Archivi giornalieri: 12 aprile 2021

San Giuseppe Moscati

 

San Giuseppe Moscati


Nome: San Giuseppe Moscati
Titolo: Laico
Nascita: 25 luglio 1880, Benevento
Morte: 12 aprile 1927, Napoli
Ricorrenza: 12 aprile
Tipologia: Commemorazione

Settimo figlio di Francesco, magistrato, e di Rosa De Luca, Giuseppe nacque a Benevento il 25 luglio 1880. Ma era cresciuto a Napoli, dove la famiglia si era trasferita essendo il papà stato chiamato a svolgere la sua professione presso la Corte d’appello. Giuseppe era dotato di una vivace intelligenza, ma anche di una intensa sensibilità religiosa e umana che lo portava a essere vicino a chi si trovava nel disagio e nella sofferenza.

Per fare qualcosa di concreto per loro, decise di fare il medico. Con i rimedi offerti dalla medicina avrebbe portato anche il conforto della fede. Studiò con impegno, tanto da riuscire a laurearsi a soli ventidue anni. E con il massimo dei voti. Partecipò ad alcuni importanti concorsi, che vinse, aprendosi la strada per una brillante e comoda carriera. Ottenne l’abilitazione all’insegnamento universitario ed entrò nella prestigiosa Accademia partenopea di medicina e chirurgia. Ma poi mise tutte le sue doti di intelligenza e di cuore al servizio dei malati poveri scegliendo il posto di «medico ordinario» nell’Ospedale degli incurabili, il più antico della città. Ritenne quello il luogo ideale per poter svolgere la missione che s’era prefissato fin da ragazzino, così sintetizzata in un suo scritto: «Negli ospedali la missione dei medici è di collaborare all’infinita misericordia di Dio, aiutando, perdonando, sacrificandosi».

A questo programma ispirò la sua vita di medico, dedicandosi senza risparmio a lenire le sofferenze degli altri, sia nella quotidiana assistenza ai malati in ospedale o andandoli a visitare nei miseri tuguri dei quartieri più poveri della città, sia dedicandosi allo studio e alla ricerca per aggiornare le proprie conoscenze da porre al servizio dei malati.

Come diagnostico era bravissimo. In un tempo in cui gli strumenti di analisi e di ricerca erano quasi inesistenti, l’individuazione della malattia era affidata alla preparazione e all’intuizione del medico. E in questo la capacità di diagnosticare di Moscati sorprendeva gli stessi colleghi che vedevano nelle sue diagnosi qualcosa di miracoloso. Lui con molta umiltà rispondeva che aveva una fonte segreta cui attingeva a piene mani ed era l’eucaristia alla quale si accostava ogni giorno. Dio è l’artefice della vita, era solito dire, noi siamo suoi collaboratori, ma il più lo fa lui.

Una volta era riuscito a diagnosticare l’esatta malattia di un operaio che i suoi colleghi avevano inesorabilmente dichiarato tisico: si trattava invece di un ascesso polmonare che con una cura apposita si risolse. L’operaio, felice per la salute ritrovata, voleva a tutti i costi pagarlo. E Moscati: «Se proprio mi vuoi pagare, vatti a confessare perché è Dio che ti ha salvato».

Con i poveri si comportava sempre così, non accettava compensi. Caso mai, era lui a dare loro qualche soldo. Non faceva il medico per la carriera, e tanto meno per arricchirsi. Come Francesco d’Assisi aveva preso sul serio la povertà evangelica, a essa conformava la propria vita. Viveva da povero e con i poveri spartiva quello che aveva. Assisteva, ad esempio, un anziano signore che viveva in uno dei miserevoli tuguri della città, e non potendo andare a trovarlo ogni giorno, lo aveva invitato a recarsi tutte le mattine a fare colazione (avrebbe pagato lui) al bar di fronte all’entrata dell’ospedale. «Andando al lavoro — gli aveva detto — darò un’occhiata all’interno del caffè, se vi vedo vuol dire che tutto va bene, altrimenti verrò a farvi visita a casa».

La carità gli moltiplicava le forze, lo rendeva disponibile ai suoi malati, ai suoi poveri in qualsiasi ora del giorno e della notte e sempre in prima fila, quando calamità e tragedie colpivano la povera gente. Nel 1906 c’era stata un’eruzione del Vesuvio particolarmente violenta. Molti i danni e le vittime. A Torre del Greco, uno dei paesi più colpiti, l’ospedale dove erano ricoverati gli anziani minacciava di crollare sotto il peso di quintali di cenere: bisognava sgomberare in tutta fretta i reparti. Moscati, allora giovane medico, si era associato ai soccorritori lavorando duramente per trasferire malati e quant’altro era ritenuto utile: venti ore di lavoro, sotto la minaccia della lava che continuava ad avanzare lungo le pendici del vulcano. Avevano trasferito l’ultimo degente quando l’ospedale rovinava fragorosamente sui letti ormai vuoti.

Ma anche quando, nel 1911, Napoli fu colpita da una terribile epidemia di colera, il medico Moscati non risparmiò tempo ed energie: molti poveri se la cavarono, grazie alle sue cure, e altri morirono con il conforto della fede che lui aveva loro portato.

Moscati, medico buono e santo che aveva posto la sua intelligenza e il suo cuore al servizio dei poveri e dei sofferenti, moriva in età ancora giovane, a soli quarantasette anni, il pomeriggio del 12 aprile 1927. La mattina s’era recato come al solito all’ospedale a visitare i malati. Avrebbe dovuto proseguire le visite il pomeriggio, ma i suoi pazienti lo attesero invano. Verso le quindici avvertì un intenso malore. Ritiratosi nella camera, si accasciò sulla poltrona. «Sto male», disse ai fratelli che lo avevano visto impallidire. Furono le ultime parole. Un istante dopo cessava di vivere.

I poveri di Napoli accolsero la notizia con dolore e costernazione. Perdendo lui, perdevano un amico, un fratello. Ma guadagnavano un santo in cielo. E tale lo ritennero da subito.

Paolo VI confermò la loro certezza elevandolo nel 1975 all’onore degli altari con il titolo di beato. Fu proclamato santo nel 1987 da Giovanni Paolo Il, al termine del sinodo dei vescovi «Sulla vocazione e missione dei laici nella chiesa».

MARTIROLOGIO ROMANO. A Napoli, san Giuseppe Moscati, che, medico, mai venne meno al suo servizio di quotidiana e infaticabile opera di assistenza ai malati, per la quale non chiedeva alcun compenso ai più poveri, e nel prendersi cura dei corpi accudiva al tempo stesso con grande amore anche le anime.

Pensioni quota 102: cos’è e come funziona quota 102 il superamento di quota 100

Pensioni quota 102: cos’è e come funziona quota 102 il superamento di quota 100

Come funziona la quota 102, la proposta di Alberto Brambilla per riformare le pensioni e superare la quota 100 introdotta dal primo governo Conte.

Pensioni quota 102 come funziona

Il presidente del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali Alberto Brambilla ha annunciato quelle che potrebbero essere le novità da mettere in campo sulle pensioni dopo che alla fine del 2021 scadrà la quota 100 approvata dal governo Conte I.

Una delle opzioni potrebbe essere la cosiddetta quota 102: come funziona?

Quota 102: come funziona

Intervistato dal Corriere della Sera, Brambilla ha innanzitutto bocciato la quota 100 e spiegato che dopo la pandemia non dovrebbe essere riconfermata. Terminata la vaccinazione della popolazione l’occupazione dovrebbe infatti risalire e la scelta di un pensionamento così tanto anticipato viene ritenuta imprudente.

Sono diverse le opzioni che ha proposto per sostituire la quota 100.

La prima riguarda l’istituzione dei fondi di solidarietà per l’industria, il commercio, l’artigianato e l’agricoltura per i lavoratori con problemi di salute, per quelli con familiari a carico da curare, per i lavoratori gravosi e i precoci. L’idea sarebbe quella di farli andare in pensione a 62 anni con almeno 35 di contributi versati.

Quota 102: il superamento di Quota 100

La seconda è la cosiddetta quota 102, vale a dire un pensionamento anticipato per chi ha almeno 64 anni d’età e 38 di contributi.

Con non più di due anni figurativi escludendo dal calcolo maternità, servizio militare e riscatti volontari. La pensione anticipata sarebbe prevista anche per gli uomini con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) e prevedrebbe agevolazioni per le lavoratrici madri, per i caregiver e i lavoratori precoci.

L’ultima proposta riguarda invece la possibilità di prevedere per i giovani un contributivo puro – contando dunque solo i contributi versati – con un’integrazione al minimo su valori pari a quelli della maggiorazione sociale (630 euro al mese) e calcolati sulla base del numero di anni lavorati.