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NASpI

Diritto alla NASpI in caso di licenziamento per giusta causa: cosa sapere

In quali condizioni spetta l’indennità di disoccupazione NASPI? Tra le casistiche rientra anche il licenziamento per giusta causa? I dettagli.

Si ha diritto alla NASpI in caso di licenziamento per giusta causa? Se sì ci sono delle limitazioni? Partiamo dal presupposto che il sussidio di disoccupazione NASPI è una prestazione economica erogata dall’INPS a beneficio dei lavoratori dipendenti che perdono involontariamente il lavoro e sono in possesso di una serie di requisiti contributivi e lavorativi.

Oltre infatti al requisito dei contributi versati, è richiesto anche lo stato di disoccupazione che scatta a seguito del recesso da parte del datore di lavoro (licenziamento) e talune altre ipotesi come la risoluzione consensuale in sede protetta o le dimissioni per giusta causa.

Anche il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo oggettivo danno potenzialmente diritto all’indennità di disoccupazione; quindi sono da intendersi come gli eventi motivati da un comportamento extra-lavorativo del dipendente, talmente grave da ledere il vincolo fiduciario con il datore di lavoro e determinare l’interruzione immediata del rapporto. Tuttavia il dipendente potrà accedervi con un periodo diverso rispetto al normale.

Analizziamo nel dettaglio la correlazione fra NASPI e licenziamento per giusta causa.

Quali sono i requisiti per accedere alla NASpI

L’indennità di disoccupazione spetta al ricorrere dei seguenti requisiti:

  • Stato di disoccupazione involontaria;
  • 13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti l’inizio della disoccupazione;
  • 30 giornate di effettivo lavoro nei 12 mesi che precedono la perdita del lavoro.

Cos’è lo stato di disoccupazione

Per l’intero periodo di fruizione dell’indennità il soggetto deve trovarsi in stato di disoccupazione, da intendersi come l’assenza di un impiego subordinato e / o autonomo.

L’accesso alla NASPI, in presenza degli altri requisiti contributivi, è riservato a coloro che perdono involontariamente il lavoro, con esclusione pertanto delle dimissioni (eccezion fatta per le dimissioni per giusta causa).

Gli eventi che danno diritto alla disoccupazione sono:

  • Licenziamenti, compresi quelli per giusta causa o giustificato motivo soggettivo;
  • Risoluzione consensuale del rapporto intervenuta in una sede protetta (Ispettorato Territoriale del Lavoro);
  • Risoluzione consensuale a seguito del rifiuto del dipendente di essere trasferito ad altra sede aziendale distante almeno 50 chilometri dalla residenza ovvero raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi di trasporto pubblici;
  • Dimissioni per giusta causa, tra cui si annoverano, a titolo esemplificativo, quelle giustificate da mancato pagamento delle retribuzioni, mobbing, molestie sessuali;
  • Dimissioni presentate nel periodo tutelato di maternità, da 300 giorni prima della data presunta del parto sino al compimento di un anno di età del bambino.

Eccezionalmente, sino al 31 marzo 2021, possono accedere alla NASPI anche i lavoratori che risolvono in maniera consensuale il rapporto, aderendo ad un accordo aziendale stipulato con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Come fare domanda di disoccupazione

La richiesta di NASPI dev’essere inoltrata all’INPS, a pena di decadenza, entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

L’istanza può essere inviata:

  • In via telematica sul portale dell’Istituto per gli utenti in possesso delle credenziali PIN, SPID almeno di livello 2, Carta di Identità Elettronica 3.0 (CIE), Carta Nazionale dei Servizi (CNS);
  • Chiamando il Contact center INPS ai numeri 803.164 (da rete fissa) o 06.164.164 (mobile);
  • Avvalendosi dei servizi di enti di patronato o intermediari abilitati.

Da quando decorre la NASpI

Il sussidio di disoccupazione viene erogato a partire dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto, a patto che la domanda sia inoltrata all’INPS entro tale data.

Per le richieste inviate successivamente (a decorrere dal nono giorno successivo alla cessazione) la NASPI avrà decorrenza dal giorno successivo quello di inoltro dell’istanza.

Decorrenza NASpI in caso di licenziamento per giusta causa

Come anticipato, lo stato di disoccupazione conseguente ad un licenziamento per giusta causa permette, al ricorrere degli altri requisiti, l’accesso all’indennità NASPI.

Tuttavia la NASpI non decorre con i termini ordinari, ma con un ritardo di 30 giorni. La norma stabilisce infatti che:

in caso di licenziamento per giusta causa la NASpI decorre 30 giorni dopo rispetto ai normali termini di decorrenza.

Licenziamento per giusta causa o giustificato motivo

Per “giusta causa” si intendono tutte quelle ipotesi di recesso, conseguenti ad una condotta del dipendente; queste devono essere di gravità tale da ledere il vincolo fiduciario con il datore di lavoro e motivare l’interruzione immediata del rapporto. In questo caso non si deve rispettare neanche l’eventuale periodo di preavviso stabilito dal CCNL applicato.

Leggi anche: Differenza fra licenziamento per giusta causa e giustificato motivo

Il licenziamento per “giusta causa” (GC) fa parte della categoria dei “licenziamenti disciplinari” insieme a quelli per “giustificato motivo soggettivo” (GMS).

La differenza tra le due tipologie risiede nel fatto che:

  • I licenziamenti per GMS sono determinati da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore;
  • I licenziamenti per giusta causa sono al contrario motivati da condotte extra-lavorative del dipendente.

Nelle ipotesi di giustificato motivo soggettivo il datore di lavoro è tenuto a rispettare il periodo di preavviso imposto nei rapporti a tempo indeterminato, da intendersi come il lasso temporale che deve necessariamente intercorrere tra la data di comunicazione del licenziamento e l’ultimo giorno in forza in azienda.

ABC LAVORO

Ticket licenziamento 2021: nuovi importi aggiornati e quando va pagato

Ticket licenziamento 2021: importi del contributo NASpI dovuto per le cessazioni di rapporti di lavoro che danno diritto alla disoccupazione.

Il ticket licenziamento è quel contributo che il datore deve versare all’INPS in caso di cessazione di rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato che danno diritto alla NASpI. Il suo importo annuo per il 2021 è fissato in 503,30 euro (41% del massimale disoccupazione) e varia a seconda del periodo di permanenza in azienda da 1/12 fino a raggiungere un massimo di 3 annualità. Per il 2021 l’importo massimo di contributo licenziamento è di 1509,90 euro per i lavoratori con un’anzianità di servizio pari o superiore a 36 mesi.

Il contributo NASpI (ex ASpI) dev’essere versato anche quando il datore ricorre a licenziamenti collettivi, con un importo peraltro triplicato se la dichiarazione di eccedenza del personale non è stata oggetto di accordo sindacale. Il ticket è dovuto anche in caso di licenziamento a seguito di accordo collettivo aziendale escluso dal blocco dei licenziamenti covid.

Il contributo è destinato a finanziare l’indennità di disoccupazione (e a scoraggiare i licenziamenti) e il datore deve provvedere al pagamento, con modello F24 insieme agli altri contributi previdenziali e assistenziali entro il 16 del mese successivo, a prescindere se il il dipendente cessato chieda o meno la NASPI.

Analizziamo nel dettaglio quando è dovuto, come si calcola l’importo e casi particolari (licenziamenti collettivi, part-time e imprese edili).

Contributo NASpI: quando deve essere pagato

Il ticket licenziamento (introdotto con l’articolo 2, commi 31-35, della legge n. 92/2012) va pagato in tutti i casi di interruzione di un rapporto a tempo indeterminato che darebbero potenzialmente diritto all’indennità di disoccupazione in favore del cessato.

Oltre che per i licenziamenti (giustificato motivo oggettivo, soggettivo, giusta causa) il contributo è dovuto in caso di:

  • Dimissioni per giusta causa;
  • Dimissioni nel periodo tutelato per maternità;
  • Risoluzione consensuale a seguito della conciliazione obbligatoria presso la Direzione Territoriale del Lavoro nei casi in cui il datore voglia licenziare per giustificato motivo oggettivo;
  • Risoluzione consensuale del rapporto a seguito del rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra unità produttiva distante oltre 50 km dalla sua residenza o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico;
  • Mancata trasformazione dell’apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

Il contributo è dovuto a prescindere dalla richiesta del cessato dell’indennità di disoccupazione. Inoltre il contributo è dovuto anche a seguito di abbandono del posto di lavoro da parte del lavoratore ed anche per licenziamento per cessazione dell’attività.

Ticket licenziamento 2021: importi

L’importo del ticket licenziamento è fissato in misura pari al 41% del massimale mensile di disoccupazione (il cui importo è comunicato con apposita circolare INPS ogni anno) per ogni 12 mesi di anzianità aziendale del cessato negli ultimi tre anni. Per quest’anno si considera la circolare INPS numero 7 del 21/01/2021.

  • Considerato che per il 2021 il massimale è pari ad euro 1.227,55, per ogni 12 mesi di anzianità aziendale è dovuto un contributo di:
    • 1.227,55 * 41% = 503,30
  • Per chi ha un’anzianità pari o superiore a 36 mesi il contributo è pari a:
    • 503,30 * 3 = 1.509,90
  • Se il rapporto ha avuto una durata inferiore all’anno il contributo è riproporzionato in mesi:
    • 503,30 / 12 = 41,94 euro mensili

Per poi essere moltiplicato per i mesi in cui il dipendente è stato in forza (si considera come mese intero quello in cui la prestazione si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario).

Calcolo ticket licenziamento

Facciamo l’esempio di un dipendente assunto a tempo indeterminato il 1° gennaio 2021 e licenziato per giusta causa il 16 marzo 2021. In questo caso i mesi da considerare per stabilire l’importo del ticket sono 3, cioè gennaio, febbraio e marzo; (quest’ultimo mese si calcola perché protrattosi per almeno 15 giorni di calendario).

Di conseguenza il contributo sarà pari a:

  • 41,94 * 3 = 125,82 euro

Nel calcolo dei mesi di anzianità aziendale devono essere ricompresi anche quelli prestati come lavoratore a termine per chi è stato poi trasformato a tempo indeterminato. Per gli intermittenti, invece, i periodi di non lavoro tra una chiamata e l’altra non vengono conteggiati.

Ticket di licenziamento nei licenziamenti collettivi

Il ticket è dovuto anche nei licenziamenti collettivi; questi, si ricorda, ricorrono ogniqualvolta il datore con più di 15 dipendenti intende effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni. I licenziamenti avvengono a causa della riduzione, trasformazione o cessazione dell’attività produttiva.

La misura del contributo è quella prevista per i licenziamenti individuali. Eccezion fatta per i casi in cui la dichiarazione di eccedenza del personale avviene senza accordo sindacale: qui l’importo è moltiplicato per 3.

La legge di bilancio 2018 ha peraltro modificato la norma. Per i licenziamenti collettivi intimati da un’azienda rientrante nel campo di applicazione della CIGS il contributo è elevato all’82% del massimale mensile:

  • 1.227,55 * 82% = 1006,59 euro per ogni 12 mesi di anzianità aziendale

L’aumento si applica alle procedure di licenziamento collettivo avviate dopo il 20 ottobre 2017.

Ticket di licenziamento lavoratori part time

E’ importante sapere che il contributo licenziamento è dovuto in misura piena anche per i lavoratori part-time.

Quindi la tassa licenziamento non può essere riproporzionata alla percentuale di part-time (come logica vorrebbe), ma è sempre dovuta in misura piena.

Contributo di licenziamento edilizia

Caso particolare è quello che riguarda il contributo ASpI per le imprese edili. Sono infatti esonerate dal versamento del ticket licenziamento le imprese del settore edilizia in taluni casi specifici; ovvero nei casi di interruzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato per completamento delle attività e chiusura del cantiere.Per approfondimenti vi rimandiamo alla lettura dei recenti chiarimenti INPS sul Ticket di licenziamento imprese edili.

Bonus vacanze, restituzione in caso di errore nell’ISEE. Ecco i dettagli

L’Agenzia delle Entrate è intervenuta recentemente con la risposta n. 66 dell’1 febbraio 2021, in cui chiarisce come ci si deve comportare nell’ipotesi in cui il modello ISEE, utile per l’ottenimento “bonus vacanze” o credit tax vacanze, sia stato compilato in maniera erronea dal contribuente e beneficiario senza però averne diritto.

Ebbene, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che, in caso di utilizzo scorretto e non conforme del contributo rispetto alla normativa vigente, l’interessato può sanare la propria posizione e di fatto regolarizzarla; restituendo la somma ottenuta in modo indebito. Per farlo, dovrà utilizzare la dichiarazione dei redditi.

Vediamo più nel dettaglio.

Bonus vacanze: che cos’è in breve

Il bonus vacanze è frutto di una scelta politica del Governo Conte bis. Infatti, tramite il decreto Ristori (decreto-legge n. 137 del 28 ottobre 2020), si è deciso di estendere la fruibilità del bonus in oggetto fino al prossimo giugno. Ma non solo: l’utilizzo dei 500 euro è stato allargato a più strutture; ed è stata altresì prevista la possibilità di effettuare pagamenti su intermediazione di piattaforme e portali web.

Leggi anche: strutture che accettano il bonus vacanze

Originariamente predisposto dal Decreto Rilancio dell’anno scorso (art. 176 del DL n. 34 del 19 maggio 2020), dal primo luglio 2020 i cittadini possono usare, sull’intero  territorio nazionale, il bonus vacanze. L’agevolazione, rivolta specificamente ai nuclei familiari con un reddito Isee non al di sopra dei 40.000 euro, è finalizzata al pagamento di servizi offerti in Italia da strutture come imprese turistico-ricettive, agriturismi, campeggi e bed&breakfast. Il bonus – erogato in forma digitale – spetta nella misura massima di 500 euro, da sfruttare per l’80% sotto forma di sconto immediato per il pagamento del servizio turistico e per il 20% come detrazione di imposta al momento della dichiarazione dei redditi.

Il bonus vacanze può essere fatto valere da un solo componente del nucleo familiare (anche differente dal soggetto che materialmente lo richiede); soprattutto, deve essere speso in un’unica soluzione, dunque senza frazionamenti, presso una sola struttura turistica situata in Italia (campeggio, hotel, villaggio turistico, agriturismo ecc.).

Lo sconto valevole come “bonus vacanze 2021” sarà di seguito rimborsato all’esercente nell’ambito del turismo, sotto forma di credito d’imposta utilizzabile senza limiti di importo in compensazione, o cedibile anche a istituti di credito.

Ricordiamo inoltre che per il calcolo dell’ISEE è obbligatoria la cosiddetta Dichiarazione sostitutiva unica (DSU), che include i dati anagrafici, reddituali e patrimoniali del nucleo familiare e ha validità dalla data della presentazione e fino al 31 dicembre successivo.

La proroga dell’agevolazione fino a fine giugno 2021

Come accennato, il bonus vacanze originariamente poteva essere usato fino al 31 dicembre 2020, ma ora con la proroga del contributo, vale fino al 30 giugno 2021. Il bonus vacanze 2021 può raggiungere un importo totale di 500 euro in ipotesi di famiglie con almeno tre persone; le famiglie di due persone avranno diritto ad un bonus pari a 300 euro; per quanto riguarda invece i single, l’erogazione sarà pari a 150 euro.

Rimarchiamo che detto bonus vacanze poteva essere richiesto dal primo luglio 2020 fino al 31 dicembre 2020, tramite l’app IO; mentre la fruizione ora è possibile – come detto – fino al 30 giugno di quest’anno. Insomma, il contributo conserva efficacia anche perchè con la seconda ondata di contagi anche in Italia, in molti non hanno potuto usufruire del rimborso di 500 euro previsto dalla scorsa estate.

Pertanto tutti coloro che sono in possesso del bonus vacanze 2021 ancora attivo e non sfruttato, potranno servirsene entro fine giugno. Attenzione però: dal primo gennaio 2021 non è più possibile fare domanda per il bonus vacanze.

Che cosa ha chiarito l’Agenzia delle Entrate sul tema?

Come anticipato all’inizio, colui che ha compilato l’ISEE in modo sbagliato, potrà regolarizzare la propria situazione, restituendo quanto ottenuto indebitamente, a titolo di bonus vacanze. Per farlo, dovrà compilare gli appositi campi del modello di dichiarazione  dei redditi prescelto (730 o redditi Pf). Ciò che è importante sottolineare è che la restituzione sarà effettuabile senza alcun rischio di sanzioni e interessi. Così chiarisce in modo netto la risposta n. 66 del primo febbraio 2021.

Nella risposta all’interpello, l’Agenzia delle Entrate fornisce ulteriori precisazioni, come frequentemente accade negli ultimi tempi. E infatti vi si trova scritto che il credito potrà essere utilizzabile:

esclusivamente nella misura dell’80 per cento, d’intesa con il fornitore presso il quale i servizi sono fruiti, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto e per il 20 per cento in forma di detrazione di imposta in sede di dichiarazione dei redditi da parte dell’avente diritto“.

Inoltre, l’Amministrazione finanziaria – nella risposta citata – chiarisce e ribadisce quanto sopra ricordato, ossia che lo sconto sarà rimborsato al fornitore dei servizi sotto forma di credito d’imposta. 

Concludendo, già la circolare n. 18/E del 3 luglio 2020 aveva spiegato che è la stessa Agenzia delle Entrate a controllare l’esistenza dei presupposti per la fruizione da parte del contribuente del bonus vacanze e l’esatta determinazione dell’ammontare del credito e il suo uso. Laddove sia notata la mancata sussistenza dei requisitiprocederà senza indugio al recupero dello sconto e della detrazione fruita.

Lotteria degli scontrini, guida Agenzia Entrate: istruzioni per gli esercenti

L’Agenzia delle Entrate ha recentemente rilasciato una guida aggiornata dedicata alla Lotteria degli scontrini e rivolta in particolare agli esercenti. La partecipazione alla lotteria prevede infatti il rispetto di tutta una serie di regole particolari, che è preferibile conoscere per non restare spiazzati.

Per fare un semplice esempio, dal primo gennaio 2021, se il cittadino si reca in farmacia per acquistare medicinali, deve scegliere se avvalersi della detrazione fiscale del 19% per la spesa effettuata oppure se partecipare, con lo scontrino dell’acquisto, alla lotteria scontrini appena varata. Lo stesso vale per le spese mediche relative a visite o esami. E’ chiaro, invece, che gli acquisti in farmacia di prodotti non detraibili, consentono di partecipare alle estrazioni.

Qui di seguito ci proponiamo di fornire una sintetica, ma esaustiva guida per gli esercenti, in modo che essi diano luogo a tutti gli adeguamenti necessari per partecipare al concorso. Ecco i dettagli.

Lotteria degli scontrini, guida Agenzia delle Entrate per gli esercenti

Evidentemente conscia che le regole applicative possono non risultare di facile assimilazione per tutti, l’Agenzia delle Entrate ha recentemente pubblicato una guida ad hoc per gli esercenti, in cui sono indicati con precisione tutti gli adempimenti utili per concorrere alle estrazioni della lotteria degli scontrini, partita il primo febbraio.

Ribadiamo qui che la lotteria scontrini riguarda esclusivamente gli acquisti presso negozi fisici, compiuti senza uso di contanti, e quindi con  strumenti di pagamento elettronici. Il meccanismo serve insomma a spingere a non servirsi dei contanti per i pagamenti, favorendo così la tracciabilità delle operazioni e la lotta all’evasione fiscale.

I partecipanti devono essere cittadini maggiorenni e residenti sul suolo italiano; devono comprare beni e/o servizi cashless, per i quali è rilasciato dall’esercente un documento commerciale (il vecchio “scontrino”), tramite un registratore di cassa telematico oppure, in alternativa, con la procedura web messa a disposizione dall’Agenzia delle Entrate.

Ciascun acquisto di beni o servizi permette di emettere biglietti virtuali; proprio questi ultimi consentono di partecipare alle estrazioni a premi. In particolare, ogni euro speso dà diritto a un biglietto; fino a un massimo di 1.000 biglietti per uno scontrino pari o al di sopra dei 1.000 euro.

Rimarchiamo che alle estrazioni della lotteria cashless possono concorrere non solo i privati consumatori, ma anche gli esercenti, i quali però hanno tempo fino ad aprile per dar luogo all’adeguamento dei registratori di cassa telematici, necessari per il funzionamento del meccanismo. Ecco spiegato il perchè della guida ad hoc predisposta dall’Amministrazione finanziaria.

download   Guida Agenzia Entrate Lotteria Scontrini – Gennaio 2021
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I negozianti devono seguire 3 step: quali sono?

Come accennato, la guida in oggetto è assai utile, perchè tramite essa gli esercenti possono informarsi su come comportarsi e, in particolare, su quelli che sono i tre passi da compiere per partecipare e far partecipare alla lotteria degli scontrini. Vediamo allora quali sono i passi in questione:

  • verifica con il laboratorio, dal quale è stato comprato il registratore di cassa telematico, che il software sia aggiornato per poter memorizzare e trasmettere i dati della lotteria in oggetto;
  • dare la possibilità ai clienti dell’attività commerciale, di pagare per via elettronica (bancomat, carta di credito ecc.). Ecco perchè è consigliato ai negozianti di collegare il registratore di cassa telematico con il sistema di pagamento elettronico;
  • eventuale utilizzo di un lettore di codici a barre, al fine di registrare velocemente, in automatico e soprattutto senza errori il codice lotteria che sarà esibito dal cliente consumatore. Altrimenti, il negoziante dovrà servirsi del tastierino del registratore per digitare il codice; ma dovrà stare attento a non commettere errori di battitura.

In particolare, prima di emettere lo scontrino, il negoziante – che ovviamente è tenuto a registrare tutta l’operazione – deve memorizzare il codice lotteria, che il privato cliente esibisce nel momento del pagamento senza contanti, pari ad almeno un euro. Gli interessati a concorrere alle estrazioni, devono munirsi a priori del citato codice sul portale predisposto dall’Agenzia delle dogane e monopoli.

L’esercente memorizza il codice lotteria: perchè?

Insomma, il codice lotteria è anch’esso elemento essenziale per poter partecipare alla lotteria degli scontrini. Consiste in un codice (alfanumerico) a barre, generato a partire dal proprio codice fiscale. Si può facilmente stampare o memorizzare sul proprio dispositivo mobile, così come indicato nella pagina web che permette di generare il codice.

Abbiamo appena accennato al fatto che il negoziante deve memorizzare il codice lotteria: in che modo? Come menzionato più sopra, dovrà avvalersi di un lettore ottico collegato al registratore di cassa telematico che scansioni il codice. Oppure potrà digitarlo sul tastierino del registratore. Per questa via, il negoziante registra i dati dell’operazione, e di seguito può così accettare il pagamento elettronico con bancomat, carta di credito o altro strumento elettronico. Infine, potrà emettere il documento commerciale. La memorizzazione serve dunque a garantire la regolarità della partecipazione al concorso e il rispetto delle regole previste.

Attenzione però: lo scontrino deve indicare sia la cifra spesa per l’acquisto, sia il codice lotteria del cliente. Il registratore di cassa eseguirà poi la trasmissione automatica dei dati al sistema della lotteria degli scontrini, gestito a livello centrale dall’Agenzia delle Entrate e dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Quali sono i premi per gli esercenti?

I clienti che effettuano acquisti e gli esercenti partecipano, con l’identico scontrino, a una estrazione settimanale; a una mensile e a una annuale. Caratteristica peculiare del meccanismo è che il biglietto vincitore per il consumatore comporta in automatico anche la vincita per il negoziante, e viceversa. Per quanto riguarda quest’ultimo, i premi previsti sono i seguenti:

  • estrazioni settimanali: 15 premi da 5.000 euro ciascuno;
  • sorteggi mensili: 10 premi da 20.000 euro ciascuno;
  • estrazione annuale: un premio da 1.000.000 di euro.

E’ interessante notare che – come spiega l’Agenzia delle Entrate nel suo sito web – i premi in questione non concorrono a formare il reddito del vincitore per l’intero ammontare versato nel periodo d’imposta. Inoltre, detti premi non sono oggetto di tassazione.

La legge vigente, sebbene incentivi a partecipare alla lotteria degli scontrini, non impone l’obbligo di farlo; nè ai privati clienti, nè ai commercianti. Infatti, questi ultimi possono segnalare che il punto vendita aderisce alla lotteria degli scontrini, attraverso un avviso ad hoc alla clientela, posizionato in un luogo ben visibile del negozio (ad es. in vetrina).

No rischi di multe per il negoziante che non aderisce

In altre parole, per i negozianti, in ipotesi di mancata partecipazione al meccanismo, non c’è alcun pericolo di sanzioni. In verità queste ultime erano previste – fino a 500 euro – dal decreto fiscale correlato alla manovra 2020. Ma con la conversione in legge del provvedimento, l’ipotesi è stata archiviata. Tuttavia, al posto delle sanzioni, il consumatore/acquirente ha diritto di segnalare il commerciante che non fa pervenire il codice all’Agenzia delle Entrate. Ciò sarà possibile però dal prossimo marzo, servendosi di uno spazio apposito nel sito web della lotteria degli scontrini.

Concludendo, attenzione comunque alle varie regole di dettaglio: tra queste, ricordiamo qui che ci sono tipologie di beni solitamente ammessi alla lotteria, come mobili o elettrodomestici che, se comprati nell’ambito di una ristrutturazione con diritto al bonus mobilisaranno esclusi dall’estrazione a premi.

Superbonus 110% ultime notizie: utile chiarimento dell’Agenzia Entrate

Una interessante precisazione scritta è recentemente arrivata da parte dell’Agenzia delle Entrate, con riferimento al superbonus 110%. Si tratta – come noto – dell’agevolazione che consente ai privati di compiere lavori di efficientamento energetico e antisismici sugli immobili, ma a carico totale del Fisco.

Tuttavia, detto superbonus presenta una normativa di dettaglio piuttosto articolata e complessa, tanto che l’Amministrazione finanziaria è nuovamente intervenuta per chiarire la situazione, pubblicando la risposta ad un interpello relativo appunto al superbonus. Vediamo allora perchè il contenuto di questa comunicazione è significativo in materie di spese, lavori di ristrutturazione e benefici fiscali.

Superbonus 110: qual è la finalità?

Prima di esporre i contenuti della precisazione da parte dell’amministrazione finanziaria, ricordiamo in sintesi in che cosa consiste il superbonus 110%. Detta agevolazione è stata inclusa nel Decreto Rilancio ed ha la peculiare caratteristica di innalzare al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022, per interventi inerenti l’efficienza energetica, interventi antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di mezzi elettrici negli edifici.

Non solo: per legge, sussistono ulteriori 6 mesi di tempo (fino al 31 dicembre 2022) per le spese inerenti i lavori condominiali o compiuti sulle parti comuni di edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate, posseduti da un unico proprietario o in comproprietà da più persone fisiche se, al 30 giugno 2022, è stato realizzato almeno il 60% dell’intervento complessivo.

Come precisato sul sito web dell’Amministrazione finanziaria, le citate misure si accompagnano alle detrazioni relative agli interventi di recupero del patrimonio edilizio; inclusi quelli per la riduzione del rischio sismico (cosiddetto Sismabonus) e di riqualificazione energetica degli edifici (cosiddetto Ecobonus).

Non poche persone, in questi ultimi mesi, hanno avuto a che fare con una normativa sul superbonus 110%, talvolta di difficile interpretazione e comprensione; tanto che l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con la risposta all’interpello n. 88 dell’8 febbraio 2021, la quale finalmente chiarisce che le spese da inserire nel Superbonus si riferiscono non solo al 2020-2021 ma anche ai lavori iniziati prima.

L’agevolazione vale anche su lavori iniziati prima del DL Rilancio

Quanto rimarcato nella citata risposta all’interpello è senza dubbio utile per gli interessati al superbonus 110%. Infatti, secondo l’Agenzia delle Entrate, anche se un’intervento di demolizione e ricostruzione (ristrutturazione edilizia) che include lavori rientranti nel superbonus è cominciato nel maggio 2019 e quindi anteriormente alla promulgazione del DL Rilancio summenzionato (19 maggio 2020), può avvalersi dell’agevolazione in oggetto. Ma attenzione: resta fermo che la maxi-agevolazione si applica esclusivamente alle spese sostenute dal primo luglio 2020 a tutto il 2021.

Leggi anche: Superbonus 110%: on line il portale informativo del Governo

Nella stessa risposta dell’8 febbraio, l’Agenzia delle Entrate ha anche effettuato una ulteriore utile precisazione, inerente le tipologie di interventi inclusi tra quelli di ristrutturazione edilizia. Infatti, sulla scorta delle modifiche di cui al DL Semplificazioni l’Ente ha chiarito che sono inclusi, tra gli interventi di ristrutturazione edilizia

gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche; con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica; per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali; incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”.

Agenzia Entrate, circolare n. 24 del 2020

Ribadiamolo per chiarezza: non conta che i lavori di ristrutturazione abbiano già avuto inizio nel mese di maggio 2019. L’interessato potrà comunque avvalersi del citato superbonus 110% (di cui all’art.119, Dl Rilancio), ma esclusivamente per le spese sostenute nel 2020 e nel 2021; e pur sempre nel pieno rispetto di tutti i requisiti e degli adempimenti burocratici di cui alla normativa agevolativa e alla prassi in materia.

Anzi a questo fine, nel documento dell’8 febbraio, l’Agenzia osserva di avere già chiarito questo significativo dettaglio nella circolare n. 24/2020, in cui ha avuto modo di specificare che la maxi-detrazione in gioco è attribuita indipendentemente dalla data di effettuazione degli interventi di ristrutturazione. Per fare un esempio pratico, un intervento ammissibile intrapreso a luglio 2019, con pagamenti compiuti sia nel 2019 che nel 2020 e 2021, permetterà di avvalersi del superbonus solo con riferimento alle spese sostenute nel 2020 e 2021. Ma, appunto, l’interessato ha diritto all’agevolazione.

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Concludendo, il privato che intende avvalersi del superbonus, deve ricordare che l’ultima parola sulla qualificazione quale “ristrutturazione edilizia” spetta pur sempre al Comune; oppure ad altro ente territoriale competente in materia di classificazioni urbanistiche, alla data del rilascio del titolo amministrativo che dà l’ok ai lavori per cui il privato-contribuente vuole beneficiare delle agevolazioni fiscali.

Tuttavia, vista la complessità e l’articolazione della normativa in tema di superbonus, in futuro non sono affatto esclusi ulteriori chiarimenti scritti da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Blocco dei licenziamenti

Licenziamento a seguito di accordo collettivo aziendale: nuovo codice 2A

È stato introdotto il nuovo codice Tipo cessazione “2A” per le interruzioni di rapporto di lavoro intervenute con un accordo collettivo.

In base a quanto disposto dal Decreto Agosto (art. 14 del D.L. n. 104/2020), le risoluzioni dei rapporti di lavoro, ovvero i licenziamenti, a seguito di accordo collettivo, devono essere esposti nel flusso Uniemens con il nuovo codice Tipo cessazione “2A”, avente il significato di:

Interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro”.

I datori di lavoro che abbiano utilizzato un codice “Tipo cessazione” diverso da quello sopra indicato, dovranno procedere alle necessarie correzioni. A specificarlo è l’INPS con il messaggio n. 528 del 5 febbraio 2021. Al riguardo, sono stati forniti alcuni chiarimenti in merito agli aspetti contributivi conseguenti nei casi di interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale e di revoca del licenziamento, ovvero dalle ipotesi escluse dal blocco generalizzato di interruzione dei rapporti di lavoro per l’emergenza Covid.

Ecco i dettagli.

Blocco dei licenziamenti: fino a quando

La Legge di Bilancio 2021 ha prorogato e rimodulato le disposizioni in materia di blocco dei licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo. La disposizione normativa, in particolare, disciplina le ipotesi al ricorrere delle quali ai datori di lavoro è precluso l’avvio del licenziamento collettivo.

Tale norma si applica alla sospensione delle procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Inoltre, prevede le ipotesi nelle quali il datore di lavoro non può esercitare la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo.

Il divieto di licenziamento è stato prorogato fino al 31 marzo 2021.

Divieto di licenziamento: le deroghe

Esistono, tuttavia, alcune eccezioni alle suddette preclusioni. In particolare, il co. 3 dell’art. 14 del D.L. n. 104/2020 dispone che il divieto di licenziamento non si applica:

in caso di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo.

Analogamente, le medesime eccezioni non si applicano nell’ipotesi di un accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, che consente l’accesso all’indennità NASpI ai lavoratori che vi aderiscono.

L’interruzione del rapporto di lavoro, quindi, interviene a seguito di una risoluzione consensuale, ossia tramite accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (non anche con accordi territoriali o nazionali) di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Revoca del licenziamento

Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nell’anno 2020, abbia proceduto al recesso dal contratto di lavoro per GMO, può revocare in ogni tempo il recesso.  In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro”.

In sostanza, il datore di lavoro poteva revocare i licenziamenti per GMO, a condizione che lo stesso inoltrasse contestualmente richiesta di trattamento di integrazione salariale, con decorrenza dalla data di efficacia del licenziamento revocato.

La revoca dei licenziamenti è quindi stata possibile dal 15 agosto 2020 al 13 ottobre 2020. A seguito della revoca del licenziamento il rapporto di lavoro è ripristinato senza soluzione di continuità e il lavoratore beneficia del trattamento di integrazione salariale.

Pertanto, il rapporto di lavoro deve considerarsi sospeso per il periodo che intercorre tra:

  • la data del licenziamento;
  • e la data della sua revoca e per tutta la durata dell’integrazione salariale; al termine della quale decorrono nuovamente gli obblighi contributivi in capo al datore di lavoro.

Quote di TFR

Si ricorda, infine, che durante i periodi di CIG, le quote di TFR maturate restano a carico del datore di lavoro.

I datori di lavoro soggetti alla disciplina del Fondo di Tesoreria, pertanto, devono versare al predetto Fondo le quote di TFR maturate dal lavoratore a decorrere dalla data del licenziamento revocato e durante il periodo di integrazione salariale.

Santi Martiri di Abitina

 

Santi Martiri di Abitina


Santi Martiri di Abitina

Nome: Santi Martiri di Abitina
Titolo: Cristiani
Ricorrenza: 12 febbraio
Tipologia: Commemorazione

Il primo editto imperiale emanato da Diocleziano contro i cristiani ordinava il rogo di tutte le copie delle Scritture e segnava l’inizio della persecuzione che avrebbe causato numerosi martiri. Se molti cristiani obbedirono, altri resistettero e tra questi Saturnino, sacerdote in Abitina, nell’Africa settentrionale proconsolare. Una domenica i magistrati del luogo accompagnati dai soldati catturarono lui e il suo gruppo; Saturnino, i suoi quattro figli e un senatore di nome Dativo guidarono gli altri della comunità all’interrogatorio dei magistrati. Risposero tutti così coraggiosamente che persino i loro inquisitori li elogiarono; furono però inviati in ceppi a Cartagine per essere esaminati dal proconsole.

L’interrogatorio è stato conservato in Atti che sono senza dubbio genuini nella sostanza, ma che nella forma sembrano finalizzati a sostenere la rigida posizione donatista, quale emerse nella controversia esplosa un secolo dopo le loro morti. Questa avrebbe enfatizzato che tutti i martiri parteciparono al culto nel giorno del Signore, compreso il bimbo Ilarione (rara testimonianza della partecipazione di bimbi alla Messa). Il primo a essere interrogato fu Dativo, il quale si professò cristiano e adoratore del Dio dei cristiani. Fu condotto via per essere torturato persino prima che avesse detto dove avevano luogo le assemblee per il culto, perché il proconsole credeva che ne fosse l’organizzatore. Allora il martire Telica affermò che «il presbitero Saturnino e tutti noi» erano le guide dei cristiani. Le donne si dimostrarono coraggiose quanto gli uomini: una giovane donna di nome Vittoria, che era sfuggita a un fidanzamento combinato, saltando fuori da una finestra e rifugiandosi in una chiesa, rifiutò l’offerta di ritornare sotto la tutela del fratello pagano, dicendo che nessuno che non conoscesse Dio poteva essere suo fratello. Il bimbo Ilarione rise persino alle minacce del giudice di tagliargli orecchie e naso se non avesse ritrattato. Saturnino e i suoi cc. non furono giustiziati, ma pare che morirono in prigione, o per durezza della carcerazione o come conseguenza delle torture subite.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Cartagine, commemorazione dei santi martiri di Abitene, in Tunisia: durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, essendosi come di consueto radunati contro il divieto imperiale di celebrare l’Eucaristia domenicale, furono arrestati dai magistrati della colonia e dal presidio militare; condotti a Cartagine e interrogati dal proconsole Anulino, anche tra le torture tutti si professarono cristiani, dichiarando di non poter tralasciare la celebrazione del sacrificio del Signore; per questo versarono in diversi luoghi e tempi il loro beatissimo sangue.