Archivi giornalieri: 5 febbraio 2021

Divieto licenziamenti 2021

Divieto licenziamenti 2021: fino a quando c’è il blocco e come funziona

Fino a quando si applica il divieto di licenziamento prorogato dalla Legge di bilancio 2021? Quali sono le deroghe? Analisi completa.

La recente Legge di bilancio (Legge numero 178 del 30 dicembre 2020) proroga al 31 marzo 2021 il divieto a tutte le imprese di procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (GMO) sia individuali che collettivi. Grazie alla previsione in Manovra, si crea un ponte rispetto al Decreto “Ristori” (D.l. numero 137 del 28 ottobre 2020), in base al quale il blocco ai licenziamenti avrebbe avuto termine il 31 gennaio scorso.

Stante lo stop generalizzato ai recessi per GMO esistono una serie di deroghe previste dal legislatore. Analizziamo nel dettaglio quali, dopo aver approfondito i paletti alle imprese attualmente vigenti sino al 31 marzo 2021.

Divieto licenziamenti 2021: fino a quando?

Come anticipato, la Manovra 2021 (in vigore dal 1º gennaio scorso) ha prorogato sino al 31 marzo prossimo il blocco ai licenziamenti in scadenza il 31 gennaio 2021. Il testo (articolo 1 commi dal 309 al 311) estende lo stop lasciando inalterato l’ambito di applicazione e le deroghe, rispetto a quanto disposto dal D.l. “Ristori”.

Pertanto, sino al 31 marzo è precluso alle aziende di:

  • Avviare procedure di licenziamento collettivo (articoli 4, 5 e 24 di cui alla Legge n. 223/1991);
  • Concludere procedure di licenziamento collettivo avviate dopo il 23 febbraio 2020;
  • Ricorrere a licenziamenti individuali (o plurimi) per giustificato motivo oggettivo;
  • Intraprendere procedure di conciliazione obbligatoria di cui all’articolo 7 della Legge numero 604/1966.

Licenziamento per Giustificato motivo oggettivo

I licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (GMO) sono quelli giustificati da ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento di essa.

Ne consegue che i recessi per GMO si differenziano da quelli per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, riguardanti caratteristiche o condotte del singolo lavoratore.

Le ipotesi per antonomasia di licenziamento per motivi oggettivi riguardano:

  • Soppressione del posto o del reparto in cui è impiegato il lavoratore;
  • Cessazione dell’attività produttiva;
  • Affidamento all’esterno delle mansioni attribuite al lavoratore (cosiddetta “esternalizzazione”);
  • Sopravvenuta infermità del dipendente, per ragioni indipendenti dal lavoro svolto, se ciò comporta l’inidoneità (anche parziale) a svolgere le mansioni assegnategli (licenziamento per impossibilità sopravvenuta della prestazione);
  • Provvedimenti amministrativi che hanno un impatto sul rapporto di lavoro, ad esempio ritiro del porto d’armi per una guardia giurata ovvero della patente di guida ad un autista.

Leggi anche: Differenza fra licenziamento per giusta causa e giustificato motivo

Licenziamenti individuali e procedure collettive

I licenziamenti per GMO colpiti dallo stop sino al 31 marzo 2021 sono quelli:

  • individuali o plurimi;
  • collettivi.

In particolare, con la seconda casistica si intendono i licenziamenti intimati da aziende “grandi” intendendosi per tali quelle che occupano:

  • più di 15 dipendenti (ridotti a 5 per gli imprenditori agricoli);
  • in alternativa, datori che nell’ambito dello stesso comune occupano più di 15 dipendenti (5 nel caso degli imprenditori agricoli).

La procedura di licenziamento collettivo scatta quando una azienda “grande” (come sopra definita) ricorre, nell’arco di 120 giorni, ad almeno 5 licenziamenti per giustificato motivo oggettivo nella stessa unità produttiva o in più unità produttive collocate nella stessa provincia.

Deroghe al blocco dei licenziamenti

Lo stop prorogato dalla Legge di bilancio al 31 marzo 2021 non opera con riferimento ad una serie di licenziamenti motivati da ragioni produttive:

  • licenziamenti in cui il personale interessato, già impiegato nell’appalto, venga riassunto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore in forza di una previsione di legge, contratto collettivo nazionale ovvero clausola del contratto di appalto;
  • licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’impresa, a seguito della messa in liquidazione della stessa senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività, che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile;
  • lavoratori che aderiscono ad un accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro (i soggetti interessati possono chiedere e ottenere l’indennità di disoccupazione NASPI in presenza degli altri requisiti di legge);
  • licenziamenti intimati a fronte del fallimento, nei casi in cui non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa ovvero ne sia disposta la cessazione (se l’esercizio provvisorio riguarda un determinato ramo d’azienda sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso).

Altre tipologie di licenziamenti esclusi dal blocco

Lo stop ai licenziamenti, essendo limitato a quelli per giustificato motivo oggettivo, non si estende ad una serie di recessi soggettivi; ovvero licenziamenti motivati da caratteristiche soggettive del dipendente o sue condotte disciplinarmente rilevanti.

Si parla in particolare di:

  • licenziamenti per motivi disciplinari;
  • ” per superamento del periodo di comporto;
  • ” intimati nel corso del periodo di prova o al termine dello stesso;
  • licenziamento del lavoratore domestico o del dirigente;
  • interruzione del rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo;
  • licenziamento motivato dal raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia;
  • licenziamento del socio di una cooperativa di produzione e lavoro, se preceduto dalla risoluzione dal rapporto associativo.

Violazione del divieto: cosa succede?

Per le aziende che, in violazione dei limiti imposti dalla Legge di bilancio, procedono comunque a licenziamenti per GMO, la conseguenza è quella della nullità del recesso stesso con conseguente reintegra dell’interessato sul posto di lavoro.

SOLDI E DIRITTI

Detrazioni mobili ed elettrodomestici 2021: requisiti, spese e nuovi importi

Le detrazioni mobili ed elettrodomestici permangono anche nel 2021, ma si innalza l’importo di spesa ammesso in detrazione fiscale.

Una delle novità più interessanti, incluse nella legge di Bilancio 2021, è relativa ai bonus o detrazioni mobili ed elettrodomestici. Infatti, le nuove norme hanno prorogato e innalzato la soglia massima di spesa, entro la quale usufruire delle detrazioni elettrodomestici in questione.

Lo stesso provvedimento citato, invece, lascia identici i requisiti e l’elenco delle spese di arredi ed elettrodomestici. Vediamo più nel dettaglio che cosa è opportuno ricordare.

Detrazioni mobili ed elettrodomestici: proroga a tutto il 2021

Anticipiamo che la legge di Bilancio 2021 ha confermato le detrazioni fiscali corrispondenti al 50% per l’acquisto di arredi ed elettrodomestici da collocare in unità immobiliari in fase di ristrutturazione edilizia. In linea generale, in base a quanto recentemente introdotto con nuove norme, il legislatore ha inteso prorogare, per tutto il 2021, i cd. bonus casa, ossia le detrazioni fiscali spettanti nelle seguenti ipotesi:

  • spese effettuate per interventi di efficienza energetica, di ristrutturazione edilizia;
  • costi per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici;
  • spese per il recupero o il restauro della facciata esterna degli edifici;
  • spese per  la sistemazione a verde di aree scoperte di immobili privati, usati come abitazioni.

L’ottica è quella di favorire la libera iniziativa del privato, con agevolazioni fiscali che gli rendano meno onerose le migliorie alla propria unità abitativa.

Detrazioni fiscali e bonus arredi: aumenta il limite di spesa

Per quanto riguarda – nello specifico – il bonus mobili, il bonus elettrodomestici e le correlate detrazioni fiscali, occorre rimarcare che la legge di Bilancio 2021 modifica il limite di spesa, prorogandolo ed innalzandolo. Infatti, il tetto massimo è ora pari a 16.000 euro – prima 10.000 euro – mentre la detrazione – come detto – permane al 50%.

I benefici consistono, di fatto, in detrazioni IRPEF pari alla percentuale citata: il bonus mobili ed elettrodomestici opera dunque come una sorta di ‘ristoro’ per i costi sostenuti per comprare mobili ed elettrodomestici come arredo di immobili sottoposti a lavori di ristrutturazione edilizia.

In particolare, le detrazioni fiscali mobili ed elettrodomestici si collocano all’interno di un vero e proprio piano di incentivi varati per le ristrutturazioni delle unità abitative che si completano ed integrano con l’acquisto, per l’appunto, di nuovi arredi ed elettrodomestici.

Proprio il requisito della ristrutturazione dell’unità abitativa è fondamentale per capire il meccanismo delle detrazioni fiscali mobili ed elettrodomestici, che stiamo qui considerando. Infatti, il bonus mobili si aggiunge e non sostituisce il distinto bonus ristrutturazione.

Non a caso, la data di inizio dei lavori di ristrutturazione edilizia deve essere per legge anteriore quella dell’acquisto dei mobili o degli elettrodomestici, oggetto della detrazione pari al 50% citata. In altre parole, i beneficiari delle detrazioni mobili e detrazioni elettrodomestici saranno soltanto i contribuenti che acquistano nuovi arredi; mobili ed elettrodomestici collocandoli presso immobili oggetto di ristrutturazione.

Bonus ristrutturazioni e bonus arredi: la distinzione

Insomma, bonus mobili, bonus elettrodomestici e bonus arredi rientrano nella stessa agevolazione fiscale di cui alla legge di Bilancio 2021, ma vanno distinti dal cd. bonus ristrutturazioni, già presente nel panorama normativo da alcuni anni. Quest’ultimo consiste anch’esso in una detrazioni fiscale pari al 50%, assegnata a coloro che compiono lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria in un condominio o presso singoli edifici (ad es. tinteggiatura di pareti e soffitti, sostituzione di pavimenti, rifacimento di intonaci interni ecc.)

Il bonus ristrutturazioni, prorogato dall’ultima legge di Bilancio fino al 31 dicembre 2021, permette di accedere ad un rimborso Irpef per le spese pagate dal contribuente, sino ad un massimo di 96.000 euro. Per quanto riguarda gli adempimenti richiesti, è confermata anche per il 2021, l’obbligatorietà di invio della comunicazione ENEA per tutti quei lavori di ristrutturazione che includono altresì un risparmio energetico.

Beneficiari e dichiarazione dei redditi: come comportarsi

La proroga del bonus mobili di cui alla Legge di Bilancio 2021 ribadisce dunque il beneficio della detrazione del 50% per l’acquisto di arredi o elettrodomestici in immobili oggetto di ristrutturazioni dal 1° gennaio 2020. Così è disposto in maniera inequivocabile dai 58-60 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2021.

In linea generale, la detrazione fiscale in oggetto continua ad essere applicata in caso di acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+ (A per i forni). Attenzione però: permane anche  l’onere di richiedere la detrazione fiscale in dichiarazione dei redditi, che dovrà essere suddivisa tra gli aventi diritto, e il riconoscimento in dieci quote annuali di identico importo.

Per beneficiarne in concreto, è essenziale insomma che il contribuente includa le spese all’interno del modello 730 o modello Unico. A seguito di ciò, la detrazione fiscale sarà riconosciuta come rimborso fiscale IRPEF. Attenzione però: l’inserimento degli importi di costo nella dichiarazione dei redditi è sì condizione necessaria, ma non sufficiente. L’interessato dovrà anche compiere i pagamenti nelle modalità tra poco indicate.

Tracciare il pagamento è essenziale per avvalersi del bonus mobili: ecco perchè

Le modalità di pagamento delle spese di cui sopra sono state indicate con precisione dall’Agenzia delle Entrate. Si tratta dei bonifici parlanti, bancomat e carte di credito. Invece, le detrazioni mobili ed elettrodomestici non scattano se si tratta di acquisti compiuti con assegni, denaro contante o altri mezzi di pagamento.

Non solo: nel caso in cui il pagamento sia disposto con bonifico bancario o postale, va usato quello previsto da banche e Poste S.p.a. per le spese di ristrutturazione edilizia.

Identiche modalità di pagamento valgono altresì per il versamento delle spese di trasporto e montaggio dei beni in oggetto.

Quali sono i mobili ed elettrodomestici che danno diritto alle agevolazioni fiscali?

A questo punto, ci potrebbe domandare quali sono, in concreto, i mobili ed elettrodomestici per i quali si può parlare di bonus arredi e detrazioni fiscali. Ecco alcuni dei più significativi, secondo quanto emerge dalla guida dell’Agenzia delle Entrate:

  • elettrodomestici di di classe energetica non al di sotto della A+ (A per i forni): stufe elettriche; radiatori elettrici; ventilatori elettrici; apparecchi per il condizionamento; congelatori;  frigoriferi; lavatrici, asciugatrici; lavastoviglie; apparecchi di cottura; apparecchi elettrici di riscaldamento; forni a microonde ecc.;
  • mobili ed arredi: tavoli; divani; sedie;  letti; armadi; comodini; poltrone; materassi; apparecchi di illuminazione ecc.

Ribadiamolo: la novità sostanziale del 2021, in tema di bonus arredi e detrazioni fiscali per acquisto mobili ed elettrodomestici è rappresentata dal fatto che il valore di riferimento sarà quantificato su un costo totale non al di sopra dei 16mila euro (e non più 10mila).

Inoltre, il contribuente che svolge lavori di ristrutturazione su distinte unità immobiliari, avrà comunque diritto al beneficio più volte, una per ciascuna unità.

Concludendo, è chiaro insomma che la legge di Bilancio 2021 conferma al gran completo i vari bonus casa, e contempla anche agevolazioni fiscali in tema di sostituzione di sanitari e rubinetti e per i sistemi di filtraggio di acqua potabile. Ma non solo: la legge n. 178 del 30 dicembre 2020 immette tra i costi ammessi al bonus ristrutturazioni 2021 anche quelli di sostituzione del gruppo elettronico.

Infortunio sul lavoro

 

Infortunio sul lavoro: nuova comunicazione e denuncia obbligatoria

La comunicazione/denuncia d’infortunio comprende ora anche rider, assicurati Puc, lavoratori agili e studenti in alternanza scuola-lavoro

Aggiornato il servizio online per le comunicazioni di infortunio, Denuncia/comunicazione di infortunio e di malattia professionale. Infatti, dal 3 febbraio 2021 i servizi online sono disponibili anche per i rider, beneficiario reddito di cittadinanza (RdC) in attività nell’ambito dei Progetti utili alla collettività (polizza Assicurati Puc), lavoratore agile, studente impegnato in attività di alternanza scuola-lavoro.

I dettagli delle modifiche in argomento sono consultabili nel file “Cronologia delle versioni” di ciascun servizio online presente.

Ne dà notizia l’INAIL con una nota del 2 febbraio 2021.

Comunicazione di infortunio: cos’è e quando si inoltra

La “Comunicazione di infortunio” deve essere inoltrata dal datore di lavoro all’Inail in caso di infortuni sul lavoro dei lavoratori, dipendenti o assimilati, che siano prognosticati guaribili entro tre giorni escluso quello dell’evento. Per gli infortuni con prognosi oltre tre giorni, escluso quello dell’evento, è necessario inoltrare la “Denuncia/comunicazione di infortunio” (area prestazioni).

Si ricorda che, nel caso di datori di lavoro di soggetti non assicurati con Inail, l’obbligo di inoltro della comunicazione di infortunio scaturisce a prescindere dal numero dei giorni di prognosi, ovvero da un periodo inferiore a tre giorni, escluso il giorno dell’evento, fino al decesso del lavoratore.

Leggi anche: Cosa fare in caso di infortunio sul lavoro, ecco la nostra guida

Denuncia di infortunio: cos’è e quando deve essere inoltrata?

La “Denuncia/comunicazione di infortunio” deve essere inoltrata dal datore di lavoro all’Inail in caso di infortuni sul lavoro dei lavoratori, dipendenti o assimilati, che siano prognosticati non guaribili entro tre giorni escluso quello dell’evento.

Per gli infortuni con prognosi di almeno un giorno, escluso quello dell’evento, è necessario inoltrare la “Comunicazione di infortunio” (area prevenzione).

Malattia professionale: cos’è e quando deve essere inoltrata?

La malattia professionale è una patologia la cui causa agisce lentamente e progressivamente sull’organismo (causa diluita e non causa violenta e concentrata nel tempo). La stessa causa deve essere diretta ed efficiente, cioè in grado di produrre l’infermità in modo esclusivo o prevalente: il Testo Unico, infatti, parla di malattie contratte nell’esercizio e a causa delle lavorazioni rischiose.

È ammesso, tuttavia, il concorso di cause extraprofessionali, purché queste non interrompano il nesso causale in quanto capaci di produrre da sole l’infermità.

Per le malattie professionali, quindi, non basta l’occasione di lavoro come per gli infortuni, cioè un rapporto anche mediato o indiretto con il rischio lavorativo, ma deve esistere un rapporto causale, o concausale, diretto tra il rischio professionale e la malattia.

Il rischio può essere provocato dalla lavorazione che l’assicurato svolge, oppure dall’ambiente in cui la lavorazione stessa si svolge (cd. “rischio ambientale”).

Infortunio: denuncia e comunicazione anche per i rider

Come anticipato in premessa, dal 3 febbraio 2021, in caso di infortunio o malattia professionale, è possibile inserire, nella compilazione dei relativi applicativi online (Comunicazione e Denuncia/Comunicazione di infortunio, Denunce di malattia professionale e di silicosi/asbestosi) o nel file da inviare, i riferimenti alle seguenti categorie di lavoratori:

  • Rider;
  • beneficiario reddito di cittadinanza (RdC) in attività nell’ambito dei Progetti utili alla collettività (polizza Assicurati Puc);
  • lavoratore agile;
  • studente impegnato in attività di alternanza scuola-lavoro.

I dettagli delle modifiche in argomento sono consultabili nel file “Cronologia delle versioni” di ciascun servizio online presente.

FISCO E TASSE

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Cause di esclusione dal regime forfettario: chiarimenti dall’Agenzia Entrate

L’Agenzia delle Entrate fornisce nuovi importanti chiarimenti in merito alle cause di esclusione dal regime forfettario.

L’Agenzia delle Entrate ha rilasciato la risposta ad interpello n° 81 del 3 febbraio fornendo nuovi chiarimenti in merito alle cause di esclusione dal regime forfettario. Il contribuente iscritto all’AIRE per il solo 2020, che intende tornare in Italia svolgendo dal 2021 la sua attività di lavoro autonomo nei confronti del suo vecchio datore di lavoro estero, può farlo senza tener conto delle cause di esclusione previste in capo ai lavoratori dipendenti ai fini dell’accesso al regime fiscale forfettario. Ciò è possibile grazie alla cosiddetta tie breaker rules.

Il chiarimento ha riguardato la previsione secondo la quale sono esclusi dal forfetario le persone fisiche la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta rispetto a quello per il quale si vorrebbe accedere al forfetario. Sono altresì esclusi coloro che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente  superiori a 30.000 euro.

Ecco i dettagli.

Cause di esclusione dal regime forfettario

Oltre ai requisiti di accesso al regime fiscale forfettario di cui al comma 54 della Legge 190/2014, il legislatore ha fissato anche delle cause esclusione.

Infatti, non possono accedere al regime forfettario, comma 57 della Legge 190/2014:

  • le persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini Iva o di regimi forfetari di determinazione del reddito;
  • i non residenti, ad eccezione di coloro che risiedono in uno degli Stati membri (..) che assicuri un adeguato scambio di informazioni e che producono in Italia almeno il 75% del reddito complessivo;
  • i soggetti che effettuano, in via esclusiva o prevalente, operazioni di cessione di:
    • fabbricati o porzioni di fabbricato,
    • di terreni edificabili
    • o di mezzi di trasporto nuovi.

Altre cause di esclusione: i lavoratori dipendenti

Sono altresì esclusi dal regime a forfait:

  • gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano contemporaneamente a società di persone, associazioni professionali o imprese familiari ovvero,  che controllano direttamente o indirettamente S.R.L. o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte individualmente;
  • le persone fisiche la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili a tali datori di lavoro, fatta eccezione per chi inizia una nuova attività dopo aver svolto il periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni (Lett. d-bis) comma 57, Legge 190/2014);
  • coloro che nell’anno precedente presentano redditi di lavoro dipendente e/o assimilati di importo superiore a 30.000 euro.

Su tale ultimo punto , non rileva la causa di esclusione laddove il rapporti di lavoro sia cessato nell’anno precedente a quello di accesso al regime (lett. d-ter).

La causa di esclusione di cui al penultimo punto elenco, Lett. d-bis) comma 57, Legge 190/2014:

risponde alla ratio di evitare artificiose trasformazioni di attività di lavoro dipendente in attività di lavoro autonomo (Relazione illustrativa Legge di bilancio 2019).

Agenzia delle Entrate: risposta n°81 del 3 febbraio

La risposta n°81 del 4 febbraio prende spunto da apposita istanza di interpello. Nello specifico, un soggetto iscritto all’AIRE dal 2020 intende tornare in Italia. Da lavoratore autonomo vorrebbe continuare la sua attività nei confronti dello stesso datore di lavoro estero. A tal proposito ha chiesto lumi sull’eventuale applicazione della cause di esclusione previste in capo ai lavorati dipendenti, Lett. d-bis) comma 57, Legge 190/2014.

Precisando che:

  • nel 2019 ha trascorso all’estero un periodo superiore a 183 giorni (si veda l’art.2 del TUIR-residenza fiscale);
  • nel 2020, con decorrenza dallo stesso anno ha ottenuto l’iscrizione all’AIRE.

Dunque, l’iscrizione all’AIRE è verificata per il solo anno 2020 e non anche per il 2019.

Il parere dell’Agenzia delle entrate

L’istante si rifà a quanto chiarito dall’Agenzia delle entrate con la risposta n°173/2020,

la circostanza che il professionista possa instaurare un rapporto di lavoro autonomo con un soggetto estero, con il quale è intercorso, sempre all’estero, un rapporto di lavoro dipendente durante il periodo di sorveglianza(2 periodi d’imposta), escluderebbe la sussistenza di un’artificiosa trasformazione nel senso sopra descritto, non essendovi alcun criterio di collegamento con il territorio dello Stato dei redditi di lavoro dipendente percepiti all’estero.

Attenzione,  su tale punto l’Agenzia precisa che in tale caso però era stata verificata la residenza all’estero nei due  precedenti periodi d’imposta.

Tuttavia nel caso di specie l’iscrizione all’AIRE è verificata per il solo 2020 e non per il 2019.

Tie breaker rules

Da qui, l’Agenzia ritiene che sia comunque possibile ricorrere alla cosiddetta tie breaker rules. Per superare per superare il requisito formale dell’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente nel 2019.

Nell’ambito delle “Convenzioni per evitare la doppia imposizione dei redditi”, le cosiddette tie breaker rules, in ipotesi di doppia residenza,  consistono in una serie di  di criteri per determinare quale dei due Stati può considerare residente il contribuente.

Detto ciò per la causa di esclusione di cui alla lettera d-bis), laddove il reddito lordo percepito dall’Istante superi la soglia di 30.000 euro, verrebbe integrata la causa ostativa di cui alla citata lettera d-ter).

In sostanza, vanno verificate entrambe le cause di esclusioni.

Quota 100

 

Riforma pensioni e quota 100, cosa aspettarsi da Draghi?

Cosa succederà alle pensioni con Draghi premier? I governi tecnici, le grandi riforme pensioni e lo spettro della Fornero.

di , pubblicato il  alle ore 09:00
Cosa succederà alle pensioni con Draghi premier? I governi tecnici, le grandi riforme pensioni e lo spettro della Fornero.

Il 2021 è passerà alla storia come l’anno della terza grande riforma pensioni. In cantiere vi sono già numerosi progetti messi in piedi dal governo Conte bis, ormai giunto al termine. Le trattative con le parti sociali erano già in parte avanzata.

Questi progetti prevedono sostanzialmente una profonda riforma pensioni che parte da quota 100, destinata a terminare con la fine del 2021, per toccare altre forme di pensionamento anticipato. Senza trascurare la necessità di dare vita a una pensione di garanzia per i giovani lavoratori.

Riforma pensioni, cosa succederà con Draghi

Con la fine del governo Conte e l’arrivo di Draghi a palazzo Chigi, la riforma pensioni sarà però rimessa in discussione. Così come la riforma fiscale. Difficile immaginare che vengano stravolti in piani già architettati finora. Tuttavia, la visione futura della spesa pensionistica e la necessità impellente di far quadrare i conti pubblici assume adesso maggior rilievo.

Cosa succederà? Difficile dirlo in questo momento. Cero è che la storia insegna qualcosa. In passato sono sempre stati i governi cosi detti “tecnici” (definizione inappropriata, visto che gli esecutivi devono sempre godere della fiducia del Parlamento) a mettere mano alle grandi riforme. Ricordiamo Dini nel 1995 e poi Monti nel 2011.

Quota 100 e il modello tedesco

Quello che più preme della riforma pensioni è quota 100. La Germania non ha mai visto di buon occhio questo sistema di pensionamento anticipato (insieme al reddito di cittadinanza) e la Merkel più volte aveva bacchettato Conte. Con Draghi al comando, più europeista e tecnocrate, la riforma delle pensioni anticipate potrebbe assumere un diverso rilievo. Sul modello tedesco, ad esempio.

In Germania si va oggi in pensione a 65 anni e 6 mesi (ma l’età è in aumento) o, in alternativa, con 45 anni di contributi.

Ma si può anche uscire in anticipo, con le dovute eccezioni per chi svolge lavori usuranti o nelle forze armate o di polizia. Dopo la riforma pensioni, i lavoratori tedeschi precoci ed esposti a lavori usuranti, ad esempio, possono lasciare il lavoro a 63 anni, ma solo se hanno 45 anni di contributi (da noi ne bastano 41).In Germania, però, è anche possibile lasciare il lavoro in anticipo, ma non prima dei 63 anni, e chi lo fa perde lo 0,3% della propria pensione per ogni mese: in un anno la percentuale sale al 3,6%. I nati prima del 1964 accedono alla pensione piena con 35 anni di contributi e 65 anni di età. La misura è penalizzante e tende a scoraggiare il pensionamento anticipato, anche se negli ultimi anni sono molti i lavoratori che lasciano anzitempo il lavoro accontentandosi di un assegno più basso. Viceversa il sistema tedesco riconosce un premio per chi posticipa il pensionamento.

Pensione anticipata con penalizzazione

Del pensionamento anticipato con penalizzazione, sul modello “opzione donna”, ne aveva sussurrato anche il governo Conte. Le carte della riforma pensioni in tal senso non erano mai state scoperte, ma il piano era quello. Con Draghi è probabile che il progetto sarà portato a compimento.

Resta da vedere se con quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi) o altre requisiti. La Lega, semmai dovesse sostener il nascente governo Draghi, pretenderebbe il rinnovo di quota 100 lasciando le cose come stanno. Al limite introducendo un sistema di penalizzazione soft calibrato con agli anni di contribuzione versati nel sistema retributivo.

Inevitabile una penalizzazione che potrebbe arrivare, secondo le più pessime previsioni, anche a una perdita del 20-25% dell’assegno.

Pensioni a rischio, buco da 16 miliardi nei conti Inps
Bonus a pioggia e Cig Covid mandano in rosso i conti dell’Inps. Per evitare il default si pensa di aumentare i contributi e tagliare le pensioni.
Bonus a pioggia e Cig Covid mandano in rosso i conti dell’Inps. Per evitare il default si pensa di aumentare i contributi e tagliare le pensioni.
 

L’Inps ha un problema di bilancio (e di pensioni): c’è un buco da 16 miliardi di euro. Una voragine, più che altro, causata da bonus a pioggia e ricorso massiccio alla cassa integrazione Covid (Cig) per le aziende.

Premesso, che in un periodo di emergenza economica causata da coronavirus non si poteva fare altrimenti, resta ora da risolvere il problema. Da inizio pandemia fino al 31 dicembre 2020 sono state autorizzate dall’Inps 4,04 miliardi di ore. Un intervento record, mai registrato nella storia repubblicana da quando esistono gli ammortizzatori sociali.

Bonus e Cig mandano in rosso i conti dell’Inps

Ad richiamare l’attenzione sui conti dell’Inps e la tenuta delle pensioni è il presidente del Civ, il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps, Guglielmo Loy.

Nei conti dell’Istituto c’è un buco di quasi 16 miliardi, creato proprio dalla Cig Covid. Il legislatore dovrebbe intervenire prima di mettere a rischio la sostenibilità e dunque le prestazioni di Inps“.

Nel documento Civ si parla di 20 miliardi di euro di disavanzo. Di questi 20, ben 15,7 miliardi sono un buco creato dalla Cig Covid, il resto arriva dai bonus a pioggia erogati a lavoratori autonomi.

Pensioni a rischio

I soldi sono stati anticipati dall’Inps – fa notare Loy – attingendo a propri fondi. Se non viene ripianato il buco quando si tornerà all’ordinario l’Inps rischia di non avere le risorse, che ricordo sono frutto di contributi di imprese e lavoratori, per erogare le prestazioni. O doverle ridurre“.

Quella di essere costretti a ridurre le pensioni, “è un’ipotesi estrema, non certo peregrina. Se l’anticipazione di Inps sulla Cig Covid è strutturale, allora si trasforma in credito dello Stato. Chiediamo che venga sanato per non minare la sostenibilità del bilancio dell’Istituto. Tra l’altro il rosso da 20 miliardi che indichiamo nel documento si basa sulle ottimistiche stime della Nadef per il Pil 2021. Corretto dal punto di vista contabile, ma non rassicurante“.

 

Sulla tenuta dell’Inps, se il sistema non è più in equilibrio, qualcuno potrebbe essere tentato di tirare la cinghia sulle prestazioni, pensioni incluse. La profonda recessione poi inciderà molto, con contributi calanti. Il legislatore deve quindi intervenire quanto prima.

Intervenire al più presto

Insomma, secondo le previsioni del Civ, è necessario intervenire al più presto. L’Inps rischia infatti il default se non saranno riportai in equilibrio i conti entro la fine dell’anno. Confidare in una ripresa dell’economia in tempi rapidi è pericoloso. Serve una “ricapitalizzazione” più veloce e certa.

In proposito si sta pensando di alzare le aliquote contributive, ma l’intervento da solo non basta. Ecco allora che si profila l’idea di tagliare le pensioni. E’ la strada maestra – secondo gli esperti – l’unica in grado di contenere la spesa previdenziale.

La misura è già allo studio ai piani alti del Ministero del Lavoro e dovrebbe prendere consistenza entro l’anno nell’ambito della più ampia riforma del sistema pensionistico. Il sistema delle pensioni anticipate, in particolare quota 100, dovrebbe essere sostituito da nuovi meccanismi basati sulla penalizzazione sulla falsariga di quanto sperimentato con “opzione donna”.

Pensioni minime in stallo, Conte intervenga al più presto
Sono ancora ferme a 515 euro le pensioni minime, nessun intervento nella legge di bilancio per il 2021. Le proteste di Anp-Cia.
Sono ancora ferme a 515 euro le pensioni minime, nessun intervento nella legge di bilancio per il 2021. Le proteste di Anp-Cia.
 

Pensioni minime ancora al palo. Il governo non ha preso ancora nessun provvedimento nella manovra finanziaria per il 2021, soprattutto per il settore agricolo, uno dei più colpiti dalla crisi.

E’ stata una legge di bilancio sicuramente difficile da comporre a causa della crisi per il Covid. Ha trovato risorse per il sistema sanitario e aperto un varco importante, con provvedimenti per l’agricoltura, al rilancio economico delle aree rurali del Paese.

Resta ancora inevasa però, la richiesta di aumento delle pensioni minime ferme a 515 euro. Anp, l’Associazione nazionale pensionati di Cia-Agricoltori Italiani riparte da qui. Dà voce alla grande delusione di tanti ex-agricoltori e facendo ordine sulle priorità per il 2021 pronte per nuovo confronto istituzionale.

Ex agricoltori con pensioni minime da fame

In cima alla lista, dunque, le pensioni minime percepite da oltre un milione e mezzo di anziani, in prevalenza ex-agricoltori, ancora costretti a vivere con la pensione più bassa d’Italia.

Per Anp-Cia, si tratta di una grave ingiustizia già ampiamente esposta dall’Associazione, in numerosi incontri in tutto il Paese, a parlamentari e istituzioni tutte, proprio con l’intento di una risoluzione definitiva.

Una pratica, dunque, che resta aperta e dovrà trovare risposte nei prossimi provvedimenti del Governo. Soprattutto in relazione all’annunciato aggiornamento delle norme sulle azioni di contrasto alla povertà. Come il “dopo quota 100”, la pensione contributiva di garanzia, le pensioni minime, la separazione tra previdenza e assistenza, il rilancio della previdenza complementare e la riduzione del carico fiscale sulle pensioni.

Riforma pensioni minime prioritaria

Dunque, nei prossimi incontri in commissioni e nei tavoli preposti a delineare un nuovo intervento di riordino del sistema previdenziale e pensionistico, Anp-Cia non mancherà di sollecitare di nuovo:

  • la stabilizzazione della quattordicesima;
  • l’aumento delle pensioni minime;
  • la modifica del sistema di indicizzazione;
  • l’estensione dell’Ape sociale agli agricoltori;
  • una tassazione in linea con quanto previsto nei Paesi europei;
  • l’istituzione della pensione base per i giovani agricoltori.
     

Bene sistema sanitario

Sono, invece, significative di un cambiamento d’indirizzo, sottolinea Anp-Cia, le risorse destinate al sistema sanitario. La legge di Bilancio dimostra una visione oltre l’emergenza Covid e affronta il tema del potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e delle politiche socio-sanitarie.

In questo ambito, è bene sottolineare la misura di sostegno alle funzioni dei caregiver familiari. E’ modesta nelle risorse dedicate, ma potenzia gli strumenti a sostegno delle famiglie nelle cure domiciliari per anziani e disabili.

Vera sfida sarà anche per il 2021, l’urgente rafforzamento dei servizi sanitari territoriali per migliorare la qualità della vita nelle aree rurali e soprattutto a supporto delle persone anziane.

Cruciale la necessità di una sanità più vicina ai cittadini, con strutture ambulatoriali o case della salute di prossimità, potenziare l’assistenza domiciliare, utilizzare diffusamente le nuove tecnologie come la telemedicina, valorizzare, infine, le reti sociali e del volontariato.

Gli interventi nel settore agricolo

Strategici, secondo Anp-Cia, anche i provvedimenti previsti per il settore agricolo, utili a favorire il rilancio economico delle aree rurali. Portano risorse sulla manutenzione e la messa in sicurezza del territorio, condizione indispensabile per garantire la presenza delle persone nelle aree interne. Come lo è anche il potenziamento del sistema dei servizi civili, di infrastrutture, trasporti, scuole e banda larga.

L’Associazione fa appello alla responsabilità e all’impegno di politica e istituzioni. In proposito interviene il presidente nazionale di Anp-Cia, Alessandro Del Carlo.

In questa fase delicatissima dovuta alla pandemia, le risorse del Recovery Fund, siano occasione non solo per sostenere la ripresa economica e occupazionale ma, anche per avviare un cambiamento del sistema di sviluppo, per superare le diseguaglianze sociali e territoriali e accompagnare il Paese verso una nuova coscienza pubblica e collettiva.

Confermiamo il nostro fattivo contributo – conclude Del Carlo – e la disponibilità al dialogo costruttivo guardando anche alle raccomandazioni della Commissione Ue per accedere ai fondi del Next Generation Eu“.

Attenzione alle truffe: il vademecum dell’INPS

Attenzione alle truffe: il vademecum dell’INPS

Internet, email, sms, app e social network: oggi più che mai disponiamo di strumenti e canali che offrono molteplici opportunità, ma che possono esporci anche a qualche rischio.

L’INPS è perciò in prima linea nel mettere in allerta gli utenti e segnalare i tentativi di frode che si verificano con diverse modalità, ma tutti finalizzati al furto di dati personali e sensibili.

Ecco un breve vademecum che raccoglie informazioni e consigli utili per difendersi dalle truffe.

Truffe online: il phishing

Tra le truffe più diffuse e insidiose, il phishing è un tipo di frode informatica che mira al furto dei dati sensibili.

Numerose le segnalazioni dell’INPS agli utenti su questo fronte: una delle modalità riscontrate, in particolare, è l’invio di false email  che invitano ad aggiornare i propri dati personali o le proprie coordinate bancarie, tramite un link cliccabile, per ricevere l’accredito di fantomatici pagamenti e rimborsi da parte dell’Istituto. In alcuni casi il link apre una falsa pagina dei servizi INPS.

I tentativi fraudolenti si sono verificati anche durante l’emergenza Covid-19, un’ulteriore occasione per provare a truffare gli utenti interessati alle prestazioni e ai servizi erogati dall’Istituto per fronteggiare la crisi dovuta alla pandemia.

Ne è un esempio il caso delle email di phishing finalizzate a sottrarre i dati della carta di credito con la falsa motivazione del pagamento del Bonus 600 euro o di altre indennità Covid-19.

Non solo email. È necessario fare attenzione anche agli SMS che inducono ad aprire un link per aggiornare la propria domanda Covid-19 e a installare un’app malevola. Questi SMS non sono inviati dall’INPS.

E sempre a proposito di emergenza Coronavirus e bonus INPS, l’Istituto ha smentito la notizia circolata recentemente su un fantomatico nuovo bonus, chiarendo che gli unici benefici attualmente concessi sono quelli già previsti dalle norme.

Truffe telefoniche

Gli utenti possono anche ricevere una telefonata nel corso della quale un finto operatore telefonico INPS chiede di conoscere i dati relativi alla propria posizione nell’ambito di soggetti di diritto privato, come società o associazioni.

Falsi funzionari

I tentativi di raggiro avvengono, inoltre, da parte di falsi funzionari INPS che possono presentarsi anche presso la propria abitazione. L’Istituto non invia incaricati presso il domicilio degli utenti e assistiti.

Prestiti e pubblicità ingannevole

Esistono società, non correlate e non riconducibili all’Istituto, che fanno riferimento nel proprio nome, in tutto o in parte, a “INPS” e che offrono servizi in termini equivoci o ingannevoli.

Si tratta di società d’intermediazione finanziaria che pubblicizzano, tramite SMS, prestiti sponsorizzati come “convenzionati” con l’Istituto, i cui siti non rimandano affatto ai benefici erogati istituzionalmente dall’INPS ai propri iscritti e pensionati.

Consigli utili

È importante ricordare che l’INPS non acquisisce in alcun caso, telefonicamente o via email ordinaria, le coordinate bancarie o altri dati che permettano di risalire a informazioni finanziarie. Inoltre, tutte le informazioni sulle prestazioni sono consultabili esclusivamente accedendo al sito istituzionale.

È, quindi, necessario:

  • non dare seguito a richieste che arrivino per email non certificata, telefono o tramite il porta a porta;
  • diffidare di qualsiasi persona dichiari di essere un incaricato o funzionario INPS e sostenga di dover effettuare accertamenti di varia natura;
  • prestare la massima attenzione alle comunicazioni che si ricevono, non cliccare sui link di email di origine dubbia e verificare sempre l’indirizzo di provenienza.

Sant’ Agata

 

Sant’ Agata


Sant' Agata

autore Guido Cagnacci anno 1635-1640 titolo Sant’Agata
Nome: Sant’ Agata
Titolo: Vergine e martire
Nascita: III Secolo, Catania
Morte: 5 febbraio 251, Catania
Ricorrenza: 5 febbraio
Tipologia: Memoria liturgica

La città di Catania ha l’onore di aver dato i natali a questo mistico fiore reciso dalla bufera nella persecuzione di Decio nell’anno 251, lo affermano con certezza i documenti che narrano il martirio della tanto amata Santa affermano.

Discendente d’illustre famiglia, nel fiore dell’età si era consacrata a Dio col voto di perfetta castità. Ma Quinziano, pretore della Sicilia, conosciutane la bellezza e l’immenso patrimonio, decise di sposarla, e vedendo che non riusciva con le lusinghe, pensò di saziare almeno la sua avarizia valendosi dei decreti imperiali allora pubblicati contro i Cristiani. Agata venne arrestata e per ordine del duce consegnata ad una donna malvagia di nome Afrodisia la quale, colle sue figliuole che menavano pure una vita scandalosa, aveva l’incarico di condurla poco per volta al male.

A nulla giovarono contro la giovane vergine le arti di quella spudorata megera, tanto che dopo un mese abbandonò la scellerata impresa.

Quinziano, informato dell’insuccesso, richiamò Agata al tribunale, e con tono benigno le disse: « Come mai tu che sei nobile ti abbassi alla vita umile e servile dei Cristiani? “Perchè, disse ella, sebbene io sia nobile, tuttavia sono schiava di Gesù Cristo.” Ed allora, continuò il giudice, in che consiste la vera nobiltà? “Nel servire Dio” fu la sapiente risposta. Egli irritato dalla fermezza della martire, la fece schiaffeggiare e gettare in carcere.

Martirio di Sant'Agata

Il giorno seguente Quinziano trovando in Agata non minore coraggio di prima, la fece stendere sul cavalletto, e più crudele di una belva, comandò che le fossero strappate le mammelle con le tenaglie. Dopo l’esecuzione dell’ordine feroce la fece rimettere in carcere vietando a chiunque di medicarla o di darle da mangiare. Ma Iddio si burla dell’arroganza e dei disegni umani; infatti in una visione apparve ad Agata l’Apostolo S. Pietro il quale, confortatala ricordandole la corona che l’attendeva, fece su di lei il segno della croce e la guarì completamente.

Non si può descrivere la sorpresa e insieme la bile di Quinziano quando, dopo quattro giorni, fatta di nuovo condurre Agata al tribunale, dovette constatare la prodigiosa guarigione. Al colmo della rabbia, preparato un gran braciere, in cui ai carboni ardenti erano mescolati cocci di vasi, vi fece stendere sopra e rigirare la vittima. Ad un tratto, mentre i carnefici compivano quell’orribile ufficio, un terribile terremoto scosse la città, e fra le altre vittime seppellì pure due intimi consiglieri del pretore. Frattanto tutta la città spaventata, cominciò a gridare che quello era un castigo di Dio per la crudeltà usata verso la sua serva e tutti correvano tumultuando verso la casa del pretore, il quale al sentire lo schiamazzo della folla, temendo che gli fosse tolta di mano la preda, nascostamente la rimandò nel carcere. La martire stremata di forze, ma lieta di aver consumato il suo sacrificio, in un supremo sforzo, congiunte le mani, così pregò: « Signore mio Dio, che mi avete protetto fin dall’infanzia ed avete estirpato dal mio cuore ogni affetto mondano e mi avete dato forza nei patimenti, ricevete ora in pace il mio spirito ». Ciò detto chiudeva per sempre gli occhi alla luce del mondo.

PRATICA. È ammirabile in S. Agata la purità dà intenzione con cui santificò l’offerta dei suoi beni e di se stessa cercando, in tutto, solo la gloria e l’onore del suo Dio.

PREGHIERA. O Signore, che fra gli altri prodigi della tua potenza hai dato anche al sesso debole la vittoria del martirio, concedi benigno a noi che celebriamo la festa della beata Agata, vergine e martire tua, di poter giungere a Te seguendo i suoi esempi.

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di sant’Agata, vergine e martire, che a Catania, ancora fanciulla, nell’imperversare della persecuzione conservò nel martirio illibato il corpo e integra la fede, offrendo la sua testimonianza per Cristo Signore.

La festa di Sant’Agata

Festa di Sant'Agata

Sant’Agata è la patrona di Catania, nei giorni dal 3 al 6 febbraio i catanesi indossano un tradizionale abito bianco composto da camici e guanti bianchi con in testa una papalina nera. La tradizione vuole che l’abito votivo altro non è che un saio penitenziale, indossata il 17 agosto, quando due soldati riportarono le reliquie a Catania da Costantinopoli.

Il fercolo d’argento con i resti della Santa posto su un carro legato da due cordoni di oltre 100 metri vine sostenuto da centinaia di “Devoti” che fino al 6 febbraio tirano instancabilmente il carro. La Vara viene portata in processione insieme a dodici candelore appartenenti ciascuna alle corporazioni degli artigiani cittadini. Tutto avviene fra ali di folla che agita bianchi fazzoletti e grida Cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti. È considerata tra le tre principali feste cattoliche a livello mondiale per affluenza.