Archivi giornalieri: 18 dicembre 2015

L’anno terribile di profughi e migranti

 

Ban Ki-moon ricorda che cinquemila persone sono morte nel tentativo di trovare protezione o una vita migliore

18 dicembre 2015

 
 

 

New York, 18. «Il 2015 verrà ricordato come un anno di sofferenza umana e di tragedie dei migranti. Negli ultimi dodici mesi mesi, più di cinquemila donne, uomini e bambini hanno perso la vita alla ricerca di protezione e di una vita migliore. 

Migranti dietro il filo spinato al confine tra Ungheria e Serbia (Afp)

Altre decine di migliaia sono state sfruttate e violate dai trafficanti di esseri umani. E milioni di persone sono state considerate capri espiatori e sono divenute l’obiettivo di politiche xenofobe e di una retorica allarmista». Lo scrive il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel suo messaggio per la Giornata internazionale del migrante, che si celebra oggi. Una giornata funestata anch’ essa dall’ennesima tragedia in Mediterraneo, dove iracheni, compresi due bambini, sono morti nel naufragio di un’imbarcazione al largo di Bodrum, città turca sull’Egeo, mentre cercavano di arrivare in Grecia. Nel suo messaggio, pur sollecitando un maggiore impegno a favorire l’emigrazione regolare, Ban Ki-moon non fa differenza tra profughi e migranti.

 

Osservatore Romano

L’Onu contro i finanziamenti ai jihadisti dell’Is

Approvata all’unanimità una risoluzione che rafforza i controlli · 18 dicembre 2015 Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dà prova di compattezza nella lotta contro lo Stato islamico (Is). È stato dato ieri il via libera all’unanimità a una risoluzione che rafforza le sanzioni contro chi fa affari e finanzia l’organizzazione jihadista.Il documento, elaborato congiuntamente da Stati Uniti e Russia, punta a colpire il sostegno finanziario ed economico agli uomini di Al Baghdadi, bloccando così la loro avanzata in Vicino e Medio oriente. L’auspicio è che la risoluzione possa diventare la base di futuri accordi sulla transizione politica siriana. L’intesa per bloccare i finanziamenti risulta ancor più importante dato che — come ha sottolineato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon — «i terroristi continuano a diversificare le loro fonti di sostentamento, al punto che il gruppo oggi ha costruito un impero multimilionario». Nelle 28 pagine della risoluzione si invitano i Paesi membri a riferire quali misure stanno adottando per impedire alle organizzazioni terroristiche di accumulare denaro; si punta poi a evitare che i gruppi possano usare le banche internazionali e si rafforzano gli sforzi di monitoraggio da parte dell’Onu. Il documento rafforza le sanzioni in vigore da oltre una decina di anni, che spesso sono state calpestate, e amplia le misure già disposte per altre organizzazioni. – See more at: http://www.osservatoreromano.va/it/news/lonu-contro-i-finanziamenti-ai-jihadisti-dell#sthash.9xscsKbu.dpuf

Armando Cossutta, carissimo avversario

Armando Cossutta, carissimo avversario

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Milano, Armando Cossutta con la moglie Emi Clemente alla manifestazione per il 60esimo della Liberazione© LaPresse

16.12.2015

15.12.2015, 23:59

16.12.2015, 9:37

Nella storia, noi ingraiani del Pci, e ancor più noi del Manifesto e poi del Pdup, siamo annoverati fra gli avversari di Armando Cossutta. E non si può certo negare che il contrasto politico sia stato fra noi duro e di sostanza. E però io, ma credo anche gli altri miei compagni, provo grande tristezza nel momento in cui apprendo della sua scomparsa. Non solo per nostalgia della nostra vecchia comunità comunista che ogni giorno riceve dalla realtà attuale una nuova botta, sicché gli antichi contrasti ci sembrano minuzie rispetto ai solchi che oggi si sono aperti con una sua parte così consistente, quella che ancora sta nel Pd. Non solo. È perché io a Cossutta volevo bene, e credo lui ne volesse a noi: nonostante la durezza della nostra radiazione, cui il gruppo di compagni che a Cossutta si ispirava dette un sostanziale contributo, è rimasta reciproca stima. Che ci consentì di ritrovarci assieme, impegnati sullo stesso fronte, a partire dall’avvio del processo di scioglimento del Pci, nel 1989.

Quando io militante molto romana ho sentito per la prima volta il suo nome è stato peraltro in una fase in cui siamo stati dalla stessa parte: lui dirigente di primo piano della Federazione di Milano, io ancora impegnata nella ribellione della Federazione giovanile contro la settaria chiusura di una parte dei vecchi. Che a Milano avevano una vera roccaforte contro cui si batterono, membri della stessa segreteria federale, sia Rossana Rossanda che Cossutta. È stato solo anni dopo che diventò esplicito tema di scontro politico il giudizio sull’Urss, e dunque il tema del rapporto fra il Pci e il Pcus.

Ancor oggi mi chiedo il perché di quel suo filosovietismo, che peraltro lui stesso ripensò quando all’inizio degli anni Novanta venne un giorno nella redazione del manifesto per ragionarne con pacatezza, riconoscendo la validità delle nostre obiezioni che erano invece state solo frettolosamente condannate.

È un interrogativo che riguarda tutto il Pci, anche se la corrente «cossuttiana» protrasse a lungo la sua fedeltà, in polemica con la rottura che Berlinguer aveva invece operato nel 1981. Io credo che più che un giudizio di merito sui pregi di quel socialismo già dagli anni Sessanta così segnato dal «breznevismo», si sia trattato del timore che, nel condannare quell’esperienza, venisse meno nel grande corpo dei comunisti italiani l’orizzonte dell’alterità, la coscienza che nonostante l’accettazione da parte del Pci delle regole del sistema democratico rappresentativo, il suo pieno inserimento nelle sue istituzioni, non si era perduto l’obiettivo strategico: la costruzione di una società alternativa al capitalismo. Una esigenza che forse proprio lui sentiva di più per esser stato per anni responsabile della politica degli enti locali del partito, che ha orientato nel senso delle più spericolate alleanze moderate.

Il legame con Mosca, insomma, era per lui una sorta di polizza di sicurezza, di certificazione del permanere di una identità rivoluzionaria.

Molti anni dopo, del resto, nella prima fase di vita di Rifondazione Comunista, quando si strinse fra Armando Cossutta (non con tutti i suoi) e i compagni ex Pdup che in quel partito erano entrati, un accordo forte sui connotati che la nuova formazione avrebbe dovuto avere, non ci fu alcun dissenso sul documento politico approntato per il Congresso costitutivo, in cui netta fu la presa di distanza dall’esperienza sovietica. (Non la cancellazione dell’importanza della rivoluzione d’ottobre, come poi il Pds si affrettò a fare, che era bene — si riaffermò — ci fosse stata, pur «avendo esaurito la sua carica propulsiva», per citare la frase di Berlinguer).

Con Cossutta, dicevo, ci siamo ritrovati dopo la Bolognina. Lui non era più nella direzione del partito, come del resto Ingrao. C’era stato un ricambio. E perciò a votare subito contro la proposta di Occhetto ci ritrovammo solo in tre: un’inedita coalizione, due ex Pdup (rientrato nel Pci poco prima della morte di Berlinguer), io e Magri, e Cazzaniga, giovane filosofo di Pisa, in quota Cossutta.

L’alleanza, come è noto, non si saldò subito, e a contestare la scelta dello scioglimento del Partito furono due diverse mozioni: la numero 2 che aggregava ingraiani e i più autorevoli berlingueriani, la numero 3, quella dei cossuttiani. Ma dopo il congresso di Bologna, in vista del ventesimo di Rimini, che avrebbe dovuto confermare la scelta, i due gruppi si unificarono e fu presentata una sola mozione. Insieme ottenemmo l’adesione del 35% del partito.

Perdemmo, ma non si trattava di una forza di poco conto. La divisione si riprodusse sul che fare di questa forza, se usarla dentro il partito o invece per costruirne un altro. Ad Arco di Trento, dove si tenne l’ultima nostra assemblea precongressuale, i due vecchi leader, Ingrao e Cossutta, tornarono a dividersi: Ingrao disse io comunque resto nel gorgo, Cossutta io comunque esco. Ma le due componenti si mischiarono nella scelta sicché a fondare il primo nucleo di Rifondazione furono compagni che provenivano da posizioni assai diverse.

Non starò certo a rifare la storia di quel tempo ormai remoto. Se non per testimoniare del legame strettissimo che si creò fra noi e Cossutta, e del coraggio di Armando nell’affrontare la diffidenza «antimanifestina» dei suoi vecchi compagni nei nostri confronti.

A me fu affidata la direzione del settimanale Liberazione, un compito difficilissimo, vi assicuro, per gli assalti continui che dovetti subire per le scelte che compivo. Ma sempre ho potuto contare sulla leale difesa di Cossutta. Che a Lucio Magri affidò addirittura la relazione al II° congresso di Rifondazione, nel momento burrascoso dell’arrivo sulla scena di Berlusconi e mentre il Pds ancora oscillava fra alleanza centrista e centrosinistra.

In quella fase Cossutta aveva ancora il controllo determinante del nuovo partito per il peso che vi aveva la vecchia base del Pci, ma ne temeva la deriva settaria, così come quella dei nuovi arrivati non provenienti dalle fila del Pci: i sindacalisti di base fuori dalla Cgil e Democrazia Proletaria. Bisognava trovare una figura per dirigere Rifondazione che non avesse vissuto gli scontri interni al Pci sì da superare i rancori del passato. Ed è così, di nuovo in accordo con Magri, che si pensò a Bertinotti, che aveva una storia socialista e sindacalista, non il nostro vissuto.

Mi fermo qui: raccontare quanto accadde dopo significherebbe riaprire un dibattito troppo vecchio e che comunque non è certo questa l’occasione per riattivare. Se ne ho accennato è per dire di come sia possibile superare vecchie rotture e costruire inediti accordi, un’esperienza da rinverdire.

Ad Armando Cossutta, che era il più anziano ed autorevole fra noi, va il merito di essersi mosso senza arroganze, senza sotterfugi, con intelligenza e lealtà. Le rotture successive di Rifondazione — quella che spinse molti di noi ex Pdup ad abbandonare nel 94–95, quella che indusse lo stesso Cossutta a rompere nel 1998; e infine quella di Sel — hanno tutte origine nel nodo irrisolto della discussione che seguì quel secondo congresso di Rifondazione che pure si era concluso quasi all’unanimità.

Se non suonasse retorico mi verrebbe di promettere, in morte di un compagno cui leviamo le bandiere e di cui piangiamo la scomparsa, che ci impegneremo finalmente a condurre su questi temi una riflessione comune e pacata. Ciao compagno Cossutta

Intervista a Fabio Mussi

Posted by on mercoledì, dicembre 16, 2015 · Leave a Comment  

Fabio_Mussi_Trento_2007

Fabio Mussi è stato un dirigente del PCI e poi del PDS e dei DS. Non ha invece condiviso la scelta della fondazione del Partito Democratico, fondando il nuovo soggetto Sinistra Democratica. Con l’obiettivo generale di chiarire meglio la storia della seconda repubblica italiana, questa intervista -che segue ad altre condotte dai curatori a personalità della sinistra italiana- approfondisce alcuni passaggi di questo percorso politico, partendo dagli ultimi anni del PCI.


La crisi che viviamo, avanti tutto di civiltà, ha in qualche misura svelato la reale natura di una dottrina ideologica, quella neoliberista, ai cui assunti di fondo la sinistra, in particolare quella europea, è stata subalterna culturalmente prima ancora che politicamente. Cosa ritieni ci sia stato alla base di questo pressoché totale appiattimento?

Non c’è un singolo momento in cui avviene questa metamorfosi. L’assoggettamento della politica al capitale finanziario avviene per gradi. Bisognerebbe ricostruire l’albero degli eventi, vedendo come a ogni bivio si è preso il ramo sbagliato. All’origine di questa fase storica, che viene chiamata rivoluzione neoliberista, la leadership degli USA è in mano a Reagan, in Europa alla Thatcher. Vengono operati dei cambiamenti profondi del sistema economico, primo tra tutti la libertà di circolazione dei capitali, fino al superamento degli accordi di Bretton Woods. Ma al seguito delle misure che hanno aperto la strada al dominio del capitale finanziario, vanno ricordati diversi altri passaggi. Per esempio, nel 1999, Presidente Clinton, viene abolita la legge Glass-Steagall del 1933, che aveva separato le banche d’affari dalle banche di risparmio. Si è tornati alla banca universale, quella che non distingue più tra risorse ricavate dal risparmio e risorse proprie. La politica economica è interamente volta a costruire il primato della finanza, che diviene un’immensa potenza assolutamente scatenata, che non ha più limiti, contrappesi, controlli, fino alla situazione attuale, in cui circolano nel mondo equivalenti monetari per 920.000 miliardi di dollari. Ogni anno si stima che l’umanità con il suo lavoro produca circa 65.000 miliardi di dollari, dunque siamo a 13-14 volte il PIL mondiale. Di questa immensa massa monetaria 1 unità su 10 è di produzione pubblica, le restanti 9 di produzione privata. Ormai è il capitale finanziario che stabilisce le politiche monetarie ed economiche. E di questa immensa quantità di liquidità ho visto che circa 220.000 miliardi sono le risorse di quella che viene chiamata finanza primaria (azioni, obbligazioni, risparmi), 700.000 miliardi sono invece derivati. Gran parte degli scambi sono High Frequency Trading, ad “alta velocità”: decidono gli algoritmi dei computer. Luciano Gallino ha parlato della velocità degli scambi su Wall Street: 22.000 operazioni al secondo. Attraverso computer guidati da algoritmi le risorse prodotte dal lavoro di grandi masse di persone e vengono trasferite istantaneamente nelle tasche di un’oligarchia, che diversi autori americani si sforzano di definire: super-classe, Signori dell’universo, oligarchia staccata dal resto degli umani… Insomma, ci sono 30 anni in cui questo processo diventa una valanga e incrocia una generazione di leader dell’area democratica e socialista negli anni ’90, Clinton, Blair, Schroeder, D’Alema, i quali si convincono in sostanza che il mercato deve essere assecondato, che la globalizzazione, che ha le sue regole, deve essere per quanto possibile temperata, ma le sue esigenze (lavoro flessibile, bassi salari, fine della forza contrattuale dei sindacati, assoluta libertà dei movimenti dei capitali) non possano che essere soddisfatte. È un processo di degrado intellettuale e politico di quella che una volta che si chiamava sinistra, protagonista in Europa della stagione socialdemocratica. Parlo del grande compromesso tra capitale e lavoro, che aveva portato una legislazione del lavoro evoluta, il riconoscimento di diritti, lo Stato sociale. Si passa dai “Trenta gloriosi” ai Trenta ingloriosi dell’età neoliberista, che ha portato al mondo attuale. Un mondo che appare fuori controllo, ingovernabile, che ha moltiplicato conflitti, guerre, regressioni tribali. È stata dichiarata la fine dell’era delle ideologie. Ebbene, non c’è mai stata un epoca segnata da una produzione ideologica tanto massiccia quanto quella attuale. Una delle dimensioni addirittura divinizzate da questa produzione è, come è noto, il Mercato, che però a ben vedere non esiste. Mi spiego: qual è la principale merce che viene ad oggi scambiata sul mercato?

Il denaro.

Esatto. E cosa dovrebbe determinare il prezzo del denaro nel libero mercato?

I tassi di interesse.

Bene. Ci sono stati degli episodi in questi ultimi anni e mesi, che hanno ricevuto una scarsa eco di stampa, visto che una prima pagina sulla notizia l’ha fatta solo l’Avvenire, giornale dei vescovi. Parlo del fatto che le maggiori banche europee e americane hanno patteggiato multe da miliardi di dollari per aver manipolato i Libor e gli Euribor (cioè i tassi base, da cui dipendono tutti gli altri). Si è concluso presso la Corte americana, con una transazione miliardaria di alcune delle maggiori banche europee e nordamericane, un megaprocesso, in cui l’accusa è manipolazione dei tassi monetari. Un altro è aperto per la manipolazione del prezzo dell’oro e dei valori di cambio delle monete (e ogni giorno nel mondo si scambia moneta per 500 miliardi di dollari). Lascio immaginare che portata abbia una manipolazione del tipo di quella di cui parliamo. Ora, se è una truffa il prezzo al quale viene scambiata la principale tra le merci, la parola mercato assume la forma di una metafora scarsamente fondata. È tutto lecito, compreso affondare interi Paesi agendo sui debiti sovrani. Dopo 7 anni di crisi, la più lunga e profonda del sistema capitalistico, tutti dicono che sono state fatte grandi riforme. A ben vedere, si tratta di meri adattamenti alle esigenze del capitale. Di riforme vere e proprie non ne è stata fatta nemmeno una. In Europa nessuno ha osato fare una riforma che fosse una, per mettere mano al sistema. Nemmeno i Trattati dell’Unione sono stati toccati, nonostante il largo giudizio sulla loro inadeguatezza.

Ricordiamo anche che dopo la crisi del ’29 Roosevelt pone l’aliquota fiscale massima al 90%, vara la legge Glass-Steagall e investe in creazione diretta di occupazione. Quando si cita a sproposito Palme (“Io non combatto la ricchezza, io combatto la povertà”) si dimentica che in Svezia sotto di lui l’aliquota massima era esattamente al 90%. Qual è il messaggio? Che c’è un livello di ricchezza oltre il quale non ti conviene andare, sennò ti levo tutto. È allora che nascono le fondazioni Rockefeller, Guggenheim ecc. perché fare un usa sociale e civile della ricchezza era conveniente.

Tornando a noi: io negli anni ’90 iniziai a nutrire dei dubbi radicali e a fare atti conseguenti. La sinistra si è bevuta la narrazione dominante fino a raggiungere i livelli di autismo attuale.

Ci arriveremo. Per il momento, ti chiediamo dove a tuo avviso affondano le cause della crisi del Partito comunista italiano, che come sappiamo precedono di molti anni la Bolognina.

Penso che con la primavera di Praga si perse un’opportunità pressoché irripetibile. Se non vogliamo farla risalire a Praga penso allora ai fatti di Polonia, a seguito dei quali Berlinguer dichiarò “esaurita la spinta propulsiva delle società dell’Est”. È però una considerazione forte che non comportava un “punto”, ma una “virgola”: dunque? Berlinguer fu frenato da quasi l’intero gruppo dirigente del PCI, dall’ala di destra quanto da quella di sinistra. È vero, il PCI ha fondato la sua forza su un profilo nazionale autonomo, che gli ha dato anche una funzione internazionale di primo piano per un lungo periodo. Quando si arriva alla svolta nell’89, molti sostengono che in virtù di esso era auspicabile un mantenimento del nome e del simbolo, in vista di un suo sviluppo. Ma qualunque cosa si pensi dell’ideale comunista, le parole non significano quel che vogliamo noi, ma ciò che storicamente vogliono dire. Dunque, al netto del modo in cui è stata condotta, la svolta fu necessaria se non tardiva.

Ripercorriamo le diverse evoluzioni del partito, a partire dallo scioglimento del PCI, che sfoceranno poi nella fusione a freddo con La Margherita nel 2007. Quali passaggi, secondo te, hanno rappresentato più di altri una svolta nella progressiva ridefinizione in chiave terzaviista della cultura politica della sinistra italiana? Se ti chiedessimo un bilancio della stagione ’89-2007, cosa ti sentiresti di dire?

È stata una curva discendente. Certo, va tenuto conto del fenomeno Forza Italia, ovvero un populismo proprietario, per molti versi inaspettato. Si tratta di un fenomeno verso il quale fummo impreparati, e che provammo ad arginare con il tormentato primo governo Prodi. Quando Prodi cadde, da Presidente di Gruppo proposi di tornare subito a elezioni con l’Ulivo. Tutt’ora sono convinto che avremmo vinto. La soluzione del governo D’Alema fu anch’essa molto tormentata, dal Kosovo alle privatizzazioni. Il punto di svolta è però, a mio avviso, dopo la sconfitta del 2001. Parlo del Congresso di Pesaro, che elesse Piero Fassino segretario. Presentai insieme ad altri la mozione di minoranza, che metteva in discussione i fondamenti del pensiero neoliberista. Il Congresso adotterà invece Blair come faro, e collocherà gli eredi del PCI alla destra del socialismo europeo. Da lì parte un processo che porterà a quel che è oggi il Partito Democratico.

A questo proposito, veniamo ora a un passaggio che ti costò caro, immaginiamo non solo sul piano politico. Parliamo del tuo voto contrario allo scioglimento dei Democratici di sinistra nel 2007. Ti chiediamo di ripercorrere le ragioni di quella scelta. Quali limiti riscontravi nell’idea, di per sé ambiziosa, di cementare due culture politiche che nel bene e nel male hanno fatto grande l’Italia repubblicana?

Giorni fa ho incontrato un vecchio dirigente della Margherita, al quale ho detto:”vedi, con il governo Prodi eravamo amici in due partiti diversi. Avete voluto per forza diventare nemici nello stesso partito”. All’abbazia di Gargonza, l’anno dopo la vittoria di Prodi, difesi a spada tratta l’idea ulivista, che era un’idea di coesione di culture, di forze che venivano da storie molto diverse. Non ho mai aderito all’idea del partito unico, ma del forte soggetto coalizionale. L’idea dell’Ulivo fu rapidamente smontata e ritornò anni dopo sotto false vesti. Quando mi alzai assieme a una trentina di parlamentari a dire che avrei seguito una strada diversa ero ben consapevole che avrei di certo perso “il posto” (allora ero deputato e ministro). Contestai la base ideale e programmatica su cui nasceva quel partito. Quanto è stato costruito è talmente fragile, sul piano politico, culturale, intellettuale e morale, da poter essere conquistato con grande facilità.

Visto quanto avviene in Portogallo in questi giorni, è d’obbligo una domanda sulla sinistra europea. La nascita di partiti della sinistra cosiddetta “radicale” (a proposito, sei d’accordo con questa definizione?) in quasi tutta l’Europa meridionale deve essere funzionale a un condizionamento positivo di ciò che resta del socialismo europeo, che lo recuperi alla sua funzione, o piuttosto a una contrapposizione che accrediti le formazioni del GUE come forze di governo autonome?

Innanzitutto, chiariamo che radicale non è sinonimo di estremista. A seguito dell”89, ad esempio, penso che avremmo dovuto costruire un partito, dal punto di vista programmatico, più radicale del PCI. A partire dalla questione del millennio, quella ambientale. Nella fase di costruzione dei DS organizzai un’assemblea (ero stato responsabile nell’ultima segreteria del PCI di un Dipartimento chiamato Cultura, ambiente e lavoro), chiamandola “Il rosso e il verde”, pensando che il partito nascente dovesse essere radicalmente ambientalista.

Ora, occasioni perdute a parte, io non dò per perso il socialismo europeo. Perché è vero che è vittima di un incantamento che è durato 20 anni, ma il nome conta, il marchio resta. Una ripresa non è solo possibile, ma anche necessaria, perché se si dà per perso quel mondo tutto il resto assume inevitabilmente caratteri minoritari. Vedo dei segnali positivi in proposito. Penso a Corbyn e al Labour Party. Alcune prese di posizione valgono più di mille parole, prendiamo le dichiarazioni su un tema fondamentale come la guerra. Mi sta particolarmente a cuore perché il mio primo voto massiccio in dissenso in Parlamento avvenne sulla sciagurata e truffaldina avventura in Iraq, gravida di conseguenze nefaste. Quando partirono le truppe italiane per l’Iraq ci fu un’assemblea del Gruppo in cui D’Alema e Fassino proposero di votare a favore o tutt’al più di astenersi. Io ero Presidente di Gruppo, presi la parola e dissi che circa 40 tra i parlamentari presenti, sul tema della guerra, erano pronti ad assumere una posizione autonoma dal partito. Avremmo comunque votato contro.

Ora, non so se Corbyn potrà vincere le elezioni in Gran Bretagna, ma la sua elezione testimonia che qualcosa si muove nella testa delle persone. In Europa, però, non ci sono solo le formazioni di sinistra. C’è una radicalizzazione a destra, siamo su un bilico in cui si rischiano rigurgiti nazionalistici e razzisti. Ma molto si muove anche a sinistra. Quel che succede in Grecia, in Portogallo, in Spagna, e che deve succedere in Italia, cioè la formazione di partiti a sinistra dei vecchi partiti socialisti, è un segno molto interessante che credo possa contribuire a una necessaria, radicale, correzione della posizione della socialdemocrazia. Se guardiamo a ciò che è successo a Madrid e Barcellona, è evidente che costruire alleanze coi socialisti è necessario, ma solo dopo aver acquisito un certo peso.

La sinistra, non da ultima quella italiana, soffre indubbiamente della mancanza di un mito di mobilitazione di massa di cui invece dispone l’avversario, si pensi alla liberazione dell’individuo da ogni tipo di vincolo, alla libera espressione della propria volontà di potenza. Qual è secondo te il terreno su cui provare a costruirne uno capace di dotare la nostra parte della necessaria autonomia?

Quando il povero Marx conclude il suo Manifesto “Proletari di tutto il mondo unitevi”, i proletari erano un modesto gruppo umano concentrato tra Inghilterra, Prussia e Francia. Oggi chi è tecnicamente proletario supera i 2 miliardi e mezzo di persone. Il mito di una unità planetaria del lavoro avrebbe dunque oggi più fondamento che non a metà dell’Ottocento.

Battute a parte, penso che nel binomio libertà e uguaglianza vi sia lo spazio per la costruzione di un nuovo mito fondativo. Intanto perché è lo sviluppo stesso della scienza e della tecnologia che pone la questione della libertà su un piano più complesso e più alto. Lo sviluppo dell’informatica, dell’intelligenza artificiale, della robotica sta cambiando completamente il terreno su cui si discute della libertà umana, oltre che naturalmente il terreno dei diritti fondamentali dell’uomo. Il tema dell’uguaglianza è imprescindibile perché è vero che con la globalizzazione qualche miliardo di persone anziché un dollaro al giorno ne ha due e quelli che muoiono di fame anziché essere due miliardi sono un miliardo, ma la distanza tra gli ultimi e i primi è diventata abissale. Quando il movimenti degli indignati e di Occupy Wall Street contrappongono l’1% al 99% non dicono nulla di infondato, ma qualcosa di confermato dai dati della World Bank.

La tecnologia è un coltello che taglia da ambo i lati. Una volta il mito dei bianchi che vivevano nella ricchezza passava di bocca in bocca tra le popolazioni più arretrate ed isolate, oggi anche loro hanno pur molto limitatamente accesso a Internet. Dal villaggio più sperduto dell’Afghanistan vedono come viviamo. E si incazzano. La questione dello spazio tra libertà e uguaglianza è quella su cui la sinistra deve ricostruire le sue ragioni storiche. La globalizzazione si è costruita, come ha spiegato magistralmente ancora Luciano Gallino, mettendo in concorrenza 500 milioni di lavoratori dei Paesi sviluppati con 1 miliardo e mezzo di lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, riducendo drasticamente la massa salariale e i diritti faticosamente acquisiti. In 20 anni, nei Paesi OCSE, 10 punti di PIL sono passati dal monte salari al profitto e alla rendita. In Italia si tratta di circa 160 miliardi €. A volte mi chiedo a quante Finanziarie corrisponde tutto questo. Ora, l’ideologia dominante è talmente forte che se chiedo 10€ di aumento salariale sono un irresponsabile, così come sono un estremista se chiedo una tassa dello 0,50% sulla proprietà finanziaria. Se riduco i salari, dunque, sono un riformista, se voglio mettere mano alla finanza sono un estremista. È un mondo alla rovescia: a governarlo, oggi, sono gli estremisti, e chi tenta di correggerlo viene additato come sovversivo.

Giornata migranti

Cgil – Giornata migranti, nei campi 50% lavoro in nero

Nel comparto agropastorale in Sardegna il 50 per cento del lavoro degli immigrati è invisibile. E’ quanto emerge dal dibattito sul tema dei migranti e sulle possibili forme di inclusione e integrazione oltre che
emersione dal lavoro nero, organizzato da Flai Cgil in occasione della giornata internazionale dei migranti, che quest’anno il sindacato nazionale ha deciso di celebrare nell’Isola.

Secondo il segretario generale della Cgil sarda, Michele Carrus, “si devono fare scelte precise per incrementare i servizi ispettivi, di vigilanza e prevenzione contro il lavoro nero e il caporalato, ancora vergognosamente diffuso nei nostri campi”.

Inoltre, “la Cgil regionale sta lavorando su un progetto per l’integrazione dei migranti con il doppio obiettivo anche di ripopolare le nostre aree interne”.

Ansa

Il nuovo assegno di sostegno al reddito

Online le istruzioni operative INPS sul nuovo assegno di sostegno al reddito finanziato dai fondi di solidarietà bilaterali, destinato ai settori che non hanno la cassa integrazione: sono contenute nella circolare 201/2015, in attuazione delle norme previste dal decreto sugli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro (Dlgs 148/2015, articolo 30), attuativo del Jobs Act.

Il trattamento si applica nei casi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, le novità fondamentali riguardano una razionalizzazione delle causali e una conseguente durata della prestazione diversificata, le nuove regole si applicano a tutti i trattamenti chiesti dopo il 24 settembre 2015.

L’articolo 30 del decreto attuativo della Riforma del Lavoro prevede che l’assegno ordinario abbia un importo almeno pari a quello della cassa integrazione, la durata massima della prestazione è fissata dai fondi ma non può essere inferiore alle 13 settimane in un biennio mobile, e non superiore alle durate massime previste per la cassa integrazione ordinaria e straordinaria.

L’ambito di applicazione è determinato dalle regole attuative dei Fondi bilaterali, che sono obbligatori per tutti i settori non coperti dalla cassa integrazione, e riguardano datori di lavoro con almeno cinque dipendenti (compresi gli apprendisti). I fondi bilaterali già esistenti prima dell’entrata in vigore del Jobs Act, devono adeguarsi alla nuova normativa entro il 31 dicembre 2015 (nel caso in cui i regolamenti siano già conformi alla nuova normativa, non è necessario alcun adempimento).

PMI.it

Le sedi dell’Inca dislocate su tutto il territorio nazionali sono a disposizione per fornire eventuali ulteriori informazioni.

Ilo

Ilo – La forza lavoro mondiale conta su 150 milioni di migranti

Secondo un nuovo studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), sui circa 232 milioni di migranti internazionali, 150,3 milioni sono lavoratori. Il rapporto Ilo, Global Estimates on Migrant Workers  («Stime mondiali dell’Ilo sui lavoratori migranti») dimostra che i lavoratori migranti rappresentano il 72,7 per cento dei 206,6 milioni di migranti in età lavorativa (a partire dai 15 anni di età). La maggioranza dei lavoratori migranti sono uomini — 83,7 milioni, mentre le donne lavoratrici migranti sono 66,6 milioni.

Il direttore generale dell’Ilo, Guy Ryder, ha commentato il rapporto affermando: «Questa analisi è un contributo significativo dell’Ilo a sostegno dei suoi Stati membri nell’attuazione dell’Agenda  2030 per lo sviluppo sostenibile, in particolare per quanto riguarda i «targets» dell’Obiettivo 8 sulla protezione di tutti i lavoratori, inclusi i lavoratori migranti, e l’Obiettivo 10 sull’attuazione di politiche migratorie ben gestite. I responsabili delle decisioni politiche disporranno ormai di dati sui quali basare le loro politiche».

Rassegna.it

Le inidoneità e le limitazioni lavorative del personale del SSN

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Newsletter Medico-legale Inca

Un recente studio condotto dalla Università Bocconi che ha indagato le dimensioni del fenomeno delle inidoneità e delle limitazioni lavorative del personale del Sistema Sanitario Nazionale fornisce dati molto utili per il lavoro di tutela delle malattie professionali e nel contempo conferma la sottostima delle malattie professionali di questo settore.

La rilevazione quantitativa ha coinvolto 49 Aziende sanitarie pubbliche: 33 Aziende sanitarie Locali, 14 Aziende Ospedaliere e 2 Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, per un totale di 137.422 dipendenti, pari a oltre un quinto dei dipendenti del SSN.

L’analisi ha rilevato l’entità complessiva dei lavoratori inidonei o parzialmente idonei, suddivisi in base  ad alcune caratteristiche demografiche, contrattuali e organizzative. Oltre a informazioni relative alle visite mediche di sorveglianza sanitaria, alle limitazioni riscontrate e alla loro gestione (questi dati saranno oggetto di una specifica newsletter).
n 46° 2015 numero newsletter-1.doc

Lavoro

Lavoro: Circolare Inps su assegno solidarietà lavoratori pmi

Per i lavoratori delle aziende che non rientrano nella normativa Cig e Cigs ma che hanno più di 5 dipendenti è in arrivo, in caso di eventi di crisi temporanea e di riorganizzazione aziendale un assegno di solidarietà sul modello di quello di cassa integrazione. La misura sui fondi di solidarietà bilaterali prevista dal decreto di attuazione del Jobs act sugli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro viene chiarita nel dettaglio in una circolare Inps.

La durata della prestazione è trimestrale rinnovabile (fino a 12 mesi). Nei contratti di solidarietà si può avere fino a 36 mesi di prestazione. La durata dell’assegno dipenderà dalla “causale” che ha dato origine alla prestazione.

“L’assegno ordinario – spiega l’Inps – è un trattamento di integrazione salariale assicurato dai Fondi di solidarietà bilaterali in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa – per le stesse causali previste per la cassa integrazione guadagni ordinaria (Cigo) o straordinaria (Cigs) – in favore dei lavoratori operanti in settori che non rientrano nel campo di applicazione della Cig, e il nuovo decreto ne ha modificato in modo sostanziale la disciplina per quanto attiene il termine di presentazione della domanda, la durata della prestazione, il termine per il rimborso o il conguaglio da parte dei datori di lavoro e le causali che ne giustificano il ricorso”.

“La principale novità – chiarisce l’Inps – è l’ampliamento della platea dei beneficiari delle prestazioni dei Fondi di solidarietà, obbligatori per tutti i settori che non rientrano nell’ambito di applicazione della Cigo/Cigs, in relazione a datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque dipendenti. Attualmente, la durata complessiva può raggiungere, nel caso della causale contratto di solidarietà, i 36 mesi”.

I Fondi già costituiti che presentano disposizioni difformi rispetto a quanto previsto dal decreto – che limitano dunque il loro campo di applicazione ai datori di lavoro che occupano mediamente più di quindici dipendenti, come previsto dalla previgente disciplina – scrive l’Inps – devono necessariamente adeguarsi alle nuove disposizioni entro il 31 dicembre 2015.

Pensioni

Cgil – Pensioni, grande ferita aperta nel Paese

“Cambiare le pensioni, dare lavoro ai giovani”: è questo lo slogan della riunione degli attivi interregionali dei quadri e dei delegati di Cgil, Cisl, e Uil in programma per oggi a Firenze, Torino, e Bari. Le tre manifestazioni sindacali si svolgeranno in contemporanea a partire dalle ore 9,30 per concludersi alle ore 14. Secondo i sindacati confederali è ormai arrivato il tempo di modificare la legislazione sulla previdenza perché le riforme (l’ultima quella della ministra Elsa Fornero) hanno creato una situazione di insostenibilità sociale. Il ripristino della flessibilità nell’accesso al pensionamento può essere una prima risposta, anche se parziale soprattutto per chi svolge i lavori più pesanti e faticosi. Occorre in generale ripensare la normativa estendendo la platea dei beneficiari e i settori coinvolti nel concetto di lavoro usurante e nel contempo rivedere le modalità e i criteri per il calcolo della pensione in modo che i coefficienti di trasformazione (che determinano le effettive rendite previdenziali) riflettano la differente aspettativa di vita delle lavoratrici e dei lavoratori in base all’attività svolta. Gli obiettivi generali della vertenza unitaria che rilanciano oggi Cgil, Cisl, Uil sono perciò quelli di tutelare le pensioni in essere, rafforzare la previdenza complementare, cambiare le pensioni per dare anche lavoro ai giovani che dovranno avere pensioni dignitose e non da fame come si prevede oggi in base al sistema di calcolo contributivo. 

“Il diritto a una vecchiaia serena e ad un efficace sistema di welfare è diventato un privilegio e questo governo ha rotto il patto con il popolo, questa ferita aperta va sanata”. Lo ha detto a Bari, Vera Lamonica, della segreteria nazionale della Cgil, a margine della manifestazione nazionale unitaria dei sindacati confederali sul tema ‘Cambiare le pensioni, dare lavoro ai giovani’. “Sulle pensioni – ha aggiunto la segretaria confederale- c’è una grande ferita aperta nel Paese e nel mondo del lavoro. Dal 2010 con la riforma Fornero, il sistema è stato stravolto con nuove povertà,  iniquità di ogni genere ed è stata spezzata la fiducia tra i giovani”.

Flai Cgil: Giornata internazionale del Migrante 2015

“Da Soli siamo INVISIBILI. Uniti siamo INVINCIBILI“. E’ con questa parola d’ordine che prende avvio in Sardegna la celebrazione della giornata internazionale dei migranti. Un evento promosso dalla Flai Cgil , che comincia oggi 17 dicembre e che si svolgerà in due giorni con incontri e dibattiti nelle città di Cagliari, Nuoro ed Olbia per poi confluire il 18 dicembre in un incontro con la Giunta Regionale della Sardegna e le Istituzioni.

La Flai ricorda che la giornata internazionale del migrante, che si celebra ogni anno il 18 dicembre, data-anniversario dell’adozione nel 1990, da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU, della Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie.

“Il lavoro sommerso in agricoltura – sottolinea in una nota la Flai Cgil – è notevolmente lievitato negli ultimi anni e coinvolge complessivamente, secondo le stime del Rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto/Flai, circa 400 mila lavoratori migranti delle campagne di tutta Italia, 100 mila dei quali costretti a subire ricatti e a vivere in condizioni insostenibili, talvolta non dissimili dalla schiavitù. Una situazione inaccettabile in un paese civile da cui consegue una crescente evasione fiscale ed elusione contributiva, un lavoro povero e dequalificato, e forme di illegalità e di sfruttamento nei riguardi dei lavoratori in generale e migranti in particolare”. 

La Flai vuole cogliere l’occasione per ribadire la necessità di intensificare gli sforzi nella lotta allo sfruttamento e al caporalato, che continua a mietere troppe vittime tra le lavoratrici e i lavoratori agricoli, locali e forestieri. “Il nostro obiettivo – affermano in una nota i promotori dell’iniziativa – è di vedere riconosciuto un lavoro di qualità fatto del rispetto delle norme e dei contratti. Solo così sarà spazzata via ogni forma di assoggettamento e lavoro servile”

Parteciperanno ai due giorni di dibattito: Michele Carrus, Segretario Generale Cgil Sarda, Renato Soru, Eurodeputato, segretario Regionale PD, Elisabetta Falchi
Assessore dell’Agricoltura e Riforma Agro-Pastorale, Donatella Emma Ignazia Spano
Assessore della Difesa dell’Ambiente, Virginia Mura, Assessore del Lavoro, Formazione Professionale,
Cooperazione e Sicurezza Sociale, Giuseppe Pulina, Professore ordinario di Zootecnica Speciale, Direttore Generale AGRIS Sardegna.

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Diritto.it Questioni di Diritto di Famiglia

LE NOVITA’ AL 17/12/2015

  Ennesima sanzione milionaria per l’Italia: inadempimento dello Stato membro in materia di aiuti concessi alle imprese nei territori di Venezia e Chioggia
  Dal meccanicismo al funzionalismo
Questioni di Diritto di Famiglia Successione: l’azione di reintegra di legittima è autonoma rispetto all’azione di divisione di eredità (Cass. n. 24755/2015)
  Focus riforma del lavoro jobs act: licenziamento e inesistenza del fatto contestato; demansionamento alla luce della modifica dell’art. 2013 c.c.; art. 18 Stat. lavoratori anche nel pubblico impiego.
  E’ illegittimo il diniego di poste al rimborso di buoni fruttiferi Cointestati ad uno o piu’ soggetti defunti e dotati della clausola di Pari facolta’ di rimborso.
Questioni di Diritto di Famiglia Validità degli accordi conclusi ai margini del giudizio di separazione (Cass. n. 24621/2015)
  Risarcimento del danno da provvedimenti inoppugnati: profili sostanziali e processuali
  Peculato: anche il privato ha diritto all’avviso ex art. 408 c.p.p. se danneggiato dal reato.
Questioni di Diritto di Famiglia Minore invalido: insufficienza ore di sostegno (Cons. Stato, n. 5428/2015)
  Reporting e correttivi gestionali nel managment pubblico di governance
  Il vincolo a “strada pubblica di progetto” ha carattere pre-espropriativo e , al decorso dei cinque anni, è da considerarsi decaduto, con l’applicazione della disciplina sulle aree bianche.
Il concordato preventivo dopo la riforma (d.l. 83/2015) Il concordato preventivo dopo la riforma (d.l. 83/2015)

Il testo è aggiornato al D.L. 27 giugno 2015, n.83 convertito con modifiche in L. 6 Agosto n. 132. Il decreto ha introdotto la possibilità per i creditori di proporre un piano alternativo a quello del debitore, permettendo inoltre l’accesso al credito per le imprese durante la fase di pre-concordato.
Il volume è uno strumento agile e completo per i professionisti che affrontano le problematiche della crisi d’impresa, aiutandoli a trovare delle soluzioni idonee a ciascun caso specifico.
Un CD-Rom contenente la giurisprudenza e un formulario compilabile (adatto per la stampa) arrichisce ulteriormente la pubblicazione.

Pagine 362
Autore Chiricosta Giovanni
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