Archivi giornalieri: 6 febbraio 2021

INNO ROMANITA’ FASCISMO

INNO ROMANITA’ FASCISMO
di Francesco Casula
Nei confronti dell’Inno “Fratelli d’Italia” nutro in primis una repulsione per motivi di salute: quando lo sento mi viene l’orticaria.
Ma la repulsione per motivi culturali e politici è ben più corposa: a parte che è brutto bellicista militarista militaresco e ultraretorico riassume una “storia” falsa e falsificata: “Dall’Alpe a Sicilia dovunque è Legnano;
ogn’uom di Ferruccio ha il core e la mano;
I bimbi d’Italia si chiaman Balilla;
il suon d’ogni squilla i Vespri suonò”: Di grazia che c’entrano i combattenti della Lega lombarda, i Vespri siciliani, Francesco Ferrucci, morto nel 1530 nella difesa di Firenze, Balilla, ragazzino che nel 1746 avvia una rivolta a Genova contro gli austriaci, con l’Italia, il suo “Risorgimento”, la sua Unità?
E’ stata questa la versione distorta e falsificata della storia italica offerta e propinata dai leader e dagli intellettuali nazionalisti dell’Ottocento, di cui un secolo di ricerca storica ha preso a roncolate mostrando l’infondatezza di tale pretesa. Anche perché non la puoi dare a bere a nessuno l’idea che questi «italiani» fossero buoni, sfruttati e oppressi da stranieri violenti, selvaggi e stupratori, stranieri che di volta in volta erano tedeschi, francesi, austriaci o spagnoli.
Ma quello che maggiormente disturba è la vomitevole “romanità” di cui è impastato: romanità (Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta;
dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa), non a caso, sposata e celebrata dal Fascismo, dal cui mito fu animato fin dalla primavera del 1921 quando Mussolini lanciò l’iniziativa di celebrare il Natale di Roma il 21 aprile di ogni anno e nel novembre di quell’anno, nello statuto del neonato Pnf, i fascisti definirono il partito come una milizia al servizio della nazione. Mutuando da Roma le insegne, come i gagliardetti con il fascio, le aquile e il gesto di saluto con il braccio teso.
Scrive Mussolini: ”Celebrare il Natale di Roma significa celebrare il nostro tipo di civiltà, significa esaltare la nostra storia, e la nostra razza, significa poggiare fermamente sul passato per meglio slanciarsi verso l’avvenire. Roma e Italia sono due termini inscindibili. […] Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento, il nostro simbolo, o se si vuole, il nostro mito. […] Molto di quel che fu lo spirito immortale di Roma risorge nel fascismo: romano è il Littorio, romana è la nostra organizzazione di combattimento, romano è il nostro orgoglio e il nostro coraggio : Civis romanus sum” !*
Ma il nucleo più forte che il fascismo mutuò dalla “romanità” fu il mito dell’impero che sembrò realizzarsi con la conquista dell’Etiopia il 9 maggio 1936, tanto che Mussolini dichiarò dal balcone di palazzo Venezia che l’Impero era tornato sui « colli fatali » di Roma, con il ritorno in Italia delle immagini della romanità e della missione gloriosa della caput mundi.
Con il Duce celebrato come « il novello Augusto della risorta Italia imperiale », «un genuino discendente di sangue degli antichi romani».
Lo testimoniava, – secondo l’archeologo Giulio Quirino Giglioli – l’origine romagnola di Mussolini il quale «era degno emulo di Cesare e di Augusto perché artefice di una nuova era della romanità nell’epoca moderna» Altri noti studiosi si impegnarono nel sostenere l’identità fra il duce del fascismo e gli imperatori romani, o anche a dimostrare la superiorità di Mussolini su Cesare o su Costantino.
Amen!

* Benito Mussolini, « Passato e avvenire », Il Popolo d’Italia, 21 aprile 1922, p. 1.

Sospensione didattica in presenza. Online l’istanza di congedo Covid19

Sospensione didattica in presenza. Online l’istanza di congedo Covid19

Con il messaggio 5 febbraio 2021, n. 515 l’INPS informa i genitori dipendenti che è disponibile la procedura per l’invio on line delle domande di Congedo straordinario per sospensione dell’attività didattica in presenza.

Il congedo straordinario si rivolge ai genitori, lavoratori dipendenti, di figli frequentanti le classi seconda e terza delle scuole secondarie di primo grado situate nelle aree cosiddette zone rosse del territorio nazionale, in caso di sospensione dell’attività didattica in presenza, e ai i genitori di figli in situazione di disabilità gravein caso di sospensione della didattica in presenza di scuole di ogni ordine e grado o in caso di chiusura dei centri diurni a carattere assistenziale, indipendentemente dallo scenario di gravità e dal livello di rischio in cui è inserita la regione dove è ubicata la scuola o il centro di assistenza.

La domanda può essere presentata esclusivamente in modalità telematica e può riguardare anche periodi di sospensione antecedenti alla data di presentazione della stessa, ma comunque non anteriori al 9 novembre 2020.

Pensioni

 

Pensioni: per Salvini no fiducia a Draghi se vuole l’azzeramento di quota 100

 
 

Oggi la Lega sarà alle consultazioni con il Presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi, e sulle pensioni Salvini è pronto a dire la sua

Quota 100 sparirà nel 2021, perché dal 1° gennaio 2022 la misura non sarà più in funzione. Naturalmente non per chi ha maturato i requisiti di accesso entro la fine del 2021, cioè per chi il 31 dicembre scorso aveva già completato i 62 anni di età ed i 38 anni di contributi come previsto dalla misura.

La chiusura di quota 100 con il nuovo Presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi non centra nulla. La decisione di non proseguire con la misura (non di fermarla perché la quota 100 è nata per essere valida per il triennio 2019-2021) deriva dall’ultimo governo Conte, che ha deciso di confermarne la fine nel 2021.

Bisogna vedere cosa ci sarà nel dossier del nuovo Presidente Draghi, se davvero avrà la fiducia e diventerà Premier. Le pensioni sono sempre un tassello molto importante per l’operato dei governi italiani. Per questo nelle consultazioni Salvini oggi metterà anche le pensioni al centro del discorso, almeno stando alle ultime dichiarazioni del leader leghista.

Governo Draghi: Salvini e quota 100

Che quota 100 sia un cavallo di battaglia della Lega e di Matteo Salvini è una cosa certa, così come il reddito di cittadinanza lo è per Di Maio e per il Movimento 5 Stelle. La Lega e Salvini continuano a difendere a spada tratta la quota 100 per l’uscita anticipata dal lavoro, ma le ultime notizie, soprattutto per via dei soldi che l’Europa deve dare all’Italia con il Recovery Plan non lasciano grandi speranze ad un ritorno di fiamma di quota 100 e forse nemmeno di misure di pensionamento anticipate.

Se non vuole Bruxelles, immaginate un nuovo governo che ha nel piano del Recovery e nella campagna vaccinale le priorità. “Non diremo mai sì a chi vuole la patrimoniale o l’azzeramento di quota 100”, così Salvini ha confermato la linea sulle pensioni che la Lega da anni persegue. “Ma non è un no a persone o simboli, sarebbe un no sui temi”, così Salvini ha anticipato quello che oggi la delegazione della Lega andrà a riferire al neo Presidente del Consiglio Draghi.

La Lega unita dietro al suo leader

In queste ore si è parlato di un ingresso della Lega nel governo, magari con un Ministero per quello che viene considerato il leghista meno radicale, Giorgetti. Sui contenuti di un eventuale governo però, i leghisti sembrano tutti uniti e tra questi anche sulle pensioni.

Lo dimostrano anche le dichiarazioni che il leghista Claudio Durigon ha rilasciato a Radio Cusano Campus. “Siamo di fronte ad un periodo storico pazzesco. Togliere quota 100 significherebbe proporre una nuova riforma pensionistica che sia adeguata al momento economico”, così Durigon ha aperto ad una riforma necessaria dal momento che senza quota 100 la situazione previdenziale rischia di imlpodere tra scalone di 5 anni e ritorno alle regole Fornero.

Reddito di cittadinanza e Quota 100 va superato, lo dice Confindustria a Draghi

Anche gli industriali contro quota 100 e reddito di cittadinanza. Questo ciò che emerge da alcune dichiarazioni del Presidente di Confindustria Bonomi che ha suggerito alcune priorità al nuovo Governo Draghi se dalle consultazioni il Premier incaricato avrà una fiducia dai partiti politici.

Suggerimenti di Bonomi che vanno nella direzione di cancellare del tutto le due misure principali del governo gialloverde, del primo governo Conte, quello con Lega e Movimento 5 Stelle in maggioranza.

Da quota 100 al reddito di cittadinanza, sprechi secondo Bonomi?

Recovery fund, campagna vaccinale, stop divieto di licenziamenti a marzo, sono questi i principali argomenti che un eventuale nuovo governo Draghi dovrà fin da subito affrontare. Ma non meno importante è la riforma delle pensioni, necessaria per evitare lo scalone che quota 100 lascerà sul campo nel 2022.

Ma c’è anche il reddito di cittadinanza da ritoccare perché se dal punto di vista assistenziale la misura non sembra aver fallito, visti i numeri delle famiglie che percepiscono il sussidio, non è così per il lato delle politiche attive sul lavoro. Un flop autentico quello del ricollocamento lavorativo dei soggetti attivabili che percepiscono il sussidio.

Da Confindustria però arriva una specie di bocciatura totale di entrambe le misure. Il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi sostanzialmente chiede a Draghi di superare la Quota 100 e il reddito di cittadinanza, quasi fossero due autentici sprechi. “Non è fattibile l’idea che mandando anticipatamente in pensione i più anziani, a partire da 62 anni di età e 38 anni di contributi come prevede la formula Quota 100, si creino nuovi posti di lavoro”, questo ciò che ha detto Bonomi sulla quota 100.

«Abbiamo sempre avvertito che Quota 100 avrebbe creato problemi di sostenibilità del debito pubblico e aggravato l’ingiustizia verso i più giovani”, così Bonomi ha bocciato su tutta la linea quota 100 come si legge sul quotidiano “La Stampa” che ha intervistato il numero uno di Confindustria.

Reddito di cittadinanza e politiche attive, bocciatura su tutta la linea

“Il reddito di cittadinanza, come strumento per favorire la ricerca di un lavoro ha fallito», così Bonomi ha bocciato la misura tanto cara ai pentastellati. Naturalmente non è solo Confindustria a puntare il dito contro il reddito di cittadinanza dal punto di vista delle politiche attive sul lavoro.

Infatti che la misura abbia funzionato perfettamente come semplice sussidio, alla stregua magari del reddito di emergenza in questa fase delicata per via del Covid, è innegabile. Il fatto è che il reddito di cittadinanza nasceva per consentire il reinserimento sociale e lavorativi di persone disagiate a tal punto da essere destinatarie di questo aiuto.

Che ci sia bisogni di un restyling della misura è evidente, e probabilmente il Presidente di Confindustria chiede proprio un ritocco quando parla di superamento della misura. Abolirla in una fase di grave crisi come quella di oggi, probabilmente non si potrà fare.

Fear The Walking Dead, anticipazioni settima stagione: il ritorno di Victor Strand

La seconda parte della serie spin-off, Fear The Walking Dead 6, sarà mandata in onda dall’emittente televisiva AMC il prossimo 11 aprile; tuttavia, la serie è stata rinnovata per una settima stagione con la conferma del ritorno di un nuovo personaggio all’interno del cast.

Fear The Walking Dead sta per concludersi: cosa succederà? Ecco cosa ne pensa Colman Domingo

L’attore di Victor Strand, Colman Domingo, è già pronto a mettersi in gioco per la settima stagione, dichiarando che la serie affronterà uno dei momenti migliori che siano mai stati concepiti per una trama da The Walking Dead: «Penso che stiamo vivendo la stagione migliore che abbiamo avuto. Continuiamo a raddoppiare la posta in gioco e continua a diventare tutto un po’ più epico, e i personaggi stanno crescendo», queste sono le parole di Domingo durante un’intervista per ET Canada sulla seconda parte della sesta stagione.

Continua raccontando del suo personaggio e quanto sia importante inquadrare i «cambiamenti» che hanno caratterizzato Victor Strand: «E il mio personaggio è stato presente sin dall’inizio, quindi penso che abbia avuto molte evoluzioni. Ora vedremo uno Strand 6.0, o 7.0, poiché stiamo per iniziare le riprese della stagione 7 tra due mesi. Adoro il lavoro. È divertente, è una narrazione epica, ma in realtà si tratta solo di essere umani. Questo è ciò di cui parla lo spettacolo, e c’è sempre molta più storia da raccontare».

La settima stagione sarà piena di sorprese: Victor Strand morirà?

Scott Gimple, co-sceneggiatore di Fear The Walking Dead, ha detto sulla seconda parte che sarà «piena di intensità con shock, paure, crepacuore e rivelazioni». La sesta stagione del serial dovrebbe essere la penultima prima della sua chiusura definitiva; se il personaggio di Colman Domingo dovesse uscire di scena, lo stesso attore per sua stessa testimonianza, renderebbe la trama ancora più avvincente.

«Guardo sempre le ultime pagine della sceneggiatura per vedere se muoio. Non so perché, ma mi sento come il mio personaggio, ha avuto nove vite o qualcosa del genere. Non ho più quella paura. Se mi uccideranno, voglio solo che sia una trama davvero buona. Sono qui per questo. Se decidono di uccidermi nel prossimo episodio, lasciate che sia fantastico» ha dichiarato l’attore di Victor Strand.

Leggi anche: The Walking Dead 10, anticipazioni della puntata extra «Home Sweet Home»: il ritorno di Negan e Maggie

Covid: positivi calano, morti no. L’epidemiologo La Vecchia: “Numero casi inferiore a quello effettivo”

Oltre 90.000. È il numero dei morti da quando è esplosa la pandemia Covid in Italia. Un numero che fa paura e che oggi parla dell’equivalente di un’intera città strappato alla vita.

Nelle ultime settimane il bollettino del coronavirus ha fatto registrare qualche segnale di frenata, ma il dato che colpisce è che il numero delle vittime continua ad essere alto. Inevitabile chiedersi il perché e girare la questione alla scienza. Ad esprimere il suo punto di vista in un’intervista a Repubblica è stato Carlo La Vecchia, docente di Epidemiologia all’Università di Milano.

Positivi coronavirus in Italia, sarebbero molti di più rispetto a quelli che emergono

La domanda è chiara: perché le statistiche sulle vittime continuano a non scendere, a fronte di un calo dei casi di coronavirus censiti ogni giorno? «Anche perché li numero dei casi – ha evidenziato – che vediamo è inferiore a quello effettivo. La mia stima è che oggi in Italia ci siano il doppio dei positivi di quelli che intercettiamo, cioè circa il 2% degli abitanti, un milione di persone».

La criticità da cui deriva la tesi dallo scienziato è quella che, da tempo, viene ritenuta la caratteristica più subdola del Covid: la presenza di persone che possono diffondere il virus senza presentare sintomi o avendone pochi.

Morti Covid in Italia: vale il criterio dettato dall’Oms secondo il professor La Vecchia

Un’altra questione legata all’elaborazione e all’analisi dei dati sul Covid è stata la presunta differenza tra «morti con il coronavirus» o «morti per coronavirus». Una diatriba nata quasi per arrivare ad ottenere un effetto tranquillizzante rispetto alla possibilità che l’azione del virus potesse essere letale solo per coloro i quali fossero avanti con gli anni e/o presentassero comorbidità rilevanti.

In particolare era stata avanzata la possibilità che l’Italia presentasse un dato più alto di morti in relazione ad un conteggio regolato da parametri diversi. La Vecchia ha messo in rilievo il fatto che, a livello internazionale, il criterio seguito è quello dettato dall’Oms «Il Covid – ha specificato – ha la priorità rispetto ad altre malattie».

«Se – ha specificato – sul certificato di morte ci sono più cause, anche tre o quattro, tra le quali anche il Covid, il sistema automatico attribuisce il decesso a quella patologia».

Come lo stesso professore ha segnalato questo non è un sistema sbagliato. «È vero – ha specificato – che i morti hanno anche altre malattie ma sarebbero sopravvissuti mesi o anni senza il Covid. Forse un po’ di sovra certificazione c’è, ma è un fenomeno presente in tutti i Paesi».

Morti Covid in Italia: serve tempo perché il peggio passi

L’aspetto peggiore relativamente alla pandemia da Covid-19 è che ci si è quasi abituati all’idea che ogni giorno ci si debba confrontare con centinaia di morti che, senza il coronavirus, avrebbero potuto vivere ancora.

La brutta notizia che proviene da una fonte scientifica come il professor Carlo La Vecchia è che per vedere un po’ di luce in fondo al tunnel occorrerà aspettare. «I decessi – ha spiegato – sono sono circa il 3% dei nuovi positivi di due settimane prima. Con questi numeri di contagi ci vorrà quindi ancora molto tempo perché le morti scendano dalle 4-500 al giorno di adesso».

San Paolo Miki e compagni

San Paolo Miki e compagni


Nome: San Paolo Miki e compagni
Titolo: Martiri
Nascita: 1556 circa, Kyoto, Giappone
Morte: 5 febbraio 1597, Nagasaki, Giappone
Ricorrenza: 6 febbraio
Tipologia: Memoria liturgica

Paolo Miki è il primo martire giapponese, o meglio il primo giapponese caduto martire per la propria fede cristiana. Va chiarito infatti che non si tratta di un missionario caduto in Giappone, ma di un cristiano del Giappone, esemplare nella vita ed esemplare soprattutto nella morte.

La sua vita del resto fu molto semplice, lineare. Egli appartenne allo stuolo, veramente imponente, dei primi convertiti giapponesi dopo il più antico tentativo di evangelizzazione di quel lontanissimo paese, legato, come si sa, alla storia e alla gloria del grande San Francesco Saverio.

Francesco Saverio era stato in Giappone verso il 1550, e vi aveva gettato i primi fertili semi dell’apostolato cristiano. Dopo di lui, l’opera venne proseguita dai suoi confratelli della Compagnia di Gesù, con successo davvero sorprendente, se si pensa alle difficoltà di quell’ambiente e di quella mentalità così diversa dall’occidentale, e anche alla complicatissima lingua giapponese.
Meno di trent’anni dopo, nel 1587, si contavano in Giappone più di duecentomila cristiani. Uno di questi era il giovane Paolo Miki, nato a Kioto – la capitale dell’arte e della cultura nel paese del Sol Levante – nel 1556. Battezzato a cinque anni, Paolo Miki era entrato ventenne nel seminario dei Gesuiti, ad Anzuciana. Presto era diventato novizio nella Compagnia, aggregandosi poi, con i voti solenni, al manipolo dei seguaci di Sant’Ignazio.

Per lui, giapponese di lingua e di cultura, lo studio del latino fu, comprensibilmente, irto di difficoltà. In compenso divenne un ottimo conoscitore delle dottrine e delle usanze buddiste, e ciò gli permise di sostenere utilmente le discussioni con i dotti del luogo, ottenendo numerose conversioni.

Il Padre Miki, gesuita giapponese, fu infatti ottimo e suadente predicatore. Venne considerato il migliore del proprio tempo, e fu scritto di lui che « mostrava il suo zelo più con i sentimenti affettuosi che con le parole ».
Fino al 1590, i missionari cristiani furono circondati, in Giappone, da un clima di tolleranza e spesso di benevolenza. Ma improvvisamente, per diversi e complessi motivi, lo shagun Taicosama decretò l’espulsione dai suoi stati dei missionari gesuiti. Gran parte dei religiosi restò, nascondendosi e proseguendo la loro opera di apostolato in modo semiclandestino. Ma l’arrivo di nuovi missionari e il loro troppo clamoroso preselitismo urtò Taicosama il quale, nel 1596, decretò l’arresto di tutti i missionari.

Paolo Miki venne catturato ad Osaka, con due compagni. Trasferito in carcere a Meaco, vi trovò altri cristiani e missionari, ventisei in tutto: 6 francescani, 3 gesuiti giapponesi e 17 laici giapponesi, tra i quali due ragazzi di 11 e 13 anni. Subirono tutti raffinate e umilianti torture, tra le quali il taglio dell’orecchio sinistro, e l’esposizione allo scherno della popolazione. I persecutori tentarono anche di farli rinnegare, ma nessuno dei ventisei disertò.
Finalmente, il 5 febbraio 1597, vennero messi a morte su una collina presso Nagasaki, chiamata poi « la santa collina ». Legati con funi sulle croci, vennero trafitti da due lance incrociate, trapassanti il cuore.

Il ragazzo di 13 anni intonò, sulla croce, l’inno Laudate pueri Dominum; Paolo Miki, prima di morire, parlò un’ultima volta con eloquenza divinamente ispirata, perdonando i propri carnefici. Sulla croce eretta sopra la collina di Nagasaki, il primo martire giapponese apparve veramente come un vessillo, non di sconfitta, ma di perenne vittoria.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Nagasaki, in Giappone, la passione di ventisei Martiri, dei quali tre Sacerdoti, uno Chierico e due laici dell’Ordine dei Minori, altri tre, fra i quali uno Chierico, della Compagnia di Gesù, e diciassette appartenenti al Terz’Ordine di san Francésco, i quali tutti per la fede cattolica messi in croce, e trapassati a colpi di lancia, lodando il Signore e predicando la medesima fede, morirono gloriosamente, e dal Sommo Pontefice Pio nono furono ascritti nel catalogo dei Santi.