non accedono alla CISOA. Infatti, possono accedere alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria sulla base del requisito dimensionale.

Con particolare riferimento all’anno 2020, i lavoratori agricoli in argomento hanno avuto accesso alla CIGO con causale “COVID 19” e ai trattamenti di CIGO, sempre con la predetta causale, per sospensione di CIGS.

Ciò premesso, la disciplina in materia di calcolo delle prestazioni di disoccupazione agricola per il 2020 trova applicazione anche nei confronti degli operai agricoli a tempo indeterminato, dipendenti dalle cooperative e loro consorzi, che nell’anno 2020 hanno fruito della cassa integrazione ordinaria concessa con le causali COVID-19.

Disoccupazione agricola, requisito contributivo

I periodi di cassa integrazione in deroga fruiti nel 2020 dagli operai agricoli a tempo determinato saranno equiparati a lavoro anche ai fini della sussistenza del requisito contributivo richiesto per l’accesso all’indennità di disoccupazione agricola di competenza dell’anno 2020.

Con riferimento agli operai agricoli a tempo indeterminato, allo stesso fine saranno equiparate a lavoro:

  • le giornate di cassa integrazione in deroga riferite al 2020;
  • i periodi di CISOA fruiti nel medesimo anno in conseguenza dell’emergenza in argomento;
  • i periodi di CIGO con riferimento agli operai agricoli a tempo indeterminato.

Disoccupazione agricola, quanto spetta

Ai fini del calcolo delle prestazioni di disoccupazione agricola riferite all’anno 2020, alle giornate di lavoro effettivo saranno aggiunti i periodi di:

  • trattamento di integrazione salariale in deroga fruiti nel medesimo anno dagli operai a tempo indeterminato (OTI) e dagli operai a tempo determinato (OTD) in conseguenza dell’emergenza epidemiologica;
  • CISOA fruiti dagli OTI con le specifiche causali appositamente istituite;
  • CIGO fruiti dagli OTI di cui ai paragrafi precedenti.

Atteso che l’indennità in parola può essere erogata solo in relazione alle giornate dell’anno non coperte da alcun tipo di contribuzione, l’incremento delle giornate di lavoro ottenuto sommando i periodi di integrazione salariale a quelli di lavoro effettivo determina un beneficio in termini di giornate indennizzabili per disoccupazione agricola solo per i lavoratori in relazione ai quali la predetta somma non superi per il 2020 il limite delle 183 giornate.

Qual è la retribuzione di riferimento

Per gli operai agricoli a tempo determinato e figure equiparate l’importo erogato a titolo di disoccupazione agricola è pari al 40% della retribuzione.

A titolo di contributo di solidarietà dall’importo così calcolato viene detratto il 9% dell’indennità giornaliera per ogni giornata di disoccupazione erogata, fino a un massimo di 150 giorni.