Pignoramento reddito di cittadinanza: ecco quando è possibile

 
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Pignoramento reddito di cittadinanza: ecco quando è possibile

Il reddito di cittadinanza è pignorabile: secondo un provvedimento del Tribunale di Trani, il RdC può essere pacificamente pignorato.

Il reddito di cittadinanza è pignorabile? Prima di rispondere a questa domanda ricordiamo che il RdC è sempre stato, fin dai tempi della sua introduzione una misura assai discussa. Vero è che però, in considerazione degli effetti combinati legati a pandemia e restrizioni da lockdown, detto beneficio è tornato prepotentemente in auge, assieme alla distinta misura del reddito di emergenza, di cui già abbiamo parlato recentemente su queste pagine.

Ambo le misure sono state rifinanziate e, di fatto, potenziate a seguito dei provvedimenti emergenziali del Governo, allo scopo di aiutare lavoratori e famiglie in difficoltà economica, a causa della disoccupazione o del crollo del volume degli affari della propria attività lavorativa o professionale.

Nonostante il delicato scenario socio-economico attuale, che impone il varo di aiuti economici in serie, per sostenere la ripresa economica del paese e per far fronte ai bisogni essenziali ed immediati dei cittadini, il reddito di cittadinanza continua ad essere al centro di alcune critiche, legate per lo più ad accertati ritardi nell’erogazione del contributo e alle vicende giudiziarie che vedono coinvolte persone che avrebbero percepito illegittimamente il sussidio.

In questo contesto, assume rilievo una ordinanza del Tribunale di Trani (testo completo a fondo pagina), che spiega perchè il reddito di cittadinanza può essere pignorato. Vediamo più nel dettaglio.

Reddito di cittadinanza: che cos’è in breve

Prima di affrontare nel merito i contenuti della ordinanza sul RdC, richiamiamo in sintesi quali sono i tratti essenziali dell’istituto. Anzitutto, giova ricordare che la Legge di Bilancio 2021 ha detto sì alla conferma del reddito di cittadinanza, una misura ormai varata da qualche anno e che ha trovato nuova ragion d’essere nella crisi economica da pandemia.

Anzi nelle norme in materia si può trovar scritto che il reddito di cittadinanza deve intendersi come una “misura unica di contrasto alla povertà alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro, della libera scelta del lavoro” (art. 1 del decreto n. 4 del 2019).

Il meccanismo di erogazione di tale sussidio prevede l’accredito della somma spettante mensilmente su una carta prepagata, ossia la carta reddito di cittadinanza che consente di poter caricare il denaro ed usarlo per fare spese inerenti beni di consumo strettamente necessari, come ad esempio alimenti; vestiti e abbigliamento (non di lusso). Nelle spese ammesse anche quelle per le bollette; la rata del mutuo o l’affitto della casa; la benzina o altre tipologie di carburante; i libri; gli smartphone; le visite mediche e i farmaci.

Distinti i requisiti che occorrono al cittadino, per poter avere accesso al reddito di cittadinanza. Tra essi, la cittadinanza  italiana o di Paesi dell’area UE e il reddito Isee annuo al di sotto di 9.360 euro. In ogni caso, per venire a conoscenza di tutti i presupposti per il sussidio, rimandiamo ad una nostra completa ed aggiornata pubblicazione sul tema.

Pignoramento del reddito di cittadinanza: è possibile ed anzi non è un’eccezione

Lo abbiamo accennato all’inizio, un giudice del Tribunale di Trani ha emesso un provvedimento di indubbio rilievo, avente ad oggetto questo sussidio. Infatti, contrariamente all’indirizzo prevalente finora, anche il reddito di cittadinanza può essere pignorato, proprio come lo stipendio o la pensione.

Anzi, l’ordinanza chiarisce che è possibile pignorare il Reddito di cittadinanza nell’ipotesi nella quale il percettore non riesca a saldare un debito con l’Agenzia delle Entrate; o nel caso non paghi quanto dovuto all’ex coniuge, a seguito di un divorzio.

Nel testo del provvedimento giudiziario si possono infatti leggere parole che fugano ogni dubbio in proposito:

Deve ritenersi pignorabile, senza l’osservanza dei limiti di cui all’ articolo 545 del Codice di procedura civile, il Reddito di cittadinanza; stante l’assenza nel testo del decreto istitutivo di qualunque riferimento alla natura alimentare di detto reddito; ed il carattere predominante di misura di politica attiva dell’occupazione”.

Questo sussidio è escluso dall’applicazione della regola sui crediti impignorabili: ecco perchè

Il riferimento all’art. 545 c.p.c. citato è essenziale per capire il ragionamento che ha portato il Tribunale a stabilire che il reddito di cittadinanza è pignorabile. Infatti, l’articolo menzionato chiarisce quali sono i crediti che, per legge, non possono subire un pignoramento. In particolare, compaiono i crediti di natura alimentare e i sussidi di grazia o di sostentamento a persone incluse nell’elenco dei poveri.

Ebbene, secondo la tesi del giudice, il reddito di cittadinanza non può ritenersi una misura o sussidio includibile nelle regola di garanzia di cui all’art. 545 citato, proprio perchè non c’è alcuna norma vigente, relativa al RdC, che esplicitamente lo riconduce alla categoria dei ‘crediti impignorabili’.

Alla base della decisione, una causa di divorzio

Nel caso concreto affrontato dal Tribunale di Trani, il magistrato competente ha emesso la decisione nei confronti di una coppia divorziata, giunta in aula giudiziaria, in ragione del fatto che l’ex marito non pagava l’assegno di mantenimento all’ex moglie. Il punto cruciale della vicenda è che, alla luce delle risultanze del procedimento, il Tribunale ha ritenute fondate e legittime le pretese della donna; e ha dunque disposto che l’ex-marito dovrà versare all’ex coniuge una porzione del sussidio che incassa dallo Stato.

Più nello specifico, sarà proprio l’Inps ad occuparsi del versamento. Mensilmente tratterrà infatti dalla somma del reddito di cittadinanza, l’importo definito dal Tribunale di Trani, di fatto assegnandolo proprio all’ex moglie, vittoriosa in giudizio.

Le parole del giudice nell’ordinanza, non lasciano alcun dubbio sulla tesi emersa: per il magistrato infatti, il reddito di cittadinanza “può essere utilizzato per i bisogni primari delle persone delle quali il titolare ha l’obbligo di prendersi cura, anche se non fa più parte dello stesso nucleo famigliare”. E’ dunque ribadito che resta fuori dal meccanismo di cui all’art. 545 c.p.c. e può essere pacificamente pignorato.

Lo scopo del RdC non contrasta con la logica del pignoramento

Il giudice incaricato ha inteso soffermarsi sulle caratteristiche della norma che prevede questo sussidio: in essa vi si trova scritto che il RdC è mirato a contrastare “la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro e della libera scelta del lavoro“. Insomma, le finalità alla base della sua introduzione non sono incompatibili con il pignoramento, che è dunque ammissibile.

Nell’ordinanza si intende anche sottolineare la natura eccezionale e di stretta interpretazione delle disposizioni inerenti divieti di pignorabilità in rapporto ad un principio generale: nel caso del reddito di cittadinanza, non sussistono perciò divieti o limitazioni al meccanismo del pignoramento. Tanto che infine il giudice conclude che “l’ordine di pagamento diretto può essere emesso per l’intera somma dovuta dal terzo“. Parafrasando quanto appena riportato, il giudice – se lo ritiene opportuno – deve dunque ritenersi libero di imporre il pagamento dell’intera mensilità del reddito di cittadinanza, nei confronti della ex coniuge.

Ordinanza pignorabilità RdC

In allegato il testo dell’ordinanza del Tribunale di Trani.

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Svolgimento di altra attività durante la malattia: nuova sentenza della Cassazione

Il lavoratore può svolgere un altro lavoro oppure una attività ricreativa durante l’assenza per malattia? Come ben sappiamo, la giurisprudenza, in special modo quella in materia di lavoro e di controversie tra azienda e dipendente, è spesso utile, perchè di fatto integra il dato normativo o lo dettaglia ulteriormente; in questo modo rende più agevole la comprensione del complesso mondo del diritto del lavoro.

Recentemente, proprio la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza di indubbio rilievo in tema di illegittimità del licenziamento disciplinare del lavoratore che, durante il periodo di malattia, svolga una diversa ed ulteriore attività di lavoro o anche di tipo ricreativo, e che tuttavia non metta rischio il buon esito della convalescenza. E dunque, di fatto, il suo rientro sul posto di lavoro, nel più breve tempo possibile.

Si tratta della sentenza 13 aprile 2021, n. 9647 (disponibile a fondo pagina), provvedimento certamente destinato a far discutere. Vediamo allora un po’ più da vicino quelli che sono i dettagli rilevanti della sentenza e qual è il ragionamento seguìto dal magistrato, per addivenire alla conclusione del licenziamento illegittimo.

Svolgimento di altra attività durante la malattia: il caso concreto

Come ben sappiamo il lavoratore assente per malattia non può muoversi liberamente durante la giornata, in quanto sottoposto a possibili controlli da parte del medico dell’INPS durante gli orari di visita fiscale. Inoltre il lavoratore non dovrebbe fare altre attività per non compromettere il suo pieno recupero e quindi non posticipare inutilmente il suo rientro al lavoro. Di conseguenza non potrebbe svolgere altre attività sia di lavoro che ricreative, che contrastino con il suo regolare

Come anticipato, la Suprema Corte ha stabilito il licenziamento illegittimo del lavoratore subordinato in malattia perchè affetto da un grave disturbo depressivo. Nel caso particolare affrontato dall’organo giudicante, il dipendente aveva svolto attività ricreative durante la malattia.

La ragione alla base del provvedimento giudiziario è che la condotta di chi svolge attività ricreativa pur essendo in stato di depressione e dunque assente dal lavoro perchè malato, non presenta caratteristiche oggettive tali da far presumere, di per se stesse, l’inesistenza della patologia depressiva cronica. Ed anzi, non pregiudica il recupero dalla stessa.

Per la Corte d’Appello di Napoli la tesi del licenziamento illegittimo è infondata

Le circostanze concrete della vicenda giunta fino in Cassazione hanno visto la Corte d’Appello di Napoli, in conformità alla sentenza del Tribunale della stessa località, rigettare il ricorso promosso da una società datrice di lavoro contro la decisione di primo grado con la quale era stato dichiarato il licenziamento illegittimo. Ciò nei confronti di un dipendente che aveva compiuto attività, secondo la tesi datoriale, incompatibili con il suo stato di salute, nel corso del periodo di assenza dal lavoro per malattia. In particolare, il problema di salute palesato dal lavoratore malato consisteva nella sindrome ansioso depressiva.

In secondo grado, il giudice d’Appello riteneva non violato il principio di correttezza e buona fede; e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, che caratterizzano ogni contratto di lavoro. Piuttosto il giudice di secondo grado ha sottolineato che la violazione potrebbe aversi soltanto in due diverse e distinte ipotesi:

  •  l’attività compiuta dal lavoratore subordinato comporta la presunzione di inesistenza della malattia, emergendo a livello probatorio una fraudolenta simulazione;
  • la stessa attività, in considerazione della natura della patologia e delle specifiche mansioni svolte, può pregiudicare; o mettere a rischio; o ritardare la guarigione e il ritorno sul posto di lavoro.

Ebbene, alla luce della valutazione degli elementi probatori, svolta dal giudice d’Appello, nessuna delle due ipotesi può applicarsi al caso affrontato e deciso dalla sentenza citata.  Pertanto non giustificandosi, nel merito, alcun licenziamento illegittimo per attività ricreative durante il periodo di malattia. Anzi può ben darsi lo svolgimento di attività ricreative e tipiche del “tempo libero”, proprio al fine di agevolare il percorso di guarigione dalla malattia. Contro il provvedimento d’appello, la società datrice di lavoro fece, tuttavia, ricorso in Cassazione.

Si può svolgere un altro lavoro durante la malattia? Le conclusioni della Corte di Cassazione

Come accennato all’inizio, anche la Suprema Corte ha ritenuto opportuno dichiarare il licenziamento illegittimo, nei confronti del dipendente che fa attività ricreative nel periodo di assenza per malattia, legata ad un disturbo di natura depressiva. In buona sostanza, il principio è sempre lo stesso. Detta condotta al di fuori del luogo di lavoro non è sufficiente in sè a lasciar dedurre l’assenza della patologia; non pregiudicando il superamento dalla stessa, ma anzi, in qualche modo, favorendolo. Perciò la Cassazione ha ha rigettato il ricorso, ribadendo la bontà dell’orientamento della Corte territoriale. 

Appare dunque doveroso riportare di seguito le limpide parole utilizzate dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 9647, sopra citata, giacchè chiariscono senza ombra di dubbio e senza necessità di parafrasi assai articolate, quello che è stato il meccanismo di ragionamento seguito:

“Anche alla stregua dei concetto di malattia desumibile dall’art.32 della Costituzione, la patologia impeditiva considerata dall’art. 2110 Cod. Civile (…), va intesa non come stato che comporti la impossibilità assoluta di svolgere qualsiasi attività, ma come stato impeditivo delle normali prestazioni lavorative del dipendente; di guisa che, nel caso di un lavoratore assente per malattia il quale sia stato sorpreso nello svolgimento di altre attività, spetta al dipendente, indubbiamente secondo il principio sulla distribuzione dell’onere della prova; dimostrare la compatibilità di dette attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa; la mancanza di elementi idonei a far presumere l’inesistenza della malattia e quindi, una sua fraudolenta simulazione; e la loro inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psico – fisiche. Restando peraltro la relativa valutazione riservata al giudice del merito; all’esito di un accertamento da svolgersi non in astratto, ma in concreto, con giudizio ex ante”. 

Decisive le valutazioni sugli elementi probatori raccolti e sugli elaborati medico-legali

I risultati delle analisi del materiale probatorio raccolto e degli studi effettuati sugli elaborati medico-legali redatti dagli ausiliari nominati in ambi i gradi di giudizio sono stati essenziali. Infatti, hanno consentito alla magistratura di giungere correttamente alla conclusione per il licenziamento illegittimo del lavoratore. Ciò in quanto – a livello probatorio – è emerso che:

  • i comportamenti assunti dal lavoratore nel periodo di assenza per malattia sono stati del tutto compatibili con la diagnosi di una patologia di natura neurologica;
  • è da escludersi  che la diagnosi della patologia neurologica con prescrizione di quindici giorni di riposo, fosse il risultato di una condotta fraudolenta, mirata a trarre in inganno l’azienda;
  • la condotta del lavoratore e le sue attività ricreative non si sono poste in contrasto o incompatibilità rispetto alla guarigione; e neanche hanno costituito ostacolo alla soluzione del disturbo di salute.

Ecco perchè, per la Corte di Cassazione, lo stato di malattia del dipendente non impedisce, in ogni caso, la possibilità di svolgere attività con esso compatibili (lavorative o ricreative). Il licenziamento disciplinare è dunque da ritenersi del tutto infondato e illegittimo, e la domanda del datore di lavoro è stata rigettata.

Il giudice di merito non è dunque incappato in alcuna erronea valutazione del rispetto dei principi di buona fedecorrettezza e ordinaria diligenza nel rapporto di lavoro.

Sentenza n.9647 del 13 aprile 2021 Corte di Cassazione, Sezione Lavoro

Alleghiamo infine il testo della sentenza in oggetto

Pignoramento reddito di cittadinanza: ecco quando è possibileultima modifica: 2021-04-29T18:50:58+02:00da vitegabry
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