Archivi giornalieri: 11 dicembre 2015

ISEE

Nuovo ISEE 2015, aggiornate la FAQ dell’INPS

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DI  IN 10 DICEMBRE 2015INPS
INPS, nuovo ISEE 2015

INPS, nuovo ISEE 2015
Le nuove FAQ sull’ISEE 2015 rilasciate dall’INPS e dal Ministero del Lavoro, raccolte dalla Consulta Nazionale dei CAF

L’INPS di concerto con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha rilasciato, nell’area dedicata sul sito tematico dedicato al nuovo ISEE 2015, un nuovo aggiornamento delle FAQ ISEE: le domande più frequenti pervenute dagli utenti nella prima fase di applicazione della disciplina, sul nuovo Indicatore della Situazione Economica Equivalente..

Leggi anche: Nuovo Isee 2015, come ottenerlo

Le FAQ sono state raccolte dalla Consulta Nazionale dei CAF ed elaborate dall’INPS di concerto con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. E’ possibile trovare tutte le FAQ in un pratico ebook in formato PDF e sono consultabili nella sezione Informazioni >> Domande e Risposte. Trovate comunque il file aggiornato a fondo articolo per comodità di lettura.

Di seguito riportiamo alcuni nuovi quesiti con relative risposte e a fondo pagina riportiamo l’intero file per il download sul proprio computer.

FAQ ISEE: Quesito V21 del 10/09/2015

Titolare di assegno ordinario di invalidità il quale subisce una revoca della stessa e di conseguenza risulta essere disoccupato da più di 18 mesi può presentare un’ISEE corrente? Nelle istruzioni si fa sempre riferimento al lavoro dipendente e non ai redditi derivanti da pensione.

No, la revoca dell’assegno ordinario non consente di ricorrere all’ISEE corrente non rientrando tra le ipotesi di cui all’art.9 del DPCM 159/2013.

FAQ ISEE: Quesito V22 del 10/09/2015

Se faccio un Isee Corrente, il cd Bonus Renzi lo devo indicare? E se affermativo dove lo indico: LD reddito da lavoro dipendente o TR trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari?

Il “bonus Renzi” non deve essere indicato.

 

 

  FAQ ISEE 2015, III° aggiornamento (637,1 KiB, 59 download)

Donne vittime di violenza

L’Inps e la grave disattenzione verso le donne vittime di violenza

Lo scorso giugno è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il Decreto legislativo n.80 dal titolo “Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10/12/2014 n.183”.

Si tratta di un decreto legislativo che è parte integrante del cosiddetto Jobs Act, sul quale come Cgil abbiamo dato un giudizio complessivamente negativo.

Tuttavia, il decreto n.80, nella parte che si occupa del tema della conciliazione dei tempi di cura, di lavoro e di vita contiene delle novità legislative positive perché introduce nuovi e più ampi diritti per la tutela e la valorizzazione della maternità e della genitorialità. 

Tra le varie norme è stata anche introdotta la possibilità per le donne vittime di violenza di genere, che si fanno assistere da un centro antiviolenza o da un  servizio sociale, di poter ottenere un periodo di congedo dal lavoro per un massimo di tre mesi. 

Il periodo di astensione dal lavoro deve essere connesso al percorso di protezione e sono titolari di questo diritto le lavoratrici private, le lavoratrici pubbliche e le donne che hanno contratti di lavoro di collaborazione coordinata e continuativa. 

Durante questo periodo la lavoratrice ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione e il periodo è coperto ai fini previdenziali dalla contribuzione. 

In Italia tutte le donne sono state unanimi nel valutare molto positivamente questa norma  che, per la prima volta nel nostro paese, riconosce dei diritti alle donne vittime della violenza di genere e, come donne della Cgil abbiamo espresso soddisfazione, anche perché siamo sempre state in prima fila a denunciare la violenza di genere, il femminicidio e la necessità di ottenere delle leggi di tutela.

Si potrebbe dire: fin  qui tutto bene! Invece no, perché l’Inps, a sei mesi di distanza dall’approvazione della legge, non ha ancora pubblicato la circolare attuativa e non ha approntato la procedura telematica per poter consentire alle lavoratrici di fare la domanda di congedo e ricevere la relativa indennità. 

Il 25 novembre scorso è stata celebrata in tutto il mondo la giornata contro la violenza di genere e abbiamo colto l’occasione per denunciare questa grave mancanza dell’Inps in tutti i convegni ai quali abbiamo partecipato, nell’incredulità generale dei convenuti.

Il motto dell’Inps è “Il cittadini al centro”, ci chiediamo se le donne siano considerate cittadini di serie b oppure se questi ingiustificabili ritardi siano attribuibili solo alla burocrazia inefficace e disattenta ai bisogni e ai diritti delle persone, che valgono meno delle “procedure”.

Invitiamo le donne o i centri antiviolenza a ricorrere all’Inca, nel caso ci fossero necessità urgenti, perché siamo disponibili a trovare e a inventare tutti i modi possibili per tutelare i diritti individuali.

di Fulvia Colombini, della presidenza Inca 

Infortuni sul lavoro

Inca: Dal 2006, gli infortuni mortali sul lavoro non sono mai diminuiti

“Anche se ancora ufficiosi e provvisori, i dati Inail 2015 sugli infortuni mortali legati al lavoro confermano ciò che da tempo l’Inca denuncia con fermezza. Il calo degli incidenti registrato negli ultimi rapporti ufficiali dell’Istituto assicuratore coincide con la riduzione dell’occupazione indotta dalla grave crisi economica che affligge il nostro paese e con il persistere di un mercato del lavoro sommerso ancora molto esteso, sul quale i controlli spesso sono frammentati e poco più che simbolici”. E’ il commento di Silvino Candeloro, della presidenza dell’Inca, alla crescita percentuale delle morti per incidenti sul lavoro dall’inizio dell’anno del 18,6%, che sono  passate dagli 833 casi dei primi dieci mesi 2014 a 988 nel 2015; in pratica ben 155 vite umane spezzate in più. Nel solo mese di ottobre 2015, rispetto allo stesso mese del 2014, i morti per il lavoro sono aumentati del 74% che, in valori assoluti, significano 87 vittime.

L’Inail aggiunge inoltre che risulta particolarmente grave la crescita dei decessi avvenuti in occasione di lavoro nei cosiddetti settori ad alto rischio, in particolare nei Trasporti e nelle Costruzioni. Lo stesso avviene per gli incidenti in itinere mortali, che sono aumentati di 54 unità (da 205 a 259 pari al +26,0%). Un incremento che ha interessato in misura consistente sia la componente maschile (+19,0%) sia quella femminile (+14,3%).  Una tendenza che nel nostro Paese non si verificava dal 2006, anno in cui, peraltro, la crescita degli infortuni mortali fu molto più contenuta (+5,1%).

E’ un quadro sconfortante, cui si aggiunge la riduzione delle denunce, a dimostrazione di come, molto spesso, la paura della perdita del posto di lavoro scoraggi l’emersione di un fenomeno tutt’altro che marginale.  Dall’inizio dell’anno, infatti,  le denunce sono diminuite di circa 26.000 unità (dai 549.000 dei primi dieci mesi 2014 ai 523.000 dell’analogo periodo 2015), pari a -4,7%. 
“Il ricatto occupazione – spiega Candeloro – esprime una condizione soggettiva tanto dolorosa per chi la vive, quanto profondamente sbagliata per uno Stato di diritto come il nostro che dovrebbe avere tra le sue priorità il benessere delle lavoratrici e dei lavoratori”.

Lo sanno bene i patronati che ogni anno, pur con tutte le difficoltà, avviano decine di migliaia di denunce di infortuni e di malattie professionali. “Non è facile – osserva Candeloro – agire in un mercato del lavoro che, con i provvedimenti legislativi di ultima generazione, quali sono gli alleggerimenti delle responsabilità in capo alle aziende, ha fatto della precarietà la condizione costante delle nuove opportunità di lavoro”. Non è un caso che l’Inca abbia rafforzato la propria attività promuovendo una campagna in alcuni settori strategici, come i trasporti e la sanità, per incoraggiare i lavoratori e le lavoratrici a far conoscere le reali condizioni di lavoro. Si è partiti dai presidi sanitari ospedalieri nei principali  nosocomi di alcune città come Napoli, Bari, Palermo ecc… distribuendo questionari tra gli addetti di questi settori, invitandoli a compilarli. Ciò consentirà, assicurano all’Inca, di far crescere la consapevolezza dei rischi e un accesso alle prestazioni  Inail, cui hanno diritto per legge. “A breve arriveranno i primi risultati di questa indagine  – continua Candeloro – che rappresenteranno una buona base per consentire al sindacato di negoziare con l’azienda una revisione delle modalità di svolgimento delle mansioni e all’Inca di assicurare una migliore attività di tutela  individuale. Due ambiti di azione che sono strettamente connessi e racchiusi emblematicamente nello slogan che accompagna questa campagna di sensibilizzazione: Dignità nel lavoro, diritto alla salute”.

Tagli ai Patronati

Tagli ai Patronati – Continua in tutta Italia la mobilitazione dei Patronati

Dopo il presidio nazionale del 9 dicembre davanti Montecitorio e l’incontro con la presidenza della Camera dei deputati, non si ferma la protesta dei patronati del Ce.Pa. (Acli, Inas, Inca e Ital) contro i tagli al finanziamento.

Una nuova ondata di chiusure programmate degli uffici, previste tra l’11 e il 15 dicembre nelle principali città, accompagnerà la discussione in Parlamento della legge di stabilità fino alla sua approvazione definitiva.

“L’incontro con Carlo Leoni, capo gabinetto della presidenza della Camera – ha spiegato Morena Piccinini, presidente Inca – è stato utile per dare un quadro d’insieme delle nostre richieste. Noi chiediamo di eliminare totalmente qualsiasi ipotesi di riduzione e di dare tempo ai patronati di organizzarsi coerentemente con gli impegni assunti nel 2015, soprattutto in considerazione del fatto che il taglio dei 28 milioni di euro si prefigurerebbe per il 2016 come taglio di cassa, ovvero andrebbe a incidere su un’attività già svolta, sul lavoro già fatto, con effetto retroattivo, e contemporaneamente andrebbe a finanziare i tagli che il ministero del Lavoro è tenuto a fare in nome della spending review, appropriandosi, a quel punto, di soldi non suoi, ma dei lavoratori. Un intervento inaccettabile perciò che potrebbe rivelare addirittura qualche dubbio di incostituzionalità”.

Donne e giovani

Su donne e giovani il peso della crisi. Difficile conciliare maternità e lavoro

I giovani italiani hanno subito piu’ di tutti le conseguenze della crisi. A sostenerlo l’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, che in occasione del convegno ‘Lavoro e crisi economica’, ha reso noto i risultati degli studi condotti “sulle dinamiche piu’ recenti e sulle riforme varate negli ultimi anni”. L’Isfol ha svolto una indagine su 45 mila giovani, fra i 20 e i 34 anni, che ha consentito di avere l’immagine che i giovani italiani hanno del lavoro. Da quanto emerge, ormai per i giovani il lavoro ha una “funzione strumentale”: solo in secondo luogo e’ finalizzato al perseguimento “dei propri interessi”. In primo luogo e’ teso al sostentamento economico.

Per i giovani italiani, la coerenza tra il percorso di studi e le attivita’ di lavoro assume sempre meno peso nella scelta del lavoro (per il 62,8% degli intervistati), a favore di un contesto occupazionale che garantisca buone relazioni tra pari (89,8%), una retribuzione adeguata (per il 92,5%) e soprattutto un livello elevato di salute e sicurezza sul luogo di lavoro (93,7%). Ad emergere, quindi, una generazione che misura le proprie difficolta’, ma che ha mantenuto il lavoro al centro del proprio progetto.

In sintesi, i giovani vogliono vivere e lavorare “in un paese dove siano garantiti i diritti minimi di cittadinanza attiva e dove la questione della tutela e sicurezza sul luogo di lavoro diventa prioritaria, anche prima della realizzazione personale”. Sempre secondo quanto emerge dall’indagine, l’investimento nell’istruzione e la specializzazione in materie scientifiche e tecniche “promuovono maggiori opportunita’ occupazionali rispetto a quelle garantite da discipline con orientamento professionale o umanistico”.

Ma la crisi economica ha avuto un impatto anche sui comportamenti riproduttivi e sulle intenzioni di fecondita’ delle famiglie. L’ultima indagine campionaria sulle nascite condotta dall’Istat in collaborazione con l’Isfol ha evidenziato, infatti, come la contrazione del comportamento riproduttivo (1,37 figli per donna nel 2014) abbia avuto solo parzialmente carattere volontario, dal momento che la numerosita’ familiare “attesa”, ovvero il numero medio di figli che le donne vorrebbero avere nella loro vita, risulta superiore a 2 figli per donna. La crisi ha impattato, in particolare, sulla vita professionale delle neo-madri. Alcune di queste, che risultavano occupate al momento della gravidanza, non lo sono piu’ dopo la nascita del figlio (22,3% delle occupate in gravidanza) e il dato e’ in aumento rispetto al 2005 (18,4%).

Piu’ della meta’ delle madri che hanno smesso di lavorare ha dichiarato di essersi licenziata o di avere interrotto l’attivita’ che svolgeva come autonoma (52,5%): quasi una madre su quattro ha subito il licenziamento. Mentre per una su cinque si e’ concluso un contratto di lavoro o una consulenza. Tra i motivi che hanno spinto le madri a lasciare il lavoro si osserva che, rispetto al 2005, diminuiscono – pur restando decisamente prevalenti – le motivazioni riconducibili a difficolta’ di conciliazione dei ruoli (dal 78,4% al 67,1%), mentre aumentano quelli legati all’insoddisfazione per il tipo di lavoro svolto. Sia in termini di mansioni che di retribuzione (dal 6,9 % al 13,5 %).  Tra le occupate si registra, invece, un aumento delle difficolta’ di conciliazione: dal 38,6% nel 2005 al 42,7% nel 2012. Tra gli aspetti del lavoro che causano piu’ frequentemente difficolta’ di conciliazione ci sono: la quantita’ di ore di lavoro, la presenza di lavoro a turni o di orari disagiati (pomeridiano, serale o nel fine settimana) e la rigidita’ dell’orario di lavoro.

Accesso a banche dati P. A. per i collaboratori di patronato. Un altro sì dal Tar del Lazio

 

Dopo la sentenza del Tar di Trieste, anche il Tribunale amministrativo regionale del Lazio accoglie la richiesta di annullamento del provvedimento del ministero del lavoro del 7 agosto scorso che impediva al collaboratore di patronato di accedere alle banche dati degli enti previdenziali. 

Il ricorso avanzato da Inca e Ital riconosce l’illegittimità della decisione ministeriale affermando che “..dopo l’introduzione di sistemi informatici nell’ambito sia della pubblica amministrazione sia di organismi ausiliari riconosciuti quali i patronati, dopo l’introduzione sulla base del decreto legislativo n. 82 del 2005 della digitalizzazione dell’amministrazione, nonché dopo la legge 122 del 2010 che ha stabilito l’utilizzo esclusivo dei sistemi telematici nei rapporti con e da parte della pubblica amministrazione eliminando ogni modalità cartacea, bisogna interpretare  anche la normativa sui patronati….nell’ottica del nuovo quadro normativo”.

“Fermo restando che spetta solo all’operatore la stesura e la validazione finale di ogni tipo di documento, oltre che la responsabilità dei suoi contenuti, non si vede – si legge nella sentenza – per quale ragione un collaboratore volontario non possa accedere alle banche dati per acquisire informazioni e dati, istruire la pratica e predisporre un testo che naturalmente non può che essere valorizzato e utilizzato dall’operatore responsabile”.

Secondo il Tribunale amministrativo, “l’accesso alle banche dati da parte dei collaboratori risulta non solo facoltativo ma necessitato, onde consentire la loro limitata ma fattuale collaborazione con gli operatori del patronato, nell’ambito dell’istruzione della pratica”.   

Per l’Inca si tratta di un pronunciamento importante di segno positivo che contribuisce a migliorare la funzionalità dei rapporti tra enti previdenziali, ministero e patronati.