Archivi giornalieri: 1 dicembre 2015
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Simon Mossa
Ricordando Antonio Simon Mossa a 99 anni dalla sua nascita
1 dicembre 2015
Francesco Casula
Il 22 novembre scorso ricorreva il 99° anniversario della nascita di Antonio Simon Mossa, il teorico (e padre) del moderno indipendentismo sardo, del tutto rimosso e dimenticato dalle Istituzioni sarde, dalla cultura (e scuola) ufficiale e dagli stessi Partiti e Movimenti che pur si dichiarano sardisti,indipendentisti e sovranisti..
Algherese, Antonio Simon Mossa è un architetto di talento, arredatore, urbanista e artista di genio, insegnante dell’istituto d’arte e scenografo, intellettuale dagli interessi pressoché enciclopedici e dalla forte sensibilità artistica, viaggiatore colto e curioso del nuovo e del diverso tanto da spaziare con gusto e competenza nell’ambito di una pluralità vastissima di arti: dalla letteratura alla pittura e alle arti popolari.
Ma è anche brillante ideologo indipendentista (una indipendenza non solo di liberazione economica e sociale ma anche di libertà di tutto il popolo sardo dal punto di vista etnico, etico e culturale) e di un nuovo Sardismo, giornalista e polemista ironico e versatile, viaggiatore colto e aperto alle problematiche delle minoranze etniche mondiali, ma soprattutto europee. Conoscendole direttamente, per così dire de visu, si rende conto della drammatica minaccia di estinzione che pesa su di esse: oramai sul bilico della scomparsa. Contro di esse è in atto infatti un pericolosissimo processo di “genocidio”, soprattutto culturale ma anche politico e sociale. Si tratta di minoranze che l’imperiale geometria delle capitali europee vorrebbe ammutolire.
Simon Mossa aveva infatti verificato la tendenza del genocidio culturale e non solo, dei popoli senza stato, delle piccole patrie, incorporate e imprigionate coattivamente nei grandi leviatani europei e mondiali, centralisti e accentrati, entro un sistema artificioso di frontiere statali, sottoposti a controllo permanente, con evidenti fini di spersonalizzazione, ridotti all’impotenza e di continuo minacciati delle più feroci rappresaglie, se mai tentassero di rompere o indebolire la sacra unità della Patria.
All’interno di tali minoranze colloca la Sardegna che considera una unità o comunità etnica ben distinta dalle altre componenti dello Stato Italiano. Per annichilire l’identità etno-nazionale dei Sardi è in atto – secondo Simon Mossa – un processo forzato di integrazione che minaccia l’identità culturale, linguistica ed etnica, anche con la complicità di molti sardi che si lasciano comprare.
Uno degli elementi che per Simon Mossa devasta maggiormente l’Identità di un popolo è l’attacco alla cultura e alla lingua locale: in Sardegna dunque il divieto e la proibizione della cultura e della lingua sarda (ad iniziare dalla scuola di stato) e segnatamente dell’uso pubblico e ufficiale del Sardo.
L’ideologo nazionalitario e indipendentista sa bene che un popolo senza Identità, in specie culturale e linguistica, è destinato a morire: Se saremmo assorbiti e inglobati nell’etnia dominante e non potremmo salvare la nostra lingua, usi costumi e tradizioni e con essi la nostra civiltà, saremmo inesorabilmente assorbiti e integrati nella cultura italiana e non esisteremo più come popolo sardo. Non avremmo più nulla da dare, più niente da ricevere. Né come individui né tanto meno come comunità sentiremo il legame struggente e profondo con la nostra origine ed allora veramente per la nostra terra non vi sarà più salvezza. Senza Sardi non si fa la Sardegna. I fenomeni di lacerazione del tessuto sociale sardo potranno così continuare, senza resistenza da parte dei Sardi, che come tali, più non esisteranno e così si continuerà con l’alienazione etnica, lo spopolamento, l’emarginazione economica. Ma questo discorso è valido nella misura in cui lo fanno proprio tutti i popoli parlanti una propria originale lingua e stanziati in un territorio omogeneo, costituenti insomma una nazione che sia assoggettata e inglobata in uno Stato nel quale l’etnia dominante parli una lingua diversa.
Poliglotta e appassionato studioso di lingua e di linguistica – fra l’altro traduce in Sardo il Vangelo e scrive ottave deliziose – ritiene che Il sardo lungi dall’essere un dialetto ridicolo è già, ma in ogni modo può e deve essere una lingua nella misura in cui sia parlato e scritto da un popolo libero e capace di riaffermare la propria identità. A questo proposito pone questo interrogativo: Hai mai meditato su ciò che significa l’esclusione della nostra lingua madre dalle materie di insegnamento delle scuole pubbliche e il divieto di farne uso negli atti «ufficiali» ? Ci regalano insegnanti di un italiano spesso approssimativo e zeppo di provincialismo e noi non abbiamo il diritto di esprimerci adeguatamente nella nostra lingua! Ci hanno privato del primordiale e più autenticamente «autonomista» strumento di comunicazione fra gli uomini!
Sostiene ciò nel Luglio del 1967, molto prima che in Sardegna la questione del “Bilinguismo perfetto” diventasse oggetto di discussione prima e di iniziativa politica poi: a buona ragione possiamo perciò considerare Simon Mossa, il vero profeta e anticipatore delle proposte prima e della Legge regionale 26 sul Bilinguismo poi. Con acume e perspicacia aveva capito che il problema della lingua sarda non era tanto o soltanto parlarla, magari nell’ambito familiare, ma scriverla e soprattutto insegnarla nelle Scuole di ogni ordine e grado come materia curriculare; usarla nella Pubblica Amministrazione, nei media, (da quelli tradizionali: Giornali e Radio, ai nuovi: Internet ecc.); nella Toponomastica, nella Pubblicità. Il problema era cioè (ed è) la sua ufficializzazione.
Oggi noi nel 2015 sappiamo bene che la lingua sarda, al di fuori di questa prospettiva è destinata a morire o, al massimo, a vivacchiare e languire, marginalizzata, ghettizzata e folclorizzata nei bim-bo-rimbò delle feste e delle sagre paesane, magari ad uso e consumo dei turisti e dei vacanzieri annoiati.
Simon Mossa questo lo aveva capito ben più di 48 anni fa.
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IL FATTO QUOTIDIANO
Simulazione
Simulazione pensione: busta arancione per pochi
In arrivo le buste arancioni INPS con la simulazione della pensione futura ma non per tutti: lo ha annunciato il presidente INPS Tito Boeri.
L’INPS si sta preparando ad inviare le prime buste arancioni che contengono la simulazione dell’importo della pensione futura alla quale si ha diritto sulla base di quanto finora versato, della retribuzione attesa e della data di uscita dal lavoro. Purtroppo, però, la busta arancione non verrà ricevuta da tutti i lavoratori per i quali sono stati versati contributi utili a maturare la pensione ma solo a 150mila perché, spiega il presidente INPS Tito Boeri, non ci sono abbastanza soldi.
=> Pensione futura: arriva la busta arancione
Dunque, anticipa Boeri, a margine dell’assemblea nazionale dell’Amianto:
«Ne manderemo solo una piccola parte, ne spediremo circa 150mila entro Natale, perché non ci è stata data l’autorizzazione dai Ministeri per superare il vincolo di spesa, la spesa per spedizioni è contingentata».
=> Riforma Pensioni Boeri: simulazione del ricalcolo
Le prime buste arancioni verranno spedite allecategorie coperte, nelle quali quindi non rientrano i lavoratori pubblici, e coloro che non sono in possesso del PIN INPS, che consente di effettuare la stima della pensione che si percepirà a fine carriera.
=> La Mia Pensione: guida INPS al calcolo online
Come per la busta arancione l’obiettivo del servizio online dell’INPS “La Mia Pensione” è di rendere più trasparente la situazione previdenziale dei lavoratori. Il servizio è accessibile seguendo il percorso “Home > Servizi > La Mia Pensione”. Il nuovo servizio indica la data prevista del pensionamento e simula l’importo della pensione che si riceverà al termine dell’attività lavorativa.
Pensione di reversibilità: casi particolari
Pensione di reversibilità: casi particolari
La pensione di reversibilità spetta anche all’ex coniuge divorziato ma occorre rispettare specifici requisiti: le ultime sentenze di Cassazione.
In questo articolo vediamo una panoramica della normativa vigente e delle ultime sentenze in materia di pensione di reversibilità, che spetta ai familiari superstiti del lavoratore defunto che abbia raggiunto i requisiti previsti.
=> Pensione ai superstiti: guida completa INPS
L’importo della pensione è variabile in base al numero di beneficiari:
- 60%: il solo coniuge superstite;
- 70%: un solo figlio superstite;
- 80%: coniuge e un figlio / due figli senza coniuge superstite;
- 100%: coniuge e due figli / tre o più figli.
Beneficiari
- Coniuge superstite;
- figli minorenni, inabili, studenti universitari e a carico dei genitori al momento della morte;
- nipoti alla morte del nonno/nonna a loro totale carico.
Separazione e divorzio
In caso di separazione, scatta la pensione di reversibilità solo se precedentemente era stato riconosciuto al coniuge superstite, dall’autorità giudiziaria, il diritto agli alimenti per precarie condizioni economiche.
=> Assegni di mantenimento: normativa e casi particolari
In caso di divorzio, invece, il diritto scatta:
- dopo il decesso dell’ex coniuge;
- purché il coniuge superstite non si sia risposato;
- purché già si abbia diritto all’assegno di divorzio periodico;
- purché il rapporto di lavoro da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio.
In pratica, l’ex coniuge divorziato può percepire il trattamento se non si è risposato, a patto che il rapporto di lavoro da cui derivi la reversibilità sia anteriore alla sentenza di divorzio. (Cassazione, sentenza n. 9660/2013).
Casi particolari
Nel caso in cui l’ex consorte deceduto si sia risposato, il superstite e l’ex coniuge hanno entrambi diritto alla pensione di reversibilità. In questo caso il trattamento viene ripartito in quote dal tribunale, che tiene conto della durata dei rispettivi matrimoni, dell’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge, delle condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda, della convivenza prematrimoniale del coniuge superstite con il defunto.
La ripartizione deve considerare anche l’effettiva “comunione di vita” tra defunto e secondo consorte, vista l’equiparazione tra convivenza more uxorio e famiglia legittima. (Tribunale di Roma, sentenza n. 58/2015). Se il giudice si discosta dai parametri base e dà priorità ad altre circostanze deve
“darne una motivazione esaustiva e logica delle ragioni che lo hanno portato a tale decisione” (Cassazione, sentenza n. 5136/2014).
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