Archivi giornalieri: 9 aprile 2021

Regole coronavirus aprile: spostamenti, scuola, seconde case. Il punto

Regole coronavirus aprile: spostamenti, scuola, seconde case. Il punto

Le regole coronavirus per il mese di aprile permangono piuttosto rigide, anche se non sono esclusi allentamenti entro la seconda metà del mese

Il nuovo decreto covid aprile è in vigore dal 7  e lo sarà fino al 30 di questo mese. Il provvedimento agisce trasversalmente su una pluralità di settori: non contiene infatti soltanto regole per contrastare la pandemia e in tema di vaccinazioni,  ma anche istruzioni essenziali per quanto riguarda la riapertura dei concorsi pubblici (sbloccati anche quelli per la magistratura).

Ci riferiamo al decreto legge n. 44 del 2021, pubblicato circa una settimana fa in Gazzetta Ufficiale. Qui di seguito vogliamo ricapitolare quelle che sono le novità e le misure incluse nel provvedimento del Governo Draghi, onde non fare confusione e capire come comportarsi nelle prossime settimane. Facciamo chiarezza.

Regole coronavirus aprile: soltanto una parziale riapertura

Per vedere davvero la luce in fondo al tunnel, sarà necessario attendere fino a maggio, anche perchè la campagna di vaccinazione non può ancora dirsi realmente soddisfacente: è necessario poter contare su un maggior numero di punti di vaccinazione, distribuiti capillarmente sul territorio; e su nuove e numerose dosi di vaccino. In attesa, le regole coronavirus aprile non prevedono significative novità sul fronte chiusure e restrizioni. Vero è però che anche nelle regioni rosse è stata disposta la riapertura degli istituti scolastici, fino alla prima media.

Fino a fine mese, ossia fino al 30 aprile, la penisola sarà suddivisa in aree arancioni e aree rosse, in base all’andamento dei contagi e all’efficacia della campagna vaccinale a livello territoriale. Occorre dunque aspettare, per vedere nuovamente l’Italia colorata di giallo o – si spera – di bianco. Spostamenti limitati per tutto il mese, giacchè permane il divieto di spostarsi da una regione all’altra, se non per i ben noti motivi di lavoro, salute o necessità urgente (autocertificazione).

Spostamenti nelle seconde case o all’estero: la situazione

Tuttavia –  nell’ambito delle regole coronavirus aprile – sono previste aperture per quanto riguarda i proprietari di seconde case, che potranno recarsi in queste ultime, anche partendo da una località in zona rossa. Ciò comunque a condizione che il titolo abilitativo sussistesse già al 14 gennaio 2021. Non solo: l’accesso alla seconda è permesso tuttora soltanto agli appartenenti al nucleo familiare.

Ed attenzione anche al potere normativo degli enti locali: infatti, le ordinanze regionali o comunali possono prevedere misure più rigide, come in effetti è accaduto in queste ultime settimane.

Per quanto riguarda gli spostamenti all’estero, è possibile prendere un aereo o una nave per viaggiare, ma soltanto nei paesi nei quali ci si può dirigere per turismo. Da rimarcare, tuttavia, che si protrae l’obbligo di tampone e quarantena fino al 30 aprile, con supplementare quarantena di 5 giorni per chi fa ritorno da destinazioni nell’Unione Europea. Ci riferiamo all’ordinanza del Ministero della Salute, che è tuttora valida. E’ comunque confermata la quarantena obbligatoria fino a 14 giorni, per chi proviene da paesi non dell’area UE (come ad es. USA) e comunque considerati ad alto rischio.

Permane altresì – nell’ambito delle regole coronavirus aprile – la facoltà di spostarsi tra Comuni e anche tra Regioni per andare in aeroporto o in stazione per recarsi in un paese straniero.

Dal 20 aprile potrebbero esservi allentamenti delle misure, in caso di miglioramento dei dati

Se al momento si può ragionare soltanto di riaperture parziali e assai circoscritte, vero è che potrebbe essere convocata la prossima settimana la cabina di regia del Governo, mirata a considerare l’ipotesi di eventuali riaperture di alcune attività dopo il 20 aprile. Ciò ovviamente se il monitoraggio della situazione evidenzierà un oggettivo e netto miglioramento dei dati epidemiologici.

Il provvedimento in oggetto, in base a quanto segnalato da fonti di governo, dovrebbe essere incluso in una delibera, da approvare nell’ambito di un Consiglio dei Ministri ad hoc. Ma è ancora presto per fare previsioni su possibili riaperture nella seconda metà di aprile, e su modifiche alle regole coronavirus aprile. E’ necessario fare riferimento ai dati elaborati settimanalmente dall’Iss e al quadro epidemiologico; sulla scorta delle valutazioni sulla diffusione del contagio e sulle misure e i tempi necessari, saranno di seguito prese eventuali nuove decisioni.

In effetti, sulla riapertura si mostrano ottimisti gli esponenti di Forza Italia e Lega, ora al Governo: si tratta del cd. fronte degli ‘aperturisti’, che desidererebbe un allentamento delle restrizioni, per favorire una ripresa economica che tarda ad arrivare, anche per colpa degli intoppi nella campagna vaccinale.

Ritorno alla didattica in presenza a scuola: i presidi invocano cautela

Anche in caso di un allentamento delle restrizioni incluse nelle regole coronavirus aprile, la scuola, in linea generale, non dovrebbe essere coinvolta da nuove ed immediate iniziative del Governo. Infatti, già l’ultimo decreto covid ha stabilito la riapertura delle scuole in presenza in zona rossa fino alla prima media. Non sono insomma previste eclatanti novità all’orizzonte, almeno non subito o comunque fino a maggio.

Tuttavia, permane il dibattito sulla riapertura integrale delle scuole superiori, non solo a livello politico. Può dirsi infatti che il tema della riapertura degli istituti scolastici di ogni ordine e grado non trovi d’accordo tutti. Proprio in questi giorni, moltissimi dirigenti scolastici stanno esprimendo una certo scetticismo e mancanza di fiducia in relazione al ritorno in classe degli studenti di scuola secondaria di secondo grado. Temono infatti difficoltà sul piano organizzativo e nuovi rischi di contagio.

Zona rossa e zona arancione: cosa si può fare e cosa no

A questo punto, per ricapitolare, ricordiamo che in ciascuna regione valgono le regole coronavirus aprile, collegate alla fascia di appartenenza, che per questo mese può essere soltanto arancione o rossa. Ecco in sintesi l’elenco dei divieti e delle riaperture (parziali):

Zona arancione:

  • divieto di uscire dal proprio Comune di residenza, se non per motivi di salute, lavoro o necessità (autocertificazione);
  • coprifuoco confermato dalle 22 alle 5;
  • scuole in presenza fino alla terza media, dal 50 al 75% delle superiori;
  • negozi aperti, ma niente servizio al tavolo per bar e ristoranti (solo consegne a domicilio o asporto, fino alle 18 bar, birrerie e pub, fino alle 22 gli altri esercizi);
  • ammesse le visite a amici e parenti una volta sola ogni giorno, per un massimo di due persone;
  • soltanto nei comuni entro i 5mila abitanti, è consentito uscire dal comune, restando però in un raggio di 30 km, senza entrare nei capoluoghi.

Zona rossa:

  • spostamenti entro il Comune di residenza ammessi esclusivamente per motivi di lavoro, salute o necessità (autocertificazione);
  • divieto di visita a parenti o amici;
  • aperti i soli negozi che vendono generi essenziali (ad es. alimentari, farmacie ecc.);
  • chiuse le attività di parrucchieri ed estetiste;
  • scuola in presenza fino alla prima media;
  • didattica a distanza (DAD) nelle seconde e terze medie e nelle scuole superiori.

Concludendo, vedremo – in base ai dati aggiornati sulla diffusione dei contagi e sulla campagna vaccinale – se vi saranno allentamenti alle restrizioni di cui alle regole coronavirus aprile, entro la seconda metà del mese; o se, invece, sarà necessario attendere maggio.

Operazioni in contanti con turisti stranieri: scadenza comunicazione all’AdE

Operazioni in contanti con turisti stranieri: scadenza comunicazione all’AdE

Commercianti al minuto e agenzie di viaggio devono comunicare all’Agenzia delle entrate le operazioni in contanti con turisti stranieri.

Entro il 12 aprile commercianti al dettaglio e agenzia di viaggio sono tenuti a comunicare all’Agenzia delle entrate le operazioni in contanti effettuate con turisti con cittadinanza non italiana e con residenza fuori dal territorio dello Stato.

La comunicazione riguarda le operazioni in contanti con pagamenti fino a 15.000 euro. In deroga ai limiti ordinari di utilizzo del contante. La scadenza è rimandata al 20 aprile per gli stessi soggetti che liquidano l’Iva con cadenza trimestrale.

Comunicazione preventiva operazioni in contanti con turisti stranieri

In deroga ai limiti all’utilizzo di denaro contante, l’art.3 del D.L. 16/2012, prevede che i commercianti al minuto ovvero le agenzie  di viaggi e turismo, qualora effettuino operazioni legate al turismo nei confronti di persone fisiche aventi cittadinanza al di fuori dell’Italia  e residenti al di fuori del territorio dello Stato, possono ricevere pagamenti cash fino a 15.000 euro. Il limite precedente era fissato a 10.000 euro. Poi la Legge n°208/2015, Legge di bilancio 2016, lo ha portato a 15.000 euro.

La stessa Legge di bilancio, ha anche ampliato la platea dei turisti che possono beneficiare della deroga. Infatti, possono pagare in contanti fino a 15.000 euro:

  • non solo. i cittadini extra UE,
  • ma anche i turisti stranieri residenti in Paesi UE e dello Spazio economico europeo.

Tali ultimi soggetti, erano esclusi dalla norma agevolativa che riguardava solo: le operazioni legate al turismo effettuate nei confronti di persone fisiche aventi cittadinanza al di fuori dell’Italia e dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo e residenti al di fuori del territorio dello Stato.

Le condizioni da rispettare

Affinché sia ammessa la deroga ai limiti ordinari di utilizzo del contante, è necessario che l’Agenzia di viaggio e il commerciante al dettaglio (ristoratori, albergatori, ecc) mettano in atto precisi adempimenti.

Infatti, i predetti soggetti, devono acquisire e conservare la documentazione attestante la cittadinanza e la residenza del cliente nonchè versare tempestivamente il contante incassato in un conto corrente specifico. A tal proposito, entro il primo giorno feriale successivo a quello dell’operazione, devono versare il denaro contante incassato sul proprio conto corrente e consegnare all’operatore finanziario copia della comunicazione preventiva inviata all’Agenzia delle Entrate.

Infatti, prima di porre in atto tali operazioni in contanti, oltre la soglia ordinaria, occorre inviare una comunicazione preventiva all’Agenzia delle entrate (c.2, art. 3 del D.L. 16/2012). La comunicazione deve essere effettuata con le modalità e i termini stabiliti con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 23/3/2012. Nella stesa comunicazione è necessario indicare il conto che il cedente del bene o il prestatore del servizio intende utilizzare.

Fatta tale ricostruzione arriviamo all’adempimento in scadenza al 12 aprile.

Operazioni in contanti con turisti stranieri: la scadenza del 12 aprile

Gli stessi soggetti per i quali è in essere l’obbligo di comunicazione preventiva, devono comunicare all’Agenzia delle entrate le operazioni in contanti poste in essere con persone fisiche di cittadinanza diversa da quella italiana e che abbiano residenza fuori del territorio dello Stato.

La normativa di riferimento, comma 2-bis, art.3 del D.L. 16/2012 considera ancora il vecchio limite di utilizzo del contante pari a 1.000 euro:

I soggetti di cui agli articoli 22 e 74-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, comunicano all’Agenzia delle entrate le operazioni di cui al comma 1 di importo unitario non inferiore ad euro 1.000, effettuate dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, secondo modalita’ e termini stabiliti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

Ad ogni modo, la comunicazione deve essere inviata:

  • una sola volta, nell’anno successivo a quello di riferimento,
  • entro il 10 aprile per i soggetti che liquidano l’Iva mensilmente ed entro il 20 aprile per i soggetti che liquidano l’Iva trimestralmente.

Per quest’anno, considerando che la data del 10 aprile cade di sabato, l’adempimento è rinviato al lunedì immediatamente successivo ossia al 12 aprile.

Operazioni in contanti con turisti stranieri: l’invio della comunicazione

La comunicazione è effettuata attraverso la compilazione del quadro TU e del frontespizio del modello “comunicazione polivalente”. Sulla base delle indicazioni fornite con il provvedimento del 2 agosto 2013.

Nello specifico, la comunicazione avviene in via telematica. Tramite apposito software dell’Agenzia, compilando il quadro TU del modello polivalente approvato con il . Fra i dati da indicare: nome, cognome, data e luogo di nascita del cessionario o committente, lo Stato estero e indirizzo di residenza del cessionario o committente, la data di emissione del documento/fattura, il numero della fattura e la data di registrazione, l’imponibile e l’Iva applicata.

L’Agenzia delle entrate, in base a quanto riportato sulla propria rivista Fiscooggi specifica che l’adempimento comunicativo riguarda le operazioni di:

  • di importo minimo di 3mila euro fino al 30 giugno 2020 e di importo minimo di 2mila euro dal 1° luglio 2020.
  • fino ad un massimo 15mila euro.

Operazioni in contanti: regole generali

Per le operazioni nazionali, il limite di utilizzo del contante infatti è stato abbassato da 3mila a 2mila euro dal 1° luglio 2020 fino al 31 dicembre 2021. A partire dal 1° gennaio 2022, invece, la soglia sarà ulteriormente abbassata a 1.000 euro (articolo 49, comma 3-bis, Dlgs n. 231/2007). La normativa di riferimento per la comunicazione delle operazioni legate al turismo è rimasta ferma al vecchio limite di 1.000 euro.

Senza tenere conto delle modifiche alle soglie di utilizzo del contante intercorse nel tempo. Quindi, in base alla normativa, dovrebbero essere  comunicate le operazioni da 1.000 a 15.000 euro. Non da 2.000 (ad oggi) a 15.000 euro. Come detto sopra, la soglia di utilizzo del contante è stata  innalzata a 15mila euro per gli stranieri che effettuano acquisti di beni e di prestazioni di servizi legate al turismo presso commercianti al minuto e agenzie di viaggio (articolo 3, comma 1 del Dl n. 16/2012).

Su tale passaggio, sarebbe necessario un intervento chiarificatore da parte dell’Agenzia delle entrate.

Aiuti per disoccupati 2021: dalla NASpI al Reddito di Cittadinanza. Guida

Aiuti per disoccupati 2021: dalla NASpI al Reddito di Cittadinanza. Guida

Aiuti per disoccupati: quali sono sussidi, bonus e agevolazioni? Come fare domanda? Quanto spetta? Dalla NASPI al Reddito di Cittadinanza.

Gli aiuti per disoccupati consistono in misure economiche, indennità e sussidi in favore delle persone che si trovano in momentanei periodi di disoccupazione per la perdita del lavoro, oppure perchè in cerca di occupazione. L’ordinamento italiano prevede infatti numerose forme di sostegno al reddito per coloro che si trovano in stato di disoccupazione.

Gran parte di queste misure sono erogate dall’INPS direttamente al beneficiario, come avviene per l’indennità di disoccupazione NASPI riservata ai lavoratori dipendenti. In altri casi, ci riferiamo al Reddito di cittadinanza, il sussidio di disoccupazione è accreditato su un’apposita carta di pagamento elettronica, la cosiddetta “Carta RdC”.

Diversi invece sono i cosiddetti bonus Isee basso fra cui ad esempio la social card per disoccupati per pagare le utenze e piccole spese che spetta ad altre condizioni. Vi sono infine numerosi bonus e sussidi, anche temporanei per far fronte ai periodi di crisi, come quello che stiamo attraversando a causa della pandemia da covid-19.

Aiuti per disoccupati 2021

A prescindere dalle differenze citate, ciò che accomuna gli interventi anti-disoccupazione è la finalità di garantire un sostegno temporaneo a chi è senza lavoro, favorendone il reinserimento professionale.

Analizziamo la disciplina con i singoli aiuti, agevolazioni e sussidi di disoccupazione nel dettaglio.

Indennità di disoccupazione NASPI

Il principale sussidio di disoccupazione per i lavoratori dipendenti, eccezion fatta per gli operai agricoli, è il sussidio mensile NASPI.

Come anticipato, la perdita del lavoro dev’essere involontaria. Questo significa che l’indennità spetta per le ipotesi di interruzione del rapporto a fronte di:

  • Licenziamento, compreso quello per giusta causa o giustificato motivo oggettivo (cosiddetto “licenziamento disciplinare”);
  • Cessazione del rapporto a tempo determinato per scadenza del termine.

Sono altresì compresi gli eventi di:

  • Risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta in sede protetta (Ispettorato territoriale del lavoro) ovvero in ragione del rifiuto di trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda, a condizione che quest’ultima sia distante oltre 50 km dalla residenza o raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi di trasporto pubblici;
  • Dimissioni per giusta causa;
  • Dimissioni presentate nel periodo tutelato di maternità.

Da ultimo, nell’ambito delle misure straordinarie introdotte a seguito dell’emergenza COVID-19, il Decreto “Sostegni” (D.l. n. 41/2021) ha escluso dal divieto di ricorrere a licenziamenti individuali o collettivi per giustificato motivo oggettivo, le ipotesi di risoluzione del rapporto a seguito di adesione del lavoratore ad un accordo collettivo aziendale, stipulato con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentate a livello nazionale. Per i dipendenti interessati, in presenza degli altri requisiti, è possibile accedere all’indennità NASPI.

La misura appena citata ha effetti:

  • Sino al 30 giugno 2021 per la generalità delle aziende;
  • Sino al 31 ottobre 2021 per le aziende che accedono agli ammortizzatori sociali INPS previsti dal Decreto “Sostegni”, nello specifico Cassa integrazione guadagni in deroga ed assegno ordinario erogato dal FIS.

NASPI 2021: requisiti, importo e durata

La prestazione NASPI spetta in presenza dei seguenti requisiti:

  • Stato di disoccupazione (richiesto per l’intero periodo di fruizione della NASPI);
  • Almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti la perdita del lavoro;
  • Almeno 30 giornate di effettivo lavoro nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. Il decreto Sostegni ha di fatto eliminato questo requisito fino al 31 dicembre 2021.

Leggi anche: Naspi 2021, nuovi requisiti: il dl Sostegni amplia la platea dei beneficiari

Previa domanda da inoltrare all’INPS, a pena di decadenza, entro 68 giorni dalla perdita del lavoro; la NASPI è calcolata in base alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi 4 anni. Ad ogni modo, l’importo mensile non potrà eccedere i 1.335,40 euro.

Il sussidio spetta per un numero di settimane pari alla metà di quelle per cui sono stati accreditati contributi negli ultimi 4 anni, comunque entro un massimo di 24 mesi.

Leggi anche: NASpI 2021: guida completa e aggiornata

DIS-COLL: la disoccupazione per i collaboratori

I soggetti iscritti in via esclusiva alla Gestione separata (non pensionati e privi di partita IVA) hanno diritto, per gli eventi di disoccupazione, all’indennità DIS-COLL. Sono ricompresi tra i beneficiari gli assegnisti e i dottorandi di ricerca destinatari di borsa di studio purché, appunto, iscritti esclusivamente alla Gestione citata.

Il sussidio, erogato dall’INPS previa domanda entro 68 dalla cessazione del contratto di collaborazione o dell’assegno di ricerca / dottorato, spetta in presenza di almeno un mese di contribuzione alla Gestione separata, nel periodo dal 1° gennaio dell’anno civile precedente la cessazione, sino alla data stessa di interruzione del rapporto.

La DIS-COLL è riconosciuta mensilmente, per una durata pari alla metà dei mesi in cui sono stati versati contributi nel periodo dal 1° gennaio dell’anno civile precedente l’interruzione del rapporto e l’evento stesso. In ogni caso, la prestazione non potrà avere durata superiore ai 6 mesi.

L’importo dell’indennità è calcolato in funzione del reddito imponibile ai fini previdenziali, derivante dal rapporto di collaborazione, relativo all’anno in cui si è interrotto il contratto ed all’anno solare precedente. Il valore dev’essere successivamente diviso per i mesi di contribuzione o frazione di essi.

L’ammontare mensile non potrà comunque essere superiore a 1.335,40 euro mensili.

Disoccupazione agricola

Gli operai iscritti negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli, nonché piccoli coloni, compartecipanti familiari e piccoli coltivatori diretti, possono accedere all’indennità di disoccupazione agricola, erogata dall’INPS in misura e con requisiti differenti a seconda che si tratti di operai agricoli a tempo indeterminato (OTI) o a termine (OTD).

La disoccupazione spetta agli operai agricoli a tempo indeterminato a fronte di:

  • Almeno due anni di assicurazione contro la disoccupazione involontaria;
  • Accredito di 102 contributi giornalieri nel biennio rappresentato dall’anno di competenza della disoccupazione e da quello precedente.

Per i lavoratori a termine, al contrario, sono previste due misure alternative:

  • Disoccupazione ordinaria riconosciuta in presenza di almeno 102 contributi giornalieri nell’anno di presentazione della domanda ed in quello precedente;
  • Disoccupazione speciale spettante in presenza degli stessi requisiti della prestazione ordinaria con, in aggiunta, il requisito di aver lavorato a tempo determinato nell’anno di riferimento del sussidio.

La durata e l’importo della misura variano tra operai a tempo indeterminato e a termine:

  • Gli OTI hanno diritto all’indennità (calcolata sul 30% della retribuzione effettiva) per un numero di giornate pari a quelle lavorate, entro il limite annuo di 365;
  • Per gli operai a tempo determinato l’indennità è calcolata sul 40% della retribuzione soggetta a contributi, erogata per il numero di giornate di iscrizione negli elenchi nominativi, nel limite di 365 giorni.

Per accedere alla prestazione è necessario inviare domanda telematica all’INPS entro il 31 marzo dell’anno successivo quello di riferimento.

Assegno di ricollocazione

L’assegno di ricollocazione è rappresentato da un voucher, spendibile presso Centri per l’impiego e Agenzie per il lavoro, al fine di ottenere un servizio di ricollocazione professionale.

La misura, inizialmente prevista per i percettori di NASPI da almeno 4 mesi, è stata sospesa a seguito dell’introduzione del Reddito di cittadinanza, con decorrenza 29 gennaio 2019.

Attualmente, l’assegno di ricollocazione (la cui gestione è affidata a Regioni e Province autonome), è riconosciuto ai percettori del Reddito di cittadinanza ed ai lavoratori coinvolti in accordi di ricollocazione nelle ipotesi di Cassa integrazione guadagni straordinaria (per le ipotesi di riorganizzazione aziendale o crisi).

Reddito di cittadinanza 2021 (RdC)

Il Reddito di cittadinanza (RdC) è una misura economica di contrasto alla povertà, introdotta dal Decreto legge numero 4/2019, finalizzata al reinserimento nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale.

La misura, peraltro compatibile con le indennità NASPI e DIS-COLL ed ogni altro strumento di sostegno al reddito nei casi di disoccupazione involontaria, spetta per un periodo massimo di 18 mesi, rinnovabili dopo un mese di sospensione.

Il sussidio è riconosciuto in presenza di determinati requisiti anagrafico – residenziali e patrimoniali, in particolare:

  • Valore ISEE inferiore a 9.360,00 euro;
  • Patrimonio immobiliare (diverso dalla casa di abitazione) non superiore a 30 mila euro;
  • Patrimonio mobiliare non superiore a 6 mila euro (single), limite aumentato in funzione del numero dei componenti il nucleo familiare;
  • Reddito familiare inferiore a 6 mila euro annui, valore anch’esso soggetto a riproporzionamento in virtù della composizione del nucleo familiare.

L’ammontare del RdC, accreditato mensilmente su una carta di pagamento elettronica (Carta RdC) rilasciata da Poste Italiane, è composto da:

  • Quota A, il cui importo annuo è ottenuto moltiplicando il valore di 6 mila euro per il corrispondente parametro di una scala di equivalenza;
  • Quota B, pari al canone annuo di locazione, sino ad un massimo di 3.360,00 euro.

L’importo complessivo non potrà comunque eccedere i 9.360,00 euro annui (780 euro mensili), limite da riparametrare in funzione della scala di equivalenza già citata.

Sussidi economici covid-19

Oltre agli aiuti per disoccupati di tipo strutturali, vi sono poi dei sussidi economi temporanei; questi sono decisi di anno in anno, normalmente tramite la Legge di Bilancio, oppure tramite appositi decreti-legge.

Per quest’anno e l’anno precedente pensiamo ad esempio ai vari:

  • contributi a fondo perduto per partite IVA;
  • bonus lavoratori spettacolo;
  • bonus lavoratori stagionali.

Pensioni, nella riforma Draghi del 2022 prende quota l’estensione di uscita 5 anni prima

 

Pensioni, nella riforma Draghi del 2022 prende quota l’estensione di uscita 5 anni prima

Interviene la nota Inps 48/2021 sulle pensioni anticipate: si va verso l’allargamento a ‘quasi tutti’ in vista della fine di quota 100 dal 2022

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Prende consistenza, nelle misure di riforma delle Pensioni che andranno a sostituire dal 2022 la quota 100, l’ipotesi di allargamento a quasi tutte le categorie lavorative – soprattutto del settore privato in attesa di nuove disposizioni per i lavoratori della Pubblica amministrazione, in particolare per le aziende partecipate con i propri addetti iscritti alla gestione dipendenti pubblici – del meccanismo di uscita con sconto fino a cinque anni rispetto alla pensione di vecchiaia o a quella anticipata dei soli contributi. Due sono i passaggi recenti che farebbero pensare a un maggiore coinvolgimento del governo Draghi nei confronti del meccanismo del contratto di espansione e degli scivoli pensionistici come soluzione agli esuberi e ai licenziamenti che riprenderanno una volta che saranno allentati i blocchi di uscita da lavoro del decreto “Sostegni”: la recente circolare Inps che ha fornito ulteriori dettagli alle uscite del 2021 con i prepensionamenti aziendali e l’interpello delle imprese a Draghi verso una maggiore inclusione delle aziende più piccole agli strumenti di esodo lavorativo.

Pensioni anticipate a 37,10 di contributi o con uscita a 62 anni: requisiti dei lavoratori e delle imprese nel 2021

Tanto più che per le imprese, mandare in pensione con un certo numero di anni di anticipo i lavoratori prossimi all’uscita, si sta rivelando un meccanismo che comporta costi ridotti e vantaggi dal punto di vista della ristrutturazione aziendale e del ricambio generazionale. Infatti, lo scivolo previdenziale contenuto nel contratto di espansione, soprattutto nella versione del 2021, toglie periodi di lavoro ai dipendenti mandandoli in pensione con cinque anni di anticipo rispetto ai 67 anni della vecchiaia o con 37 anni e 10 mesi di contributi (36,10 per le donne) con un onere che risulta meno opprimente per le imprese, soprattutto se confrontato con l’isopensione.

Dalla normativa attualmente in vigore, se il traguardo del lavoratore è uscire a 62 anni con lo sconto sulla pensione di vecchiaia, il datore di lavoro non versa i contributi a favore del dipendente, che dunque avrà un assegno pensionistico più basso rispetto a quello che avrebbe maturato se avesse continuato a lavorare. I contributi, invece, sono dovuti dal datore di lavoro se l’obiettivo del lavoratore è quello di andare in pensione anticipata con i soli contributi, risparmiando fino a cinque anni di versamenti rispetto a quanto stabilisce la riforma Fornero: tuttavia, come per l’obiettivo della pensione di vecchiaia, al datore di lavoro risulteranno ammortizzati i costi di uscita del dipendente dal periodo di utilizzo di due anni della Naspi (aumentabili fino a tre per le aziende più grandi) e della relativa contribuzione figurativa che è dovuta al lavoratore stesso.

Scivolo pensioni e circolare Inps 48/2021: esclusione uscita con cumulo, quota 100, opzione donna e quota 41 precoci

Il meccanismo di pensione anticipata con scivolo, già introdotto nel 2019 dal governo Conte I, ha riscontrato nel requisito del numero di dipendenti delle imprese il maggiore ostacolo: inizialmente fissato a 1.000, il criterio è stato abbassato dalla legge di Bilancio 2021 a 500 (numero minimo affinché le imprese possano beneficiare sia dei vantaggi dello scivolo delle pensioni che di ulteriori dodici mesi di riduzione dei versamenti mediante la riqualificazione del personale con almeno una assunzione ogni tre uscite), ed ha allargato la possibilità di beneficiare dei vantaggi dell’esodo pensionistico anche alle imprese con almeno 250 dipendenti, con gli oneri ridotti dai due anni di Naspi ma non la riqualificazione del personale.

Con la recente circolare numero 48 del 2021, l’Inps tuttavia ha chiarito che è escluso dagli scivoli pensionistici il cumulo dei contributi, rendendo più difficile l’adesione allo strumento per quei lavoratori che originariamente effettuavano versamenti ai fondi speciali, come telefonia, elettricità e poste, e che quindi si trovano con contribuzioni sparse in più gestioni. Per questi lavoratori, l’unica soluzione è rappresentata dalla richiesta di ricongiunzione onerosa al fine di trasferire i contributi in un’unica gestione dietro pagamento dell’importo da saldare prima dell’accesso al prepensionamento. Peraltro, la stessa circolare Inps ha ribadito l’esclusione dello strumento per il conseguimento di formule di uscita anticipata come opzione donnaquota 100 e quota 41 dei lavoratori precoci.

Pensioni con uscita anticipata di 60 mesi: Draghi verso l’estensione a quasi tutti

La novità degli ultimi giorni riguarda il possibile allargamento alla formula di pensione anticipata con uscita di cinque anni prima per le imprese più piccole rispetto ai criteri fissati dalla legge di Bilancio 2021. Infatti, un interpello inviato dieci giorni fa da Confindustria direttamente a Mario Draghi chiederebbe l’estensione dello strumento del contratto di espansione anche alle imprese al di sotto dei 250 dipendenti. Attualmente si ragiona su una soglia di 150 o, addirittura, di 100 dipendenti, allargando di fatto il prepensionamento a “quasi tutti” e lasciando fuori solo le piccolissime e micro-imprese.

Il dossier di Confindustria è sul tavolo di Draghi che sta pensando di rifinanziare lo strumento nella legge di Bilancio 2022, provvedimento che dovrà trovare soluzioni alla fine della sperimentazione di quota 100.

Vaccinazione covid in azienda: siglato il protocollo. Al via da maggio

 

Vaccinazione covid in azienda: siglato il protocollo. Al via da maggio

Firmato il protocollo tra Governo, imprese e parti sociali che consente la vaccinazione covid in azienda. Ecco tutti i dettagli utili.

Un nuovo ed importantissimo passo avanti nella lotta alla pandemia è stato recentemente compiuto. Infatti, nell’ottica di estendere ulteriormente l’elenco dei luoghi in cui è possibile vaccinare le persone contro il coronavirus, va interpretata la doppia intesa raggiunta tra Governo; imprese e sindacati sulla revisione del protocollo (del 24 aprile 2020) condiviso con le regole anti Coronavirus per i luoghi di lavoro; e l’avvio della vaccinazione covid in azienda.

Come ribadito più volte dal nuovo Commissario per l’emergenza Figliuolo, occorre vaccinare in tutti i luoghi ove è possibile materialmente farlo. Di fatto superando barriere ed intoppi burocratici che possono solo rallentare la campagna di vaccinazione nella penisola.

Ecco dunque un nuovo e importante strumento operativo – che funzionerà in via parallela agli altri canali di cui al Piano strategico nazionale predisposto dal Commissario Straordinario – per la vaccinazione anti coronavirus, senza distinzioni geografiche né di età o condizione. Vediamo dunque più da vicino le novità in questo ambito e i dettagli essenziali in tema di vaccinazione covid nei luoghi di lavoro.

Vaccinazione covid in azienda: accordo raggiunto. ma non scontato

Da rimarcare che trovare una linea comune ed un’intesa, pur su un tema così delicato come quello della lotta alla pandemia, non è stato facile. Ma il presidente Confapi Maurizio Casasco, si ritiene complessivamente soddisfatto dell’esito degli incontri tra Esecutivo, imprese e parti sociali: “L’accordo siglato è molto importante in questo momento così delicato e complicato che vive il nostro Paese. Non è stato semplice arrivare a questa firma condivisa, ma ha prevalso il senso di responsabilità.

Portando avanti le istanze e gli interessi delle nostre PMI, Confapi ha ritenuto doveroso intraprendere un’opera di mediazione. In questo momento così difficile per la nostra economia, l’Italia non può permettersi fratture tra le parti sociali: è necessario capire che l’avversario da combattere sono il Covid e le sue varianti. E l’accordo va propria in questa direzione”.

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Le parole usate da Casasco ben chiariscono che l’intesa è stata il frutto di una articolata discussione, che ha coinvolto anche i Ministeri del Lavoro; dello Sviluppo Economico e della Salute. Il punto cruciale è stato lo spirito di collaborazione di tutte le parti coinvolte. Anzi, sulla scorta dell’esperienza del recente passato, lo stesso Ministro del Lavoro Orlando si augura, da ora in poi, un dialogo maggiormente costruttivo con le parti sociali.

Non c’è infatti soltanto la questione vaccinazione covid in azienda a tener banco: all’orizzonte emerge l’urgenza della riforma degli ammortizzatori sociali e la necessità di trovare una soluzione alle crisi industriali. Con le parti sociali da discutere, altresì, la fase delle riaperture delle attività e della ripartenza. Soffermandosi poi sulla vaccinazione covid in azienda, di cui al citato accordo, il Ministro Orlando ha parlato di intesa perfettibile, ma comunque pilastro per la ripresa del Paese.

Vaccino in azienda: quale sarà il meccanismo?

A questo punto, vediamo più da vicino come potrà funzionare la fase della vaccinazione covid in azienda. Da rimarcare, anzitutto, che si tratterà di una mera facoltà e non di un obbligo: pertanto la possibilità di  somministrare il vaccino sui luoghi di lavoro è di fatto offerta a tutte le imprese, che potranno poi  scegliere – in piena libertà – se procedere con le vaccinazioni nei luoghi aziendali oppure no.

Non solo: per favorire l’iniziativa delle aziende più piccole, e quindi dotate di strutture insufficienti, è stato previsto che queste possano accordarsi con quelle più grandi, per una sorta di gestione ‘corale’ della vaccinazione. Altrimenti, le piccole imprese possono fare riferimento alle strutture della rete INAIL, sparse a livello territoriale.

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Diritto di vaccinarsi per tutti i lavoratori, non obbligo

Attenzione però ai dettagli: infatti, non sono previsti requisiti minimi di ambito dimensionale né limitazioni di categoria; inoltre, la vaccinazione sarà concessa a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla tipologia contrattuale con cui sono legati al datore di lavoro. E altro dato assolutamente degno di nota: i lavoratori saranno pienamente liberi di scegliere la vaccinazione covid in azienda oppure rifiutarla.

Nell’accordo si può infatti leggere che le somministrazioni del vaccino “dovranno essere realizzate e gestite nel pieno rispetto della scelta volontaria rimessa esclusivamente alla singola lavoratrice e al singolo lavoratore; delle disposizioni in materia di tutela della riservatezza; della sicurezza delle informazioni raccolte ed evitando, altresì, ogni forma di discriminazione delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti”.

Insomma, si può implicitamente dedurre che non dovranno esservi differenziazioni di alcun tipo tra lavoratori vaccinati e lavoratori non vaccinati.

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Le regole in tema di orario di lavoro e giorni di malattia

Nell’ottica della piena tutela dei diritti dei lavoratori, sono da leggersi due ulteriori previsioni di cui all’accordo sopra citato:

  • se la vaccinazione covid in azienda sarà svolta durante l’orario di lavoro, il tempo usato per la somministrazione dovrà ritenersi equiparato all’orario di lavoro. Quindi nessun rischio per il lavoratore, sul piano retributivo;
  • gli eventuali giorni successivi alla somministrazione del vaccino, in cui il vaccinato manifesti effetti avversi, saranno considerati come giorni di malattia.

Il protocollo recentemente firmato inoltre garantisce la vaccinazione anche ai lavoratori di imprese che non si avvalgono delle prestazioni di un medico competente; o che non possono fare riferimento a strutture sanitarie private. In dette circostanze, sarà determinante il supporto della rete INAIL e delle sue strutture sanitarie, con oneri a carico dell’ente.

Scudo penale per il personale sanitario e avvio delle somministrazioni: i tempi

Per per gli operatori sanitari, addetti all’inoculazione del vaccino. è previsto comunque lo scudo penale. Di quest’ultimo si è parlato più volte negli ultimi giorni: giova di seguito ricordare di cosa si tratta. Per comprendere che cos’è lo scudo penale, occorre leggere l’art. 3 del decreto legge 44 del 1° aprile 2021 (Responsabilita’ penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2“).  In buona sostanza, si tratta di un provvedimento “a tempo determinato” – mirato a garantire protezione fino alla conclusione della campagna vaccinale straordinaria – che esclude conseguenze penali per il personale sanitario, laddove dalla somministrazione dei vaccini dovessero derivare i reati di omicidio colposo o lesioni colpose e sempre che, in ogni caso, la somministrazione del vaccino sia rispettosa delle regole cautelari, relative all’attività di vaccinazione.

Per quanto riguarda, invece, l’avvio vero e proprio delle somministrazioni, questo è stato programmato per il mese di maggio; proprio per iniziare con la vaccinazione covid in azienda quando gli over 70 dovrebbero già essere stati tutti (o quasi) vaccinati. Le autorità vogliono infatti mirare al pieno rispetto di criteri di coordinamento e organizzazione capillare della rete di vaccinazioni sul territorio, senza creare confusione.

Le aziende devono redigere un piano da presentare alle ASL

I datori di lavoro che scelgono la vaccinazione covid in azienda debbono rispettare un significativo obbligo. Ossia quello di predisporre un piano aziendale, da presentare all’azienda sanitaria di riferimento, dettagliando “il numero di vaccini richiesti per le lavoratrici e i lavoratori disponibili a ricevere la somministrazione; in modo da consentire all’Azienda Sanitaria la necessaria programmazione dell’attività di distribuzione“.

Concludendo, dal lato ‘economico’, è da rimarcare che le spese per la realizzazione e la gestione dei piani aziendali citati, “ivi inclusi i costi per la somministrazione, sono interamente a carico del datore di lavoro”. Discorso diverso per quanto riguarda “la fornitura dei vaccini; dei dispositivi per la somministrazione (siringhe e aghi); e la messa a disposizione degli strumenti formativi previsti e degli strumenti per la registrazione delle vaccinazioni eseguite“, in quanto tutto ciò è da intendersi “a carico dei Servizi Sanitari Regionali territorialmente competenti“.

Interdizione post partum: valgono le mansioni effettive. Chiarimenti INL

Interdizione post partum: valgono le mansioni effettive. Chiarimenti INL

Ai fini dell’interdizione post partum bisogna tenere conto delle mansioni effettivamente svolte dalla madre lavoratrice, a prescindere dal DVR

L’interdizione post partum consiste in provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri in periodo successivo al parto al fine di tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole, per il periodo successivo al parto. Il fattore principale che consente alla madre lavoratrice di astenersi dal lavoro dopo il parto, ottenendo la relativa indennità, è l’adibizione concreta ad attività vietate e pericolose. Ciò vale indipendentemente che il datore di lavoro, all’interno del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi), abbia proceduto a una valutazione della mansione e dei rischi.

Quindi, anche qualora il rischio attinente al sollevamento dei pesi non sia stato espressamente valutato nel DVR, l’adibizione a tali mansioni costituirebbe comunque condizione sufficiente per il riconoscimento della tutela della lavoratrice. Ciò determinerebbe l’emanazione del provvedimento di interdizione da parte dell’amministrazione competente, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni.

A specificarlo è l’INL con la Nota n. 553 del 2 aprile 2021, uniformando l’attività degli ispettori del lavoro nell’emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri in periodo successivo al parto.

Interdizione post partum: divieto al trasporto e al sollevamento pesi

Gli artt. 6, 7 e 17 del D.Lgs. n. 151/2001 sono finalizzate a tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole attraverso:

  • l’adozione di misure di protezione in relazione alle condizioni di lavoro e alle mansioni svolte;
  • l’astensione dal lavoro.

Nello specifico:

  • l’art. 7, co. 1 dispone il divieto di adibire la lavoratrice al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi faticosi ed insalubri. Questi ultimi sono elencati specificamente negli allegati A e B del decreto;
  • l’art. 7, co. 6 abilita gli organi di vigilanza ad autorizzare l’interdizione dal lavoro laddove non sia possibile adibire la lavoratrice ad altre mansioni.

Ai fini dell’adozione dei provvedimenti di tutela, nei termini alternativi sopra richiamati, si ritiene sufficiente la mera constatazione della adibizione della lavoratrice madre a mansioni di trasporto e al sollevamento di pesi. Ciò vale a prescindere dalla valutazione del rischio inerente all’interno del DVR.

Tale conclusione è coerente con l’orientamento della giurisprudenza che qualifica la posizione giuridica vantata dalla lavoratrice in termini di diritto soggettivo. Questo perché non si riscontrano significativi margini di valutazione neanche in termini di discrezionalità tecnica in ordine alla verifica delle effettive condizioni di lavoro della lavoratrice.

Parto prematuro: i giorni non goduti si aggiungono al congedo obbligatorio

Nell’ipotesi in cui il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni antecedenti al parto non goduti a titolo di astensione obbligatoria si aggiungano al periodo di congedo obbligatorio di maternità da fruire dopo il parto. Analogo principio trova applicazione nelle ipotesi di interdizione fino al settimo mese dopo il parto.

Pertanto i giorni di congedo obbligatorio ante partum non fruiti si aggiungono al termine della fruizione dei 7 mesi decorrenti dalla data effettiva del parto. Ciò significa che il provvedimento di interdizione adottato dall’ITL dovrà indicare la data effettiva del parto.

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Quindi, è necessario far decorrere da tale data i 7 mesi di interdizione post partum; aggiungendo, ai predetti 7 mesi, i giorni non goduti a causa del parto prematuro.

Interdizione dal lavoro post partum: emanazione di provvedimento

Sul piano procedimentale l’INL precisa che:

pur in presenza di sentenza dichiarativa circa la sussistenza del diritto all’astensione, è in ogni caso necessaria l’emanazione da parte dell’ITL del relativo provvedimento amministrativo di interdizione.

Per quanto attiene, invece, alla richiesta nei confronti dell’Istituto previdenziale per l’erogazione dell’indennità sostitutiva, occorre che la lavoratrice inoltri sempre un’apposita istanza all’INPS. Ciò in quanto la sentenza dichiarativa del diritto non sostituisce l’atto provvedimentale della PA inteso quale presupposto necessario per l’erogazione della relativa indennità.

Assegno unico per i figli a carico: in Gazzetta Ufficiale la legge delega

Assegno unico per i figli a carico: in Gazzetta Ufficiale la legge delega

In Gazzetta Ufficiale la legge delega per l’istituzione dell’assegno unico per i figli a carico. Ora si dovranno varare i decreti legislativi.

Passi in avanti per l’introduzione dell’assegno unico per i figli a carico. Infatti, il 6 aprile 2021 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 82 la L. n. 46/2021, contenente appunto la “Delega al Governo per riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e universale”. I decreti legislativi dovranno essere predisposti entro il 21 aprile 2022, ossia 12 mesi dalla data di vigenza della Legge n. 46/2021. L’assegno universale per i figli rientra fra le misure a sostegno della genitorialità, ed è pensato quindi al fine di favorire la natalità, di sostenere la genitorialità e di promuovere l’occupazione, in particolare femminile.

Tale assegno, basato sul principio universalistico, costituisce un beneficio economico attribuito progressivamente a tutti i nuclei familiari con figli a carico. Inoltre, i decreti legislativi dovranno osservare determinati principi e criteri direttivi generali. A fondo pagina alleghiamo il testo completo della Legge Delega così come pubblicata in Gazzetta Ufficiale; di seguito, in breve, riepiloghiamo i punti salienti della norma.

Assegno unico per i figli a carico: i criteri direttivi generali

Come appena affermato, i decreti legislativi da adottare per l’istituzione dell’assegno unico per i figli a carico dovranno seguire i principi e criteri direttivi generali di seguito elencati:

  • l’accesso all’assegno è assicurato per ogni figlio a carico con criteri di universalità e progressività, nei limiti stabiliti dalla presente legge;
  • l’assegno è pienamente compatibile con la fruizione del Reddito di Cittadinanza;
  • l’ammontare dell’assegno è modulato sulla base della condizione economica del nucleo familiare, come individuata attraverso l’ISEE) o sue componenti, tenendo conto dell’età dei figli a carico e dei possibili effetti di disincentivo al lavoro per il secondo percettore di reddito nel nucleo familiare;
  • l’assegno è concesso nella forma di credito d’imposta ovvero di erogazione mensile di una somma in denaro;
  • ai fini dell’accesso e per il calcolo delle prestazioni sociali agevolate diverse dall’assegno, il computo di quest’ultimo può essere differenziato nell’ambito dell’ISEE fino al suo eventuale azzeramento;
  • l’assegno non è considerato per la richiesta e per il calcolo delle prestazioni sociali agevolate, dei trattamenti assistenziali e di altri benefici e prestazioni sociali previsti da altre norme in favore dei figli con disabilità;
  • l’assegno è ripartito in pari misura tra i genitori ovvero, in loro assenza, è assegnato a chi esercita la responsabilità genitoriale;
  • è istituito un organismo aperto alla partecipazione delle associazioni familiari maggiormente rappresentative, al fine di monitorare l’attuazione e verificare l’impatto dell’assegno;
  • l’assegno è pienamente compatibile con la fruizione di eventuali altre misure in denaro a favore dei figli a carico erogate dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali.

Assegno unico e universale per figli a carico fino a 21 anni: come funziona?

L’assegno unico per i figli a carico prevede il riconoscimento di un assegno mensile per ciascun figlio a carico fino a 21 anni. Il beneficio, in particolare, decorre dal settimo mese di gravidanza. Per i figli successivi al secondo, l’importo dell’assegno è maggiorato.

L’assegno mensile, seppur di importo inferiore, è previsto anche per ciascun figlio maggiorenne a carico, fino al compimento del 21esimo anno di età, con possibilità di corresponsione dell’importo direttamente al figlio, su sua richiesta.

L’agevolazione, però, è concessa solo nel caso in cui il figlio maggiorenne frequenti:

  • un percorso di formazione scolastica o professionale;
  • corso di laurea;
  • tirocinio ovvero un’attività lavorativa limitata con reddito complessivo inferiore a un determinato importo annuale.

Per i figli con disabilità è riconosciuto un assegno mensile di importo maggiorato in misura non inferiore al 30% e non superiore al 50%. La maggiorazione è graduata secondo le classificazioni della condizione di disabilità. Da notare che l’assegno, senza la predetta maggiorazione, spetta anche dopo il compimento del 21esimo anno di età, qualora il figlio con disabilità risulti ancora a carico;

Assegno universale figli a carico: i requisiti d’accesso

Con riferimento ai requisiti di accesso, cittadinanza, residenza e soggiorno, il richiedente l’assegno deve cumulativamente essere:

  • cittadino italiano o di uno Stato membro dell’UE, o suo familiare, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero essere cittadino di uno Stato non appartenente all’UE in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno annuale;
  • soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia;
  • residente e domiciliato con i figli a carico in Italia per la durata del beneficio;
  • stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno biennale.

LEGGE 1 aprile 2021, n. 46: testo Gazzetta Ufficiale

Alleghiamo infine il testo della Legge 46/2021 con cui si Delega il Governo a legiferare in materia di Assegno unico per i figli a carico.